XXXXXXX,. Il marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979, in Riv. dir. ind., 1980, II, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commerciali. Con la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. cit., 16-17.
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Samples: Other/Miscellaneous Agreements
XXXXXXX,. Il marchio comunitario1. Entro i termini contrattuali utili per l’invio della disdetta della locazione, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6i competenti uffici aziendali provvedono alla verifica della sussistenza dei requisiti previsti dall’art. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979, in Riv. dir. ind., 1980, II, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commerciali. Con la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 1082, comma 1, Reglettere d) ed f) e comma 3 del presente regolamento. 40/1994Inoltre alla verifica della consistenza del reddito complessivo (al lordo delle imposte) del nucleo familiare, che non dovrà superare del 40%: - il limite previsto alla lettera c) del comma 1 dell’art. 2 del presente regolamento; X. XXXXXXX- il limite previsto al comma 4 dell’art. 2 del presente regolamento, oprelativamente ai contratti di locazione delle unità immobiliari ricomprese nell’allegato A alla delibera AGEC n. 22 del 18.02.2003 e successive modifiche e integrazioni. citNella determinazione del limite massimo di reddito sopra citato, si applicherà, per ogni figlio a carico e per ogni componente con disabilità certificata pari o superiore al 67%, una ulteriore detrazione pari ad euro 2.000,00.
2. Qualora non sussistano elementi ostativi a seguito delle verifiche condotte come previsto dal comma 1 del presente articolo e, 16-17nel corso della locazione in scadenza, non siano stati riscontrati inadempimenti contrattuali ivi comprese violazioni del regolamento degli assegnatari anche a danno degli altri inquilini dello stabile attestati da una lettera di diffida di AGEC ovvero sia mutata la composizione del nucleo familiare originario, il contratto di locazione si intenderà tacitamente rinnovato. Diversamente verrà inviata la disdetta della locazione e si darà corso alla procedura per il recupero dell’immobile.
3. Limitatamente ai casi di sovraffollamento o di sotto occupazione e compatibilmente con le disponibilità aziendali, i competenti uffici possono proporre al Consiglio di Amministrazione cambi di alloggio a condizione che permangano i requisiti di cui al comma 1 del presente articolo.
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XXXXXXX,. Il marchio comunitariocomodato, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979, in Riv. dir. indcit., 1980, II, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commerciali. Con la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; p. 92 s. 39 X. XXXXXXX, op. Il comodato, cit., 16-17p. 174. tro pagamento di una tariffa oraria o giornaliera, è un rapporto obbligatorio che rientra nello schema del deposito o in quello della locazione? L’interesse empirico dell’utente è di regola animato dal bisogno di custodire il mezzo. In caso contrario non vi sarebbe alcuna differenza causale tra parcheg- gio oneroso e sosta a pagamento sulla via destinata al pubblico transito. Al ri- guardo serve considerare che i sistemi di sorveglianza predisposti dal gestore il parcheggio fanno nascere in capo alla generalità degli utenti la fondata aspetta- tiva del praestare custodiam, la quale è remunerata dal prezzo del biglietto 40. Né vale a ribaltare l’interpretazione che precede l’obiezione secondo cui non è prospettabile la detenzione del bene, raffigurante l’emblema del deposito, qualora l’utente non abbia consegnato le chiavi dell’autovettura all’altra parte. Ciò in quanto ai fini della configurazione della detenzione non occorre la tradi- tio simbolica 41, né è richiesto che il detentore possa utilizzare il (o disporre fisi- camente del) bene, essendo senz’altro ammissibile la detenzione – e quindi la custodia – di cosa chiusa 42. Non bisogna per giunta dimenticare che di norma è il depositario a non richiedere la consegna delle chiavi, ritenendo più conve- niente affidare ai depositanti l’incombenza di sistemare l’auto all’interno degli spazi liberi. Tale scelta, giustificata dalle contingenti strategie imprenditoriali, non può dunque condizionare il regime di responsabilità del custode.
