Common use of DIRITTO Clause in Contracts

DIRITTO. I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. La parte ricorrente G.A., con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

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Samples: Real Estate Purchase Agreement

DIRITTO. I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. La parte ricorrente G.A.MOTIVI DELLA DECISIONE Con la prima doglianza, con il primo motivo, denuncia "deducendo la violazione o e la falsa applicazione dell'artdei canoni legali di ermeneutica e degli artt. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c.1939, n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima 1945 e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 1952 c.c., riferendosi alle spese xxxxxx l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di salvataggioAppello violato i canoni di ermeneutica che, se fossero stati correttamente applicati, avrebbero portato a qualificare i patti di riacquisto intercorsi tra le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre parti come garanzia autonoma. E ciò, senza considerare che aveva omesso qualsiasi motivazione sul perchè avesse ritenuto di qualificare il patto di riacquisto come fideiussione anzichè come garanzia autonoma. La doglianza in entrambi i limiti della somma profili merita attenzione. A riguardo, corre l'obbligo di sottolineare preliminarmente che, come ha già avuto modo di statuire questa Corte con un orientamento, cui questo Collegio intende aderire, "assicurata"l'interpretazione del contratto, laddove tale nozione dal punto di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a.vista strutturale, si potesse riconoscere una qualche responsabilità collega anche alla sua qualificazione e la relativa complessa operazione ermeneutica si articola in tre distinte fasi: a) la prima consiste nella ricerca della comune volontà dei contraenti; b) la seconda risiede nella individuazione del modello della fattispecie legale; c) l'ultima è riconducibile al proprietario dell'auto assicurata giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto concretamente accertati. Le ultime due fasi, che non sono le sole che si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando risolvono nell'applicazione di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema norme di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della litediritto, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione liberamente censurate in sede di legittimità, al fine mentre la prima - che configura un tipo di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti accertamento che è riservato al giudice del di merito, ma anche poichè si traduce in un'indagine di indicare fatto a lui affidata in quale atto del precedente giudizio lo abbia fattovia esclusiva - è normalmente incensurabile nella suddetta sede, onde dar modo alla Corte salvo che nelle ipotesi di cassazione motivazione inadeguata o di controllare ex actis la veridicità violazione dei canoni legali di tale asserzioneermeneutica contrattuale, prima di esaminarne il merito"così come previsti nell'art. 1362 x.x. x xx. (CassXxxx. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005x. 00000/00). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

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Samples: Fideicommissum

DIRITTO. I primi tre motivi Così riassunte le questioni rispettivamente devolute dalle parti litiganti nel presente giudizio d’appello, occorre innanzitutto precisarne la relativa tassonomia. Ciò in ragione del fatto che l’appellante ATAC chiede in via meramente subordinata che sull’originario ricorso sia declinata la giurisdizione amministrativa a favore del giudice ordinario, trascurando che il potere dispositivo della parte esplicantesi nella graduazione delle domande non può essere riconosciuto quando tra le questioni ad esse sottese vi sia quella concernente la giurisdizione del giudice adito. A questo riguardo deve infatti darsi seguito all’insegnamento dell’Adunanza plenaria di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. La parte ricorrente G.A., con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c.questo Consiglio di Stato 4 giugno 2011, n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G.10, secondo cui l’esame di detta questione assume carattere necessariamente prioritario. E tanto in virtù del condivisibile argomento secondo cui il giudizio dei giudici potere del giudice adito di meritoemettere qualsiasi statuizione, avrebbe dunque colpevolmente omesso sia in rito che nel merito della domanda, postula che su quest’ultima lo stesso sia effettivamente munito della potestas iudicandi, ossia di attivarsi per evitare quell’imprescindibile presupposto processuale al solo ricorrere del quale è consentito pronunciarsi sulla medesima. Nella citata pronuncia l’organo di nomofilachia della giurisdizione amministrativa ha tra l’altro posto in rilievo la necessità che sulla domanda non si pronunci in alcun modo il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente)giudice sfornito di giurisdizione, non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" stessa possa invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione essere riproposta, completamente impregiudicata, davanti a quello munito di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investiregiurisdizione, a pena d'inammissibilitàmezzo della c.d. translatio iudicii, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili introdotta per la prima volta dall’art. 59 della legge n. 69/2009 (in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di meritoseguito alle note decisioni della Corte costituzionale n. 77 del 12 marzo 2007 e delle Sezioni unite civili 22 febbraio 2007, tranne che n. 4109), ed ora riprodotto dall’art. 11 del cod. proc. amm. Anche per questo rilievo, quindi, non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione può prescindere dal prioritario esame della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensivagiurisdizione.

