SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario, che vede come prodromico l’accertamento con passaggio in giudicato delle vicende inerenti la proprietà del bene e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobile, in particolare tenendo conto del valore locativo del bene. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stesso, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatori. In effetti, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza di un danno risarcibile, per il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: del danno in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..
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Samples: Privacy and Data Protection
SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario, che vede come prodromico l’accertamento con passaggio in giudicato delle vicende inerenti la proprietà del bene e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale penale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobileFerrara, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del beneritenuta fondata, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobile, in particolare tenendo conto del valore locativo del bene. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stesso, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio“credibilità soggettiva e attendibilità intrinseca del racconto” (e non confutata dalla difesa avversaria), la sua deposizione della parte offesa[1] e ritenuti sussistenti sia l’elemento oggettivo sia il dolo specifico, dichiarava la proprietaria responsabile del reato di cui all’art. 392 c.p.: già in precedenza era stato punito in tal modo “il proprietario di un immobile che, una volta scaduto il contratto di locazione, facendo uso delle presunzionidi fronte all’inottemperanza del conduttore dell’obbligo di rilascio, ai fini probatorianzichè ricorrere al giudice con l’azione di xxxxxxx, si fa ragione da sé, sostituendo la serratura della porta di accesso e apponendovi un lucchetto”[2]. In effettiIl Giudice ravvisava l’elemento oggettivo dell’imputazione nell’arbitrario mutamento di destinazione della cosa, pur avendo l’agente a disposizione le opportune azioni civili; quanto all’elemento soggettivo, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza dolo veniva individuato nella coscienza e volontà di esercitare con violenza (cambio della serratura) un danno risarcibile, per il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: del danno in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98)preteso diritto. Il Tribunale ancora Giudice, peraltro, avvalorava la propria già condivisibile decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunionerichiamando, deve corrispondere a questi ultimitra i tanti, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento due precedenti della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione penale (Casssegnatamente, le sentenze numero 3348/2017 e numero 10066/2005), che confermano che – a prescindere da rilevanti questioni di natura squisitamente civilistica e locatizia – per integrare la fattispecie di reato di cui all’art. Civ392 c.p. 11629/99).ha escluso “… non si richiede che il diritto che si è inteso tutelare (…) sia insussistente in concreto, poiché la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobilelegge punisce il modo antigiuridico con il quale tale diritto è stato fatto valere, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..astraendo dalla sua effettiva esistenza o meno …)[3].
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Samples: Locazione
SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario, che vede come prodromico l’accertamento con passaggio in giudicato delle vicende inerenti [1] La Suprema Corte ha riconosciuto la proprietà fondatezza del bene ricorso per regolamento sottoposto alla sua attenzione: e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobilequesto, in particolare tenendo conto del valore locativo del benenome di un’interpretazione rigorosamente restrittiva dell’art. QUESTIONI Il punto di partenza 355 c.p.c., tale per accertare l’esistenza di cui, se la norma ammette che il giudice dell’appello sia tenuto a sospendere il giudizio nel caso un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stesso, risulta essere documento rilevante per la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe decisione sia stato oggetto di un’utilizzazione fruttiferaquerela di falso proposta in via incidentale al giudizio medesimo, medianteallora è da ritenersi, in nome del principio inclusio unius, exclusius alterius, che la sospensione non possa essere ordinata nell’opposta eventualità, concretatasi nella fattispecie in esame, di querela di falso esperita in via autonoma o principale. A dispetto delle apparenze, nessuno spunto di segno contrario, a detta della Corte, sarebbe ricavabile dagli artt. 221, 1° co., e 295 c.p.c. Xx invero, quanto alla prima di tali disposizioni, essa si limiterebbe a sancire la piena libertà di scelta, per la parte interessata ad esempioimpugnare di falso un certo documento in pendenza del giudizio d’appello, tra l’interposizione della querela di falso in via incidentale al giudizio pendente e la sua proposizione come azione autonoma, senza che nulla, però, se ne possa inferire quanto alle ripercussioni della scelta concretamente effettuata sulle sorti del giudizio in atto: onde la necessità di far capo, a codesto fine, al predetto art. 355 c.p.c., con tutto quanto ne consegue in termini di sospensione dell’appello pendente nella sola ipotesi di querela esercitata in via incidentale. Laddove, trascorrendo al successivo art. 295, è vero che questo pone come regola generale quella della sospensione necessaria del processo dipendente in attesa della decisione sul processo pregiudiziale; ma, proprio perché si tratta di regola generale, essa sarebbe inesorabilmente destinata