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Samples: Locazione
XXXXXXX,. Il marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979diritto del minore ad una famiglia, in RivFam. dirPers. indSucc., 19802008, IIfasc. 11, 163p. 872. 55 Cfr. G.E. NAPOLI, Il diritto di crescere nella propria fami- glia, in C.M. Xxxxxx, La riforma della filiazione, cit., p. 1126; è quanto emerge anche da Xxxx., 21 giugno 2018, n. 16357, in Giust. civ., Mass., 2018, voce Adozione: “Il prioritario diritto dei minori a crescere nell'ambito della loro famiglia di origine non esclude la pronuncia della dichiarazione di adottabilità quando, nonostante l'impegno profuso dal genitore per superare le pro- prie difficoltà personali e sull’equilibrio genitoriali, permanga tuttavia la sua incapacità di elaborare un progetto di vita credibile per i figli, e non risulti possibile prevedere con certezza l'adeguato recupero delle capacità genitoriali in tempi compatibili con l'esigenza dei rapporti commercialiin questo senso che è stato osservato come la legge sull’adozione riveli il ruolo prioritario che il diritto all’amore dei genitori svolge nella vita dei figli.56 Sembra, così, possibile affermare che il diritto del minore a ricevere le cure e l’affetto necessari per il suo migliore sviluppo possa estendersi sino ad esse- re esercitabile anche nei confronti della nuova fa- miglia. Con La famiglia d’origine rimane dunque il luogo privilegiato per la direttiva 89/104/CEEcrescita del minore, salvo che ri- sulti inadeguata; ma, nel contesto della disciplina dell’adozione, il riconoscimento del diritto ad una famiglia comporta necessariamente un bilanciamen- to tra contrapposte esigenze. Se infatti, come si è avuto modo di osservare, la carenza, o addirittura la totale assenza di assistenza morale e materiale da parte dei genitori costituisce il presupposto dello stato di abbandono e, di conse- guenza, per la dichiarazione di adottabilità del mi- nore, e quindi integra un elemento necessario e non trascurabile per lo sviluppo dei figli, per altro verso è fondamentale tutelare anche la loro primaria esi- genza di crescere nella propria famiglia. Allora la privazione, disposta nei confronti del figlio, del rapporto con la propria famiglia può av- venire soltanto nei casi in cui i relativi limiti siano tanto gravi da compromettere seriamente lo svilup- po, né possano essere altrimenti superati mediante l’impegno delle strutture sociali. Xxxxxxxx e giurisprudenza hanno sostenuto tale opinione57 e anche il legislatore è intervenuto in questa direzione. Diverse sono, infatti, non si era riusciti le leggi re- gionali e statali che dispongono azioni di sostegno a superare l’ostacolo beneficio delle diverse normative nazionali famiglie58 e in materia tal senso è anche la riforma della filiazione. minori di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di poter conseguire una normativa che regolasse in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. citequilibrata crescita psico- fisica., 16-17”.
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Samples: Publication Agreement
XXXXXXX,. Il marchio comunitariocontratto di rete nella prassi. Prime riflessioni, Xxxxxxxin I contratti, Milano, 19962011, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979, 507, il quale rileva che, a fronte di 11 contratti di rete stipulati alla data del 31.12.2010, in Rivben 5 casi le imprese provenivano addirittura dalla stessa provincia, in 2 dalla stessa regione e soltanto in 4 contratti si è potuto registrare una cooperazione tra imprese appartenenti a regioni diverse. dirTendenza confermata anche dai dati forniti a Marzo 2012 dal I Osservatorio Intesa San Paolo- Mediocredito Italiano sulle reti d’impresa, il quale rileva che, su 179 contratti di rete stipulati al 5
5. ind.(segue). Dimensione etica e aspetti fiduciari delle reti di imprese. Nella cooperazione reticolare si esclude una reciproca interferenza degli aderenti nelle rispettive organizzazioni imprenditoriali, 1980, II, 163; le quali restano del tutto autonome e sull’equilibrio dei rapporti commercialiindipendenti. Con la direttiva 89/104/CEENessuna impresa, infatti, sembra assumere il ruolo di main contractor all’interno del gruppo, se non con riferimento ad alcuni specifici affari, i quali possono essere guidati dall’impresa maggiormente specializzata o con maggiore esperienza. In altre parole, si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza può parlare tutt’al più di una normativa che regolasse leadership variabile per competenza35 o, più in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19generale, di una leadership collettiva36. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitarioDa tale cooperazione reticolare le imprese aderenti traggono vantaggi (anche indiretti) che, certamente, non avrebbero mai potuto ottenere partecipando uti singuli alla competizione economica37. La gestione rete di imprese, altresì, è caratterizzata da un’organizzata divisione del marchio comunitariolavoro e da circuiti comunicativi38 al fine di mettere in pool le ottobre 2011, il 70,9% prevedono reti costituite da imprese provenienti dalla stessa regione. Solo nel 29,1% dei casi le reti hanno natura extra-regionale. Di queste una quota significativa è rappresentata da reti che vedono coinvolte imprese appartenenti a soltanto due regioni. Da un’analisi condotta dall’“Osservatorio sui contratti di rete di Unioncamere”, invece, è possibile evincere che, su un totale di 333 contratti di rete stipulati al 14.05.2012, ben 233 vedono coinvolte imprese della sua registrazione stessa regione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad appena 100 presentano valenza interregionale, facendo comunque registrare un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo incremento di oltre il 40% nei soli primi cinque mesi del 2012 (rispetto al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMIdato relativo al biennio 2010-2011). Nel 1996I contratti che vedono il contemporaneo coinvolgimento di imprese del Nord e del Sud Italia, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitarioinvece, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. cit., 16-appena 17.