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Samples: Rassegna Monotematica Di Giurisprudenza

DIRITTO. I primi tre motivi Deve esaminarsi innanzitutto l’eccezione di ricorso vanno esaminati insieme inammissibilità del ricorso. Essa appare fondata. Costituisce principio sufficientemente consolidato, anche nella giurisprudenza della Suprema Corte, che nell’ambito delle azioni di mero accertamento, quale è quella proposta nella specie, la condizione essenziale dell’azione rappresentata dall’esistenza dell’interesse ad agire possa considerarsi soddisfatta solo se il richiesto accertamento sia essenziale per evitare un danno attuale a chi agisce, e non anche quando esso sia strumentale alla soluzione soltanto in quanto connessivia di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (così si esprime Cass. La parte ricorrente G.A., con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. 24434/2007; ma in relazione all'art. 360 c.p.ctermini non dissimili Cass n. 12548/2002; Cass., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su 10558/2002). Xxxxxx, se si muove da tali premesse, sembra al Collegio che la domanda formulata dalla società non soddisfi il richiesto requisito. Gli è, infatti, come rammentato, che è la stessa ricorrente a sottolineare che la domanda di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (accertamento formulata all’Arbitro è funzionale a «dissipare ogni possibile incertezza e a consentire anche per omesso esame il futuro il pacifico svolgimento del rapporto», collocandosi così proprio su quel terreno di prove decisive)" esponendo doglianze soluzione meramente ipotetica o astratta della controversia, che possono essere sintetizzate come segueavvicina la domanda proposta ad una sollecitazione al Collegio a svolgere una funzione di fatto consulenziale. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale D’altra parte non può ovviamente essere estesa nemmeno dimenticarsi che se è vero, come sottolineato anche dal Collegio di Coordinamento nella decisione 3169/2014, che il limite di valore fissato dalle disposizioni che disciplinano lo svolgimento del procedimento davanti l’ABF è formalmente previsto solo per le domande che abbiano ad oggetto la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel condanna al pagamento di una rilevante somma di danaro denaro, vero è anche che invece costituiva tipico obbligo «l’interpretazione sistematica delle varie disposizioni (128 bis TUB, Regolamento CICR e Disposizioni di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.Banca d’Italia) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva.luce delle

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Samples: Factoring Agreement

DIRITTO. I primi tre motivi In xxx xxxxxxxxxxx, il Collegio evidenzia come la domanda si inserisca nell'ambito del ben noto filone della retrocessione proporzionale degli oneri applicati a prestiti verso cessioni del quinto della retribuzione, nel momento in cui questi finanziamenti vengono estinti anticipatamente rispetto al normale decorso del piano di ricorso vanno esaminati insieme ammortamento. Tuttavia, il ricorrente, ed è ciò che caratterizza detto ricorso, spezza le domande in quanto connessi. La parte ricorrente G.A.due segmenti: l'uno, principale, tende a richiedere, accanto alla retrocessione proporzionale delle altre commissioni e oneri, anche la declaratoria di invalidità (con il primo motivoconseguente obbligo di retrocessione dell'intero importo versato al momento della contrazione del prestito) della commissione per l'intermediario del credito, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità frappostosi nel perfezionamento del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario finanziamento (e cioè che pure nell'assicurazione si vedrà tra un istante come occorra distinguere, all'interno di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio)tali operatori, è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimotra agenti finanziari, nella fattispeciemediatori creditizi, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. enti iscritti negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale appositi albi di cui all'art. 1917 c.c.. A 106 TUB o semplici mandatari del finanziatore). Più in particolare, parte il fatto chericorrente assume che detta clausola sarebbe contrastante con norme inderogabili di legge, per quanto già detto sub il motivo 3)costituite dall'art. 125 novies T.U.B. (di cui viene postulata l'applicabilità ratione temporis) e con la normativa in tema di tutela del consumatore e segnatamente con le norme di cui agli artt. 33 e 34, l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso commi 2 e 4. Il ricorrente allega la vessatorietà della previsione contrattuale relativa alla commissione qui ricordata, in quello relazione al significativo squilibrio tra le prestazioni, con particolare riferimento all’importo dovuto, alla carenza di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso informazione ed alla mancanza di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile trattativa tra le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilitàparti. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto domanda subordinata ulteriore, sottoposta all'attenzione del Collegio, nel caso in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi cui venisse rigettata detta interpretazione del dettato normativo in merito alla commissione dell'intermediario, è una ben nota domanda di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende retrocessione degli oneri e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documentocommissioni applicate al finanziamento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicuratoinclusa quella in favore dell'intermediario del credito, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversiaprincipio proporzionale, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensivacome ritenuto elaborato dalla giurisprudenza ABF.

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Samples: Financing Agreement

DIRITTO. I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. La parte ricorrente G.A., con Con il primo motivo, denuncia motivo del ricorso si denunzia "violazione o falsa applicazione dell'artdella L.R. Marche 20 giugno 2003, n. 13, artt. 1914 c.c2, 9 e 28 e connessa violazione o falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c., in relazione all'artall’art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè per difetto di interesse. Secondo quanto emerge dagli atti, con la parte ricorrente non espone sentenza di primo grado è stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva della ASL (chiaramente e ritualmenteOMISSIS) di averlo già prospettato San Benedetto del Tronto, e la sentenza sul punto non è stata appellata. La ASUR Marche (negli stessi termini sostanzialisucceduta alla ASL (OMISSIS)) innanzi al Giudice dell'appello si è comunque costituita in appello, eccependo l’estinzione del giudizio, ma la sua eccezione è stata rigettata (che in effetti e le spese di lite sono state compensate integralmente tra tutte le parti). La stessa ASUR Marche non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ha proposto ricorso per cassazione devono investireI ricorrenti precisano di avere eccepito il difetto di interesse a contraddire della ASUR, a pena d'inammissibilitàeccezione implicitamente rigettata, questioni essendo stata esaminata l’eccezione di estinzione da questa proposta, e assumono che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del meritotale decisione sarebbe errata, ma non chiariscono quale utilità deriverebbe loro da una eventuale cassazione della stessa. In ogni caso, essi risultano integralmente vittoriosi nei confronti della ASUR Marche (anche quale successore della ASL (XXXXXXX)), e nel ricorso confermano di indicare in quale atto non averne chiesto la condanna, mentre l’unica questione proposta dall’ente, e cioè quella dell’estinzione del precedente giudizio lo abbia fattogiudizio, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis è stata disattesa. Di conseguenza va certamente escluso il loro interesse ad impugnare la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensivadecisione sul punto.