a cedere il passo, ove se ne realizzi lo specifico presupposto applicativo, di fronte a una disciplina, come quella del suddetto art. 355 c.p.c., che indiscutibilmente si profila al riguardo come lex specialis. La Corte non si nasconde, poi, che la lettura da essa accolta della norma da ultima richiamata potrebbe originare un conflitto tra il giudizio di falso e quello di merito pendente (e liberamente proseguito) in fase impugnatoria. Ma si tratterebbe, a suo dire, di conflitto pianamente componibile sulla base delle norme generali e nei termini, testualmente, per cui: – «a) se si conclude per primo il giudizio di xxxxxxx (fondato sull’assunto dell’autenticità del documento contestato), e successivamente venga accertata nel separato giudizio di falso l’apocrifia del documento, la sua locazionesentenza d’appello potrà essere rimossa con lo strumento della revocazione ai sensi dell’art. 395, facendo uso delle presunzionin. 2, ai fini probatori. In effetti, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza di un danno risarcibilec.p.c., per avere il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: del danno giudice provveduto “in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenzabase a prove (…) dichiarate false dopo la sentenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..;
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Samples: Obbligazioni E Contratti
SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario, [1] Il ragionamento che vede come prodromico l’accertamento con passaggio in giudicato delle vicende inerenti la proprietà del bene e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce ha consentito al giudice di legittimità sulla materia di pervenire alla conclusione testé riferita, può essere articolato come segue. Premesso come non potessero, nella specie, reputarsi sussistenti i presupposti legittimanti la rinnovazione della notificazione ai sensi dell’art. 291 c.p.c.; e così stabilito, pertanto, che, persistendo il ricorrente nell’aspirazione ad una pronuncia sul merito del risarcimento dei danni gravame interposto, quella della remissione in termini si sarebbe profilata come la via obbligata da indebita occupazione dell’immobilepercorrere: la Corte ha in certo senso invertito l’ordine logico delle questioni, sottoponendo anzitutto ad esame l’istanza di restituzione nei termini formulata in particolare tenendo conto del valore locativo del bene. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stessosubordine, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienzaossia, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzionicome dianzi riportato, ai fini probatoridell’acquisizione della prova documentale attestante l’avvenuta e tempestiva notifica del ricorso. In effettiproposito, il Tribunale giunge supremo giudice rammenta che, se la legge non prescrive che al deposito di quel supporto documentale si debba far luogo unitamente a quello dell’atto d’impugnazione, esso, però, soggiace a un preciso limite, rappresentato dall’udienza di discussione. E il ricorrente che non sia in grado di assolvere al proprio onere probatorio nel rispetto di quel limite, non può limitarsi a chiederne lo spostamento, ovverosia a chiedere un mero rinvio dell’udienza, cui drasticamente osta il principio di ragionevole durata del processo ex art. 111 Cost.: deve necessariamente adire le vie della rimessione in termini di cui all’art. 153 c.p.c. Il problema è, però, che, nel caso di specie – notificazione a mezzo posta e mancata restituzione al notificante dell’avviso di ricevimento, con annessa necessità, per quello stesso soggetto, di procurarsi un duplicato dell’avviso in oggetto mediante richiesta all’operatore postale nei modi di cui al citato art. 6 l. n. 890/1982 -, è principio saldamente acquisito che le vie della rimessione in termini siano proficuamente percorribili solamente in quanto la parte interessata possa allegare di essersi tempestivamente attivata ai fini del rilascio del duplicato de quo: ciò che, nella fattispecie, risultava escluso addirittura per tabulas, dal momento che la richiesta inoltrata a quel fine all’Amministrazione postale recava una data di oltre sei anni successiva a quella di spedizione del plico contenente il ricorso di legittimità. La Corte non si è, viceversa, misurata direttamente con la richiesta, esperita in via principale, di rimessione in termini per la rinnovazione della notifica del ricorso, limitandosi, a questo riguardo, a richiamare quell’altro suo insegnamento, di portata più generale, per cui, nell’ipotesi di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, quest’ultimo, ove intenda conservare gli effetti della richiesta originaria, è tenuto a riattivare il procedimento notificatorio con assoluta immediatezza, senza, tendenzialmente, superare il limite temporale pari alla pacifica conclusione dell’esistenza metà dei termini di cui all’art. 325 c.p.c. Il principio non si attaglia esattamente alla fattispecie in rassegna. Ma lecito è pensare che, nel rinviare ad esso, la Corte abbia inteso applicarne alla fattispecie la ratio, così che l’immediatezza dell’attivazione di parte, nel rispetto dello stringente limite temporale di cui appena si è detto, abbia a condizionare non soltanto la proficuità della ripresa di un danno risarcibileprocedimento notificatorio dianzi non giunto a buon fine ma altresì l’accoglibilità dell’istanza di rimessione in termini che si renda del caso, per il mancato godimento dell’immobilea quello scopo, facendo applicazione degli istitutinecessaria: del danno quanto, nel caso di specie, non poteva che condannare all’insuccesso l’iniziativa spiegata a tal fine dal ricorrente, anche sotto questo profilo colpevole di aver atteso oltre sei anni prima di mettersi in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro moto per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..tutela delle proprie ragioni.
