Common use of Svolgimento del processo Clause in Contracts

Svolgimento del processo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

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Samples: Contratto Con Il Professionista

Svolgimento del processo. La causa concerne Corte d'Appello di Palermo, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato l'opposizione all'esecuzione proposta da P.S. e C.M., sul rilievo di non aver mai ricevuto la somma di L. 180.000.000 concessa dal Banco di Sicilia a titolo di mutuo, in quanto tale importo era stato impiegato per il recesso dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal pagamento di esposizioni debitorie relative, al proprio figlio P.F.. Ritenevano pertanto gli opponenti che il mutuo fosse simulato e celasse un patto commissorio. Il contratto di consulenza e conferimento mutuo era stato risolto dall'istituto bancario. Era seguito il precetto ed il pignoramento non solo dell'immobile ipotecato a garanzia del mutuo sopradescritto ma anche di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenziaaltri 10 immobili, chiedendo ben oltre l'ammontare del debito. Gli opponenti chiedevano pertanto che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutaaccertata la nullità del mutuo perchè celava un patto commissorio; per contrasto con norme imperative, con condanna per usurarietà e per impossibilità sopravvenuta. Si chiedeva anche la riduzione delle ipoteche e la restrizione delle ipoteche, oltre al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava Venivano evocati nel giudizio oppositivo anche i creditori intervenuti BNL (Banca nazionale del Lavoro) e il rapporto come Monte Paschi di Siena. Secondo gli opponenti, il credito BNL era inesistente perchè dovuto all'incapacità di gestione e recupero di garanzia assicurativa e l'altro doveva essere rideterminato perchè assistito dalla garanzia del fondo Interbancario. La Corte territoriale a sostegno del rigetto ha affermato: In ordine all'esclusione della legittimazione passiva della BNL e del Monte dei Paschi, stabilita dal Tribunale, la statuizione era condivisibile. Per quanto riguarda BNL non erano state indicate dall'interveniente le ragioni a sostegno del motivo di gravame. Inoltre nel giudizio di opposizione all'esecuzione sono legittimati soltanto il soggetto che ha proceduto al pignoramento e i creditori intervenuti che non solo siano muniti di titolo esecutivo ma abbiano anche compiuto atti del procedimento. Tale caratteristica non si poteva rinvenire in BNL. Quanto al Monte Paschi di Siena la censura doveva ritenersi inammissibile, non essendo stato addotto alcun argomento a sostegno della dedotta legittimazione passiva. In ordine alla dedotta simulazione del contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso mutuo fondiario, viene rilevato che la somma erogata a tempo determinato - mutuo era stata accreditata sul conto corrente di P.S. che ne aveva rilasciato quietanza mentre la riconduzione del medesimo ad un finanziamento ordinario garantito da ipoteca con cui l'avvocato importo impiegato esclusivamente per le esposizioni debitorie del figlio, era rimasta sfornita di prova. La richiesta di consulenza tecnica d'ufficio aveva carattere del tutto esplorativo. Peraltro la giurisprudenza di legittimità ha escluso che il mutuo fondiario abbia natura di mutuo di scopo non essendo necessario indicare la destinazione del credito. Neanche la mancata utilizzazione per il miglioramento fondiario determina in sè la nullità del contratto. In ordine alla violazione del divieto di patto commissorio non sussiste prova dell'accordo illecito (coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito). Peraltro i mutuatari non erano impossidenti ma proprietari di svariati immobili. In ordine all'impossibilità sopravvenuta non risulta provato che la somma data a mutuo non sia stata messa nella disponibilità dei mutuatari così impedendone la restituzione. La risoluzione era stata determinata in ossequio alle prescrizioni contrattuali per il mancato pagamento e non solo per il ritardo di due ratei. Non si era obbligato provveduto ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, perchè oltre all'estinzione della quinta parte del debito è necessario, per tre anni la riduzione proporzionale della somma iscritta e la parziale liberazione dei beni ipotecati, che i rimanenti beni siano sufficienti alla garanzia. La censura relativa all'usurarietà dei tassi d'interesse è stata ritenuta generica in quanto non vengono esposte le ragioni in base alle quali il giudice di primo grado avrebbe errato. Peraltro, l'applicabilità della L. n. 108 del 1996, doveva limitarsi alla parte di mutuo in esecuzione dopo la sua entrata in vigore (il mutuo è stato risolto nell'agosto 2000). In ordine agli interessi anatocistici, la nullità riguarda solo i mutui ordinari. La partecipazione dei successori a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto titolo particolare Calliope e rigettava ogni domanda di danniIsland Financing è avvenuta regolarmente con procura valida ed efficace, dando atto tenuto conto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto due intervenienti si sono limitate a richiedere il rigetto del ricorsogravame. Infine devono ritenersi validi gli atti compiuti dal procuratore del Banco di Sicilia in quanto titolare del credito formante oggetto della procedura esecutiva in contestazione. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione P.S. e C.M.. Hanno resistito con autonomi controricorsi Unicredit Credit Managment Bank S.P.A.; Island Refinancing s.r.l. e Calliope S.R.L. Sono state depositate memorie dai ricorrenti e da Di do Bank (già Unicredit Managment Bank s.p.a.).

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Svolgimento del processo. La causa concerne 1. Varie società editrici si opposero, con atti distinti, a diversi decreti ingiuntivi emessi nei loro confronti dal pretore di Roma su istanza dell'Inpgi - Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani "(OMISSIS)" per il recesso dell'Agenzia Regionale pagamento di somme dovute per omesso versamento di contributi assicurativi e relative sanzioni civili relativamente a periodi compresi tra il 1980 ed il 1986. Dedussero che, a seguito della fiscalizzazione di cui alla L. n. 782 del 1980, art. 1 le somme non erano dovute e, in subordine, che l'Inps-Istituto Nazionale per la Protezione dell'Ambiente Previdenza Sociale, che chiamarono in giudizio unitamente al ministero del tesoro, era tenuto a restituire quanto percepito in eccesso. Con sentenza 15496 del 1996 il pretore respinse le opposizioni e condannò l'Inps a tenere indenni le società opponenti di quanto avrebbero dovuto pagare all'Inpgi in base ai decreti ingiuntivi. Decidendo con sentenza n. 14271 del 2003 sugli appelli proposti ed in parziale accoglimento dell'appello incidentale condizionato proposto dalla R.C.S. Editori s.p.a. (OMISSISanche quale incorporante di R.C.S. Editoriale Quotidiani s.p.a.) (ARPA) dal contratto la sezione lavoro del tribunale di consulenza Roma ha, per quanto in questa sede interessa, condannato l'Inps alla restituzione dei contributi indebitamenti versati dalla predetta società per l'ammontare di Euro 110.982,29, "oltre interessi legali e conferimento rivalutazione monetaria, secondo gli indici ISTAT dei prezzi al consumo, dalla data di incarico notificazione all'Inps dei ricorsi in opposizione ai decreti di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno ingiunzione fino al soddisfo". Ha ritenuto il professionista agiva nei confronti dell'Agenziatribunale che, chiedendo secondo quanto affermato da Cass. n. 6420/2001, ai fini del risarcimento del maggior danno da svalutazione monetaria ex art. 1224c.c., comma 2, la semplice qualità di imprenditore del creditore rileva come elemento presuntivo idoneo a far ritenere che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutala somma, se restituita tempestivamente, sarebbe stata reinvestita nell'attività produttiva, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia conseguente neutralizzazione degli effetti della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsosvalutazione monetaria.

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Svolgimento del processo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta1.1 sig. L.G., con condanna atto notificato il 21 giugno 2001, citò in giudizio dinanzi al risarcimento Tribunale di Lecce la Banca Popolare Pugliese soc. coop. per az. (in prosieguo indicata come Banca Pugliese). Riferì di aver versato a detta banca, dopo la chiusura di alcuni rapporti di conto corrente con essa intrattenuti tra il 1995 od il 1998, un importo comprensivo di interessi computati ad un tasso extra Legale e capitalizzati trimestralmente per l'intera durata dei dannimenzionati rapporti. Il Chiese quindi che, previa declaratoria di nullità della clausola contrattuale inerente agli interessi sopra indicati, la banca convenuta fosse condannata a restituire quanto indebitamente a questo titolo percepito. La Banca Pugliese si difese contestando la fondatezza della pretesa dell'attore ed eccependo la prescrizione del diritto azionato. L'adito tribunale qualificava il rapporto come contratto accolse in parte le domande del sig. L. e condannò la banca a restituirgli l'importo di clientela - riconducibile al mandato oneroso Euro 113.571,08. Chiamata a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistapronunciarsi sui contrapposti gravami delle parti, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravamed'appello di. A tal fineLecce, con sentenza 3 aprile 2013non definitiva resa pubblica il 19 febbraio 2009, dopo aver discusso accolse parzialmente la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"sola Impugnazione principale, in quanto ritenne che validamente fosse stata pattuita la corresponsione di interessi ad un tasso extralegale. Confermò invece la declaratoria di nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale dei medesimi interessi, escludendo d:i potervi validamente sostituire un meccanismo di capitalizzazione annuale, e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", ribadì il rigetto dell'eccezione di prescrizione con cui l'istituto di credito aveva inteso paralizzare l'azione di ripetizione d'indebito proposta dal correntista. Avverso tale sentenza la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. Banca Pugliese ha proposto sei motivi di avanzato ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; prospettando due motivi di censura. Il sig. X. si è difeso con xxxxxxxxxxxxx ed ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria proposto un ricorso incidentale, articolato in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienzadue motivi ed illustrato poi anche con memoria, alla al quale la causa è stata rimessa banca ha replicato, a propria volta, con ordinanza 12947/17un controricorso del pari illustrato da successiva memoria. ARPA La particolare importanza delle questioni sollevate ha resistito con controricorsoindotto ad investirne le sezioni unite. Il procuratore generale All'esito della discussione in data 13 febbraio 2017 pubblica udienza il difensore della ricorrente ha depositato conclusioni presentato osservazioni scritte con cui ha chiesto il rigetto sulle conclusioni, del ricorsopubblico ministero.

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Svolgimento del processo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale per O.E., con citazione del 27.4.95, conviene la Protezione dell'Ambiente S.p.A. Ice- Snei innanzi al Tribunale di Napoli e, sulla premessa del possesso esclusivo ed ininterrotto dal 5.1.68 d'un appartamento e pertinente box nell'edificio alla traversa 2 della via (OMISSIS) in (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'AgenziaOMISSIS), chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della catastalmente intestato alla convenuta, con condanna chiede dichiararsi l'intervenuto suo acquisto della proprietà dell'immobile per usucapione. Costituendosi, la convenuta S.p.A. Ice-Snei si oppone alla domanda, deducendo che l'attore aveva avuto la mera detenzione dell'immobile, consegnatogli in esecuzione d'un preliminare di vendita inter partes, appunto del 5.1.68, e chiede, in via riconvenzionale, dichiararsi la risoluzione del detto preliminare per grave inadempimento della controparte, questa avendo corrisposto sul prezzo di vendita soltanto un anticipo di L. 42.815, e, quindi, condannarsi la stessa controparte alla restituzione del bene ed al risarcimento dei danni. Il Decidendo delle contrapposte domande con sentenza del 2.3.00, il tribunale qualificava il rapporto come adito, in accoglimento della principale, dichiara acquisita dall'attore la proprietà dell'immobile. Tale decisione, impugnata dalla S.p.A. Ice-Snei, viene riformata con sentenza del 27.1.03 dalla Corte di Appello di Napoli, che rigetta sia la domanda principale sia quelle riconvenzionali sulla considerazione: da un lato, che l' O., a seguito del preliminare di vendita, avesse acquisito la sola detenzione dell'immobile e che i successivi comportamenti tenuti dallo stesso non fossero stati idonei a mutare detta detenzione in un possesso utile all'usucapione; dall'altro, che non avendo la S.p.A. Ice-Snei rivolto l'invito a stipulare l'atto definitivo di trasferimento a termini di contratto di clientela - riconducibile alla controparte, a quest'ultima non fosse addebitabile un inadempimento al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale preliminare neppure in relazione a tutti gli affari legali dell'enteal mancato pagamento del prezzo convenuto. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva Avverso la sentenza di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, secondo grado la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di S.p.A. Ice-Snei propone ricorso per cassazione, con atto notificato il 26 aprile 20135.4.03, affidato a due motivi; ha depositato memoria aggiuntiva l' O., a sua volta, propone ricorso per Cassazione, con atto notificato il 22 aprile 20147.4.03, affidato anch'esso a due motivi; memoria al primo ricorso l' O. resiste con controricorso del 14.5.03, contestualmente proponendo ricorso incidentale nel quale si riporta al proprio precedente ricorso; la S.p.A. Ice-Snei, a sua volta, con atto del 16.5.03, propone controricorso e contestuale ricorso incidentale, nel quale anch'essa si riporta al già proposto ricorso. Entrambe le parti fanno seguire memoria. La Seconda Sezione, disposta ex art. 335 c.p.c. all'udienza 13.6.06 la riunione dei ricorsi proposti in vista dell'adunanza via principale ed incidentale avverso la medesima sentenza, con ordinanza 19.7.06 evidenzia come la questione relativa alla qualificazione, in termini di possesso piuttosto che di detenzione, della disponibilità del 10 marzo 2017 bene conseguita dal promissario d'una vendita immobiliare in forza di clausola del contratto preliminare questione ritenuta propedeutica anche rispetto a quella, sollevata dal medesimo ricorrente con il secondo motivo, relativa al difetto d'integrità del contraddittorio quanto alla domanda di risoluzione del contratto, proposta in via riconvenzionale dalla controparte ed oggetto del ricorso per cassazione di quest'ultima abbia avuto soluzioni difformi nella giurisprudenza di legittimità, anche all'interno della stessa Sezione, e della successiva pubblica udienzarimette, alla quale quindi, la causa al Primo presidente, dal quale è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto disposta la trattazione della questione stessa da parte di queste Sezioni Unite per la composizione del ricorsocontrasto.