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Samples: Raccolta Di Giurisprudenza

DIRITTO. I primi tre motivi Il Collegio, esaminando l’eccezione dell’intermediario, richiama i principi di ricorso vanno esaminati insieme diritto affermati dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui la quietanza ha una volontà dismissiva del diritto allorché risulti dal documento o dal concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde la consapevolezza dell’interessato della titolarità di determinati diritti e l’intento cosciente di abdicarvi o transigere (cfr. Cass. 8 settembre 2017, n. 20976, Cass. 15 settembre 2015, n. 18094). Nella fattispecie in quanto connessiesame, la dichiarazione sottoscritta dal cliente contiene un richiamo generico e indeterminato alla rinuncia a qualsiasi diritto nascente dal contratto e dalla sua anticipata estinzione, e non il riferimento specifico alla rinuncia alla restituzione delle commissioni di competenza della banca in ragione dell’anticipata estinzione. La parte ricorrente G.A.Si legge, infatti, “Resta inteso che con il primo motivopagamento della somma sopra indicata, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa si intende rinunciato ogni eventuale diritto e/o contraddittoria su pretesa nascente dal contratto in epigrafe e dalla sua anticipata estinzione – anche in questa sede non espressamente menzionato – nei confronti della nostra Società”. Né nella dichiarazione sottoscritta dal cliente vi è il riferimento alla rinuncia al ricorso all’ABF. Anzi sul punto si osserva che, nel caso di punti decisivi specie, in calce alla lettera di accompagnamento della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c.quietanza, n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio)predisposta dall’intermediario, è evidente scritto in basso e a caratteri più piccoli rispetto al carattere usato nella lettera, che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimol’intermediario “aderisce all’Istituto dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) al quale la clientela, nella fattispecie, per di più riteneva di qualora non dover nemmeno sopportare soddisfatta potrà rivolgersi per la ragione risoluzione stragiudiziale delle controversie (...)”. Pertanto, tale indicazione può indurre in errore il cliente che l'ipoteca era solo apparente e riceve tale lettera. Per quest’ultimo può non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era essere chiaro se possa rivolgersi all’ABF anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questionecui non si senta soddisfatto dopo la compilazione e la sottoscrizione del modulo predisposto e inviato dall’intermediario ovvero soltanto nel caso in cui scelga di non compilare e sottoscrivere il modulo allegato. Nella Ne consegue che il Collegio non accoglie, nel caso di specie, una volta scoperto l'errorel’eccezione dell’intermediario. Del pari, scattava l'obbligo non può essere accolta l’eccezione dell’intermediario sull’estinzione del finanziamento mediante intervento della compagnia assicurativa in questione ragione della perdita di impiego del ricorrente, in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxxquanto, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevolespecie, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono l’assicurazione era a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro del ricorrente. Sul punto il limite Collegio richiama la decisione del Collegio di un importo pari al quarto Coordinamento n. 13305 del massimale stabilito in polizza per il danno 2018, secondo cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde «nel caso di multeassicurazione vita/danni, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documentooneri assicurativi sopportati dal cliente finanziato, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto l’estinzione diretta da parte sua del dovere della compagnia di assicurazione non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa preclude al cliente (anche perchè il costo e dunque consente comunque e in ogni caso) l’azione di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente ripetizione relativa agli oneri non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso maturati per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensivaeffetto dell’anticipata estinzione».