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Samples: Obbligazioni E Contratti
SOLUZIONE. Dopo La Corte, riconoscendo la fondatezza del motivo di impugnazione, preliminarmente analizza le disposizioni normative applicabili[6] e richiama la loro evoluzione operando, a supporto sella propria decisione, un lungo iter giudiziarioraffronto con le analoghe previsioni quanto all’impresa agricola. Nel contempo evidenzia come i requisiti prescritti dalla legge, ed in modo particolare quelli alternativi[7], testimoniano l’intento del legislatore di incentivare, agevolandola, solo la start- up che sia effettivamente – non solo formalmente o statutariamente – e nel continuum[8] munita di una reale capacità innovativa, correlata alla propria concreta attività[9]. Nel richiamare una parte minoritaria della giurisprudenza di merito[10], che vede valorizza le disposizioni di carattere procedimentale per sostenere come prodromico l’accertamento con passaggio “il dato formale dell’iscrizione della start-up innovativa nella sezione speciale del Registro delle imprese costituirebbe in giudicato delle vicende inerenti via esclusiva, esaurendolo, il presupposto della fruizione dei benefici di legge”, la proprietà del bene Corte ritiene più condivisibile una lettura meno formalistica – e restrittiva – seguita dal Giudice di prime cure, così come dalla prevalente giurisprudenza di merito[11], per cui tale “iscrizione rappresenta una condizione certamente necessaria, ma non anche sufficiente a garantire l’applicazione della disciplina agevolata e, segnatamente, l’esonero dalla dichiarazione di fallimento”. Ciò in quanto, puntualizza la validità dell’accordo fiduciarioCorte, Il Tribunale “dovendo essere sempre assicurato e verificato, nella sede giudiziale specificamente preposta, l’effettivo e concreto possesso dei requisiti prescritti, al di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta là della loro formale attestazione e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobile, in particolare tenendo conto del valore locativo del bene. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stessoloro riscontro meramente cartolare”. Si osservi, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di quindi, come ne derivi un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatori. In effetti, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza di un danno risarcibileobbligo, per il mancato godimento dell’immobilegiudice, facendo applicazione degli istituti: procedere a detta verifica in sede prefallimentare che in un’interpretazione ampia dell’indirizzo di Legittimità, potrebbe spingersi non solo ai due momenti statiti, riconducibili all’iscrizione ed all’esame in sede prefallimentare, ma anche nel continuum intercorso tra i due attesi gli effetti che derivano dal poter venir meno, anche temporaneo, dei prescritti requisiti di legge. Merita attenzione il passo della Pronuncia in cui, apparendo quale elemento fondante della rilevanza attribuita alla materia in questione, relativamente agli effetti derivanti da illeciti in materia di iscrizione non legittima, precisa come siano stati segnalati i rischi di abusi e turbative del danno mercato e della concorrenza, derivanti da un illegittimo beneficio di incentivi/ benefici fiscali, finanziari, in re ipsamateria di lavoro e concorsuale. In primis la Corte sgombra il campo dalla «pretesa “presunzione di veridicità” dell’autocertificazione resa dal legale rappresentante della start-up innovativa»[12], indicando come non assuma dirimente neppure il conseguimento dell’iscrizione nella sezione speciale del Registro delle imprese[13]. Le argomentazioni della Corte traggono riferimento dalla diversa posizione giuridica, proprio in ragione di espressa disposizione normativa[14], prevista in materia di impesa artigiana – sempre avuto riferimento alla fruibilità di agevolazioni – che comunque la Corte medesima ha interpretato nel senso che «integra un elemento necessario ma non sufficiente per definire l’impresa come artigiana, costituendo un “coelemento” della fattispecie acquisitiva della qualifica soggettiva … la cui sussistenza deve essere «verificata in concreto dal giudice»»[15]. Di rilevante interesse appare l’ulteriore considerazione dalla Corte[16], a supporto della scelta interpretativa operata, per la quale diversamente affermando “la sufficienza del mero dato formale” si verrebbe a collidere con “il potere del giudice di disapplicare il provvedimento illegittimo, «in quanto adottato in assenza delle condizioni previste dalla legge …”[17]. Viene quindi analizzata la portata dell’attività di verifica amministrativa in sede di presentazione della domanda di iscrizione alla Sezione Speciale definita, dalla dottrina “controllo qualificatorio” che. secondo l’orientamento prevalente nella giurisprudenza di merito[18], “è di tipo prettamente formale – così come di mera legalità è quello spettante in seconda battuta al Giudice del registro – in quanto limitato alla verifica della corrispondenza tipologica dell’atto da iscrivere a quello previsto dalla legge, senza alcuna possibilità di accertamento in ordine alla sua validità, controllo invece riservato alla sede giurisdizionale contenziosa”. Chiarisce la Corte, quindi, come indicato nella massimatali principi generali siano applicabili anche al controllo da operarsi in sede di iscrizione delle start-up innovative, derivandone come: a) il perimetro di competenza del Conservatore risulterebbe limitato alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”carenza formale dei presupposti[19], di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da b) restando esclusa ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere analisi nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..merito delle dichiarazioni presentate[20],