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Svolgimento del processo. La causa concerne 1) Gli odierni ricorrenti agirono nel novembre 1996 proclamandosi promittenti venditori di una porzione di fabbricato sita in Avellino. Chiesero l'esecuzione in forma specifica dell'accordo preliminare concluso il recesso dell'Agenzia Regionale per 9 luglio 1996 con i promissari acquirenti, i coniugi Xx.Xx. e F.M.. I convenuti resistettero sostenendo che la Protezione dell'Ambiente scrittura privata del (OMISSIS) (ARPA) dal 9 luglio costituiva una semplice puntuazione, priva di efficacia obbligatoria, insuscettibile di esecuzione ex art. 2932 c.c.. Il tribunale di Avellino rilevò che il contratto conteneva l'impegno a stipulare il contratto preliminare di consulenza e conferimento compravendita, allorquando il Banco di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale Napoli avesse dato assenso all'esclusione della convenuta, con condanna al risarcimento dei danniporzione venduta dall'ipoteca gravante sul fabbricato. Il tribunale qualificava ritenne che il rapporto contratto stipulato fosse da qualificare come contratto "preliminare di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato preliminare" e che fosse nullo per tre anni a prestare difetto originario di causa. Pertanto respinse la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'entedomanda. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, Anche la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato Napoli ha ritenuto che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come al contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, preliminare può riconoscersi funzione giuridicamente apprezzabile solo se è idoneo a produrre effetti diversi da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità quelli del contratto derivati preparatorio; che nella specie il secondo preliminare previsto dalle parti avrebbe prodotto gli stessi effetti di impegnarsi a stipulare alle medesime condizioni e sul medesimo bene; che pertanto l'accordo del 1996 era nullo, per difetto di causa autonoma rispetto al contratto preliminare da pronuncia della Corte dei Contistipulare. L'avvHa rigettato quindi la domanda di risoluzione e risarcimento danni, introdotta nel corso del giudizio di primo grado ex art. P. ha 1453 c.c., comma 2. Avverso questa sentenza, i promittenti venditori signori M. - S. hanno proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in cassazione con unico motivo. Gli intimati inizialmente non hanno svolto attività difensiva. In vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale F.M. si è costituita con "memoria difensiva" del difensore nominato con procura speciale notarile. Con ordinanza interlocutoria 5779/14 del 12 marzo 2014 della seconda sezione civile, la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17al primo Presidente, il quale la ha assegnata alle Sezioni Unite della Corte. ARPA ha resistito con controricorsoLe parti costituite hanno depositato memorie. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.Motivi della decisione

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con atto di citazione del 27/8/2001, notificato in data 28/09/2001, la Locat S.p.A. conveniva in giudizio davanti il recesso dell'Agenzia Regionale per Tribunale di Milano la Protezione dell'Ambiente del Sig.ra T.D., il Sig. S.A. e il Sig. C.V. chiedendone la condanna, in solido tra loro, al pagamento della somma di Euro 417.707,00 (allora L. 808.794.178) dovuta in forza dei patti di riacquisto prestati a garanzia delle obbligazioni assunte dalla società Di.Seal. S.r.l., poi fallita, a favore della concedente con il contratto di leasing stipulato in data 19/3/1997 avente ad oggetto la locazione finanziaria di un capannone industriale sito nel Comune di (OMISSIS) (ARPA) dal contratto ). Si costituivano i convenuti eccependo preliminarmente l'incompetenza del Tribunale adito e la carenza di consulenza legittimazione attiva della Locat S.p.a., avendo sottoscritto i patti di riacquisto de quibus non con quest'ultima, ma con altro soggetto giuridico, la Credit Leasing Società per il Leasing Finanziario S.p.a.; deducendo nel merito l'infondatezza della domanda attorea chiedendone il rigetto, domandando in via riconvenzionale dichiararsi l'inesistenza e/o la nullità dei patti di riacquisto per indeterminatezza dell'oggetto negoziale e conferimento comunque l'inefficacia e/o invalidità dei medesimi e delle clausole vessatorie negli stessi contenute nonchè l'estinzione dell'obbligo di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare riacquisto e la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto contrattuale per inadempimento della concedente. In esito al giudizio, il Tribunale adito accoglieva le domande attrici condannando i convenuti, in solido, al pagamento di Euro 417.787,00 oltre interessi e rigettava ogni domanda spese di dannilite. Avverso tale decisione proponevano appello la T., dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistail S. ed il C. ed in esito al giudizio, in cui si costituiva la Locat Spa, la Corte di appello Appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, Milano con sentenza 3 aprile 2013depositata in data 29 giugno 2011, dopo aver discusso in riforma della sentenza, respingeva la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"domanda di pagamento proposta dalla Locat che condannava alla rifusione delle spese. Avverso la detta sentenza l'Unicredit Leasing Spa ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi. Resistono con controricorso T.D., S.A. e dopo aver rilevato che tra C.V.. Entrambe le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha hanno depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsoillustrativa.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con ricorso depositato il recesso dell'Agenzia Regionale per 5 luglio 2000 la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutasoc. coop. a.r.l. CO.GI.FE., con condanna sede in (OMESSO), a seguito di sentenza dichiarativa d'incompetenza emessa dal Tribunale di Campobasso, riassumeva davanti al risarcimento dei danniTribunale di Isernia, dichiarato competente, il processo che aveva instaurato contro l'INPS con ricorso 28 gennaio 2000. Il tribunale qualificava il rapporto come Esponeva che, con verbale di accertamento 28 maggio 1999, l'INPS aveva contestato alla stessa la violazione del CCNL del settore pulizie, avendo assunto con contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato parziale una lavoratrice per tre anni un orario di lavoro settimanale inferiore al minimo stabilito di 14 ore. Deduceva l'insussistenza della violazione poiche' essa societa', all'epoca, non poteva collocare la predetta lavoratrice in altri appalti ricadenti nel medesimo ambito territoriale. Concludeva perche', accertata l'illegittimita' (recte: la legittimita') dei contratti a prestare tempo parziale e, per converso, l'infondatezza dell'accertamento, venisse riconosciuto, in proprio favore, il diritto agli sgravi ed alla fiscalizzazione. Costituitosi, l'INPS sosteneva che la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'enteCO.GI.FE. Riteneva sussistente forniva una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto lettura interpretativa dell'articolo 26 c.c.n.l. non condivisibile e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva chiedeva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. Espletata l'attivita' istruttoria, il Tribunale, con sentenza 15 gennaio 2002, respingeva la domanda. Avverso tale decisione proponeva appello la societa', insistendo nel ritenere applicabile alla fattispecie, alla stregua del disposto di cui al richiamato articolo 26, il principio dell'orario minimo possibile e non quello dell'orario minimo inderogabile. Per la cassazione di tale pronuncia ricorre la CO.GI.FE. SCARL con un unico articolato motivo. L'INPS resiste con controricorso.

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Svolgimento del processo. Cassazione, sez. VI, 29 aprile 2016, n. 8483 (Pres. Manna – Rel. Xxxxxxx) Xx.Xx. , con atto di citazione del 23 maggio 2000, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Tivoli, L.F. e, premesso di aver stipulato con il convenuto, in data 3 giugno 1996, una scrittura privata per la vendita di un immobile sito in (omissis) (appartamento e locale garage) chiedeva che accertato l’integrale pagamento del prezzo fosse emessa sentenza costitutiva ex art. 2932 cc., con vittoria di spese. Si costituiva L.F. , eccependo la nullità del contratto per indeterminatezza dell’oggetto, che il prezzo versato di i 20.000.000 doveva considerarsi solo come anticipo del corrispettivo, tenuto conto del valore di mercato dei beni; che era il promissario acquirente inadempiente all’obbligo di corresponsione del prezzo e, pertanto, il contratto andava risolto per colpa dell’attore, che il contratto era nullo dato che il diritto di superficie che si assumeva essere stato trasferito non era accompagnato dalla forma scritta. Insisteva, in definitiva, per il rigetto della domanda o per la risoluzione del contratto, con vittoria delle spese di lite. La difesa del convenuto chiedeva che venisse integrato il contraddittorio nei confronti del coniuge del convenuto in regime di comunione dei beni, ma la domanda veniva respinta. La causa concerne veniva rimessa sul ruolo per l’acquisizione di documentazione sulla regolarità edilizia degli immobili. All’esito del giudizio, il recesso dell'Agenzia Regionale Tribunale di Tivoli, con sentenza n. 72 del 2006, accoglieva la domanda attrice e per l’effetto dichiarava trasferito, in favore del Pe. , l’appartamento ed il garage. Rigettava le domande riconvenzionali proposte dal convenuto e condannava lo stesso al pagamento delle spese del giudizio. A fondamento di questa decisione, il Tribunale di Tivoli riteneva che la Protezione dell'Ambiente scrittura intercorsa tra le parti, in data 3 giugno 1996, avesse tutti i requisiti di un contratto preliminare di vendita; accertava che l’abitazione era stata oggetto di concessione in sanatoria e quanto al garage era stata presentata domanda di condono con i relativi pagamenti dell’oblazione ai sensi della legge n. 326 del2003, a nulla rilevando che la regolarizzazione urbanistica dell’immobile fosse avvenuta successivamente alla stipula del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenziapreliminare, sulla base della sopravvenuta disciplina del condono degli abusi edilizi. Avverso questa sentenza interponeva appello L.F. , chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale venisse dichiarata la nullità assoluta ed insanabile del contratto intercorso tra le parti, non essendo stata provata la regolarità urbanistica e la commerciabilità del bene immobile promesso in vendita ai sensi della convenutalegge n. 47 del 1985, con condanna nonché venisse dichiarata la nullità, anche perché trattavasi di un bene di cui il convenuto dichiarava di essere superficiario e mancava la prova documentate del dedotto diritto di superficie, per l’inesistenza del prezzo derivante dall’irrisorietà dello stesso. Si costituiva Xx.Xx. , resistendo al risarcimento dei dannigravame e chiedendo la conferma della sentenza impugnata. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la La Corte di appello Appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fineRoma, con sentenza 3 aprile n. 4430 del 2013, dopo aver discusso rigettava l’appello e confermava la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"sentenza di primo grado, e dopo aver rilevato che tra condividendo le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte ragioni già espresse dal Tribunale di appello qualificava il rapporto come contratto d'operaTivoli. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente La cassazione di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa questa sentenza è stata rimessa con ordinanza 12947/17chiesta da P.L. , quale erede del marito L.F. per due motivi. ARPA Xx.Xx. ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.Motivi della decisione 1.- P.L. denuncia:

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Svolgimento del processo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale Con ricorso regolarmente notificato _ conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Bergamo in funzione di giudice del lavoro, la s.r.l. per sentirla condannare al pagam🞋nto della somma di€ 26.024,28, tutto oltre interessi legali e rivalutazione. A fondamento di tale pretesa la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) ricorrente esponeva di aver lavorato alle dipendenze della convenuta dal 19.9.2019 al 30.11.2020 in forza di contratto di consulenza "collaborazione coordinata e conferimento continuativa" con l'incarico di incarico procurare nuovi clienti di assistenza legale rinnovato telefonia. La riferiva di aver lavorato sei giorni alla settimana presso lo stand allestito nel febbraio 2004 centro commerciale di (e più sporadicament🞋 in quelli di e ), con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno orario dalle 9.00 alle 17.00, dal lunedi al venerdi, e dalle 9.00 alle 20.00 il professionista agiva nei confronti dell'Agenziasabato e la dom🞋nica, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale sulla base di turni e di direttive assegnati dal responsabile della società. La ricorrente aggiungeva di essere stata obbligata a saltare la pausa qualora non avesse concluso alcun contratto ed a rispettare i turni ed i luoghi di lavoro indicati dalla società tramite whatsapp. La rivendicava in base all'art. 2 d.lgs. 81/15 l'applicazione deJla disciplina del rapporto di lavoro subordinato con le CODS(�guenti differenze retributive. Rassegnava le sopra precisate conclusioni. La s. r.1., regolarmente citata, si costitutiva in g zio, resistendo alla domanda e di cui chiedeva il rigetto domanda riconvenzionale. all'art. 2' xxx.xx 1, d.1gs. 81/15, sottoscritto richiamato 30.7.2015. dell'l.8.2O13, accordo del La convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto nel chiarire che ogni comunicazione andava inserita nell'ambito di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva un mero confronto tra cornmittentr? e collaboratore, contestava l'orario di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di dannilavoro indicato dalla ricorrente, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldatexxxxxx aveva cessato la collaborazione alla data del 5.7.2020, senza rendere il dovuto preavviso, cosa che era stata fonte di danni, quantificati in € 10.000,00, pari alla somma corrisposta per la locazione dello stand nel mesi di luglio ed agosto 2020. Adita dal professionista' l'operatore illegittima , la Corte di appello di Trieste rigettava il gravamepratica dall'operatore considerata telefonico. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva Concludeva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsoricorso e, in via riconvenzionale, per la condanna della ricorrente al pagamento della somma di€ 10.000,00. La causa, istruita documentalmente e testimonialmente, viene decisa con sentenza all'odierna udienza all'esito del procedimento di trattazione seritta di cui all'art. 221, comma 4, L. 77/20.

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Svolgimento del processo. La causa concerne 1. - D.B., con atto di citazione notificato il recesso dell'Agenzia Regionale 16 luglio 2002, convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Napoli, sezione distaccata di Frattamaggiore, il fratello A. e la di lui coniuge, P.P., e M.V., vedova di un altro fratello, deducendo che in data 18 giugno 1984 D.A. e M.V. avevano con denaro di esso esponente acquistato da un terzo, per porzioni separate e per parti comuni, il primo in comunione legale con la Protezione dell'Ambiente del moglie, un compendio immobiliare in (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni). Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato L'attore deduceva che tra le parti in causa si era concordato che i beni oggetto della compravendita sarebbero stati trasferiti a lui, vero dominus dell'affare, o ad altra persona da lui indicata. A riprova di quanto affermato, produceva due scritture private a firma di P.P. e di M.V., del medesimo tenore, entrambe del 28 marzo 2002, nelle quali le scriventi davano atto che il vero proprietario del fabbricato era D.B. e si impegnavano al trasferimento, a semplice richiesta, in favore del D. o di persona da lui indicata. Lamentando che i convenuti non c'erano "sospesi" avevano onorato il patto fiduciario, chiese accertarsi e dichiararsi la loro interposizione reale nella intestazione degli immobili descritti in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata"citazione, con contestuale emissione di sentenza di trasferimento in proprio favore. I convenuti si costituirono in giudizio, resistendo. Nel corso del processo di primo grado la lite venne transatta tra l'attore e i convenuti D.A. e P.P., con trasferimento, senza corrispettivo, degli immobili oggetto di causa (ed a questi ultimi intestati) in capo all'attore e contestuale riconoscimento, in favore dei convenuti predetti, dell'importo di Euro 25.000 a fronte di spese e miglioramenti dagli stessi sostenute ed eseguiti. Quanto al rapporto tra D.B. e M.V., la Corte domanda venne accolta dall'adito Tribunale che, con sentenza n. 13 in data 11 gennaio 2008, dichiarata l'interposizione reale della M., dispose il trasferimento dei beni immobili alla stessa formalmente intestati in favore dell'attore (o di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, persona da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorsonominare ad opera dello stesso). Il procuratore generale Tribunale rilevò: che i fatti posti a fondamento della domanda proposta nei confronti della M. avevano trovato ampia conferma sia nell'istruttoria espletata nel corso del giudizio, sia nella documentazione prodotta in atti; che, in particolare, con la dichiarazione in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte 28 marzo 2002 la M. aveva riconosciuto che il cognato D.B. era l'unico proprietario dell'intero complesso immobiliare sito in (OMISSIS), intestato alla stessa dichiarante e ad D.A. in forza dell'atto per notaio Ma. del (OMISSIS), e che l'attore aveva versato tutte le relative tasse e spese, e nel contempo si era impegnata a ritrasferire detto complesso immobiliare a semplice richiesta di D.B., affinchè quest'ultimo lo intestasse a lui o a persona da designare. Il primo giudice richiamò inoltre il principio secondo cui il negozio fiduciario si realizza mediante il collegamento tra due negozi, l'uno di carattere esterno, realmente voluto e con cui ha chiesto efficacia verso i terzi, e l'altro di carattere interno ed obbligatorio, pure effettivamente voluto, diretto a modificare il rigetto risultato finale del ricorsoprimo negozio. Osservò quindi che l'esistenza del negozio fiduciario ben può ritenersi nella scrittura privata con la quale l'acquirente di un immobile, riconoscendo la natura fiduciaria dell'intestazione e, conseguentemente, la relativa proprietà a favore di un terzo, assuma contestualmente l'obbligo di trasferirgli il diritto; e rilevò che ciò era quello che era avvenuto nel caso di specie tra la M. e il cognato, risultando l'esistenza della interposizione reale dimostrata dalle espresse ed inequivocabili dichiarazioni rese dalla convenuta nella scrittura privata del 28 marzo 2002.