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DIRITTO. I primi tre motivi Va trattato, in via prioritaria, il terzo motivo di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. La parte ricorrente G.A.ricorso, con il quale si deduce la nullità della sentenza per violazione dell'art. LA GIURISPRUDENZA: le sentenze per esteso 112 c.p.c., per essere viziata da ultrapetizione in quanto la domanda di risoluzione per mutuo consenso non sarebbe mai stata proposta in primo motivogrado. La società attrice aveva agito per la risoluzione del contratto per inadempimento ed il convenuto aveva resistito alla domanda senza proporre domanda riconvenzionale di risoluzione per mutuo consenso sicché la corte di merito avrebbe errato nel dichiarare d'ufficio la risoluzione per mutuo consenso sulla base del comportamento del convenuto e delle sue difese in giudizio. Il motivo è infondato. La risoluzione consensuale del contratto è un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale e può essere desunto, denuncia "salvo i limiti di forma dei negozio solutorio, dalla volontà manifestata dalle parti anche tacitamente. Laddove le parti abbiano allegato in giudizio di non avere interesse alla permanenza degli effetti del contratto, la risoluzione consensuale può essere oggetto di accertamento d'ufficio da parte del giudice anche in sede di legittimità, ove non vi sia necessità di effettuare indagini di fatto. In armonia con tale principio, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha ritenuto che la risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio ma una mera difesa (Cassazione civile sez. 20/06/2012, n. 10201; Cass. 24 maggio 2007 n. 12075 e Cass. 21 novembre 2006 n. 24802), ragione per la quale non è configurabile il vizio di ultrapetizione sol perché la parte abbia chiesto la risoluzione per inadempimento e sia emerso dal processo che volontariamente esse si fossero sciolte dal vincolo contrattuale. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione o e falsa applicazione dell'artdegli artt. 1914 1350 c.c. e 1351 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su , per avere la corte di punti decisivi della controversia merito ritenuto che il contratto preliminare di permuta del 7.9.2005 fosse stato risolto per mutuo consenso, in relazione all'artassenza di un atto avente forma scritta ad substanbam, pur trattandosi di contratto avente ad oggetto diritti reali immobiliari. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (anche per omesso esame 5, il difetto di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come seguemotivazione della sentenza in quanto con la proposta di acquisto del terreno oggetto del contratto preliminare di vendita, la promittente acquirente non avrebbe manifesterebbe la volontà di risolvere il contratto precedente e non vi era stata accettazione della proposta da parte del T., con atto avente forma scritta. Il TribunalePoiché all'offerta di acquisto del terreno non era seguita l'accettazione scritta, prima il contratto solutorio non si sarebbe perfezionato e la proposta unilaterale non avrebbe potuto esplicare alcun effetto estintivo dell'accordo originario. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati. Deve, in primo luogo, essere disattesa la questione, sollevata dal controricorrente in ordine alla qualificazione della scrittura privata dei 7.9.2005 come "lettera di intenti" o "preliminare di preliminare". La Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso cui è demandata la qualificazione del contratto, ha accertato che, con la scrittura privata del 7.9.2005, le parti avessero concluso un contratto preliminare, obbligandosi a concludere il contratto definitivo. Il ricorso omette di attivarsi censurare la violazione delle regole di interpretazione del contratto, limita a sostenere, in modo apodittico, che la scrittura privata del 7.9.2005 integrasse un preliminare di preliminare da cui scaturiva l'obbligo di contrattare in vista della compravendita e che, a fortiori, anche il negozio solutorio potesse avvenire per evitare facta concludentia. Considerato quindi che la scrittura privata del 7.9.2005 vada qualificata come contratto preliminare, la quaestio iuris posta all'attenzione del collegio riguarda la forma del contratto solutorio. Per costante giurisprudenza di questa Corte, la risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il radicamento trasferimento, la costituzione o l'estinzione di diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente)forma scritta ad substantiam non solo quando il contratto da risolvere sia definitivo e, non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ruquindi rientri nella espressa previsione dell'art. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 1350 c.c., riferendosi alle spese ma anche quando si tratti di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per contratto preliminare; la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi dell'assoggettamento del preliminare alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale forma di cui all'art. 1917 1351 c.c.. A parte . va ravvisata nell'incidenza che il fatto chepreliminare spiega su diritti reali immobiliari, per sia pure in via mediata in quanto già detto sub con esso le parti assumono l'obbligo di concludere il motivo 3)definitivo (Cassazione civile sez. II, l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato22/02/2018, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avvn. 4313; Cassazione civile sez. G.II, costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art14/04/2011, n. 8504; Cass. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore15 maggio 1998 n. 4906). Il motivo è inammissibile poichè contratto preliminare, infatti, pur avendo efficacia obbligatoria, vincola le parti alla conclusione del contratto definitivo ed ha efficacia mediata in relazione al trasferimento di diritti reali immobiliari. La risoluzione del contratto preliminare necessita quindi del rispetto dei requisiti della forma scritta di cui all'art. 1359 c.c., come espressamente richiesta dailiart,1351 c.c., perché impedisce il verificarsi degli effetti immobiliari derivanti dall'adempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto preliminare (Cass., Sez. 2, n. 13290 del 26 giugno 2015). Se, infatti, in via generale, la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) risoluzione per mutuo consenso di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola)un contratto può risultare anche da un comportamento tacito concludente, va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non qualora si tratti di questioni rilevabili d'ufficiocontratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam, analoga forme deve essere prevista per il negozio solutorio. PertantoNel caso di specie, ove il ricorrente proponga detta questione in sede la risoluzione del contratto preliminare di legittimità, al fine permuta doveva risultare con atto scritto idoneo a rendere manifesto che le partì avevano sostituito all'originario contratto di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensivapermuta un diverso contratto solutorio.