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Samples: Contratto Di Rete
XXXXXXX,. Il marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT diritto processuale europeo e le tecniche del- la sua formazione: l’opera della Commissione CE dell’ottobre 1979Corte di Giustizia, in RivEur. dir. indpriv., 19802010, II, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commercialip. 373 ss. Con la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; 50 X. XXXXXXXXXXXXXXXXX, op. cit., 16-17.p. 252. va del principio di solidarietà ed equa ripartizione della responsabilità tra gli Stati membri di cui all’articolo 80 del TFUE. Come si è rilevato, la Cor- te di Giustizia, in materia di diritti degli stranieri, “pur confermando l’orientamento apertamente ga- rantista, dà concreto risalto e significato alla nozio- ne di «interessi riconosciuti dall’ordinamento euro- peo» (formula edulcorata dell’interesse pubblico eu- ropeo), che include, evidentemente, anche l’interesse all’autoconservazione dello stesso pro- getto europeo, questo sì gravemente minacciato dall’ondata migratoria in atto”51. L’interconnessione del tema dei migranti con i diritti umani ha comportato anche l’integrazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo52. Ad esempio, è a seguito della sentenza Hirsi con cui la CEDU ha condannato l’Italia per il respingimento di migranti senza aver valutato il ri- schio cui questi sarebbero stati esposti, che l’Unione ha adottato il Regolamento 656/2014/UE che disci- plina questa fase in modo completo53. La Corte, in altra occasione, bilanciando le esi- genze di integrazione di cui all’art. 79 TFUE con la tutela dei diritti fondamentali, ha sottolineato l’importanza di garantire la proporzionalità di misu- re nazionali pure formalmente legittime quando ne- gano il ricongiungimento familiare decorso un certo periodo di tempo54. O, ancora, ha pronunciato sen- tenze che fanno prevalere l’interesse legittimo di un
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Samples: Publication Agreement
XXXXXXX,. La concertazione nell’esperienza italiana. in: Europa e concertazione. Modelli a confronto. CEDAM, Padova Nel punto 8, in ottemperanza agli impegni assunti, si fissava la misura massima dell’aumento della retribuzione per i successivi 3 anni. Nel successivo capoverso del suddetto punto veniva, però, stabilito che, si doveva tener conto, durante la stipulazione dei contratti nazionali, nella determinazione dell’aumento retributivo, dei “parametri retributivi coerenti con l’obiettivo della valorizzazione della professionalità dei lavoratori e dell’efficienza delle aziende”67 L’ incremento della produttività, rimesso alla competenza del contratto aziendale, attribuiva a quest’ultimo notevole importanza, nonostante, comunque, si dovesse tener conto della direttrice programmatica contenuta nell’Accordo68. Il marchio comunitariopunto 11 del Protocollo69 prevedeva, invece, la riduzione dell’orario di lavoro che, da un lato penalizzava la contrattazione aziendale relegandola ad un ruolo di 67 Vedi Protocollo Xxxxxx del 1983 Art 8: In coerenza con i vincoli assunti in ordine alla crescita del costo del lavoro e valutati i benefici derivanti alle retribuzioni nette dei lavoratori dipendenti dalla modifica dell'Irpef e dalla introduzione dell'assegno integrativo per i figli a carico, le misure massime degli aumenti retributivi per i rinnovi dei contratti collettivi, già scaduti o in scadenza nei settori industriali, sono le seguenti: L. 25.000 a decorrere dal 1° gennaio 1983 ulteriori L. 35.000 a decorrere dal 1° gennaio 1984 ulteriori L. 40.000 a decorrere dal 1° gennaio 1985 Le quantità indicate per il 1983 e per il 1984 si intendono come comprensive di qualsiasi aumento di carattere collettivo a livello aziendale, fino al diciottesimo mese dalla stipula del contratto di categoria. Nella determinazione degli incrementi retributivi, che avrà luogo in sede di stipulazione dei contratti di categoria, sarà tenuto conto della necessità di ristabilire parametri retributivi coerenti con l'obiettivo della valorizzazione della professionalità dei lavoratori e dell'efficienza delle Aziende. Nella specifica sede dei rinnovi di categoria e specificatamente in quelli del pubblico impiego si procederà ad una revisione degli altri automatismi, tra cui quelli inerenti agli scatti di anzianità, per attenuarne il peso. Per il settore pubblico sarà costituita una commissione per valutare i flussi finanziari per la spesa destinata ai dipendenti del settore pubblico allargato e per procedere, sulla base delle risultanze conoscitive, ad un confronto con le Organizzazioni sindacali per valutare anche le spese da ricondurre a contrattazione. 68 X. Xxxxxxx, MilanoContratto collettivo e contrattazione in azienda. Op cit. 69 Art. 11 protocollo Xxxxxx: Al fine di realizzare regimi di orario di lavoro più corrispondenti alle esigenze produttive, 1996le parti concorderanno, 5-6nei rinnovi di categoria, clausole che consentano un più intenso utilizzo degli impianti, un recupero della prestazione effettiva rispetto all'orario contrattuale, nonché i criteri per una maggiore flessibilità di orari da porre in essere in sede aziendale. 