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Svolgimento del processo. La causa concerne X.X. xxxxxxxxx in giudizio D.C. e D. A., quali eredi della sorella D.A., esponendo che il recesso dell'Agenzia Regionale per 18/1/1992 aveva stipulato con quest'ultima un contratto preliminare in virtù del quale la Protezione dell'Ambiente del D. si era impegnata a vendergli un immobile sito in (OMISSIS) (ARPAper il corrispettivo di L. 400.000.000 di cui 100 milioni versati in contanti al momento della stipulazione del preliminare, a titolo di acconto prezzo e di caparra confirmatoria, 100 milioni pagati mediante restituzione di effetti cambiari rilasciati a favore di esso C. da D.C. ed A., 40 milioni in contanti dopo un mese dal preliminare, 60 milioni alla stipula del definitivo e 100 milioni imputando al detto prezzo l'equivalente ammontare dovuto ad esso attore da D. M. a titolo di corrispettivo dell'appalto riguardante la sistemazione di altro immobile di proprietà di D.C.. Deduceva il C. di aver adempiuto alle proprie obbligazioni mentre la D., contrattualmente obbligata a trasmettergli il possesso dell'immobile, l'aveva locato a terzi e gli aveva dichiarato che il bene era libero e franco da pesi ed oneri mentre sullo stesso gravava un sequestro conservativo per 100 milioni. Tanto D.M. che le convenute avevano ritardato il compimento dei lavori appaltati impedendogli di consegnare l'opera. L'attore chiedeva quindi che gli fosse trasferito in proprietà, ex art. 2932 c.c., l'immobile oggetto del compromesso con disposizione di immissione in possesso e con la condanna delle convenute, tra l'altro, alla restituzione dei frutti relativi al detto bene. Le D., costituitesi, chiedevano il rigetto della domanda e, in via riconvenzionale, la pronuncia di risoluzione del contratto preliminare per inadempimento del C. Con sentenza 9/3/2000 l'adito tribunale di Catania rigettava le domande di entrambe le parti. Avverso la detta sentenza proponevano appello principale il C. e incidentale le D.. Con sentenza 25/9/2003 la corte di appello di Catania rigettava l'appello incidentale e, in parziale accoglimento di quello principale, accoglieva la domanda proposta ex art. 2932 c.c., disponendo il trasferimento dell'immobile oggetto del preliminare. Osservava la corte di merito: che il giudice di primo grado aveva rigettato la domanda di trasferimento dell'immobile promesso in vendita perché non era stata acquisita la documentazione attestante la liceità della costruzione come richiesto dalla L. n. 47 del 1985, art. 40, applicabile anche ai trasferimenti ex art. 2932 c.c.; che il C. nel giudizio di appello aveva prodotto una dichiarazione giurata da lui sottoscritta attestante l'avvenuta costruzione dell'immobile prima dell'1/9/1967 rimuovendo in tal modo l'ostacolo giuridico che aveva giustificato il rigetto della domanda proposta in primo grado; che l'appellante ben poteva produrre in sede di gravame nuovi mezzi di prova trattandosi nella specie di prove c.d. precostituite, cioè di documenti; che l'accoglimento della domanda del C. era condizionato alla valutazione delle domande proposte dalle appellate volle ad attribuire allo stesso la colpa dell'inadempimento contrattuale per non aver rispettato il termine essenziale di compiere i lavori in appalto entro il mese di settembre 1992 e per non averli mai portati a termine; che la tesi delle appellanti incidentali era infondata posto che nessun termine essenziale era stato esplicitamente pattuito e poteva desumersi dalla natura e dall'oggetto del contratto; che i punti di fatto stabiliti nella sentenza appellata e passati in giudicato riguardavano: a) dal contratto la mancata liberazione del vincolo del sequestro per 100 milioni; b) l'intero pagamento della parte di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno prezzo che il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato C. si era obbligato a versare prima del contrailo definitivo; c) il valore di L. 68.392.000 delle opere compiute dall'appaltatore fino alla data del rifiuto di proseguire; d) la somma residua di L. 60 milioni ancora dovuta dal C. al momento della stipula del contratto definitivo; che il tribunale, nel prendere in esame il rifiuto del C. di proseguire i lavori commissionati dalla D., lo aveva riconosciuto riconducibile alla previsione di cui all'art. 1482 c.c., e, quindi, da giustificare in presenza dei vincoli derivanti dal sequestro non dichiarato dal venditore e dal compratore ignorato; che, secondo le appellanti incidentali, il C. era stato informato dell'esistenza del vincolo avendo D.M. durante il giudizio cautelare fatto presente pubblicamente al g.i. che il C. era a conoscenza del sequestro tanto che aveva offerto il proprio aiuto per svincolare l'immobile da tale sequestro ed aveva dichiarato di poter ottenere con le sue conoscenze l'eliminazione del vincolo; che però le D. non avevano specificato il procedimento logico idoneo a pervenire alla conclusione che a dire la verità innanzi al g.i. fosse stata la D.; che la clausola relativa al trasferimento dell'immobile libero da ipoteche andava interpretata come prevista in favore del compratore ne senso di non trovare l'intralcio di liberare il bene da vincoli successivi alla stipulazione del preliminare per cui da tale clausola non poteva scaturire una sostanziale rinuncia al diritto previsto dagli articoli 1482 e 1460 c.c.; che la sospensione dei lavori da parte del C. era giustificata dal vincolo sull'immobile promesso in vendita; che il C. aveva quindi diritto di ottenere il trasferimento ex art. 2932 c.c., con l'obbligo di completare i lavori di. appalto e di pagare il residuo prezzo di L. 60 milioni nei termine di tre anni mesi dalla data di eliminazione della trascrizione pregiudizievole sul fabbricato in questione ad opera delle D. nel termine di sessanta giorni dalla data di comunicazione della sentenza; che il C. aveva censurato la sentenza appellata per non aver disposto il rilascio in suo favore dell'immobile promesso in vendita e per non aver il tribunale condannato le D. al rilascio del possesso dell'immobile; che la censura era infondata posto che, rigettata la domanda principale, non vi era alcun titolo per pronunciare sul possesso dell'immobile; che del pari infondata era l'altra critica che il C. aveva mosso alla sentenza del tribunale riguardante la mancata condanna delle convenute a prestare corrispondergli i frutti dell'immobile; che, secondo l'appellante, con la propria opera professionale testimonianza del teste I. era stata raggiunta la prova che il bene promesso in relazione a tutti gli affari legali dell'entevendita era stato dato in locazione; che la detta censura non era fondata posto che il primo giudice aveva correttamente e motivatamente escluso l'attendibilità del detto teste; che dagli atti non risultava l'impossibilità per il promissario acquirente di conseguire il possesso del bene promesso in vendita per fatto addebitabile alle appellate. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte La cassazione della sentenza della corte di appello di Trieste rigettava il gravameCatania e stata chiesta da D.C. e D.A. con ricorso affidato a quattro motivi illustrati da memoria. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA C.A. ha resistito con controricorsocontroricorso ed ha proposto ricorso incidentale. La seconda sezione civile di questa Corte, con ordinanza 25/11/2008 n. 28132, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione alle sezioni unite sulla questione di particolare importanza relativa all'individuazione, nell'ambito del giudizio di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita immobiliare ex art. 2932 c.c., del soggetto (solo promettente venditore o anche promissario acquirente) onerato della prova della situazione di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, con riferimento all'ipotesi di costruzione iniziata prima dell'1/9/1967. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 Primo Presidente ha quindi disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite. Le parti hanno depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsomemoria.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Xx.Xx. e Fi. hanno adito il recesso dell'Agenzia Regionale per tribunale di Aosta, chiedendo la Protezione dell'Ambiente condanna di B.L. a ripristinare una servitù di passaggio dalla larghezza di mt. 6, costituita in favore della loro proprietà con atto del 6.11.2003. Gli attori avevano acquistato da M.D. taluni fondi agricoli siti nel Comune di Saint Xxxxxx, e contestualmente alla vendita, il convenuto aveva concesso una servitù di passaggio pedonale e carrabile sul mappale (OMISSIS) ), dietro il pagamento di un'indennità di Euro 500,00. Circa sei mesi dopo, il Comune di Saint Xxxxxx aveva comunicato la pendenza di una procedura espropriativa che interessava il fondo servente e che avrebbe inciso anche sulla servitù, riducendo la larghezza del tracciato asservito. Xxxx'assunto che il titolare del fondo servente fosse a conoscenza della procedura ablatoria e che essa avesse determinato l'interclusione del fondo dominante, gli attori hanno chiesto la condanna del B. a costituire sui mappali (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistaOMISSIS), la Corte servitù di appello passaggio su un tracciato dalla larghezza di Trieste rigettava il gravamemt. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", 6 In corso di causa B.L. è deceduto e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è proseguita verso gli eredi. Il Tribunale ha accolto la domanda e ha costituito la servitù, senza indennità, sul tracciato dalla larghezza di mt. 6 individuato dalla consulenza tecnica d'ufficio. La pronuncia è stata rimessa confermata dalla Corte distrettuale la quale ha ritenuto i resistenti avessero diritto alla tutela reale del diritto di passaggio e che l'esproprio avesse ridotto la larghezza del percorso asservito, dovendosi quindi ripristinare la servitù conformemente al titolo. Ha stabilito che il B. era a conoscenza dell'esproprio già al momento del contratto costitutivo della servitù e che non aveva reso alle controparte "ogni informazione rilevante ai fini della costituzione della servitù", pur essendovi tenuto. Per la cassazione di questa sentenza B.F. ha proposto ricorso in 5 motivi, illustrati con ordinanza 12947/17memoria, cui Xx.Xx. ARPA ha e Fi. hanno resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con ricorso al Tribunale di Brescia ai sensi dell'art. 447 bis c.p.c., depositato il recesso dell'Agenzia Regionale per 29 agosto 2000, Wa. Gu. assumeva che aveva trattato con Ar. Fo. la Protezione dell'Ambiente locazione di una villa con parco, piscina e campo da tennis in Ma. sul Ga. e che, intendendo il Ar. Fo. evitare le conseguenze fiscali del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza locazione, egli era stato indotto a stipulare con scrittura privata in data 1° aprile 2000 con la società Im. Pa. S.r.l. un simulato contratto di comodato, avente ad oggetto il godimento di detto immobile sino alla scadenza del 30 settembre 2000. Chiedeva che il tribunale adito, accertata la simulazione relativa, dichiarasse che era stata posta in essere tra le parti l'esistenza del dissimulato contratto di locazione. Il ricorrente aggiungeva che aveva speso ingenti somme per opere di manutenzione straordinaria e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno chiedeva anche il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei dannidanni subiti per effetto della simulazione cui si era prestato. Nella contumacia di Ar. Fo., resisteva la società Im. Pa. S.r.l., la quale in riconvenzionale chiedeva che Xx. Gu. fosse condannato a pagare la penale, contrattualmente stabilita in ragione di L. 500.000 per ogni giorno di ritardo nella riconsegna dell'immobile, a decorrere dal 1° ottobre 2000. Il tribunale qualificava rigettava la domanda principale e, in accoglimento della riconvenzionale, condannava Wa. Gu. a pagare alla società Im. Pa. S.r.l. la somma di L. 208.000.000 e le spese processuali. Sulla impugnazione del soccombente decideva la Corte d'Appello di Brescia con sentenza pubblicata il rapporto come 6 giugno 2002, la quale rigettava il gravame e compensava interamente tra le parti le spese del grado. I Giudici d'appello, ai fini che ancora interessano, consideravano che la norma di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998 non era nella specie applicabile, poiché essa non disciplina tutte le ipotesi di nullità della locazione, ma solo la nullità di talune clausole inserite nel contratto, il quale nel resto rimane valido. Rilevavano che, poiché a norma dell'art. 1414 c.c. ha effetto tra le parti il contratto dissimulato, purché di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - esso sussistano i requisiti di forma e di sostanza, il difetto della forma scritta impediva di riconoscere gli effetti della eventuale locazione dissimulata. Ritenevano, inoltre, che, quando anche il requisito di forma della dissimulata locazione si fosse potuto ravvisare nella scrittura privata con la quale le parti dichiaravano la volontà di stipulare un comodato, della pretesa simulazione la parte non poteva dare la prova per testimoni per il divieto di cui l'avvocato si era obbligato all'art. 1417 stesso codice. Quanto alla domanda diretta ad ottenere la restituzione delle spese occorse per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistamanutenzione dell'immobile, la Corte territoriale osservava che di appello esse l' art. 1808 c.c. esclude il rimborso qualora si tratti di Trieste rigettava spese sostenute dal comodatario per servirsi della cosa; che non ricorreva l'ipotesi di cui al secondo comma della stessa norma, trattandosi di spese finalizzate alla conservazione del compendio immobiliare, di natura pressoché esclusivamente voluttuaria e, comunque, non necessarie né urgenti; che era inammissibile la pretesa restitutoria in virtù della norma di cui all'art. 2041 c.c., volta che era risultata infondata la domanda avente ad oggetto il gravamemedesimo petitum giustificato dal diversi titolo contrattuale. A Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso Wa. Gu. in base a cinque mezzi di doglianza, che la società Im. Pa. S.r.l. contrasta con controricorso. Non ha svolto difese l'intimato Ar. Fo. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo d'impugnazione -deducendo l'omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla insussistenza della simulazione nonché la violazione di legge con riferimento alla definizione del contratto concluso- il ricorrente critica la sentenza impugnata perché il Giudice di secondo grado aveva escluso che potessero essere riconosciuti gli effetti di un dissimulato contratto di locazione in difetto della necessaria forma scritta ad substantiam, senza, tuttavia, valutare che il riconoscimento da parte della società Im. Pa. S.r.l. dell'avvenuto incasso della somma di L. 36.000.000 a titolo di corrispettivo del concesso godimento del complesso immobiliare risultava da documenti scritti (fattura e registro incassi), sicché nella connessione tra detti documenti e la scrittura di apparente comodato avrebbe dovuto concludere per la sussistenza del prescritto requisito formale. La censura non può essere accolta per il rilievo assorbente che il motivo non realizza il requisito dell'autosufficienza del ricorso, dato che il ricorrente non riproduce il tenore letterale dei due documenti, che dovrebbero essere considerati integrativi della scrittura privata di apparente comodato e concretare, nel loro insieme, il requisito della forma scritta della locazione. E' del tutto pacifico, infatti, che la parte, che denunci con l'impugnazione per cassazione la mancata o inadeguata valutazione da parte del Giudice di merito di prove documentali, ha l'onere di riprodurre nel ricorso il tenore esatto del documento, il cui omesso o inadeguato esame è censurato; ciò al fine di rendere possibile al Giudice di legittimità (al quale è istituzionalmente vietato di ricercare direttamente le prove negli atti di causa o di compiere indagini integrative rispetto ai fatti prospettati dalla parte) di valutare, anzitutto, la pertinenza e la decisività dei fatti medesimi. L'interesse all'impugnazione per cassazione discende, infatti, dalla possibilità di conseguire, attraverso il richiesto annullamento della sentenza impugnata, un risultato pratico favorevole e, a tal fine, è necessario che sia indicata in maniera adeguata la situazione di fatto, della quale si chiede una determinata valutazione giuridica diversa da quella compiuta dal Giudice del merito, asseritamene erronea. La mancata autosufficienza del motivo esime, perciò, questa Corte dal considerare, sul punto, che -seppure il requisito della forma scritta ad substantiam del contratto può dirsi realizzato anche quando l'espressione della volontà delle parti emerge non con sentenza 3 aprile 2013la sottoscrizione di un unico documento, dopo aver discusso ma da documenti separati- deve trattarsi, in questo secondo caso, di scritti separati inscindibilmente collegati, inequivocabilmente espressivi del consenso manifestato ed indirizzati alla controparte, con la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"conseguenza che la valutazione al riguardo espressa dal Giudice di merito involge un apprezzamento di fatto, e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata"si sottrae al sindacato di legittimità. Orbene, nel caso di specie la Corte di appello qualificava il rapporto territoriale ha anche spiegato come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso la forma scritta obbligatoria per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità l'esistenza del contratto derivati da di locazione non poteva ritenersi sussistente nel collegamento tra la scrittura di comodato e le fatture, in tal modo negando che detti documenti, destinati all'uso contabile della società, potessero assumere rilevanza nei confronti del ricorrente con la valenza di inequivoca manifestazione di consenso del negozio dissimulato. Con il secondo mezzo di doglianza -deducendo la violazione e la falsa applicazione ella norma di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998 in relazione all'art. 79 della L. 392 del 1978- il ricorrente lamenta che il Giudice del merito, avendo l'Im. Pa. S.r.l. simulato la stipulazione di un contratto di comodato per dissimulare un contratto di locazione, avrebbe dovuto in ciò ravvisare la violazione della norma di cui all'art. 13 della L. 431 del 1998 e, di conseguenza, di essa disporre l'applicazione con il rendere invalido il contratto di comodato ai sensi delle norme di cui agli art. 1 e 13 della predetta legge. Assume, in particolare, siccome più precisamente illustra in memoria, che dalla simulazione doveva discendere la richiesta applicazione della disciplina prevista dal citato art. 13, che, consentendo al conduttore di invocare l'esistenza di una locazione di fatto, avrebbe dovuto comportare l'accertamento dell'inefficacia dell'apparente contratto di comodato e la pronuncia costitutiva del giudice circa la riconduzione del rapporto allo schema della Corte dei Contilocazione abitativa. L'avvCon il terzo motivo d'impugnazione -deducendo la violazione e la falsa applicazione della norma di cui all'art. P. 1417 c.c.- il ricorrente censura la decisione di secondo grado nella parte in cui il Giudice del merito ha proposto sei negato l'ammissibilità della prova per testimoni diretta a dimostrare che la stipulazione in forma orale della locazione era avvenuta al fine di evadere la normativa fiscale e, perciò, al fine di far valere una pattuizione illegittima. I due motivi vanno esaminati congiuntamente, perché la definizione della disciplina probatoria della dedotta simulazione è correlata alla soluzione della questione se, per effetto della norma di ricorso per cassazionecui all'art. 13 della L. 431 del 1998, notificato possa o meno configurarsi l'ipotesi dell'illiceità del contratto ad uso abitativo, che il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsoricorrente assume avere stipulato.