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DIRITTO. I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme Preliminarmente, devesi ritenere l'ammissibilità dei proposti ricorsi. L'art. 53 del d. lgs. n. 231/01, che disciplina il sequestro preventivo, in quanto connessi. La parte ricorrente G.A.verità, con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente)nel fare rinvio alle norme codicistiche relative allo stesso istituto, non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti richiama espressamente l'art. 1914 c.c.325 c.p.p. sul ricorso per cassazione, riferendosi alle spese il che ha indotto alcuni studiosi della materia ad escludere la praticabilità di salvataggiotale mezzo d'impugnazione sia avverso la decisione del riesame, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti sia - per saltum - avverso il provvedimento dispositivo della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicuratomisura. La tesi non è stata oggetto della pronunciapuò essere condivisa. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimoXxxxxxx, nella fattispecieinvero, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza Corte che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) lettura ragionevole e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione sistematica della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale norma di cui all'art. 1917 c.c53 del d. lgs. n. 231 impone di ritenere in essa implicitamente richiamato l'art. 325 c.p.p.. A parte La previsione, infatti, del riesame del provvedimento di sequestro preventivo (con richiamo espresso all'art. 322 c.p.p., che rinvia all'art. 324) e dell'appello avverso gli altri e diversi provvedimenti in materia (con esplicito richiamo all'art. 322bis c.p.p.) comporta il fatto rinvio al complessivo regime delle impugnazioni previsto al riguardo dal codice di rito, stante lo stretto e diretto collegamento delle norme di cui agli art. 322bis e 324 con quella di cui all'art. 325 c.p.p.. Né tale conclusione è contraddetta dall'art. 52 del d. lgs. n. 231 che, in tema di misure interdittive, prevede espressamente, a differenza dell'art. 53 sulla cautela reale, oltre all'appello il ricorso per quanto già detto sub il motivo 3)cassazione, l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello quasi a voler sottolineare una deliberata scelta del legislatore di tener indenne l'assicuratodifferenziare, per le due situazioni, la Corte ha omesso regolamentazione delle impugnazioni. La diversa formulazione delle due norme è giustificata, invece, dalla peculiarità del regime delle impugnazioni disciplinato dall'art. 52, che, al contrario dell'art. 53, non recepisce in toto la disciplina dell'appello di esaminare cui all'art. 322-bis c.p.p. e quindi implicitamente quella dell'eventuale ricorso per cassazione, ma richiama i soli commi 1-bis e 2 della norma da ultimo citata, con la conseguente necessità, per intuitive ragioni di coordinamento, di una esplicita previsione del ricorso di legittimità, che altrimenti non avrebbe trovato spazio. E' sufficiente considerare, per comprendere la ragione dell'omesso rinvio, nell'art. 52/1° d. lgs. n. 231, all'intera disciplina dell'art. 322-bis c.p.p., che la legittimazione a proporre appello avverso la misura interdittiva è riservata soltanto al pubblico ministero e all'ente, per mezzo del suo difensore, dato questo che avrebbe reso distonico il documento 4 recepimento tout court anche della disposizione di cui al primo comma dell'art. 322 bis c.p.p.; ed ancora, il rinvio, nel secondo comma del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui citato art. 52, alle disposizioni di cui all'art. 325 c.p.p. deve ritenersi circoscritto ai soli commi 3 e 4 della medesima norma, gli unici concretamente applicabili: il comma 1 dell'art. 325, infatti, è inapplicabile, prevalendo la disposizione specifica di cui all'art. 52/2° d. lgs. n. 231; anche il comma 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" dell'art. 325, disciplinando il ricorso diretto per il quale cassazione, non può trovare operatività, dal momento che "in caso oggetto dell'impugnazione prevista dall'art. 52/2° è soltanto la decisone del giudice di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati appello e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustiziaanche il provvedimento genetico della misura. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi L'ammissibilità del ricorso per cassazione devono investireavverso il riesame del sequestro preventivo è stata sostenuta anche in base alla considerazione che il giudizio di riesame, a pena d'inammissibilitàai sensi del comma 6 dell'art. 324 c.p.p., questioni si svolge con le forme previste dall'art. 127 c.p.p., il quale al comma 7 stabilisce che siano già comprese "il giudice provvede con ordinanza comunicata o notificata senza ritardo ai soggetti indicati nel tema del decidere del giudizio d'appellocomma 1, non essendo prospettabili che possono proporre ricorso per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il meritocassazione". Tale opzione ermeneutica, però, si rivela piuttosto riduttiva (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto porterebbe, infatti, ad escludere il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensivaper saltum) ed è superata dalle argomentazioni di più ampio respiro sistematico innanzi sviluppate.

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Samples: Sentenza

DIRITTO. I primi tre motivi Sul gravame presentato dal sig. ….. la Commissione, preliminarmente prende atto della dichiarazione del ricorrente di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. La parte ricorrente G.A., con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile aver avuto accesso parziale alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose documentazione richiesta e non certo a quella di responsabilità civile (può che ritenere cessata la materia del contendere con riferimento alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione stessa. Procedendo alla verifica della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su sussistenza di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come interesse del ricorrente all’accesso la Commissione osserva quanto segue. La Corte scriveva citata sentenza n. …../13 ha dichiarato la nullità del testamento olografo esistente del sig. ….. con conseguente apertura della successione ab intestato e devoluzione dell’asse ereditario agli eredi legittimi, dichiarando altresì l’indegnità a succedere del sig. ….., anch’egli prozio dell’istante e morto in corso di causa. Pertanto, in virtù del grado di parentela che lega il sig. ….. ai defunti della cui successione si tratta, egli rientra, in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione astratto, nella categoria dei successibili ex lege e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizionevale ad individuare, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxxmedesimo, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione un interesse qualificato ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo accedere ai documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustiziarichiesti. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua all’accesso infatti si qualifica come “astratto” e “acausale” e prescinde da un lato imponeva all'assicurato sindacato, nel merito, sulla concreta spettanza del bene della vita cui l’accedente aspira: ciò che rileva è la titolarità di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversiainteresse diretto, ma dall'altro gli vietava tassativamente concreto ed attuale nonché la strumentalità tra il diritto fatto valere e la documentazione oggetto di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratorerichiesta ostensiva. Non spetta, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investireinfatti, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per questa Commissione la prima volta in sede verifica concreta dell’effettiva spettanza di legittimità questioni nuove o nuovi temi una quota di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficioeredità al ricorrente ma tale diritto dovrà essere accertato e sancito nelle sedi a ciò deputate. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di Per tutto quanto sopra esposto la Commissione ritiene sussistente il ricorso va respintodiritto del sig. Non si deve provvedere sulle spese in quanto ad accedere a tutta la parte intimata non ha svolto attività difensivadocumentazione richiesta.