18 Doc. III-D 1294/79-IT Verrà inoltre affrontato il problema della Commissione CE dell’ottobre 1979, distribuzione delle ferie dell'anno impegnando a tale fine gli organi competenti in Riv. dir. ind., 1980, II, 163; sede regionale e sull’equilibrio dei rapporti commerciali. Con la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitarioper esaminare i problemi connessi. La scelta I rinnovi contrattuali definiranno una riduzione di ampliare orario di lavoro di 20 ore in ragione d'anno nel corso del secondo semestre 1984 e di ulteriori 20 ore in ragione d'anno nel corso del primo semestre 1985. I rinnovi contrattuali definiranno modalità e tempi di applicazione della riduzione di orario per settori e comparti industriali e regimi mera applicazione ma, dall’altro la tutela risiede rendeva più dinamica nella volontà gestione delle crisi aziendali70 . Infine, il punto 13 del Protocollo Xxxxxx limitava le materie di proteggere il proprio brand dai suddetti atticompetenza del contratto aziendale, dato che quest’ultimo “non poteva avere ad oggetto materie già definite in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto altri livelli di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membrocontrattazione”. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionaleCiò comportava che, nel caso in cui si fosse raggiunto un accordo a livello nazionale su una domanda determinata materia, quest’ultima non poteva essere oggetto di registrazione venga rifiutata dall’UAMIcontrattazione a livello periferico71. In realtà, può sempre trovare accoglimento presso il punto 13 del Protocollo non venne applicato in ogni sua parte, anche perché le clausole limitative in esso contenute avrebbero trasformato la normativa nazionale contrattazione decentrata in “contrattazione articolata”. In definitiva, tale modello di accordo, autoritario e centralista, negli anni successivi, non fu attuato poiché, nella pratica, la contrattazione collettiva aziendale si dimostrò uno o molteplici Stati Membri20strumento utile e necessario, soprattutto nella gestione dei momenti di crisi aziendale, come in realtà, successe, nel 1984 per il risanamento dell’IRI72 . Un’impresa particolari di orario. La riduzione suddetta sarà assorbita da orari inferiori esistenti a livello aziendale ad eccezione dei trattamenti concessi specificatamente per nocività del lavoro. Allo scopo di contenere il ricorso alla cassa integrazione guadagni e fornire un impiego più razionale della manodopera, per riduzioni di orario che non ha la necessità venissero attuate a livello aziendale in situazioni di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento esuberanza di personale, le ore di riduzione potranno essere retribuite in misura ridotta, da stabilirsi nei contratti collettivi e con il concorso temporaneo della cassa integrazione guadagni fino ad una normativaquota del 50% della retribuzione effettivamente corrisposta dall'Azienda. Il Governo si impegna a presentare al Parlamento un provvedimento in forza del quale, ovvero quella nazionalequalora a livello aziendale venissero concordate riduzioni di orario con contestuale assunzione di nuovo personale, senza sentirsi in dovere specie giovanile, siano previste particolari agevolazioni ivi compresi eventuali sgravi di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. citcontributi sociali., 16-17.
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Samples: Rapporti Tra Contratti Collettivi Di Diverso Livello
XXXXXXX,. Il marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979contratto sportivo del calciatore inquadrato nella teoria generale dei contratti” , in Riv. dirDir. indSport., 19801950, II49; in giurisprudenza, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commercialiXxxxx Xxx. Xxxxxx, 00 aprile 1956, in Foro pad., 1956. un’associazione ad un’altra, pur non stipulando alcun contratto di lavoro.
1.3 Continua: b) il trasferimento del giocatore a titolo temporaneo
a) uno, dall’associazione originaria alla nuova, caratterizzato per essere perfetto ed immediatamente esecutivo,
b) l’altro, dalla seconda alla prima associazione, caratterizzato per essere perfetto ma efficace a partire dalla fine dell’annata sportiva. Con l’accordo di trasferimento si vedono conclusi due contratti, per il trasferimento ed il ritrasferimento del vincolo, che assumono le forme di due compravendite, di due permute ovvero di due donazioni, a seconda dei casi. Tra il corrispettivo dovuto dalla prima alla seconda associazione, e quello dovuto da quest’ultima alla prima associazione, potrebbe operare allorché ne concorrano i requisiti, la direttiva 89/104/CEEcompensazione: può accadere che nulla sia dovuto tra le associazioni ( c. d. prestito gratuito). Lo strumento del trasferimento a titolo temporaneo non è stato affidato esclusivamente alle forme proprie della doppia contrattazione, infattipoiché il regolamento del settore professionisti si proponeva da contenitore per un ulteriore forma di temporaneo trasferimento del giocatore professionista: quella del trasferimento in compartecipazione.28 28 “ La compartecipazione di un giocatore è ammessa tra due società soltanto, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitariociascuna per la metà […] . La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo compartecipazione di un giocatore è affidata limitata ad un unico Ufficiosolo anno sportivo, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento con possibilità di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paeserinnovo tra le stesse società compartecipanti, a decidere valere soltanto per un’altra stagione sportiva […] . Nel contratto di trasferimento in merito compartecipazione del giocatore, può essere riconosciuto contestualmente ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare delle società compartecipanti il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchioopzione per l’acquisizione totale del giocatore con effetto dalla stagione sportiva successiva. Inoltre, nel contratto di trasferimento in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza compartecipazione può essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale pattuito soltanto a favore di solo quella comunitaria, prima una società compartecipante l’obbligo