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Samples: Proprietà E Diritti Reali
SOLUZIONE. Dopo [1] Al fine di pronunciarsi sullo scioglimento dei contratti in esame, il tribunale ha innanzitutto precisato quali siano i presupposti dell’autorizzazione regolata dall’art. 169-bis l. fall., enucleando il principio riportato nella prima massima riportata in epigrafe. Più in particolare, secondo il giudice vicentino, il legislatore avrebbe configurato lo scioglimento dei contratti pendenti come un lungo iter giudiziariodiritto potestativo dell’imprenditore ammesso ad una procedura di concordato preventivo, la cui ratio risiede nell’intento di conseguire, attraverso la soluzione concordataria della crisi d’impresa, il miglior soddisfacimento del ceto creditorio. Pertanto, al ricorrere dei requisiti stabiliti dalla legge – tra cui non rientrerebbero né la quantificazione dell’indennizzo da versare alla controparte contrattuale, né la valutazione circa la fattibilità del piano di concordato –, il contraente in bonis viene a ricevere una tutela limitata, costituita esclusivamente dal diritto alla corresponsione di una somma di denaro, che, in caso di contestazioni in merito alla sua quantificazione, deve essere accertata nell’ambito di un autonomo giudizio di cognizione. [2] Il tribunale ha autorizzato lo scioglimento dei contratti richiesto da Xxxxx, statuendo, tra l’altro, che vede né il contratto di affitto di ramo d’azienda né il contratto preliminare di cessione di ramo di azienda rientrano tra quelli esclusi dal comma 4° dell’art. 169-bis l. fall. Il collegio ha evidenziato che la ratio sottesa all’esclusione della possibilità di sciogliersi da un contratto preliminare di vendita di immobile ad uso non abitativo – vale a dire la necessità di tutelare il futuro acquirente che abbia programmato di esercitare la sua impresa presso l’immobile oggetto del preliminare – non sussiste nel caso di preliminare di cessione di ramo d’azienda, atteso che, prima dell’acquisto, il promittente acquirente non esercita alcuna attività d’impresa presso l’immobile che fa parte del predetto complesso aziendale. Nulla viene, invece, detto circa la possibilità di scioglimento del contratto di affitto di azienda, che viene data evidentemente per scontata dal tribunale. [3] Infine, per quanto attiene alle osservazioni sollevate dal commissario xxxxxxxxxx, il tribunale, dopo aver qualificato l’intervento del terzo nel concordato come prodromico l’accertamento con passaggio “investimento partecipativo” ai sensi dell’art. 182-quater, comma 3°, l. fall., ha escluso la possibilità di applicare nel caso in giudicato delle vicende inerenti esame la proprietà del bene e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobile, in particolare tenendo conto del valore locativo del bene. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stesso, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene disciplina di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra all’art. 163-bis. Ciò sul presupposto che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatori. In effetti, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza di un danno risarcibile, per il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: del danno in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”investimento partecipativo” non comporta in alcun modo il rischio, che la norma sulle offerte concorrenti mira a scongiurare, di cui un depauperamento del patrimonio della società con conseguente danno alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine ragioni dei creditori, mentre, al “danno figurativo”contrario, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario vede l’ingresso nella compagine sociale di soggetti non coinvolti nella gestione precedente che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti ha condotto alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..crisi.
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Samples: Concordato Preventivo
SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario[1] La Corte ha accolto il proposto regolamento, osservando che vede come prodromico l’accertamento con passaggio l’accertamento, da parte della Corte d’appello, del credito opposto in giudicato delle vicende inerenti compensazione in sede di verificazione del passivo fallimentare non potrebbe in ogni caso generare effetti vincolanti rispetto al giudizio, pendente davanti al Tribunale, ove dibattuta è l’estinzione dell’ipoteca: vuoi per difetto dell’indispensabile coincidenza dell’elemento soggettivo tra le due cause; vuoi per l’estraneità dello stesso credito al novero degli elementi di cui si compone la proprietà fattispecie costitutiva dell’ipoteca in discussione. A ciò si è aggiunto che, essendosi promossa la causa davanti al Tribunale a mezzo di ricorso ex art. 702-bis c.p.c., necessariamente avrebbe dovuto trovare applicazione il principio per cui, sussistendo le condizioni per far luogo alla sospensione a norma, a seconda dei casi, degli artt. 295 ovvero 337 c.p.c., la stessa non potrebbe essere disposta se non previa conversione del bene rito – nella specie, evidentemente, mancata -, da sommario in ordinario. [2] Il giudice di legittimità non si è limitato, però, a quanto sopra, sottoponendo, ancorché non richiesto, al proprio sindacato critico il provvedimento sospensivo impugnato anche nella parte concernente il giudizio sul credito per il saldo prezzo della vendita immobiliare. Tra questa e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobilecausa vertente, in particolare tenendo conto appello, sullo stesso credito, ivi dedotto in compensazione, non intercorre una relazione di pregiudizialità-dipendenza, bensì di identità, non rilevando in senso contrario la circostanza dell’inversione del valore locativo del beneruolo processuale delle parti nel passaggio dall’un giudizio all’altro. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stessoE questo fa sì che a ricevere applicazione, risulta nella fattispecie, debba essere la pacifica circostanza disciplina della litispendenza ex art. 39, 1° comma, c.p.c., a ciò non potendosi rinvenire ostacolo nel fatto della pendenza delle due cause in gradi differenti di giudizio, dal momento che uno dei anche in tal caso si profila quel rischio di duplicità di giudizi e confliggenti regolamentazioni dello stesso rapporto che soltanto l’eliminazione dalla scena di una delle due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità cause, e non il suo artificioso mantenimento in vita sebbene nello stato di un bene quiescenza, è in grado di prevenire. Quale delle due cause vada rimossa, mediante declaratoria della litispendenza e annessa cancellazione dal ruolo, è chiaramente, in forza del criterio di prevenzione di cui non era proprietario a discapito dell’altro detto art. 39, 1° comma, c.p.c., quella radicata davanti al tribunale: al qual riguardo la Corte ha ritenuto di poter provvedere direttamente e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che “in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatori. In effetti, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza di un danno risarcibile, per il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: del danno in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenzaprima persona”, senza bisogno di cui alle Sezioni Unite rinviare la causa al giudice di merito, nell’esercizio dei poteri attinenti alla prosecuzione del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”processo che le sono conferiti dal successivo art. 49, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..3° comma.
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Samples: Privacy and Data Protection
SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario[1] Per quanto di interesse l’assicurazione del vettore defunto con primo motivo di ricorso denunciava, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 2909 c.c., 324 c.p.c., 329 co. 2 c.p.c. e 342 c.p.c., e l’omesso accertamento di giudicato interno attinente all’inapplicabilità dell’art. 141 cod. ass. A sostegno della doglianza il ricorrente faceva presente che vede come prodromico l’accertamento con passaggio in giudicato delle vicende inerenti la proprietà fin dal primo atto difensivo aveva eccepito che l’incapienza del bene massimale assicurativo dell’altra assicurazione e la validità dell’accordo fiduciariomessa a disposizione di quest’ultima senza riserve, Il Tribunale con l’azione ai sensi dell’art. 140, co. 4 cod. ass., comportavano l’inapplicabilità dell’art. 141 cod. ass. e, di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobile, in particolare tenendo conto del valore locativo del bene. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stesso, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatori. In effetticonseguenza, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza venir meno dell’onere della compagnia assicuratrice del vettore di risarcire i trasportati. Con il secondo motivo di ricorso la compagnia assicuratrice censurava la sentenza d’appello per violazione, ex art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., degli artt. 140 e 141 cod. ass. in quanto la Corte territoriale, pur avendo accertato la mancanza di responsabilità del vettore defunto, applicando l’art. 141 cod. ass., aveva comunque condannato entrambe le compagnie a risarcire i danni. Secondo il ricorrente, infatti, l’art. 141 cod. ass. non stabilirebbe un danno risarcibile, onere dell’assicuratore del vettore a risarcire i trasportati anche nel caso in cui il suo assicurato non è responsabile bensì lo delegherebbe soltanto a risarcire per conto dell’assicuratore del responsabile civile nei cui confronti potrebbe rivalersi dopo il pagamento. Inoltre i trasportati insoddisfatti dal massimale minimo potrebbero agire per il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: residuo risarcimento del danno nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile (e quindi anche nei confronti dell’assicuratore del vettore se il vettore è responsabile o corresponsabile civile) qualora il massimale sia superiore al minimo di legge. Non sussiste, infatti, alcuna forma di responsabilità oggettiva in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.dquanto l’art. “danno conseguenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx141 cod. Civass. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate non è applicabile in ipotesi di giudizio di divisione)caso fortuito. Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema La Corte di Cassazione (Cassdopo aver analizzato dettagliatamente l’art. Civ141 cod. 11629/99).ha escluso ass e la domanda questione di risarcimento danni per danno emergente diritto sottesa al caso ha accolto il primo e lucro cessante; la domanda il secondo motivo di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..ricorso.