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Samples: Accesso Agli Atti

DIRITTO. I primi tre motivi Il ricorrente chiede di ricorso vanno esaminati insieme potersi sottrarre all’obbligo di garanzia fideiussoria in quanto connessivirtù dell’intervenuta cessione della propria partecipazione nella società che riveste il ruolo di debitore principale. La parte Come già chiarito da questo Collegio a fronte di analoghe vicende (cfr. Collegio ABF di Napoli, decisioni n. 3320/2015, n. 5712/2013), la cessione delle partecipazioni sociali non è un accadimento che vale a estinguere l’obbligazione fideiussoria. Una volta prestata, l’obbligazione fideiussoria, quale garanzia accessoria rispetto all’obbligazione principale, segue la sorte del debito principale e permane sino a quando quest’ultimo non venga meno. Il ricorrente G.A.si duole, altresì, del comportamento tenuto dall’intermediario nella fase di esecuzione del contratto di fideiussione: più esattamente, l’intermediario avrebbe tenuto una condotta improntata a scarsa diligenza, avendo continuato, in assenza di sua specifica autorizzazione, ad erogare credito al debitore principale anche in presenza di radicali mutamenti della compagine societaria tali da incidere sulla capacità di restituzione del finanziamento. Anche sotto questo profilo, la richiesta del ricorrente non può essere accolta. Nel contratto di fideiussione sottoscritto in data 11 maggio 1990, è contenuta infatti, oltre a una clausola “omnibus”, con il primo motivola quale la ricorrente si impegna a garantire “tutto quanto dovuto dal debitore, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'artper capitale, interessi anche se moratori e ogni altro accessorio, nonché per ogni spesa anche se di carattere giudiziario ed ogni onere tributario”, una espressa deroga al dovere del creditore di “chiedere la speciale autorizzazione prevista dall’art. 1914 c.c1956 cod. in relazione all'artciv. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su per far credito al debitore”. In presenza di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente)tale clausola, non provvedendo cioè può censurarsi il comportamento dell’intermediario che ha continuato a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità fare credito al debitore principale senza specifica autorizzazione del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c.garante, riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 1956 c.c.). Ben diversaD’altro canto, come già esposto il ricorrente non ha fornito alcuna prova che l’intermediario fosse a conoscenza di un peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore garantito, in presenza delle quali avesse comunque continuato a fare credito a quest’ultimo (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.ccfr., al riguardo, Collegio ABF di Milano, decisione n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3239/2010), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

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Samples: Fideicommissary Guarantee Release

DIRITTO. I primi tre motivi Il primo motivo lamenta che la corte distrettuale abbia ritenuto infondato, in violazione di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessinorme di diritto (artt. La parte ricorrente G.A., con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 115 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 2697 c.c.), il motivo di appello diretto a sentir dichiarare improponibile la domanda di revocatoria in mancanza di produzione della sentenza dichiarativa di fallimento da parte della Curatela, che avrebbe precluso la possibilità di individuare il c.d. Ben diversaperiodo sospetto in relazione alle varie ipotesi previste dalla L. Fall., art. 67 e richiamate nell’atto di citazione. La doglianza è priva di fondamento. Rettamente la corte distrettuale ha evidenziato come già esposto la data di deposito della sentenza di fallimento (10.7.1997) fosse rimasta incontestata per tutto il corso del giudizio di primo grado, ed anzi risultasse indicata anche dalla stessa [Società] nella domanda di insinuazione al passivo prodotta dalla Curatela, sì che non era necessaria la produzione in giudizio della sentenza dichiarativa al fine indicato dalla odierna ricorrente in atto di appello. A tale argomentazione non vale opporre la tesi, sostenuta confusamente in ricorso, secondo la quale nella specie il principio della insussistenza dell’onere della prova relativamente ai fatti incontestati non potrebbe trovare applicazione perché la sentenza di fallimento “deve provarsi per iscritto ad substantiam”. La sentenza di fallimento invero non è che un presupposto di fatto della azione revocatoria, e per le ragioni sopra indicatecome fatto ben può essere, ove come nella specie non specificamente contestato in ordine al suo contenuto (ivi compresa la data), era la situazione nel caso in questioneessere ritenuto provato a norma dell'art. Nella specie115, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite comma 1 (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto come modificato dalla L. n. 69 del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati2009). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