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Svolgimento del processo. I coniugi F.G. e S.R. convenivano in giudizio la BCI (Banca Commerciale Italiana) per ottenere l'accertamento dell'inefficacia delle iscrizioni ipotecarie accese dall'istituto di credito sui beni costituiti da essi coniugi in fondo patrimoniale con atto del 20/4/1990. La BCI, costituitasi, chiedeva il rigetto della domanda deducendo che la costituzione del fondo patrimoniale era inopponibile ad essa banca essendo stata annotata a margine dell'atto di matrimonio, ex art. 162 c.c., in data successiva all'iscrizione ipotecaria. Gli attori chiedevano ed ottenevano di chiamare in causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale per Comune di Xxxxxx Superiore in quanto responsabile della mancata annotazione pur avendo il notaio rogante notificato l'atto costitutivo del fondo in data 4/5/1990. Il Comune si costituiva chiedendo il rigetto della domanda proposta nei suoi confronti. Con sentenza 486/00 l'adito tribunale di Xxxxxx Inferiore rigettava la Protezione dell'Ambiente domanda nei confronti della BCI poiché l'atto costitutivo del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto fondo patrimoniale non era stato annotato a margine dell'atto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre matrimonio come prescritto dall'art. 162 c.c. ed essendo irrilevante la conoscenza dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei dannialtrimenti (per effetto delle trascrizioni) conseguita dal terzo. Il tribunale qualificava dichiarava poi inammissibile la chiamata in causa del Comune in quanto non richiesta alla prima udienza. Avverso la detta decisione i coniugi F.- S. proponevano appello al quale resistevano la BCI ed il rapporto come contratto Comune di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare Xxxxxx Superiore. Con sentenza 12/3/2003 la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte corte di appello di Trieste Salerno rigettava il gravame. A tal finegravame osservando per quel che ancora rileva in questa sede: che, con atto notarile del 20/4/1990, S.R., con l'assenso del marito, aveva costituito in fondo patrimoniale ex art. 162 c.c., per far fronte ai bisogni della famiglia, alcuni beni immobili mantenendone la proprietà; che l'atto, trascritto presso la Conservatoria dei RR.II. di Salerno in data 26/4/1990, era stato notificato dal notaio rogante all'ufficio dello stato civile di Xxxxxx Superiore in data 4/5/1990 ed era stato poi annotato a margine dell'atto di matrimonio in data (OMISSIS); che, emessi due decreti ingiuntivi a carico dei coniugi F.- S. e a favore della BCI, quest'ultima aveva iscritto ipoteca giudiziale anche sui beni costituiti in fondo patrimoniale; che gli appellanti avevano reiterato la domanda di inefficacia dell'iscrizione ipotecaria sui beni della S. costituenti il fondo patrimoniale sostenendo la prevalenza della trascrizione dell'atto di costituzione pur se non annotato a margine dell'atto di matrimonio; che il gravame era infondato alla stregua di un consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità e di merito, con il conforto anche della Corte Costituzionale; che tutti i rilievi al riguardo svolti dagli appellanti trovavano puntuale risposta nel detto orientamento giurisprudenziale; che la stipulazione del fondo patrimoniale, essendo una tipica convenzione matrimoniale, doveva essere annotata ex art. 162 c.c., ad istanza del notaio rogante, a margine dell'atto di matrimonio dei coniugi in favore dei quali il fondo era stato costituito; che detta convenzione era soggetta al terzo comma del citato articolo che condizionava l'opponibilità ai terzi alla annotazione del relativo contratto a margine dell'atto di matrimonio; che la trascrizione, pure prevista dall'art. 2647 c.c., per effetto dell'abrogazione dell'u.c. di tale art., doveva intendersi degradata a mera pubblicità notizia del vincolo inidonea ad assicurare la detta opponibilità derivante solo dall'annotazione a margine dell'atto di matrimonio; che pertanto, avendo la BCI iscritto ipoteca sui beni immobili della S. quando non era stata ancora annotata a margine dell'atto di matrimonio la convenzione costitutiva del fondo patrimoniale, il vincolo di destinazione non era opponibile alla creditrice pur essendo stata trascritta la convenzione nei RR.II. di Salerno; che la domanda di risarcimento non poteva trovare accoglimento alla cuce dei principi di correttezza e buona fede in quanto, non essendo la costituzione del fondo patrimoniale opponibile per legge al creditore, l'iscrizione ipotecaria non poteva costituire comportamento valutabile alla stregua dei detti principi; che non potevano essere accolti i motivi di gravame relativi alla pretesa responsabilità del Comune per la tardiva annotazione della convenzione a margine dell'atto di matrimonio agendo il Sindaco, nell'esercizio della funzione di tenuta dei registri dello stato civile, quale organo dello Stato con conseguente legittimazione passiva di questo nella controversia in esame. La cassazione della sentenza 3 aprile 2013della corte di appello di Salerno è stata chiesta dai coniugi F.- S. con ricorso affidato a quattro motivi. Con il primo motivo di ricorso i citati coniugi denunciano violazione degli artt. 167 e 162 c.c., dopo aver discusso nonché vizi di motivazione, deducendo che la costituzione di fondo patrimoniale in questione posta dall'odierno ricorrente circa riguarda solo immobili di proprietà esclusiva di essa S.R. e che essi coniugi avevano già in precedenza optato per il regime patrimoniale di separazione dei beni. Pertanto - a prescindere dalle impostazioni teoriche che escludono dal novero delle convenzioni matrimoniali il negozio costitutivo del fondo patrimoniale - difetta nella specie la natura di "mandato alle liticonvenzione matrimoniale" trattandosi di atto unilaterale di uno solo dei coniugi relativo a beni di sua esclusiva proprietà. Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano violazione degli artt. 2647, 2685, 1175 e 1375 c.c., nonché del rapporto tra i primi due articoli con gli artt. 162 e 167 c.c., sostenendo che è errata la ricostruzione operata dalla corte di appello in ordine ai rapporti intercorrenti tra la trascrizione nei registri immobiliari e l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio ai fini dell'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione di beni immobili in fondo patrimoniale. Ad avviso dei coniugi F.- S. "le due forme di pubblicità conservano una natura complementare avendo un diverso campo di applicazione: l'annotazione a margine dell'atto di matrimonio ha ad oggetto il regime patrimoniale diverso da quello della comunione legale oppure la modifica del regime scelto al matrimonio ........; la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. è invece necessaria al fine di rendere opponibile ai terzi l'atto costitutivo del fondo patrimoniale avente ad oggetto beni immobili". L'annotazione di cui all'art. 162 c.c. ha quindi la finalità di rendere conoscibili l'esistenza ed il contenuto del fondo patrimoniale, mentre la trascrizione di cui all'art. 2647 c.c. assolve la funzione dichiarativa generale svolta da detto istituto. Inoltre, pur qualificando la pubblicità della iscrizione come mera "pubblicità notizia", ha errato la corte di appello nel non censurare il comportamento della banca che - conoscendo la finalizzazione del patrimonio alla realizzazione degli interessi della famiglia evincibile dalla trascrizione dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale - in violazione dei principi di buona fede e dopo aver correttezza, oltre che di normale prudenza, ha fatto gravare sui beni immobili iscrizione ipotecaria rendendo in tal modo gli stessi inutilizzabili per i bisogni della famiglia. La banca era a conoscenza non solo del vincolo di destinazione sui beni, ma anche della origine del credito azionato non generato per gli interessi della famiglia. Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano violazione dell'art. 170 c.c. e vizi di motivazione rilevando che il credito posto a base dei decreti ingiuntivi e della iscrizione ipotecaria è successivo alla costituzione del fondo patrimoniale e riguarda rapporti tra la banca e società (garantita da obbligazione fideiussoria assunta da essi coniugi) instaurati per scopi estranei ai bisogni della famiglia, con conseguente impossibilità di agire su beni immobili vincolati ai detti bisogni. Con il quarto motivo i ricorrenti denunciano violazione del X.X. 0 luglio 1939, n. 1238, art. 1, anche in relazione all'art. 2043 c.c., lamentando l'errore commesso dalla corte di appello nell'aver escluso la legittimazione passiva del Sindaco. Deducono i ricorrenti che nella specie è evidente il cattivo funzionamento dell'intera struttura organizzativa del Comune di Xxxxxx Superiore i cui uffici avevano impiegato circa sei anni ad annotare a margine dell'atto di matrimonio l'atto di costituzione del fondo patrimoniale in questione. Pertanto il Sindaco, pur agendo in veste di ufficiale di Governo quale organo dello Stato, anche nel servizio dello stato civile è titolare di una competenza funzionale propria con obbligo di organizzare i servizi nella maniera più efficiente e in modo tale da non arrecare danni a terzi. La s.p.a. Intesa Gestione Crediti (subentrata a seguito di fusione in tutti i rapporti giuridici della Banca Commerciale Italiana) e il Comune di Xxxxxx Superiore hanno resistito con separati controricorsi. La seconda sezione civile di questa Corte, con ordinanza 27/10/2008 n. 25857, rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei i primi due motivi di ricorso investivano una questione di particolare importanza, ha trasmesso gli atti al Primo Presidente per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria l'assegnazione alle sezioni unite in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorsobase alle considerazioni svolte in detta ordinanza. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 Primo Presidente ha quindi disposto l'assegnazione del ricorso alle sezioni unite. I ricorrenti hanno depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsomemoria.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con convenzione stipulata il recesso dell'Agenzia Regionale 27 marzo 1987 tra il Comune di Isola del Giglio e ring. Xxxxxxxxxx Xxxxxxxxx l'ente territoriale affidò al professionista la redazione del progetto dei lavori per la Protezione dell'Ambiente costruzione di una rete idrica relativa ai centri abitati di Giglio Castello, Giglio Porto e Giglio Campese. Nella convenzione fa pattuito che il pagamento del compenso al professionista restasse subordinato alla condizione che il Comune ottenesse dagli enti competenti il finanziamento dell'opera. Espletato l'incarico l'xxx. Xxxxxxxxx, non avendo ottenuto il compenso, promosse il procedimento arbitrale (OMISSISprevisto dalla convenzione d'incarico) al fine di ottenere la condanna del Comune al pagamento di lire 100.954.726, con i relativi interessi, a titolo di onorari e rimborso spese per l'attività professionale espletata. Il Comune contestò la domanda, in quanto il pagamento del compenso era subordinato alla condizione, non avveratasi, del finanziamento dell'opera. La parte privata replicò che la condizione doveva ritenersi inefficace, in quanto meramente potestativa, e comunque contraria al principio d'inderogabilità della tariffa professionale. Addusse, inoltre, che la condizione, se valida, si sarebbe dovuta ritenere avverata essendo mancata per fatto imputabile al Comune, tenuto comunque al risarcimento del danno, e che l'opera almeno in parte era stata finanziata. Il collegio arbitrale, espletata una consulenza tecnica ed acquisita agli atti la documentazione prodotta, con lodo del 9 ottobre 1998 condannò l'ente territoriale a pagare all'xxx. Xxxxxxxxx la somma di lire 65.000.000=, con i relativi interessi, nonchè i 2/3 delle spese di lite. Il collegio pervenne a tale statuizione ritenendo non configurabile la fattispecie di cui all'art. 1359 c.c. (ARPAdato l'interesse di entrambe le parti all'avveramento della condizione), considerando valida la clausola che prevedeva la condizione medesima ed osservando, tuttavia, che il Comune non si era attivato con la dovuta diligenza nella richiesta di finanziamento, onde risultava inadempiente ai sensi dell'art. 1358 c.c. con conseguente obbligo risarcitorio a suo carico, liquidato in misura pari al compenso spettante al professionista e ridotto del 20%. Con citazione notificata il 15 febbraio 1999 il Comune di Isola del Giglio impugnò il lodo davanti alla Corte di appello di Firenze, adducendone la nullità per violazione degli artt. 1358 e 1359 c.c. per contraddittorietà, per violazione del principio di diritto secondo cui il giudice deve pronunciare "iuxta alligata et probata", per carente esame della documentazione prodotta e per mancata ammissione delle prove richieste in ordine all'impossibilità di ottenere un mutuo comunitario o di ricorrere a soluzioni alternative. Il Ceciarini si costituì per resistere all'impugnazione, proponendo a sua volta impugnazione incidentale diretta a censurare il lodo nella parte in cui avrebbe illegittimamente decurtato il compenso minimo del 20% e deducendo l'errata interpretazione ed applicazione dell'art. 1359 c.c. nonchè la nullità del lodo medesimo per carenza di motivazione sulle deduzioni proposte. La Corte di appello fiorentina, con sentenza depositata il 17 luglio 2000, dichiarò la nullità del lodo e dichiarò che nulla era dovuto dal Comune al professionista in virtù del contratto stipulato tra le parti, compensando integralmente tutte le spese del giudizio, comprese quelle del procedimento arbitrale. La Corte territoriale richiamò il principio (già affermato da questa Corte) secondo cui, qualora le parti abbiano subordinato gli effetti di un contratto preliminare di compravendita immobiliare alla condizione che il promissario acquirente ottenga da un istituto bancario un mutuo per poter pagare in tutto o in parte il prezzo stabilito - patto valido perché i negozi ai quali non è consentito apporre condizioni sono indicati tassativamente dalla legge - la relativa condizione è qualificabile come "mista", in quanto la concessione del mutuo dipende anche dal comportamento del promissario acquirente nell'approntare la relativa pratica. La mancata concessione del mutuo, peraltro, comporta le conseguenze previste in contratto, senza che rilevi (ai sensi dell'art. 1359 c.c.), un eventuale comportamento omissivo del promissario acquirente, sia perché tale disposizione è inapplicabile nel caso in cui la parte, tenuta condizionatamente ad una data prestazione, abbia anch'essa interesse all'avveramento della condizione, sia perché l'omissione di un'attività in tanto può ritenersi contraria a buona fede e costituire fonte di responsabilità in quanto l'attività omessa costituisca oggetto di un obbligo giuridico, e la sussistenza di un obbligo siffatto deve essere esclusa per l'attività di attuazione dell'elemento potestativo di una condizione mista. Nel quadro di tale principio, ritenuto applicabile alla fattispecie, la sentenza impugnata escluse l'applicabilità al caso in esame sia dell'art. 1359 c.c., attinente all'avveramento della condizione per il comportamento della parte dalla cui condotta l'avveramento stesso anche dipende, sia dell'art. 1358 c.c., relativo alla responsabilità nascente in capo a detta parte per comportamento non conforme a buona fede, in ciò ravvisò causa di nullità del lodo, in accoglimento della doglianza proposta dall'impugnante principale. La Corte di merito, poi, rilevò che il contratto de quo prevedeva la concessione di consulenza un mutuo per l'esecuzione dell'opera la cui progettazione era stata affidata al Ceciarini, in assenza del quale nessun compenso era previsto per quest'ultimo, e conferimento ne dedusse che ai fini di incarico causa il Comune era tenuto alla richiesta del detto mutuo e ciò, com'era pacifico, era stato fatto, sicché l'ente territoriale aveva adempiuto agli obblighi derivanti dal contratto, non essendo obbligato in forza del contratto stesso ad ulteriori comportamenti. Pertanto, ad avviso della Corte fiorentina, dichiarato nullo il lodo per errore di assistenza legale rinnovato nel febbraio diritto, andava altresì dichiarato che nulla era dovuto al Ceciarini dal Comune medesimo, restando assorbita ogni altra domanda proposta dalle parti. Avverso tale sentenza ring. Ceciarini ha proposto ricorso per Cassazione, affidato a tre motivi illustrati con due memorie. Il Comune di Isola del Giglio ha resistito con controricorso. La prima sezione civile di questa Corte, cui il ricorso era stato assegnato, con ordinanza depositata il 5 giugno 2004 ha rilevato che, con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il primo motivo del ricorso stesso, si poneva la questione della validità della clausola - apposta alla convenzione con la quale il Comune affida ad un privato l'attività professionale di progettazione di un'opera pubblica - che subordina il diritto al compenso all'ottenimento del finanziamento dell'opera progettata. Ha osservato, quindi, che su tale questione sussiste un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, perché in alcune sentenze si è affermato che il principio d'inderogabilità delle tariffe professionali (operante anche con riguardo alle prestazioni rese da ingegneri ed architetti allo Stato e agli altri enti pubblici, nei limiti indicati dall'art. 4, comma 12 xxx, xxx x.x. x. 00 del 1989, introdotto dalla legge di conversione n. 155 del 1989) attiene al momento di liquidazione del compenso, ma non esclude che il professionista agiva nei confronti dell'Agenziapossa validamente sottoporre il suo diritto a riscuotere il compenso stesso a termine o a condizione, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni o anche a prestare la propria opera professionale gratuitamente per i motivi più vari, che possono essere ispirati da mera liberalità ovvero da considerazioni di ordine sociale o di convenienza o, ancora, da prospettive di opportunità in relazione a tutti gli affari legali dell'entepersonali ed indiretti vantaggi. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione Mentre nella sentenza n. 7538 del rapporto e rigettava ogni domanda di danni2002 si è deciso che deve essere ritenuta nulla la clausola, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistacontenuta in un capitolato, la Corte quale condizioni il pagamento del compenso a finanziamenti futuri e incerti, ancorchè l'ente pubblico abbia ricevuto l'intera prestazione professionale, in quanto in contrasto con la causa normalmente onerosa della prestazione. In presenza di appello tale contrasto l'ordinanza ha ravvisato l'opportunità di Trieste rigettava il gravame. A tal finerimettere gli atti al Primo Presidente per eventuale assegnazione del ricorso alle sezioni unite, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso considerato anche che era già all'esame di queste la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"(ritenuta connessa) concernente la validità dell'atto negoziale di conferimento dell'incarico al professionista nell'ipotesi in cui la relativa delibera dell'ente territoriale sia priva della previsione di spesa, e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata"violazione dell'art. 284 del r. d. 3 marzo 1934, la Corte n. 383 (relativamente a fattispecie contrattuali realizzate nel vigore di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorsodetta normativa). Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso, quindi, è stato assegnato alle sezioni unite di questa Corte ed è stato chiamato all'udienza di discussione.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con ricorso dinanzi al Tribunale di Aosta Xxxxx Xxxx proponeva opposizione avverso il recesso dell'Agenzia Regionale per decreto ingiuntivo con cui la Protezione dell'Ambiente s.p.a. Air Vallee (sua ex datrice di lavoro) gli aveva ingiunto il pagamento della somma di L. 33.000.000, oltre gli interessi legali, in forza dell'accordo sottoscritto in data 12 luglio 1996 - mediante il quale la cerniate società datrice di lavoro si assumeva ogni onere concernente l'effettuazione di un corso di abilitazione negli Stati Uniti del Ronc (OMISSISpilota in addestramento di primo livello) (ARPA) dal contratto e si conveniva che, in caso di consulenza dimissioni del Ronc prima del termine di quattro anni dalla conclusione di detto xxxxx, lo stesso avrebbe dovuto rimborsare alla società la somma, appunto, di L. 33.000.000 corrispondente al costo del corso di abilitazione - e conferimento in relazione al fatto che il Ronc si era dimesso in data 30 settembre 1997 e, dunque, prima della scadenza del termine quadriennale di incarico cui al citato accordo. Il ricorrente in opposizione deduceva l'annullabilità dell'accordo in questione ai sensi dell'art. 2113 cod. civ., trattandosi di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre una transazione avente ad oggetto diritti indisponibili e, in subordine, deduceva l'annullabilità dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenziaper vizio del consenso; in via riconvenzionale, chiedendo poi, chiedeva la condanna della datrice di lavoro al pagamento di tutte le differenze retributive dovute al suo errato inquadramento quale pilota in addestramento anzichè quale membro effettivo di equipaggio. Nel relativo giudizio si costituiva la s.p.a. Air Vallee che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei dannicontestava tutte le avverse pretese e chiedeva la conferma dell'opposto decreto ingiuntivo. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto L'adito Tribunale di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato Aosta - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni sentenza del 13 maggio 2000 - revocava l'opposto decreto ingiuntivo e condannava la s.p.a. Air Vallee a prestare pagare al Ronc la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva somma di risoluzione L. 28.577.984 e - su appello principale della società e appello incidentale del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, Ronc - la Corte di appello Appello di Trieste rigettava il gravameTorino così provvedeva: "respinge l'appello principale; in parziale accoglimento dell'appello incidentale condanna la s.p.a. A tal fineAir Vallee a pagare a Xxxx Xxxxx la somma di E. 2, con sentenza 3 aprile 2013498, dopo aver discusso 38, oltre interessi e rivalutazione dal dovuto al saldo, ed a rimborsare al medesimo i 2/3 delle spese del primo grado e del presente grado". Per quello che rileva in questa sede la questione posta dall'odierno ricorrente circa il Corte territoriale ha rimarcato che: a/1) "mandato alle liti", e dopo aver rilevato poichè è pacifico che tra le parti era in corso un rapporto di lavoro subordinato e poichè non c'erano vi è traccia di un contratto scritto di segno, eventualmente, contrario, si deve ritenere che si trattasse di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato"sospesi" ; a/2) "se così è, però, l'accordo di cui si discute ha comportato un limite non indifferente alla facoltà di recesso del lavoratore dipendente, essendosi questi assunto l'obbligo di provvedere al pagamento di una somma di denaro di importo variabile - ma consistente - in quanto anche l'ultima fattura era relazione al momento del recesso futuro: in altre parole, il dipendente ha limitato notevolmente la propria facoltà di recesso, facoltà che egli invece aveva 'in qualunque momentò ai sensi dell'art. 2118 c.c., disposizione sicuramente inderogabile"stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.;