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Samples: Locazione
SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario, che vede come prodromico l’accertamento con passaggio in giudicato delle vicende inerenti la proprietà del bene e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobile, in particolare tenendo conto del valore locativo del bene. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stesso, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatori. In effetti, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza di un danno risarcibile, per il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: del danno in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema La Corte di Cassazione compie un excursus sulle interpretazioni e modificazioni della norma all’indomani della sua emanazione nel 1970. Dottrina e giurisprudenza hanno sempre attribuito all’assegno divorzile una natura composita: assistenziale, stante il riferimento alle condizioni economiche dei coniugi, risarcitoria, quando si richiamano le ragioni della decisione, compensativa, in relazione al richiamo del contributo personale ed economico dato alla condizione della famiglia e al patrimonio di entrambi. I criteri erano utilizzati in maniera equivalente dal giudice ai fini della determinazione dell’assegno di divorzio. Nel tempo, la funzione dell’assegno si è caratterizzata sempre più come “perequativa”, mirando a colmare lo squilibrio economico che può venirsi a creare con la fine del matrimonio. Nel 1987, anche a causa del mutamento sociale e del cambiamento del ruolo della donna nella famiglia e nella società, la formulazione della norma è stata modificata introducendo la condizione “dell’insussistenza di mezzi adeguati e dell’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive”. Con la sentenza a sezioni unite n. 11490/1990, la Cassazione fornì un’interpretazione rimasta costante per circa trenta anni, con cui si affermava che l’assegno di divorzio, dopo la novella legislativa, acquisiva principalmente funzione assistenziale. Il coniuge aveva diritto all’assegno se il giudice accertava l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente (Cassredditi, patrimonio e altro) a conservare un tenore di vita analogo a quello avuto nel corso del matrimonio. CivFaceva ingresso, quindi, un parametro, quale il tenore di vita, a cui si ancorava il giudizio di inadeguatezza ai fini dell’an debeatur dell’assegno, per poi passare alla determinazione del La sentenza della prima sezione n. 11504/2017, eliminando il riferimento al tenore di vita, ha posto alla base del giudizio d’inadeguatezza il solo presupposto dell’autosufficienza economica del coniuge richiedente l’assegno, rendendo la valutazione degli altri criteri solo eventuale. 11629/99).ha escluso Con la pronuncia resa a sezioni unite, la Cassazione precisa che il criterio dell’autosufficienza non può da solo stare alla base del giudizio di fondatezza della domanda di risarcimento danni per danno emergente assegno. Il ruolo del singolo coniuge nella relazione matrimoniale costituisce un fattore importante, frutto di scelte comuni che si fondano sull’autodeterminazione e lucro cessante; sull’autoresponsabilità. Tali scelte incidono sul profilo economico-patrimoniale post matrimoniale. Pertanto, secondo la domanda Corte Suprema, occorre tenere conto del modello di risarcimento relazione che i coniugi hanno voluto attuare, nel rispetto del principio della pari dignità dei danni per le spese coniugi, di mutuo finalizzato all’acquisto uguaglianza e di altro immobilelibertà di scelta. Il giudizio di adeguatezza dei mezzi, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempientein sostanza, ritenendo deve essere rapportato non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..solo all’insufficienza oggettiva ma anche a quello che si è contribuito a realizzare nella famiglia.
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Samples: Privacy and Data Protection
SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario[1] La Cassazione ritiene fondate le censure avanzate, che vede come prodromico l’accertamento con passaggio in giudicato delle vicende inerenti la proprietà del bene analizzate e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobile, in particolare tenendo conto del valore locativo del benerisolte congiuntamente. QUESTIONI Il punto di partenza per accertare l’esistenza di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stesso, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempioAnzitutto, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatoriSuprema Corte ha ricordato le soluzioni interpretative vigenti in tema di mediazione quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale. In effettiparticolare, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza con la sentenza n. 8473/2019, la Corte ha affermato che la condizione di un danno risarcibileprocedibilità può ritenersi realizzata al termine del primo incontro davanti al mediatore, per il mancato godimento dell’immobilequalora una o entrambe le parti, facendo applicazione degli istituti: del danno in re ipsarichieste dal mediatore dopo essere state adeguatamente informate sulla mediazione, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora comunichino la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per indisponibilità di procedere oltre. Inoltre, le Sezioni Unite, con sentenza n. 19596/2020, hanno poi chiarito che la parte onerata della presentazione della domanda di mediazione obbligatoria ai sensi dell’art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/20210 nei casi di opposizione a decreto ingiuntivo, sia il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per creditore opposto. In tale contesto viene affrontata la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civilimedesima questione, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti tuttavia alla fattispecie della mediazione delegata: ritiene la Corte che, identificandosi con il corrispettivo in tale evenienza, al fine di stabilire se si sia verificata o meno la condizione di procedibilità della domanda giudiziale, debba aversi riguardo alla specifica prescrizione di legge secondo la quale “l’esperimento del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza procedimento di altri più idonei criteri mediazione è condizione di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobileprocedibilità della domanda” (in tal senso sentenza Cassart. 5, 2°co., d.lgs. n. 28/2010) e che “quando l’esperimento del 5 settembre 2013procedimento di mediazione è condizione di procedibilità della domanda giudiziale la condizione si considera avverata se il primo incontro dinanzi al mediatore si conclude senza l’accordo” (art. 5, comma 2-bis, d.lgs. n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione28/2010). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente Secondo la Corte, tali indici normativi rappresentano univoche indicazioni con le quali il legislatore ha inteso riconnettere la statuizione giudiziale sulla procedibilità della domanda al solo evento dell’esperimento del procedimento di mediazione e con passaggio in giudicatonon al mancato rispetto del termine di presentazione della domanda di mediazione. Coerentemente, l’accertamento della quota rilevato come, nel caso di comproprietà specie, il procedimento di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare mediazione avesse indubbiamente avuto luogo entro l’udienza di un diritto reale, tanto più che l’estromissione rinvio fissata dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri terminigiudice, la CassazioneCorte rileva come non potesse essere pronunciata l’improcedibilità della domanda; ne consegue l’accoglimento del ricorso proposto, facendo propri i principi con cassazione della dottrina sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte d’Appello di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..Bologna.