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Samples: Factoring Agreement

DIRITTO. I primi tre motivi Le applicazioni più frequenti degli approdi giurispruden- ziali in materia di obbligo di segretezza sono state, peral- Nelle gare pubbliche, l’obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell’integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese concorrenti “discende necessaria- mente dalla ratio che sorregge e giustifica il ricorso vanno esaminati insieme alla gara pubblica per l’individuazione del contraente, in quanto connessil’integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della se- gretezza delle offerte e della par condicio di tutti i con- correnti, assicurando il rispetto dei principi di buon an- damento ed imparzialità, consacrati dall’articolo 97 del- la Costituzione, ai quali deve uniformarsi l’azione am- ministrativa” (Cons. La parte ricorrente G.A.St., Sez. V, 28 marzo 2012, n. 1862). L’art. 46, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici, nella sua nuova formulazione, prevede esplicitamente il principio di segretezza delle offerte, e adotta l’indirizzo giurisprudenziale più rigoroso secondo cui la sussistenza di indici anche solo formali (cd. irregolarità) della vio- lazione di tale principio causa l’esclusione dalla proce- dura della concorrente che ha dato luogo all’irregolari- tà. tro, quelle relative al diverso caso di commistione tra offerta tecnica ed offerta economica, con il primo motivocorollario della necessaria assenza di conoscenza da parte dei com- missari degli elementi della seconda al momento della valutazione della prima. Nel caso di specie, denuncia "afferente ad una gara di appalto da aggiudicare con il criterio del maggior ribasso, la stazio- ne appaltante ha tratto la convinzione della violazione dell’obbligo di segretezza da una serie di elementi for- mali che, unitamente a quanto riscontrato nella proce- dura di appalto n. 37, hanno indotto la commissione giudicatrice a ritenere ragionevole l’assunto secondo cui le offerte delle due concorrenti fossero state elaborate di comune accordo. Fermo restando che gli elementi di natura formale sono tutti riconducibili alla collazione e invio delle offerte da parte della stessa società di servizi, non pare a questo Collegio che la modalità di predisposizione delle offerte utilizzata dalla società ricorrente sia di per sé violativa del principio in discussione. Xxxxxx, l’obbligo generale di segretezza dell’offerta economica ha lo scopo, come visto, di preservare la commissione giudicatrice da con- dizionamenti nella sua decisione, al fine di garantire la par condicio tra concorrenti e il buon andamento del- l’azione amministrativa. Il fatto che entrambi i raggrup- pamenti abbiano utilizzato la stessa società di servizi (soggetto ad essi estraneo) per la collazione e l’invio dei plichi non attesta di per sé né il pericolo di propalazio- ne delle notizie non divulgabili né un accordo elusivo della trasparenza della procedura da parte delle due con- correnti, in assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”. Tali irregolarità nella procedura di appalto per cui è causa non vi sono state (le buste economiche erano correttamente sigillate e non sono state peraltro aperte) e ciò esclude la viola- zione sia formale che sostanziale del principio di segre- tezza, nei termini ipotizzati dalla stazione appaltante. Ne consegue che la società ricorrente è stata illegittima- mente esclusa dalla gara di appalto n. 36, i cui profili valutativi avrebbero dovuto, in ogni caso, restare auto- nomi rispetto alle violazioni constatate in altre proce- dure. Quanto alla violazione del patto d’integrità, esclusa la lesione dei principi di lealtà, trasparenza e correttezza, che afferiscono direttamente a quello di segretezza delle offerte, l’unica disposizione da ritenersi concretamente applicabile al caso di specie è quella relativa alla dichia- rata assenza “di situazioni di controllo o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa di collegamen- to (formale e/o contraddittoria su sostanziale) con altri concorrenti” e alla sussistenza o meno di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue“accordo” con altri partecipanti alla gara. Il TribunaleCollegio osserva che deve escludersi il ricorrere nel caso di specie di un collegamento formale o sostanziale tra le due concorrenti. Non vi è collegamento formale poiché gli assetti societari e di amministrazione delle so- cietà mandanti e mandatarie dei due raggruppamenti in esame erano del tutto diversi, non vi è collegamento so- stanziale poiché ne mancano alcuni tra gli indici più si- gnificativi (tra cui, in via esemplificativa, lo stesso luo- go di ubicazione delle sedi sociali, l’intreccio di parente- le reciproche o l’aver ricevuto l’attestazione SOA dal medesimo organismo). Decisiva, inoltre, è la circostanza che non siano state aperte le buste economiche; ne consegue che all’amministrazione era ex lege inibito di esprimere valutazioni in ordine ad un eventuale collega- mento sostanziale. Occorre a questo punto verificare se vi siano elementi di fatto tali da far desumere l’esistenza di un previo ac- cordo tra i due raggruppamenti nel coordinare tra di lo- ro le operazioni di gara, e, prima ancora, quale sia il concetto di “accordo” valorizzato dal patto d’integrità. Ritiene il Collegio che per “accordo” tra partecipanti ad una stessa gara possano essere individuate due diver- se fattispecie, una afferente ad un’intesa volta alla co- mune, materiale predisposizione dei plichi, l’altra con- nessa più direttamente ad una modalità fraudolenta vol- ta ad assicurare ad una delle due partecipanti il conse- guimento dell’appalto. In entrambi i casi, la stazione appaltante è onerata di fornire la prova, tramite rilievi formali e deduzioni logi- che gravi e concordanti, dell’avvenuto accordo. Nel caso di specie, come si è già ampiamente detto, la comune predisposizione dei plichi non è desumibile né dall’utilizzo da parte di entrambi i raggruppamenti della stessa