di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni acquisizione totale del giocatore […]. Qualora la compartecipazione non sia stata risolta in uno dei modi sopra previsti […] le due società interessate debbono inviare in busta chiusa alla lega nazionale […] le loro offerte […] per l’acquisizione totale del giocatore; questi viene assegnato a carico degli organi comunitari di competenzatitolo definitivo alla società che ha presentato la migliore offerta […]”. Inoltre, mediante la coabitazione ( art. 26 del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20regolamento del settore professionisti). Un’impresa che La dottrina non ha trattato il tema del trasferimento in compartecipazione. Un’ associazione trasferisce ad un’altra il giocatore, che acconsente, dietro corrispettivo. Il giocatore si trova ad essere tesserato e vincolato per la necessità nuova associazione. Trascorso il lasso di ampliare tempo pattuito su entrambe le associazioni coinvolte nell’operazione grava l’obbligo o la protezione facoltà di pagare la somma stabilita nell’accordo di trasferimento, ottenendo così continuità nel tesseramento. Qualora nulla sia pattuito nell’accordo di trasferimento, le due associazioni sportive possono raggiungere un accordo, e stabilire quale associazione, e con il versamento di quale corrispettivo, potrà tesserare il giocatore nella successiva annata sportiva. In mancanza dell’accordo, vi è il sistema dell’offerta in busta chiusa, secondo cui le due associazioni sono tenute ad inviare alla lega nazionale offerta per l’ acquisizione totale del proprio marchio deve pur far affidamento giocatore: il giocatore viene assegnato all’associazione che presenta la migliore offerta. Vi è il trasferimento di una quota del vincolo: si tratterebbe, secondo qualcuno, di un trasferimento forzoso, in quanto l’associazione “venditrice” è priva della volontà di vendere la propria quota, poiché intenzionata ad una normativaacquistare la quota dell’altra.29 Qualora entrambe le associazioni coinvolte non si adoperassero nemmeno per un offerta in busta chiusa, ovvero quella nazionaleil giocatore si troverebbe svincolato, senza sentirsi data la decadenza del suo tesseramento per l’associazione sportiva e la libera stipulazione di un nuovo tesseramento verso qualsiasi associazione.30 Dal comportamento assunto dalle due associazioni se ne fà discendere il 29 Xxxxxx Xxxxxxxxx , “ Il trasferimento del giocatore di calcio” in dovere di applicarvi anche quella comunitariaRass. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato MembroDir. Civ. , cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre1984, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. cit1084., 16-17.
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Samples: Contratto Di Cessione Del Calciatore Professionista
XXXXXXX,. Il marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979La riforma delle sanzioni patrimoniali : verso un actio in rem?, in Riv. dir. indAA.VV., 1980, II, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commerciali. Con la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali Misure urgenti in materia di marchisicurezza pubblica, mentre a cura di Xxxxx X., Xxxxxx X., Xxxxxx 0000. misure di prevenzione spetta a tre organi: il Questore, il Procuratore distrettuale25 e il direttore della Direzione investigativa antimafia26. L’art 19 comma 1 attribuisce, senza alcun margine di discrezionalità, ai titolari del potere di proposta il compito di svolgere le indagini patrimoniali nei confronti di tutti i possibili destinatari delle misure di prevenzione personali applicate dall’autorità giudiziaria. Dalla lettura del testo normativo si sentiva l’esigenza ritiene fondata la tesi che attribuisce all’azione di una normativa prevenzione natura obbligatoria in relazione alle persone indiziate di appartenere ad associazioni di tipo mafioso o ad associazioni finalizzate al traffico di sostanze stupefacenti. Per quanto riguarda la competenza dell’organo giudicante, la sola indicazione presente nel Codice è data dall’art 5, comma 4, che regolasse prevede la presentazione della proposta al Presidente del Tribunale del capoluogo della provincia in modo univoco l’uso cui la persona dimora. Poiché anche nel nuovo codice manca ogni preclusione temporale, deve ritenersi che l’incompetenza territoriale del marchio d’impresa a livello europeo 19giudice sia rilevabile in ogni stato e grado del procedimento, avendo natura funzionale e inderogabile. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce criterio del luogo di dimora del proposto, utilizzato dal testo legislativo per la determinazione della competenza, si riferisce, per giurisprudenza consolidata, allo spazio geografico-ambientale in cui il marchio comunitariosoggetto manifesta i suoi comportamenti socialmente pericolosi, anche se tale luogo è diverso da quello di dimora abituale. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione Se le manifestazioni di pericolosità sono plurime e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, si verificano in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici luoghi diversi, uno la competenza va individuata nel luogo dove le condotte di tipo qualificato appaiono di maggiore spessore e rilevanza27. Anche la competenza dell’organo proponente ha carattere funzionale ed è pertanto inderogabile, ne consegue che “l’eventuale incompetenza dell’organo di accusa, non suscettibile di ratifica, conferma, convalida o conversione, integra un’ipotesi di nullità assoluta, rilevabile d’ufficio in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni stato e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori grado del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. citprocedimento”28., 16-17.