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SOLUZIONE. Dopo un lungo iter giudiziario[1] L’assunto posto dai ricorrenti alla base della censura appena richiamata era che, che vede come prodromico l’accertamento con passaggio nella fattispecie, non si trattasse della prova, indubbiamente non somministrabile per testes, di xxxxx aggiunti o contrari al contenuto del documento contrattuale versato in giudicato atti, bensì della prova, sicuramente ammessa anche per testimoni, dell’effettivo contenuto di quel documento medesimo, ovverosia dell’effettiva volontà dei paciscenti al di là delle vicende inerenti parole concretamente impiegate. La prova testimoniale di cui la proprietà Corte d’appello aveva escluso l’ammissibilità non sarebbe, insomma, servita per smentire il contenuto del bene e documento contrattuale, bensì, più semplicemente, per precisarlo. Nel sindacare la validità dell’accordo fiduciariofondatezza della ricostruzione offerta dai ricorrenti del thema probandum, Il Tribunale di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce giudice di legittimità sulla materia non poteva che attenersi ai canoni dell’interpretazione contrattuale dettati dall’art. 1362, c.c., a tenore del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobilequale, nell’indagare su quella che sia stata la comune intenzione delle parti, necessario è valutare il comportamento dalle stesse tenuto al di là del senso letterale delle parole utilizzate. E valorizzando, in particolare tenendo conto obbedienza a questi criteri, il fatto che l’appartamento fosse stato mostrato ai futuri acquirenti come fornito della veranda senza nulla, al tempo stesso, comunicare in merito al suo carattere abusivo, la Corte ha ritenuto come ben si potesse sollevare il dubbio che quella, ancorché non espressamente menzionata, fosse elemento integrante del valore locativo del benecompendio posto in vendita, a maggior ragione in relazione alla clausola contrattuale per cui quel compendio doveva intendersi trasferito «nello stato di fatto e di diritto in cui si trova[va]». QUESTIONI Il punto Necessario si rendeva, a quel punto, un approfondimento istruttorio: e trattandosi di partenza per accertare l’esistenza approfondimento finalizzato non già a sconfessare il contenuto di un danno ed arrivare documento ma ad esplicitarne il significato, nulla poteva impedire il ricorso a quel fine alla necessaria quantificazione dello stessoprova testimoniale, risulta essere come la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità Corte ha pianamente riconosciuto, uniformandosi a quel suo costante insegnamento per cui il divieto di avvalersi di quello strumento sancito dall’art. 2722 c.c. concerne esclusivamente gli accordi diretti a modificare, ampliandolo o restringendolo, il contenuto di un bene determinato negozio documentalmente consacrato, mentre non investe affatto la prova diretta a individuare la reale portata del negozio in questione, attraverso l’accertamento degli elementi di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienzafatto risultati determinanti nella formazione del consenso delle parti (il provvedimento richiama Xxxx., deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatori. In effetti, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza di un danno risarcibile, per il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: del danno in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultimi, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civili, con riferimento ai prezzi di mercato correnti, frutti che, identificandosi con il corrispettivo del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere ad altri, possono – solo in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili per l’immobile” (in tal senso sentenza Cass. del 5 settembre 201322 febbraio 2017, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/904601; ma v. pure Cass., entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione12 giugno 2012, n. 9526; Cass., 9 aprile 2008, n. 9243). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutela, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobile, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c...