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con due separati ricorsi al Pretore di Savona, Gi. Cu. conveniva in giudizio la s.r.l. Id. Ca. della quale era stato dipendente, con mansioni di operaio categoria E, dal 1 giugno 1995. Con il recesso dell'Agenzia Regionale primo ricorso esponeva di essere stato licenziato verbalmente il 30 novembre 1995 e di aver impugnato il provvedimento espulsivo in data 7 febbraio 1996; di aver ripreso il lavoro, a seguito di invito del datore, in data 19 febbraio 1996: di essere rimasto creditore delle retribuzioni dei mesi di dicembre 1995, gennaio 1996 e di 18 gg. del mese di febbraio 1996. Chiedeva quindi la condanna della convenuta a corrispondergli le suddette retribuzioni, oltre accessori, nonché il risarcimento del danno, derivante dall'illegittimo licenziamento, in misura non inferiore a 2,5 mensilità. Con il secondo ricorso, depositato nella medesima data, esponeva che il 10 giugno 1996 era stato indetto uno sciopero, per la Protezione dell'Ambiente lo stesso giorno, da parte dei dipendenti della società -tra i quali lo stesso ricorrente- e della CGIL di Savona, per protestare in ordine ai continui ed arbitrari spostamenti di orario da parte del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenziadatore, chiedendo un incontro per definire l'organizzazione del futuro lavoro; che fosse accertato l'inadempimento contrattuale nella medesima data la società lo sospendeva cautelativamente dal lavoro, licenziandolo quindi il 17 giugno 1996. Assumeva l'illegittimità del licenziamento, di natura apparentemente disciplinare facendo riferimento all'art. 55 c.c. n. l. laterizi, ma in realtà privo di giusta causa perché determinato dalla partecipazione allo sciopero e quindi configurante condotta antisindacale, in quanto volto a limitare l'attività sindacale e reprimere il diritto di sciopero. In ogni caso, nella fattispecie in esame, era stato violato il criterio della convenutaproporzionalità. ex art. 2106 c.c., con tra il fatto contestato e la sanzione applicata, tanto più che non poteva essere ritenuto leso l'elemento fiduciario, poiché lo sciopero era finalizzato alla ricerca di un dialogo col datore. Chiedeva quindi la reintegrazione nel posto di lavoro e la condanna alla corresponsione delle retribuzioni maturate fino alla data della reintegra, ovvero alla corresponsione dell'indennità sostitutiva pari a 15 mensilità, oltre al risarcimento dei dannidel danno. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile La società si costituiva esponendo, quanto al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danniprimo ricorso, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti era stato posto in essere rapporto di lavoro a tempo determinato, come risultava dalla richiesta inviata alla sezione circoscrizionale per l'impiego, sottoscritta dal ricorrente per accettazione, cosicché non c'erano "sospesi" era necessaria alcuna comunicazione della cessazione del rapporto trattandosi di scadenza naturale del contratto; che successivamente il ricorrente era stato riassunto a tempo indeterminato; che quindi nulla era dovuto per il periodo di tempo in cui non aveva lavorato, né a titolo di risarcimento danni; che comunque, essendo venuto meno il licenziamento, nessun danno si era prodotto. In risposta al secondo ricorso, esponeva che la CGIL non aveva mai proclamato uno sciopero, né vi sarebbe stato motivo di farlo perché la società non aveva arbitrariamente e continuamente modificato gli orari, che, per necessità aziendali, la società aveva reso edotti i dipendenti del mutamento di orario; che il ricorrente aveva posto in essere un grave atto di insubordinazione, essendosi presentato la mattina del 10 giugno 1996 pretendendo di imporre al datore determinati orari di lavoro e, davanti al diniego, aveva ribadito che non aveva intenzione di accettare il nuovo orario e che in caso di mancato accoglimento delle sue pretese se ne sarebbe andato trascinando con sé gli altri dipendenti: aveva quindi cercato di far abbandonare il lavoro ad un collega, ma non essendovi riuscito se ne era andato, unitamente ad altri due dipendenti; che a seguito di tale condotta gli veniva inviata contestazione disciplinare, cui seguiva il licenziamento. Xxxxxxxx, quindi, il rigetto di tutte le domande. Riuniti i procedimenti, il Tribunale di Savona (subentrato al Pretore) accoglieva le domande sia in ordine al pagamento delle retribuzioni dall'1 dicembre 1995 al 18 febbraio 1996, non risultando l'apposizione per iscritto del termine al contratto di lavoro, sia in ordine alla dichiarazione di illegittimità del licenziamento in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata"intimato in seguito alla proclamazione e partecipazione ad uno sciopero, con conseguente ordine di reintegrazione del Gi. Cu. nel posto di lavoro e di pagamento della retribuzione globale di fatto dal 17 giugno 1996 alla data della reintegra, ovvero, in caso di opzione ex art. 18 l. 300/70, alla corresponsione della indennità sostitutiva in misura pari a 15 mensilità della retribuzione suddetta, con interessi e rivalutazione, altre al risarcimento del danno in misura di 5 mensilità. Avverso tale decisione, la Corte società Id. Ca. s.r.l. proponeva appello deducendo, con riguardo alla prima questione, che il Gi. Cu. non avrebbe disconosciuto nei termini il documento da lei prodotto dal quale si evinceva la natura di appello qualificava il rapporto come contratto d'operaa termine, con la conseguenza che la cessazione del rapporto non era imputabile ad un licenziamento ma alla semplice scadenza del termine finale posto al rapporto. Riteneva pertanto legittimo il recesso In ordine alla seconda questione (relativa alla impugnazione del licenziamento intimato in data 17.6.1996), la società ribadiva la legittimità della risoluzione del rapporto lavorativo avvenuta per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia ragioni disciplinari a causa della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria grave insubordinazione messa in vista dell'adunanza atto dal lavoratore nella mattinata del 10 marzo 2017 e giugno 1996. Si costituiva l'appellato, contestando il gravame di cui chiedeva il rigetto. Con sentenza del 22 marzo-18 aprile 2002, l'adita Corte d'appello di Genova rigettava il gravame, confermando l'impugnata decisione, anche in ordine alle argomentazioni adottate a sostegno della successiva pubblica udienza, alla quale stessa. Per la causa è stata rimessa cassazione di tale pronuncia ricorre la Id. Ca. s.r.l. con ordinanza 12947/17due motivi. ARPA ha resistito Resiste il Gi. Cu. con controricorso. Entrambe le parti hanno presentato memorie ex art. 378 c.p.c. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo motivo, la società ricorrente, denunciando violazione degli artt. 2086, 2094, 2104 e 2119 c.c. e dell'art. 41 della Costituzione, nonché omessa o insufficiente o illogica motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalle parti, lamenta il mancato rispetto, da parte del Giudice a quo, dei richiamati articoli del codice civile e della Costituzione, in quanto -a suo dire- sarebbe stato violato il principio della libertà di impresa e quello della insindacabilità della determinazione datoriale circa le modalità di espletamento della prestazione lavorativa. Più specificamente, la società sostiene che il datore di lavoro sarebbe libero da ogni vincolo nel determinare l'orario di lavoro da assegnare ai dipendenti, con la conseguenza logica che l'orario stabilito dal datore di lavoro non può in alcun modo essere messo in discussione. Da ciò conseguirebbe, inoltre, che la proposta da parte del Gi. Cu. di un diverso orario -proposta, avente il carattere, ad avviso della ricorrente, di una vera e propria "imposizione"- a cui era seguito il suo allontanamento dall'azienda, costituirebbe un atto di insubordinazione che legittimerebbe la risoluzione del rapporto lavorativo. Nella specie, peraltro, non si tratterebbe di esercizio del diritto di sciopero, ma di abbandono del posto di lavoro, come forma di contestazione rispetto alle determinazioni aziendali. La CGIL -osserva la Società- si era occupata della questione "solo ad insubordinazione avvenuta e solo per cercare di porvi una toppa", non avendo la stessa mai proclamato alcun legittimo sciopero. Il procuratore motivo è infondato. Va preliminarmente osservato che -secondo l'orientamento di questa Corte, cui va prestata adesione- in tema di orario di lavoro, i limiti allo "ius variandi" dell'imprenditore nei contratti di lavoro part time -nei quali la programmabilità del tempo libero (eventualmente in funzione dello svolgimento di un'ulteriore attività lavorativa) assume carattere essenziale che giustifica l'immodificabilità dell'orario da parte datoriale- non sono estensibili al contratto di lavoro a tempo pieno, nel quale un'eguale tutela del tempo libero del lavoratore si tradurrebbe nella negazione del diritto dell'imprenditore di organizzare l'attività lavorativa, diritto che può subire limiti solo in dipendenza di accordi che lo vincolino o lo condizionino a particolare procedure (Cass. 16 aprile 1993 n. 4507). Pertanto, sotto questo profilo, appare fondata la critica formulata dalla società ricorrente alla decisione impugnata, laddove si afferma che non sussiste un potere pienamente discrezionale del datore di lavoro di determinare o di variare unilateralmente la collocazione temporale della prestazione lavorativa, sebbene non sussista in linea generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte un diritto soggettivo del dipendente alla stabilità dell'orario di lavoro, che può essere legittimamente variata previo accordo sindacale o con cui ha chiesto il rigetto del ricorsoi lavoratori addetti all'attività d'impresa.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Il Fallimento della s.p.a. (omissis) conveniva in giudizio avanti al Tribunale di Napoli il recesso dell'Agenzia Regionale Monte dei Paschi di Siena s.p.a. proponendo azione revocatoria delle rimesse di conto corrente effettuate dalla società fallita sul conto corrente intrattenuto presso la banca convenuta nell'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento per il complessivo importo di lire 1.704.575.482. Radicatosi il contraddittorio il Tribunale di Napoli con sentenza 3.3.2000 accoglieva la Protezione dell'Ambiente domanda, condannando la banca convenuta al pagamento della somma predetta a favore della curatela, oltre interessi e spese. Su appello del Monte dei Paschi di Siena la Corte d'appello di Napoli con sentenza 8.3.2002 confermava la sentenza di primo grado. Osservava la Corte che la banca appellata non aveva provato che il conto corrente fosse affidato e che pertanto le rimesse effettuate non fossero revocabili perchè effettuate nei limiti dell'affidamento. Ciò perchè la scheda degli affidamenti e l'estratto notarile dei libri contabili, prodotti dalla banca, non sostituivano la forma scritta richiesta ad substantiam per il contratto di apertura di credito nè il contratto poteva ritenersi provato per facta concludentia. Le scritture contabili prodotte dalla banca, inoltre, non avevano efficacia probatoria privilegiata ai sensi dell'art. 2710 c.c. essendo il curatore terzo rispetto al contratto stipulato dalla società fallita. Le rimesse effettuate da terzi sul conto, nella specie dalle U.S.L., non potevano essere considerate pagamenti del terzo, perchè si trattava di terzi debitori della fallita, che avevano provveduto al pagamento di un loro debito nei confronti di quest'ultima e non della banca. Sussisteva infine la prova della scientia decoctionis del Monte dei Paschi di Siena, perchè la banca, quale operatore qualificato, non poteva non essere consapevole dello stato d'insolvenza in presenza di elementi sintomatici quali l'iscrizione d'ipoteca sui beni della società fallita da parte di un creditore in forza di decreto ingiuntivo, l'iscrizione sui beni stessi di sequestro conservativo, la presenza di perdite superiori al terzo del capitale sociale, il notevole sbilancio tra crediti e debiti, la relazione ad uso interno della banca in cui si dava atto della crisi di liquidità della società a fronte della mera "speranza" di ottenere un'inversione di tendenza in futuro, lo stesso irregolare andamento del conto corrente, sintomatico della carenza di liquidità. Ha proposto ricorso per cassazione il Monte dei Paschi di Siena che ha formulato sei motivi di ricorso. Resiste con controricorso la curatela del Fallimento che ha proposto ricorso incidentale con unico motivo, illustrato da memoria, Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso (OMISSISmotivo 1.1.) la ricorrente lamenta violazione dell'art. 11 disp. prel. c.c. Ritenendo che il contratto di apertura di credito in virtù del quale era stato concesso affidamento a favore della società fallita fosse regolato dagli artt. 3 legge 154/92 e 117 t.u.b., la Corte d'appello non avrebbe considerato che i rapporti tra banca e cliente risalivano almeno al 1990 e quindi a data anteriore all'entrata in vigore delle disposizioni citate, che non potevano avere efficacia retroattiva in ragione del generale principio d'irretroattività della legge sancito dall'art. 11 disp. prel. c.c.. Con il secondo motivo (ARPAmotivo 1.2) la banca ricorrente lamenta violazione degli artt. 3, comma 3, legge 154/92 e 117 t.u.b. nonchè difetto di motivazione ed omessa e falsa interpretazione delle prove acquisite su punti decisivi della controversia, perchè la sentenza impugnata avrebbe trascurato che, in forza del terzo comma dell'art. 3 legge 154/92 e del decreto 24.4, 1992 del Ministro del Tesoro, oltre che della circolare del maggio 1992 della Banca d'Italia, la forma scritta non era obbligatoria per le operazioni e servizi giàprevisti in contratti redatti per iscritto. Nella specie il contratto di apertura di credito era previsto dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che conto corrente stipulato tra le parti in forma scritta, sì che il contratto di apertura di credito non c'erano "sospesi" in richiedeva la forma scritta. Con il terzo motivo di ricorso (motivo 2.1) la banca ricorrente deduce violazione degli artt. 2698 e 2710 c.c. Contrariamente a quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la ritenuto dalla Corte di appello qualificava d'appello il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenutalibro fidi, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale cui risultava un affidamento sino a concorrenza di 400 milioni a favore della società fallita, avrebbe efficacia probatoria privilegiata. Inoltre ai sensi dell'art. 8 delle n.b.u. che imponeva all'ente regolano il contratto di avvalersi dell'avvocatura regionale conto corrente, i libri e ai dubbi sulla legittimità le scritture contabili della banca fanno piena prova nei confronti del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsocorrentista.