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Samples: Master's Thesis
XXXXXXX,. Il marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979La flessibilità del rapporto di lavoro, in RivMGL, 1998, 524. dirtutela»95. ind.Lo stesso Consiglio europeo ritiene positivo sia per i lavoratori sia per le imprese nuove forme di organizzazione del lavoro e una maggiore differenziazione dei contratti, 1980che combinino in modo migliore flessibilità e sicurezza. La somministrazione di lavoro è uno strumento di flessibilità regolata che consente alle imprese l’utilizzo di schemi contrattuali che si discostano dal lavoro subordinato, IIa tempo pieno ed indeterminato, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commercialirispondendo alle loro esigenze di gestione flessibile ed elastica della forza lavoro. Con la direttiva 89/104/CEEEssa consente, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia alle imprese utilizzatrici di marchipoter diventare più competitive offrendo la possibilità di adattare il personale alle fluttuazioni del mercato e alla domanda mutevole, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso garantendo veloci aggiustamenti secondo il fabbisogno professionale del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitariomomento. La gestione stessa direttiva europea n. 104 del marchio comunitario2008 rileva come il lavoro tramite agenzia riesca a risponde non solo alle esigenze di flessibilità delle imprese ma anche alla necessità di conciliare la vita privata e la vita professionale dei lavoratori dipendenti. Nell’ambito della somministrazione, infatti, i lavoratori possono trovare condizioni flessibili di lavoro e coerenti con le loro necessità lavorative, consenti in orario ridotto e/o concentrato in alcuni periodi della giornata o della settimana. È questo spesso il caso di madri, studenti o pensionati. Più tecnicamente, la flessibilità della somministrazione è rappresentata, come peraltro noto, dalla possibilità dell’impresa utilizzatrice di avere a disposizione per un periodo di tempo (missione) un lavoratore che, pur non essendo proprio dipendente, ma della agenzia di somministrazione, svolge la sua registrazione prestazioni lavorativa nell’interesse dell’impresa utilizzatrice, sotto il suo controllo e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficiola sua direzione dello 95 M. R.-P. Bravo-Xxxxxx, che possiede una propria autonomia giuridicaM. R.-X. Xxxx, Job Creation Policies, in ambito amministrativo e finanziarioX. Xxxxx (a cura di), stesso. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanzaA seguito della legge n. 92 del 2012, così da evitare si può affermare che la somministrazione abbia aumentato il procedimento grado di registrazione dei marchi comunitari diventi problematicoflessibilità offerta, poiché, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversiin precedenza descritto, uno in ogni paese, è ora possibile la messa a decidere in merito ad una questione disposizione per 12 mesi delle imprese utilizzatrici di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, lavoratori senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione esplicitare le ragioni tecniche, produttive organizzative, o sostitutive nel caso si tratti della prima missione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere lavoratore presso l’utilizzatore.
4. I profili della sicurezza nella somministrazione di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. cit., 16-17.lavoro
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Samples: Labor Supply Agreement
XXXXXXX,. Il marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 1996, 5-6. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979La problematica del leasing finanziario come tipo contrattuale, in Riv. dir. indciv., 19802000, II, 163644. Caratteristiche proprie della finalità finanziaria del contratto si rinvengono nell’applicazione di tassi concorrenziali rispetto ad altre forme di finanziamento; la possibilità sia di finanziare la massima percentuale del valore dell’investimento, sia di modulare 267 Quale strumento di finanziamento degli investimenti il leasing è diretto all’incremento tecnologico degli strumenti produttivi dell’impresa, quale fonte addizionale di credito, che si sviluppa attraverso la contabilizzazione dei canoni da versare come costo di esercizio, anziché l’immobilizzazione di somme di denaro per la vita dell’xxxxxxx00. Nella pratica del contratto prende corpo una corrispondenza biunivoca tra il modo di atteggiarsi della struttura triangolare e sull’equilibrio dei rapporti commercialila connotazione finanziaria della funzione. Con La locazione finanziaria si presenta come un contratto atipico33 di finanziamento, nello specifico uno strumento di tecnica finanziaria estremamente elastico34, rilevando ai fini di questa classificazione la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza mancanza di una normativa che regolasse disciplina organica sul piano civilistico35. Non è mancato l’operazione secondo le specifiche esigenze, v. X. Xxxxx, Il leasing: origine, evoluzione e sviluppi futuri, cit., 655 s.; in modo univoco l’uso argomento v. anche X. Xxxxxxx, Prospettive contabili e fiscali del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridicaleasing finanziario, in ambito amministrativo Corr. trib., 11/2004, 835. Oltre ai vantaggi di ordine contabile e finanziario. E’ infatti necessario predisporre manageriali, il leasing finanziario offre uno spettro di agevolazioni fiscali: da un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanzalato è consentito all’utilizzatore di detrarre dall’imponibile tassabile sia le somme pagate come corrispettivo contrattuale, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematicosia l’IVA versata nell’anno; dall’altro lato, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996, con la nascita di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo permette alle imprese di far riconoscere e far valere leasing l’ammortamento fiscale dei beni concessi in godimento, sottolineando il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima tale contratto a dispetto delle rigide disposizioni del legislatore in tema di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. citammortamento., 16-17.