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SOLUZIONE. Dopo [1] Per quanto di interesse con il primo motivo di ricorso Xxxxx, lamentando la violazione e l’erronea applicazione degli artt. 1401, 1402 e 1403 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte d’appello ha escluso la sua legittimazione attiva. Secondo il ricorrente il giudice d’appello aveva erroneamente valutato un lungo iter giudiziariofatto decisivo della controversia ossia che l’electio amici da parte dell’originario contraente era stata tempestivamente ed efficacemente notificata al promittente venditore in conformità a quanto sancito dall’art. 1402 c.c. Tale comunicazione, che vede come prodromico l’accertamento infatti, era stata ritualmente effettuata con passaggio in giudicato delle vicende inerenti la proprietà del bene e la validità dell’accordo fiduciario, Il Tribunale l’atto di Firenze accoglie le richieste risarcitorie del convivente non intestatario del bene costretto a lasciare l’immobile, accerta e quantifica il danno da quest’ultimo subito per effetto del mancato godimento del bene, modulando ai criteri propri delle principali pronunce di legittimità sulla materia del risarcimento dei danni da indebita occupazione dell’immobilecitazione e, in particolare tenendo conto quanto anteriore rispetto al termine che le parti si erano date, era sicuramente tempestiva ed oltretutto era stata anche depositata nel corso del valore locativo giudizio di primo grado alla prima udienza di comparizione delle parti nel rispetto dei termini di rito. A maggior riprova il ricorrente sostiene che la comunicazione dell’electio non richiede formule sacramentali e può essere comunicata anche da un nuncius e desunta dall’atto di citazione che il terzo abbia notificato all’altro contraente per l’esecuzione del bene. QUESTIONI Il punto contratto, proprio com’è accaduto nel caso di partenza per accertare l’esistenza specie, dove la dichiarazione di un danno ed arrivare alla necessaria quantificazione dello stesso, risulta essere la pacifica circostanza che uno dei due conviventi abbia avuta la piena ed esclusiva disponibilità di un bene di cui non era proprietario a discapito dell’altro e contro la volontà di quest’ultimo e dall’altra che in base alla comune esperienza, deve ritenersi che l’immobile sarebbe stato oggetto di un’utilizzazione fruttifera, mediante, ad esempio, la sua locazione, facendo uso delle presunzioni, ai fini probatori. In effetti, il Tribunale giunge alla pacifica conclusione dell’esistenza di un danno risarcibile, per il mancato godimento dell’immobile, facendo applicazione degli istituti: del danno in re ipsa, come indicato nella massima, alla configurazione del c.d. “danno conseguenza”, di cui alle Sezioni Unite del 11.11.2008 n.26972 ed infine al “danno figurativo”, inteso quale valore locativo del cespite abbandonato, richiamando Xxxx. Civ. 649/00; 1373/99; 1123/98). Il Tribunale ancora la propria decisione all’oramai pacifico principio espresso dalla Suprema Corte per il quale: “il comproprietario che durante il periodo di comunione abbia goduto l’intero bene da solo senza un titolo che giustificasse l’esclusione degli altri partecipanti alla comunione, deve corrispondere a questi ultiminomina è stata formalizzata dall’attore, quale ristoro per la privazione dell’utilizzazione pro quota del bene comune e dei relativi profitti, i frutti civiliterzo nominato, con l’atto di citazione nel quale si fa riferimento ai prezzi di mercato correntiad una scrittura sottoscritta ed è stata, frutti chein seguito, identificandosi dimostrata in giudizio con il corrispettivo suo deposito in udienza. Tali circostanze, pertanto, dovevano condurre alla conseguenza dell’acquisizione da parte del godimento dell’immobile che si sarebbe potuto concedere terzo della legittimazione ad altri, possono – solo agire in mancanza di altri più idonei criteri di valutazione – essere individuati nei canoni di locazione percepibili giudizio per l’immobile” (in tal senso sentenza Cassl’adempimento del contratto preliminare. del 5 settembre 2013, n. 20394 che richiama Xxxx. nn. 7881/11 e 7716/90, entrambe pronunciate in ipotesi di giudizio di divisione). Risulta iniquo immaginare che una volta definita pacificamente e con passaggio in giudicato, l’accertamento della quota di comproprietà di un bene immobile in capo ad uno dei due comproprietari, quest’ultimo possa essere escluso tout court da ogni “beneficio” e/o vantaggio derivante dall’essere titolare di un diritto reale, tanto più che l’estromissione dal bene (rectius: rilascio) per effetto della cessazione della convivenza, interveniva contro la propria volontà. In altri termini, la Cassazione, facendo propri i principi della dottrina di autorevoli precedenti di legittimità, valorizza la “titolarità del diritto reale”, ritenendo iniquo che colui che sia privato – contro la propria volontà – dell’utilizzo del bene, possa rimanere privo di tutelaLa Suprema Corte, in questo caso: indennitaria/risarcitoria. Pur arrivando alla precisa definizione accoglimento del primo motivo di una quota consistente di danni riconosciuti in capo al convivente non intestatario del bene immobilericorso, commisurata ad un apprezzabile lasso di tempo nell’occupazione abusiva del bene immobile e determinati attraverso l’ausilio di CTU sul valore locativo del bene, tuttavia il Tribunale, in perfetta aderenza ai principi della Suprema Corte di Cassazione (Cass. Civ. 11629/99).ha escluso ha cassato con rinvio la domanda di risarcimento danni per danno emergente e lucro cessante; la domanda di risarcimento dei danni per le spese di mutuo finalizzato all’acquisto di altro immobile, per carenza di immediata e diretta consequenzialità del contraente inadempiente, ritenendo non sussistere nel caso de quo gli estremi applicativi tipici dell’articolo 1223 c.c..sentenza impugnata.
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