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Samples: Contratto Di Apertura Di Credito:…………………………pg. 74 Cass. 14470/2005:

Svolgimento del processo. La causa concerne Con atto di citazione notificato il recesso dell'Agenzia Regionale 28 febbraio 1989 la s.r.l. Ergife di Roma dichiarò che aveva prestato servizi alberghieri, in occasione di un congresso organizzato presso l'Ergife Palace Hotel, a favore della s.r.l. Emmezeta di Milano, la quale non aveva pagato la somma di L. 18.081.600 quale corrispettivo residuo rispetto a quello totale convenuto di L. 118.081.600; pertanto col predetto atto convenne in giudizio la nominata società davanti al Tribunale di Roma per sentirla condannare al pagamento in suo favore della predetta somma di L. 18.081.600, oltre accessori. Nel costituirsi in giudizio la soc. Emmezeta contestò la domanda e ne chiese il rigetto; eccepì in particolare che, in violazione degli accordi, aveva ricevuto in ritardo a propria disposizione alcune sale con pregiudizio del loro tempestivo allestimento, aveva dovuto pagare prestazioni di lavoro straordinario e notturno alla s.r.l. Mastering per allestire in tempo le predette sale, aveva ricevuto prestazioni alberghiere inadeguate rispetto a quelle cui era tenuto un albergo di prima categoria, ed aveva subito un pregiudizio alla propria immagine; per cui spiegò domanda riconvenzionale chiedendo la condanna della soc. Ergife al pagamento della complessiva somma di L. 15.781.500 (L. 4.500.000 da detrarre dal corrispettivo convenuto per la Protezione dell'Ambiente ritardata messa a disposizione delle sale per il congresso, L. 3.000.000 a titolo di danni per lavoro straordinario e notturno pagato alla soc. Mastering, L. 7.781.500 a titolo di riduzione del (OMISSIS25% del corrispettivo per le camere d'albergo e relativi servizi) (ARPA) dal contratto di consulenza oltre al risarcimento del danno all'immagine. La soc. Ergife contestò la domanda riconvenzionale e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno ne chiese il professionista agiva nei confronti dell'Agenziarigetto. Acquisiti agli atti i documenti prodotti dalle parti e raccolta una prova testimoniale, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutail Tribunale, a conclusione del giudizio, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava sentenza in data 15 marzo 1995, qualificato il rapporto come contratto appalto di clientela - riconducibile servizi e la domanda riconvenzionale come pretesa di riduzione del prezzo (per le voci non richieste a titolo di danno) accolse entrambe le domande e, per quanto riguarda quella riconvenzionale, riconobbe alla soc. Emmezeta la somma di L. 4.750.000 quale riduzione del corrispettivo per la tardiva consegna delle sale, quella di L. 5.250.000 quale riduzione del corrispettivo per i disservizi e le inadeguatezze relative al mandato oneroso servizio alberghiero, quella di L. 3.500.000 rivalutate a tempo determinato - con cui l'avvocato L. 5.422.000 quale danno derivato dal pagamento del lavoro straordinario e notturno alla soc. Mastering, e quella di L. 10.000.000 per danni all'immagine sociale; per cui, in accoglimento della domanda proposta dalla soc. Ergife e di parte di quella riconvenzionale, condannò la soc. Emmezeta al pagamento della somma di 8.081.600 quale residuo corrispettivo (ridotto di L. 4.750.000 + 5.250.000) per i servizi ricevuti, e, in accoglimento della parte residua della domanda riconvenzionale, condannò la soc. Ergife al pagamento della somma di L. 15.422.000 a titolo di risarcimento danni (L. 5.422.000 + 10.000.000). A seguito dell'impugnazione proposta dalla soc. Ergife il contraddittorio tra le parti si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva instaurò nuovamente davanti alla Corte d'appello di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistaRoma, la Corte quale, a conclusione del giudizio di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal finesecondo grado, con sentenza 3 aprile 2013in data 18 novembre 1997, dopo aver discusso accolse per quanto di ragione il gravame e in parziale riforma della decisione del Tribunale, condannò la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"soc. Emmezeta a pagare alla soc. Ergife la somma di L. 12.831.600, e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata"la soc. Ergife a pagare alla soc. Emmezeta la somma di L. 5.584.117 a titolo di risarcimento danni, confermando nel resto la Corte decisione di appello qualificava il rapporto come contratto d'operaprimo grado. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei ContiContro la sentenza la soc. L'avv. P. Ergife ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; cassazione e formulato tre motivi d'impugnazione. La soc. Emmezeta ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 controricorso e della successiva pubblica udienzaproposto ricorso incidentale sulla base di due motivi, alla quale poi illustrati con memoria. È stata disposta la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsoriunione dei due ricorsi separatamente proposti contro la stessa sentenza.

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Svolgimento del processo. La Con atto di citazione notificato il 15 febbraio 2000, il Fallimento CCRT impianti srl in liquidazione, dichiarato dal Tribunale di Milano il 16 ottobre 1997, conveniva avanti il medesimo Tribunale la I.F.I. spa e l'ENEL Distribuzione spa. Quanto alla prima, Xxxxxxx chiedeva in via principale, a norma della L. Fall., art. 67, comma 2, revocarsi gli accreditamenti operati nell'ambito di un intercorso rapporto di factoring, in misura di complessive L. 159.262.923, sul conto corrente intestato alla società durante l'anno anteriore alla dichiarazione di fallimento di quest'ultima, nonchè dichiararsi inefficaci, ai sensi del successivo art. 44, i pagamenti in analogia occorsi per L. 71.144.626; quanto alla seconda, chiedeva dichiararsi la propria legittimazione esclusiva alla riscossione del crediti della CCRT con conseguente condanna della convenuta al pagamento di due fatture del settembre 1996 per totali L. 53.322.022. Si costituiva in giudizio l'Enel chiedendo di chiamare in causa concerne della Interpower spa quale cessionaria della struttura produttiva cui ineriva il recesso dell'Agenzia Regionale per contratto originante una delle fatture in questione. Si costituiva parimenti la Protezione dell'Ambiente I.F.I. spa, che, oltre a confutare la ascrittale conoscenza dello stato d'insolvenza al tempo del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto pagamenti dedotti in causa, escludeva essersi nella specie trattato di consulenza un rapporto di conto corrente e conferimento di incarico una reciprocità di assistenza legale rinnovato rimesse, avendo, nel febbraio 2004 peculiare contesto negoziale di factoring, accreditato alla società cedente il corrispettivo del crediti cedutile, ma solo dopo esserle subentrata nella titolarità relativa. Il Tribunale,con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno sentenza del 5 agosto 2003, rilevata l'avvenuta contabilizzazione delle operazioni svoltesi in attuazione del rapporto in oggetto all'interno di un unico conto, secondo il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutatipico svolgimento del rapporto di conto corrente, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto pattuita loro compensazione (volontaria), attribuiva carattere solutorio ai pagamenti colà risultanti in favore della società finanziaria,che riteneva consapevole dello stato di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale dissesto della cedente, e, in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistaaccoglimento delle domande proposte, la condannava al pagamento delle somme di Euro 82.252,43 e di Euro 36.743,13 oltre interessi, mentre condannava Enel Distribuzione spa e Interpower spa, costituitasi in causa, a pagare rispettivamente le somme di Euro 9.747,98 e Euro 4.526,21 oltre interessi. Avverso la sentenza proponeva appello la I.F.I. con atto di citazione notificato il 20 maggio 2004 alla procedura e alla Enel Distribuzione spa. Si costituiva nel grado il Fallimento resistendo alla proposta impugnazione, mentre restava contumace l'altro appellato. La Corte d'appello di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fineMilano, con sentenza 3 aprile 2013n. 1285/07, dopo aver discusso rigettava l'impugnazione. Avverso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra detta decisione ricorre per cassazione sulla base di cinque motivi la I.F.I. cui resiste con controricorso la curatela fallimentare. Entrambe le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha hanno depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsomemorie.