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Samples: Contratto Di Leasing
XXXXXXX,. Il marchio comunitariodiritto di proprietà, XxxxxxxTratt. dir. civ. e comm., Cicu-Messineo-Mengoni, Milano, 19961995, 5-6p. 692. 18 Doc. III-D 1294/79-IT della Commissione CE dell’ottobre 1979, in Riv. dir. ind., 1980, II, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commerciali. Con In tal modo si vuol risolvere un problema evitando di precisare gli elementi per la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficio, che possiede una propria autonomia giuridica, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI). Nel 1996conoscenza, con una semplificazione inaccettabile. Le richieste contenute in un numero sempre maggiore di accordi, la nascita cui efficacia le parti vogliono estesa erga omnes, può ottenere una rigorosa risposta solo riflettendo sulle modalità in base alle quali un fatto può prevalere su altri incompatibili. Le nuove esigenze della società civile debbono essere registrate dal giurista attraverso i suoi abituali strumenti che non debbono certo esaurirsi nel costruire congegni logici ma possono e debbono fornire all’interprete e all’operatore criteri di tale Xxxxxxxsemplificazione, inizia l’iter aiuti alla comprensione, principi non assoluti, ma di orientamento. L’aver precisato che l’opponibilità è qualifica non del diritto ma del fatto ha un’importanza notevole; basta pensare che per il deposito di domande di marchi comunitaridecidere quali situazioni obbligatorie possono assumere rilievo erga omnes non sarà decisivo alcun ossequio al «dogma» della tipicità dei diritti reali ma sarà decisiva la ricerca della rilevanza normativa del titolo55. Con questo tipo criterio si risolvono molti problemi concreti. Emblematico è il tema delle obbligazioni reali. L’ambiguità di normativa queste figure deriva in gran parte dalla confusione operata fra la loro natura e la loro opponibilità e anche qui l’analisi acquista in chiarezza se si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazioneesamina il fatto costitutivo, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non perché è solo a livello nazionalein base alla rilevanza ad esso accordata dalla legge che si può giudicare del valore che la pattuizione assume per i terzi. La dottrina si è divisa: per alcuni tali situazioni seguono la disciplina comune ai rapporti personali, per altri attraverso la trascrizione essi diverrebbero opponibili, ma anche a livello comunitarioentrambe le soluzioni non sono convincenti sino in fondo56. La scelta di ampliare Da verificare è proprio l’idea, sempre presupposta, che ogni obbligazione, per sua natura, non sia opponibile. Dopo un lungo e tormentato dibattito, la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchio, in modo tale da impedire a terzi che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa anche al di fuori del territorio nazionalegiurisprudenza teorica e pratica ammette oggi, senza ambiguità, che il contratto può imprimere alla res una destinazione opponibile se esiste un criterio formale che la giustifichi 57 . Ciò è reso possibile dalla distinzione operata fra la situazione doverosa (che può essere costretti a richiedereanche obbligatoria) e il titolo Opponibilità è qualifica del fatto e non del diritto … … ciò consente di risolvere l’annoso problema delle obbligazioni reali 55 Per ulteriori approfondimenti, successivamente, una specifica tutela in ogni Stato Membro. Con l’entrata in vigore del presente Regolamento, non si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesi, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze che vi possono essere. Inoltre, una precedente registrazione locale non pregiudica in nessun modo quella comunitaria: i due sistemi di tutela dei marchi, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. citv. il successivo paragrafo 2.5., 16-17.
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Samples: Contratto
XXXXXXX,. Il marchio comunitario(a cura di), XxxxxxxNegoziazioni Pubbliche. Scritti su concessioni e partenariati pubblico-privati, Milanocit., 199610 ss. 53 COMMISSIONE EUROPEA, 5-6Libro verde «relativo ai partenariati pubblico - privati ed al diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni», 2004. 18 DocTale libro verde prevede anche la forma del PPP “istituzionalizzato”, ove il partner pubblico e il partner privato creano un soggetto giuridico ad hoc al quale entrambi partecipano (es. III-D 1294/79-IT una società a capitale misto), preposto a intraprendere l’operazione. Sul PPP istituzionalizzato si rinvia a COMMISSIONE EUROPEA, «Comunicazione interpretativa della Commissione CE dell’ottobre 1979, in Riv. dir. ind., 1980, II, 163; e sull’equilibrio dei rapporti commerciali. Con la direttiva 89/104/CEE, infatti, non si era riusciti a superare l’ostacolo delle diverse normative nazionali in materia di marchi, mentre si sentiva l’esigenza di una normativa che regolasse in modo univoco l’uso sull’applicazione del marchio d’impresa a livello europeo 19. Il Regolamento 40/94 assolve a questi obiettivi ed introduce il marchio comunitario. La gestione del marchio comunitario, della sua registrazione diritto comunitario degli appalti pubblici e delle problematiche che possono insorgere a riguardo è affidata ad un unico Ufficioconcessioni ai partenariati pubblico-privati istituzionalizzati (PPPI)», che possiede una propria autonomia giuridicaBruxelles, in ambito amministrativo e finanziario. E’ infatti necessario predisporre un unico organo al quale i Paesi Membri possano rivolgersi in qualunque circostanza5 febbraio 2008, così da evitare che il procedimento di registrazione dei marchi comunitari diventi problematico(COM 2007, come