agenzia di servizi per la collazione e l’invio dei plichi, né da elementi tratti da diversa e autonoma pro- cedura di appalto, in assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte” nell’ambi- to della procedura in esame, e in presenza di una busta economica integra e correttamente sigillata. Analogamente, non è possibile dedurre dagli elementi valorizzati dalla stazione appaltante un accordo fraudo- lento volto ad assicurare ad una delle due partecipanti il conseguimento dell’appalto. Escluso, infatti, che nella specie fosse emersa un’irrego- larità nella chiusura dei plichi, la verifica della stazione appaltante circa l’accordo fraudolento avrebbe dovuto riguardare il contenuto dell’offerta economica contenu- ta nei plichi medesimi. In altre parole, l’amministrazione, in contraddittorio con le società concorrenti, una volta proceduto all’e- sclusione, avrebbe dovuto verificare, tramite l’esperi- mento di una gara virtuale, e la Corte poiconseguente apertura delle offerte economiche anche delle due concorrenti escluse, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie la sussistenza di causa la disciplina dell'obbligo ulteriori elementi di salvataggio statuito dall'artfatto, tali da suffragare l’ipotesi una combine tra due o più con- correnti. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici Nel caso di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come sespecie si sarebbe, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione potuta riscon- trare una distribuzione dei ribassi caratterizzata dalla presenza nella gara di r.c.a.valori concentrati soltanto in de- terminati intervalli, si potesse riconoscere con assenza, cioè, di ribassi in am- pie fasce di valori, o la sussistenza di valori troppo vicini o troppo distanti per essere credibili sul piano tecnico- finanziario in rapporto alle commesse da affidare, il tut- to in armonia con il tentativo di porre in essere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando c.d. cordata, sintomatica di tasca propria il carrozziere una concorrenza soltanto fittizia. La stazione appaltante ha tuttavia ritenuto di dovere procedere all’escussione della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione cauzione senza chiedere chiarimenti alle imprese coinvolte od operare ulteriori approfondimenti sull’accertamento in tema di assicurazione concreto della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su sussistenza di un punto decisivo accordo fraudolento, nonostante lo stesso patto d’integrità postulasse come soltanto “possi- bile” l’inflizione di sanzioni a fronte di condotte lesive del corretto andamento della controversia (artprocedura. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto È chiaro al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza riguardo che la Allianz discrezionalità consentita al- l’amministrazione dal patto d’integrità non era tenuta a rimborsargli quanto pagato possa essere intesa come arbitrio nell’applicare le sanzioni ma come garanzia procedimentale per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo concorrenti di pregio adeguato coinvolgimento in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione contraddittorio nell’individuazione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c.. A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione sussistenza degli elementi di difesa o fatto da porre a soste- gno della contestazione. La richiesta di escussione della fideiussione risulta dun- que illegittima per un componimento amichevoleduplice ordine di motivi tra di lo- ro inscindibili, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato afferenti alla mancata corretta individuazione della condotta lesiva del patto d’integri- tà, dall’altro discendenti dalla totale assenza di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile contrad- dittorio e di stipulare transazioni pregiudizievoli istruttoria che ha caratterizzato il sub-pro- cedimento di applicazione della sanzione. In altre parole, la procedimentalizzazione dell’iter san- zionatorio sarebbe stata nel caso di specie non una inu- tile formalità garantistica ma una modalità di azione re- sa necessaria dal fatto che non erano stati acquisiti nel corso della gara elementi tali da poter sostenere né un’irregolarità formale nella chiusura dei plichi né un collegamento sostanziale, anche nei termini sopra enun- ciati di un accordo, tra le due concorrenti. Resta d’altra parte non comprensibile la ragione della mancata applicazione anche analogica alla fattispecie in esame della disciplina di cui all’art. 38, comma 2 del D.lgs. 163/2006, che prescrive che “la stazione appal- tante esclude i concorrenti per l'assicuratorei quali accerta che le re- lative offerte sono imputabili ad un unico centro deci- sionale, è evidente che la sua condotta sulla base di iniziale univoci elementi. La verifica e l’e- ventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica”. Ciò, anche in considerazione della circostanza per cui il “comune accordo” va accertato in concreto, e non accettazione sem- plicemente presunto, così come statuito dalla giurispru- denza della Corte di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto Giustizia dell’Unione europea nel caso, da parte sua del dovere ritenersi speculare a quello esaminato, della sussistenza di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie un rapporto di controllo o confessione della propria colpa collegamento tra imprese concorrenti (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratorecfr. Sez. IV, 19 maggio 2009, in C-538/07). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola)In definitiva, va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investiredunque, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in quanto la parte intimata non ha svolto attività difensivaintegralmente accol- to, salva l’inammissibilità della domanda volta ad otte- nere l’annullamento della comunicazione del provvedi- mento di esclusione all’ANAC.

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