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Svolgimento del processo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale per Con atto di citazione ritualmente e tempestivamente notificato, la Protezione dell'Ambiente società A. s.r.l., in persona del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza suo legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenziarappresentante pro tempore G.M., conveniva in giudizio, dinanzi all'intestato Tribunale, l'ingegner X, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutal'adito Tribunale, previa risoluzione, per grave inadempimento del convenuto, del contratto di collaborazione professionale inter partes avente ad oggetto lo sviluppo del programma per elaboratore denominato "NAVCRM", dichiarasse la responsabilità del citato professionista per violazione dei diritti patrimoniali d'autore asseritamente spettanti, in via esclusiva, all'attrice, quale committente del progetto finalizzato alla creazione del predetto software, nonché a titolo di concorrenza sleale ex art. 2598, nn. 1 e 3 c.c. La società attrice chiedeva, altresì, xxxxxxsi al convenutola prosecuzione delle denunciate attività illecite, nonché di qualsiasi altra attività di riproduzione e distribuzione a terzi del suddetto programma "Navcrm", con fissazione di una penale per ogni violazione dell'invocata decisione, la pubblicazione per estratto dell'emanando provvedimento e, infine, la condanna del convenuto al risarcimento dei danniconseguenti danni e alla restituzione dei codici sorgenti indebitamente trattenuti. Il tribunale qualificava Si costituiva in giudizio il rapporto come contratto convenuto, eccependo, in via pregiudiziale, l'incompetenza per territorio dell'intestato Tribunale. Nel merito, il X contestava le deduzioni avversarie, chiedendo il rigetto delle domande attoree e, in via riconvenzionale, l'accertamento del proprio diritto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con proprietà/paternità sul software oggetto di causa. Nel corso del giudizio, espletati gli incombenti di cui l'avvocato si era obbligato all'art. 183 c.p.c., il G.I. ammetteva le prove per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'entetesti dedotte dalle parti e,all'esito, fissava udienza di precisazione delle conclusioni. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione Infine, all'udienza del rapporto e rigettava ogni domanda di danni26 novembre 2015, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistasulle conclusioni precisate dai difensori delle parti, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale Giudice rimetteva la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17al Collegio per la decisione, assegnando i termini di cui all'art. ARPA ha resistito con controricorso190 c.p.c. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsoper lo scambio di comparse conclusionali e memorie di replica.

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Svolgimento del processo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto l. Il Tribunale di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fineBrescia, con sentenza 3 aprile 2013del l° ottobre 2000, dopo aver discusso in accoglimento della domanda proposta dal Cu- ratore del Fallimento della V. s.r.l. (di seguito, Fallimen- to) nei confronti della Banca s.p.a. (Infra, Banca), revo- cava, ai sensi dell’art. 67 l. fall., le rimesse effettuate dal- la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"società su un conto corrente accesso presso la conve- nuta, e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" ritenendone la natura solutoria, in quanto anche l'ultima fattura succes- sive alla revoca degli affidamenti disposta con lettera del 28 settembre 1994, reputando altresì che esistevano ele- menti a conforto della scientia decoctionis della Banca. La sentenza era "appellata dalla soccombente, deducen- do che il Tribunale aveva erroneamente ritenuto revo- cabili i pagamenti, benché non fosse stata pagata"revocata la cessione del credito in forza della quale erano stati effet- tuati, reputando provata la scientia decoctionis; inesat- tamente aveva escluso la compensazione ex art. 56 l. fall. tra il credito anticipato dalla banca e le somme ver- sate sul conto corrente; malamente l’aveva condannata al pagamento della rivalutazione e degli interessi. Nel giudizio si costituiva il Fallimento, resistendo al gravame. La Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 24 giu- gno 2003, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, escludeva che sulla somma fosse dovuta la riva- lutazione monetaria, rigettava nel resto l’appello e con- dannava la Banca alle spese del doppio grado. La sentenza premetteva che la somma oggetto della do- manda, pari a £ 308.927.775, era stata riferita dalla Banca, quanto a £ 232.679.384 a cessioni di credito e quanto a £ 76.248.391 a versamenti di assegni e bonifi- ci, dovendo da essa scomputarsi £ 33.207.000 a rimaste insolute. La pronuncia osservava quindi che, secondo il Tribunale, per i pagamenti relativi alle cessioni di credi- to il Fallimento avrebbe dovuto chiedere la revoca di queste ultime e, tuttavia, aveva ritenuto le stesse inop- ponibili al Fallimento, in quanto prive di data certa. Ad avviso della Corte territoriale, la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" cessione delle rice- vute bancarie era invece «idonea solo a conferire al ces- sionario un mandato a riscuotere in nome e per conto del cedente, sia pure in rem propriam, con la conse- guenza che fino a tale momento la titolarità del credito rimane in capo al creditore originario». In ogni caso, anche ritenendo che il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenutanegozio indiretto equivaleva ad una cessione del credito, da ricollegare la sentenza era incensurabile, stante la ritenuta inopponibilità delle cessioni di credito, per mancanza della data certa. La certezza della data non era, infatti, desumibile «dall’e- missione delle lettere di cessione», in quanto prive dei caratteri stabiliti dall’art. 2704 c.c.. La sentenza configurava quindi i versamenti quali paga- menti, aventi natura solutoria, dato che erano stati ef- fettuati successivamente alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente revoca dell’affidamento, reputando assorbito il secondo motivo di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazioneappello, notificato con il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa Banca aveva lamentato che il Tribunale aveva ritenuto sussistente la scientia decoctionis, sulla scorta della lettera di revoca degli affidamenti del 6 ottobre 1994, sostenendo che il relativo accertamento doveva essere effettuato avendo riguardo alla data della stipula delle cessioni di credito. La pronuncia osservava, altresì, che l’eccezione di com- pensazione ex art. 56 l. fall. tra il credito anticipato dal- la banca ed i pagamenti era anzitutto in contraddizione con ordinanza 12947/17la tesi della cessione, in quanto presupponeva che la società fallita non era più titolare dei crediti ai quali questi si riferivano. ARPA ha resistito con controricorsoIn ogni caso, escludeva i presupposti della compensazione, richiamando tre sentenze di que- sta Corte (Cass. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto n. 3919 del ricorso1987; n. 2353 del 1984; n. 656 del 2000).

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Samples: Cessione Di Ricevute Bancarie

Svolgimento del processo. La causa concerne Corte d'Appello di Palermo, confermando la pronuncia di primo grado, ha rigettato l'opposizione all'esecuzione proposta da P.S. e C.M., sul rilievo di non aver mai ricevuto la somma di L. 180.000.000 concessa dal Banco di Sicilia a titolo di mutuo, in quanto tale importo era stato impiegato per il recesso dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal pagamento di esposizioni debitorie relative, al proprio figlio P.F.. Ritenevano pertanto gli opponenti che il mutuo fosse simulato e celasse un patto commissorio. Il contratto di consulenza e conferimento mutuo era stato risolto dall'istituto bancario. Era seguito il precetto ed il pignoramento non solo dell'immobile ipotecato a garanzia del mutuo sopradescritto ma anche di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenziaaltri 10 immobili, chiedendo ben oltre l'ammontare del debito. Gli opponenti chiedevano pertanto che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutaaccertata la nullità del mutuo perchè celava un patto commissorio; per contrasto con norme imperative, con condanna per usurarietà e per impossibilità sopravvenuta. Si chiedeva anche la riduzione delle ipoteche e la restrizione delle ipoteche, oltre al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava Venivano evocati nel giudizio oppositivo anche i creditori intervenuti BNL (Banca nazionale del Lavoro) e il rapporto come Monte Paschi di Siena. Secondo gli opponenti, il credito BNL era inesistente perchè dovuto all'incapacità di gestione e recupero di garanzia assicurativa e l'altro doveva essere rideterminato perchè assistito dalla garanzia del fondo Interbancario. La Corte territoriale a sostegno del rigetto ha affermato: In ordine all'esclusione della legittimazione passiva della BNL e del Monte dei Paschi, stabilita dal Tribunale, la statuizione era condivisibile. Per quanto riguarda BNL non erano state indicate dall'interveniente le ragioni a sostegno del motivo di gravame. Inoltre nel giudizio di opposizione all'esecuzione sono legittimati soltanto il soggetto che ha proceduto al pignoramento e i creditori intervenuti che non solo siano muniti di titolo esecutivo ma abbiano anche compiuto atti del procedimento. Tale caratteristica non si poteva rinvenire in BNL. Quanto al Monte Paschi di Siena la censura doveva ritenersi inammissibile, non essendo stato addotto alcun argomento a sostegno della dedotta legittimazione passiva. In ordine alla dedotta simulazione del contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso mutuo fondiario, viene rilevato che la somma erogata a tempo determinato - mutuo era stata accreditata sul conto corrente di P.S. che ne aveva rilasciato quietanza mentre la riconduzione del medesimo ad un finanziamento ordinario garantito da ipoteca con cui l'avvocato P.Iva 01589730629 R.E.A. MI 2848076 Sede Legale: Xxx Xxxxx Xxxxxxxxx, 10 20122 Milano Sede Operativa: Xxxxxx Xxxxxxxx, 0 00000 Xxxxxxxxx xxx.xxxxxxxxxxxx.xx xxxx@xxxxxxxxxxxx.xx Numero Verde 800 653 346 importo impiegato esclusivamente per le esposizioni debitorie del figlio, era rimasta sfornita di prova. La richiesta di consulenza tecnica d'ufficio aveva carattere del tutto esplorativo. Peraltro la giurisprudenza di legittimità ha escluso che il mutuo fondiario abbia natura di mutuo di scopo non essendo necessario indicare la destinazione del credito. Neanche la mancata utilizzazione per il miglioramento fondiario determina in sè la nullità del contratto. In ordine alla violazione del divieto di patto commissorio non sussiste prova dell'accordo illecito (coercizione del debitore a sottostare alla volontà del creditore accettando preventivamente il trasferimento di proprietà di un suo bene come conseguenza della mancata estinzione del debito). Peraltro i mutuatari non erano impossidenti ma proprietari di svariati immobili. In ordine all'impossibilità sopravvenuta non risulta provato che la somma data a mutuo non sia stata messa nella disponibilità dei mutuatari così impedendone la restituzione. La risoluzione era stata determinata in ossequio alle prescrizioni contrattuali per il mancato pagamento e non solo per il ritardo di due ratei. Non si era obbligato provveduto ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 39, perchè oltre all'estinzione della quinta parte del debito è necessario, per tre anni la riduzione proporzionale della somma iscritta e la parziale liberazione dei beni ipotecati, che i rimanenti beni siano sufficienti alla garanzia. La censura relativa all'usurarietà dei tassi d'interesse è stata ritenuta generica in quanto non vengono esposte le ragioni in base alle quali il giudice di primo grado avrebbe errato. Peraltro, l'applicabilità della L. n. 108 del 1996, doveva limitarsi alla parte di mutuo in esecuzione dopo la sua entrata in vigore (il mutuo è stato risolto nell'agosto 2000). In ordine agli interessi anatocistici, la nullità riguarda solo i mutui ordinari. La partecipazione dei successori a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto titolo particolare Calliope e rigettava ogni domanda di danniIsland Financing è avvenuta regolarmente con procura valida ed efficace, dando atto tenuto conto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto due intervenienti si sono limitate a richiedere il rigetto del ricorsogravame. Infine devono ritenersi validi gli atti compiuti dal procuratore del Banco di Sicilia in quanto titolare del credito formante oggetto della procedura esecutiva in contestazione. Avverso tale pronuncia hanno proposto ricorso per cassazione P.S. e C.M.. Hanno resistito con autonomi controricorsi Unicredit Credit Managment Bank S.P.A.; Island Refinancing s.r.l. e Calliope S.R.L. Sono state depositate memorie dai ricorrenti e da Di do Bank (già Unicredit Managment Bank s.p.a.).