lo sarebbe appunto se vi fossero tanti uffici diversi, uno in ogni paese, a decidere in merito ad una questione di rilevanza comunitaria; tali funzioni e responsabilità sono affidate all’ Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno (UAMI6661). Nel 1996realizzazione, ad esempio, nel caso della concessione, con la nascita gestione dell’opera realizzata per un determinato numero di tale Xxxxxxx, inizia l’iter per il deposito di domande di marchi comunitari. Con questo tipo di normativa si vogliono prevenire atti di concorrenza sleale e contraffazione, consentendo alle imprese di far riconoscere e far valere il proprio marchio d’impresa non solo a livello nazionale, ma anche a livello comunitario. La scelta di ampliare la tutela risiede nella volontà di proteggere il proprio brand dai suddetti atti, in tutti i territori appartenenti alla Comunità Europea; significa quindi allargare il diritto di esclusiva sui prodotti identificati dal proprio marchioanni, in modo tale che i ricavi complessivi ottenuti possano garantire la copertura dei costi e, allo stesso tempo, un certo margine di profitto. Tale caratteristica rende il PPP uno strumento con potenzialità importanti per la realizzazione di opere e servizi in Paesi a forte indebitamento pubblico, quale è l’Italia, soprattutto in tempi di crisi economica. Nei contratti di PPP il rischio dell’intervento da impedire realizzarsi, ovvero il rischio di fallimento dell’operazione imprenditoriale, deve essere contrattualmente trasferito sul privato, completamente o, almeno, parzialmente. Se il progetto fallisce, le conseguenze negative devono essere a terzi carico del privato. È chiaro, tuttavia, che il problema è complesso, dal momento che, se fallisce la realizzazione o la gestione di un’opera pubblica, vi saranno ripercussioni negative sia a carico della collettività amministrata sia a carico della pubblica amministrazione, perché se l’opera non viene realizzata o non ne funziona la gestione il problema diventa collettivo. Tale ultima caratteristica è quella che maggiormente caratterizza i contratti di PPP54. Se non c’è trasferimento del rischio, almeno parziale, a carico del privato, il contratto non può essere considerato un PPP o una concessione, ma deve essere qualificato come appalto tradizionale. Nel diritto interno, con il terzo correttivo (d.lgs. 11 settembre 2008, n. 152) è stata inserita nel Codice dei contratti pubblici del 2006 l'art. 3 comma 15 ter, che recepisce esattamente gli orientamenti e i principi comunitari illustrati, con una elencazione, a titolo esemplificativo, delle principali tipologie contrattuali. La disciplina generale del PPP si è, peraltro, sovrapposta alle discipline specifiche di alcuni dei contratti che ne usino uno identico o simile nella loro attività d’impresa fanno parte, già presenti da tempo nel diritto interno e nel Codice dei contratti pubblici, quale ad esempio quelle della concessione di lavori55, della finanza di progetto, della locazione finanziaria56. Tali discipline particolari, peraltro, sono state spesso incoerenti e frammentate e hanno generato incertezza tra gli operatori, con la conseguente limitazione dell'effettivo utilizzo dei PPP, che sino ad ora non hanno costituito, anche al di fuori del territorio nazionale, senza essere costretti a richiedere, successivamenteper tale ragione, una specifica tutela in ogni Stato Membrovalida misura per il contrasto della stessa crisi economica. Con l’entrata in vigore del presente RegolamentoDeve essere anche evidenziato che la fase della gestione dell’opera realizzata o di un servizio, tipica dei contratti di concessione, non è elemento necessario perché si vuole sostituire la normativa in materia di marchi vigente nei singoli Paesiabbia PPP, bensì le si vuole accostare quella comunitaria generando così la coesistenza dei sistemi giuridici. Sarebbe infatti impensabile la soppressione della normativa nazionale a favore di solo quella comunitaria, prima di tutto poiché vi sarebbe un gran numero di domande di registrazioni a carico degli organi comunitari di competenza. Inoltre, mediante la coabitazione del marchio comunitario e nazionale, nel caso in cui una domanda di registrazione venga rifiutata dall’UAMI, può sempre trovare accoglimento presso la normativa nazionale di uno o molteplici Stati Membri20. Un’impresa che non ha la necessità di ampliare la protezione del proprio marchio deve pur far affidamento ad una normativa, ovvero quella nazionale, senza sentirsi in dovere di applicarvi anche quella comunitaria. La logica sottostante a tale armonizzazione è quella di permettere la permanenza delle discipline nazionali di ogni Stato Membro, cercando però di ridurre ai minimi termini le divergenze dal momento che vi possono esseresono contratti di partenariato che prescindono da tale fase, come la locazione finanziaria (c.d. Inoltre“leasing immobiliare pubblico”) e il contratto di disponibilità, previsti dagli art. 160 e 160 bis del Codice57. Il recepimento nel Codice dei contratti pubblici della categoria generale dei PPP ha costituito una precedente registrazione locale non pregiudica fuga in nessun modo quella comunitariaavanti del legislatore italiano rispetto a quello comunitario, dal momento che né la 54 X. XXXXX, Il partenariato pubblico-privato: i due sistemi confini incerti di tutela dei marchiuna categoria, nazionale e comunitario, sono indipendenti. Nel titolo I del citato Regolamento sono contenute 19 X.XXXX, Il diritto dei marchi – Marchio nazionale e marchio comunitario, Xxxxxxx, Milano, 2007, 9. 20 Art. 108, comma 1, Reg. 40/1994; X. XXXXXXX, op. cit., 16-17.
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Samples: Public Contracts Code Implementation