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Svolgimento del processo. Il 21 agosto 1995 il presidente del Tribunale di Torino, accogliendo il ricorso proposto dall’Istituto Bancario San Paolo (cui è poi succeduta la San Paolo IMI s.p.a., e che in prosieguo sarà comunque indicato solo come San Paolo), ingiunse con decreto alla Fin. Com. Valori s.r.l. (in prosieguo Fincom) di pagare all'istituto ricorrente la somma di £. 4.371.350.619, costituente il saldo debitorio di un conto corrente al quale accedeva una linea di credito per operazioni in valuta e per operazioni su titoli derivati. Col medesimo decreto fu altresì ingiunto alla Edilcentro Immobiliare s.r.l. (in prosieguo Edilcentro) il pagamento di £ 1.500.000.000 ed al sig. Xxxxxxx Xxxxxxxxxx il pagamento di £ 2.500.000.000, in forza delle garanzie da costoro a suo tempo prestate. Gli ingiunti proposero separate opposizioni, poi riunite. Oltre a sollevare contestazioni sulla ritualità del procedimento monitorio, sull'addebito della commissione di massimo scoperto, sulla decorrenza e sulla misura degli interessi convenzionali applicati, essi eccepirono l'invalidità dei contratti stipulati, in quanto estranei all'oggetto sociale della Fincom, e negarono che ai crediti della banca derivanti dall'esecuzione di detti contratti competesse azione per il pagamento, trattandosi dì negozi assimilabili al gioco o alla scommessa e perciò rientranti nella previsione dell'art. 1933 c.c. Sostennero poi che il passivo accumulato sul conto era frutto di operazioni finanziarie nel compimento delle quali l'istituto di credito era venuto meno ai doveri impostigli dall'art. 6 dell'allora vigente legge n. 1 del 1991, perché aveva suggerito investimenti estremamente rischiosi senza adeguata informazione per il cliente ed in eccesso rispetto alle disponibilità finanziarie del medesimo e perché aveva agito in conflitto d'interessi con il cliente medesimo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale per Fincom chiese perciò anche, in via riconvenzionale, la Protezione dell'Ambiente condanna in proprio favore del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna San Paolo al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava La sola Xxxxxxxxxx eccepì inoltre l'invalidità della concessa fideiussione, sia perché estranea al proprio oggetto sociale, sia perché rilasciata da un amministratore, il rapporto come contratto già menzionato sig. Xxxxxxxxxx, che versava in conflitto d'interessi essendo al tempo stesso anche amministratore della Fincom. In corso di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato causa gli opponenti eccepirono altresì la nullità dei contratti dai quali le perdite erano scaturite, per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'enteviolazione delle norme imperative contenute nell'art. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni 6 della citata legge n. 1, ed anche il sig. Xxxxxxxxxx formulò domanda di risarcimento dei danni. L'opposizione fu accolta dal tribunale, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo, solo per i profili attinenti alla commissione di massimo scoperto ed alla decorrenza degli interessi. Le ulteriori ragioni addotte dagli opponenti non furono invece ritenute fondate ed i medesimi opponenti furono perciò condannati al pagamento del debito capitale indicato nel ricorso monitorio, oltre agli interessi al tasso convenzionale richiesto. I gravami proposti contro tale decisione dalla Fincom, dalla Edilcentro e dal sig. Grattarola furono riuniti e rigettati dalla Corte d'appello di Torino con sentenza depositata il 10 novembre 2001. La corte piemontese ritenne infondata l'eccezione di nullità dei contratti aventi ad oggetto le operazioni finanziarie in questione osservando che le violazioni dedotte in causa riguardavano la condotta prenegoziale dell'istituto di credito, oppure obblighi legali accessori afferenti all'adempimento dei contratti già conclusi, ma non potevano riflettersi sulla validità di detti contratti. Escluse che alle menzionate operazioni potesse applicarsi la previsione dell'art. 1933 c.c., rientrando esse tra quelle che l'art. 23 della legge n. 1 del 1991 espressamente sottrae alla citata previsione del codice. Stimò inammissibili, perché generiche, le doglianze riguardanti la ritualità del procedimento monitorio e la misura degli interessi debitori. Negò che le più volte richiamate operazioni finanziarie potessero dirsi estranee all'oggetto sociale della Fincom e considerò che, comunque, non vi era prova dell'ipotizzata mala fede dell'istituto di credito in ordine all'asserita estraneità di dette operazioni all'oggetto sociale. Per analoghe ragioni la corte giudicò infondata anche l'eccezione di estraneità della fideiussione prestata della Edilcentro all'oggetto sociale di quest'ultima società, ed escluse la configurabilità della situazione di conflitto di interessi in cui l'amministratore si sarebbe trovato nel rilasciare fideiussione per debiti di altra società appartenente al medesimo gruppo. Quanto, infine, alle domande di risarcimento dei danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldatela corte d'appello dichiarò inammissibile quella proposta tardivamente, solo in corso di causa, dal sig. Adita dal professionistaXxxxxxxxxx; reputò invece ammissibile, la Corte nei soli limiti dell'originaria formulazione, quella proposta dalla Fincom, ma non fondata, per difetto di appello prova del nesso causale tra il danno sofferto da detta società e l'asserita situazione di Trieste rigettava il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" conflitto d'interessi in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte cui l'istituto di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" credito avrebbe agito e per essere rimasto indimostrato che i funzionari di detto istituto avevano istigato il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenutacliente a compiere operazioni eccessivamente rischiose. Seguì la condanna in solido degli appellanti alle spese del grado, da ricollegare comprensive di compensi professionali liquidati però non secondo i dettami della tariffa forense, ritenuta inapplicabile alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi stregua dei principi desumibili dal Trattato dell'Unione europea, bensì sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte base dei Contiparametri posti dall'art. L'avv2233, secondo comma, c.c. P. ha Avverso tale sentenza hanno proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato articolato in otto motivi ed illustrato con memoria, la Fincom, la Edilcentro ed il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17sig. ARPA ha Grattarola. Ha resistito con controricorsocontroricorso e memoria il San Paolo. Con ordinanza n. 3683 del 16 febbraio 2007, la prima sezione civile di questa corte ha rilevato che, nella sentenza della stessa prima sezione del 29 settembre 2005, n. 19024, è stato escluso che l'inosservanza degli obblighi informativi stabiliti dall'art. 6 della legge n. 1 del 1991 possa cagionare la nullità del negozio, poiché quegli obblighi informativi riguardano elementi utili per la valutazione della convenienza dell'operazione e la loro violazione non dà luogo a mancanza del consenso, e perché la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative postula una violazione attinente ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, relativi alla struttura o al contenuto del contratto, e non invece all'illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative ovvero in fase di esecuzione, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a dette ipotesi. Nella citata ordinanza della prima sezione è stato però manifestato il dubbio che il principio dianzi ricordato, quantunque corrispondente ad un tradizionale filone giurisprudenziale, non sia coerente con i presupposti da cui muovono molteplici altre decisioni di questa corte: la quale ha ravvisato ipotesi di nullità c.d. virtuale del contratto in caso di mancanza di autorizzazione a contrarre o di mancanza di necessari requisiti soggettivi di uno dei contraenti, in caso di contratti concepiti in modo da sottrarre una delle parti agli obblighi di controllo su di essa gravanti o da consentire l'aggiramento di divieti a contrarre, ed in caso di circonvenzione d'incapace. Situazioni, queste, nelle quali è appunto la violazione di norme imperative concernenti la fase precontrattuale o le modalità esecutive del rapporto contrattuale a venire in evidenza. D'altronde - ha osservato ancora l'ordinanza - il tradizionale principio di non interferenza delle regole di comportamento con quelle di validità del negozio, cui la citata sentenza n. 19024/05 si ispira, appare incrinato da molteplici recenti interventi del legislatore, che assegnano rilievo al comportamento contrattuale delle parti anche ai fini della validità del contratto: tali l'art. 9 della legge n. 192 del 1998, in tema di abuso di dipendenza economica nei contratti di subfornitura di attività produttive, l'art. 52, comma terzo, del codice del consumo (d. lgs. n. 206 del 2005), in tema di contratti stipulati telefonicamente, l'art. 34 del citato codice, in tema di clausole vessatorie, l'art. 7 del d. lgs. n. 231 del 2002, in tema di clausola di dilazione dei termini di pagamento, e l'art. 3 della legge n. 287 del 1990, in tema di clausole imposte con abuso di posizione dominante. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto ricorso è stato perciò rimesso alle sezioni unite, sia per dirimere il rigetto ravvisato contrasto di giurisprudenza sull'interferenza tra regole di comportamento e regole di validità del ricorsocontratto, sia comunque perché si tratta di questione di massima e di particolare importanza.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con atto di citazione notificato il recesso dell'Agenzia Regionale 21.12,1998 B.P. evocava, dinanzi al Tribunale di Mantova, il Comune di Castiglione delle Stiviere chiedendone la condanna al pagamento della somma di L. 150.859.451, oltre accessori, a titolo di corrispettivo delle prestazioni svolte in esecuzione dell'incarico di progettazione e direzione lavori dell'edificio da destinare a nuova sede del Comando della Compagnia dell'Arma dei Carabinieri, conferitogli con atto esecutivo della giunta municipale n. 768/GM del 3.9.1986. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del Comune convenuto, il quale chiedeva ed otteneva di chiamare in garanzia la ULD S.p.A. (con la quale aveva stipulato una convenzione per la Protezione dell'Ambiente del costruzione della caserma di cui era stato presentato, per l'approvazione dell'ente, il progetto redatto dall'attore) e, nel merito, deduceva la nullità della delibera di conferimento dell'incarico, in subordine, che il compenso non avrebbe potuto superare L. 55.641.000, costituita la terza chiamata, che successivamente (OMISSISsull'accordo delle parti) (ARPA) veniva estromessa dal contratto giudizio, il Tribunale adito, all'esito dell'istruzione della causa, accoglieva la domanda attorea. In virtù di consulenza e conferimento rituale appello interposto dal Comune di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutaCastiglione delle Stiviere, con condanna al risarcimento il quale lamentava che il giudice di prime cure avesse disatteso l'eccezione di nullità del contratto per difetto di sottoscrizione da parte del Sindaco, nonchè la nullità della delibera per mancata previsione dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato mezzi per tre anni a prestare fronteggiare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistaspesa, la Corte di appello Appello di Trieste Brescia, nella resistenza dell'appellato, accoglieva l'appello e in riforma della sentenza impugnata, rigettava il gravamela domanda attorea. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata"sostegno dell'adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che la conclusione di contratto d'opera con la pubblica amministrazione necessitava di forma scritta ad substantiam ed in mancanza di tale requisito doveva ritenersi l'inesistenza dell'obbligazione contrattuale a carico dell'amministrazione medesima per non avere pacificamente il Sindaco sottoscritto il disciplinare allegato alla prima delibera. Nè la sussistenza del contratto poteva essere ricavato aliunde. Avverso l'indicata sentenza della Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente Appello di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. Brescia ha proposto sei motivi di ricorso per cassazionecassazione il B., notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienzache risulta articolato su due motivi, alla al quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito il Comune con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con ricorso depositato l'8.3.06 l'INPS proponeva appello contro la sentenza n. 764/05 del Tribunale di Brescia, con la quale era stata accolta l'opposizione alla cartella esattoriale notificata il recesso dell'Agenzia Regionale 28.5.04 a Xx.Xx. per il recupero dei contributi previdenziali relativamente alla rapporto di lavoro subordinato intercorso con il geometra Xx.Xx. , illegittimamente inquadrato come apprendista. Lamentava l'appellante che il giudice di primo grado, dopo avere affermato l'applicabilita' al rapporto di lavoro oggetto di controversia del ccnl Studi professionali per richiamo espresso nel contratto individuale, avesse cio' nonostante affermato la Protezione dell'Ambiente legittimita' del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento apprendistato con un lavoratore in possesso del diploma dell'istituto tecnico per geometri in relazione alla acquisizione della qualifica professionale di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenziadisegnatore tecnico, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutaossia, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti mansioni per le quali vi era stata una formazione specifica in ambito scolastico. Si costituiva l'appellato contestando in fatto e in diritto gli affari legali dell'enteargomenti svolti a sostegno della impugnazione, ribadendo la compatibilita' del contratto di apprendistato con la contestuale pratica professionale per l'iscrizione all'albo e proponendo appello incidentale contro il capo di sentenza con il quale era stata disattesa l'eccezione di inapplicabilita', al rapporto intercorso con Xx.Xx. Riteneva sussistente , del ccnl Studi professionali e di illegittimita' dello stesso per contrasto con una giusta causa oggettiva disposizione di risoluzione legge, nella parte nella quale escludeva la possibilita' di stipulare contratti di apprendistato con soggetti in possesso del rapporto e rigettava ogni domanda diploma professionale o di danniistituto tecnico. Con sentenza del 22 giugno - 22 settembre 2006, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la l'adita Corte di appello Appello di Trieste Brescia, in riforma della impugnata decisione, rigettava il gravamel'opposizione alla cartella esattoriale in oggetto, aderendo alla tesi dell'INPS circa la inconfigurabilita' di un contratto di apprendistato per un lavoratore in possesso del diploma di geometra rispetto a mansioni di disegnatore tecnico. A tal fineRigettava, altresi', l'appello incidentale, dovendosi ritenere valida la clausola del ccnl degli Studi professionali, che escludeva la possibilita' di stipulare contratti di apprendistato con sentenza 3 aprile 2013soggetti in possesso di diploma professionale o di istituto tecnico. Per la cassazione di tale pronuncia, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"ricorre Fo. Vi. con due motivi, e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, ulteriormente illustrati da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito ex articolo 378 c.p.c.. Resiste l'INPS con controricorso. MOTIVI DELLA DECISIONE Con il primo mezzo d'impugnazione, il ricorrente, denunciando violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ed illegittimita' del ccnl del 9.12.1996 e dell'accordo del 30.7.1998 studi professionali (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), sostiene che, pur avendo evidenziato, sia in primo che in secondo grado, il contrasto esistente tra la Legge 24 giugno 1997, n. 196, articolo 16 e l'accordo del 30.7.1998 (modificativo del CCNL dle 9.12.1996 per gli Studi Professionali), il Giudice di appello non avrebbe fornito alcuna adeguata soluzione in ordine a detto conflitto riguardante due fonti giuridiche, di grado pacificamente diverso. Con il secondo motivo, richiamandosi la medesima normativa, si contesta, sotto il profilo della sua violazione e sotto quello motivazionale, l'assunto della Corte di Brescia circa la inammissibilita' del contratto di apprendistato rispetto al diplomato geometra con mansioni di disegnatore. Il procuratore generale ricorso, pur valutato nelle sue diverse articolazioni, e' infondato. Giova premettere che la Legge n. 196 del 1997, articolo 16, comma 2 ha previsto la possibilita' di stipulare contratti di apprendistato con soggetti in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte possesso di titolo di studio post - obbligo o di attestato di qualifica professionale. Cio' non significa pero' - come opportunamente rimarcato nella impugnata pronuncia- che sia consentito alle parti di assoggettare il contratto a un regime contributivo (fortemente) agevolato in forza di una dichiarazione negoziale meramente qualificatoria a prescindere dal contenuto del rapporto di lavoro cosi' instaurato. Il comma 2 richiama implicitamente ed esplicitamente la Legge n. 25 del 1955, della quale con cui ha chiesto il rigetto comma 6 sono stati abrogate solo le disposizioni relative ai limiti di eta' per l'assunzione. E' quindi necessario che il contratto di apprendistato abbia un effettivo contenuto formativo, come del ricorsoresto e' ribadito nello stesso articolo 1, comma 2 cit. che addirittura subordina le agevolazioni contributive alla esistenza non solo di un obbligo di formazione in capo al datore di lavoro nell'ambito del rapporto con l'apprendista, ma anche alla partecipazione a iniziative di formazione esterne previste dai ccnl. Da tale corretta premessa - fatta propria dal Giudice a quo - discende che la legittimita' del contratto di apprendistato in ragione della sussistenza del rapporto di formazione professionale debba essere valutata in relazione ad ogni singolo rapporto di lavoro e non in astratto in ragione della esistenza di una disposizione di legge che lo consente anche con soggetti diplomati.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con sentenza n. 2649/2003, il recesso dell'Agenzia Regionale Tribunale di Firenze accoglieva l'opposizione proposta da X.X. xxxxxxx il decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti ad istanza della s.p.a. Centro Leasing per la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal il pagamento della somma di L. 132.714.179 oltre accessori, in relazione ad un contratto di consulenza locazione finanziaria avente ad oggetto un ecografo e conferimento altri apparecchi; senza provvedere, di incarico conseguenza, sulla domanda di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva manleva proposta dal V. nei confronti dell'Agenziadei chiamati in causa s.r.l. RWS e O.G., chiedendo rispettivamente società che fosse accertato l'inadempimento contrattuale avrebbe dovuto fornire il macchinario e rappresentante della convenutastessa società; compensava interamente le spese tra le parti. A fondamento della decisione il Tribunale osservava che il V. - pur avendo sottoscritto la dichiarazione di accettazione dei macchinari, con condanna avente valore di benestare al risarcimento dei dannipagamento da parte della Centro Leasing, indotto a ciò dall' O. che gli aveva promesso tempi di consegna più celeri - non aveva mai ricevuto le apparecchiature in questione, le quali erano determinate solo nel genere e non risultavano mai specificate, non essendo a tal fine sufficiente la dichiarazione indicata. Il tribunale qualificava Ne derivava - secondo il rapporto come Tribunale - l'inefficacia del contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato locazione finanziaria per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di dannimancanza dell'oggetto o, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistacomunque, la sua risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione. La decisione, gravata da impugnazione in via principale della s.p.a. Centro Leasing e in via incidentale dal V., era riformata dalla Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fineFirenze, la quale con sentenza 3 in data 8 aprile 20132010, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa così provvedeva: accoglieva l'appello della s.p.a. Centro Leasing e confermava il "mandato alle liti"decreto ingiuntivo opposto dal V., e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" condannava al pagamento delle spese processuali dei due gradi in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'operafavore dell'appellante. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. Avverso detta sentenza ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 cassazione V. M. contro la s.p.a. Centro Leasing e nei confronti di O. G. e della successiva pubblica udienzaCuratela del Fallimento RWS s.r.l., alla quale svolgendo sette motivi. Ha resistito la causa s.p.a. Centro Leasing, depositando controricorso Nessuna attività difensiva è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsosvolta dagli altri intimati.

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Samples: Contratto Di Leasing E Inadempimento

Svolgimento del processo. La causa concerne Con sentenza in data 14 dicembre 2005 il recesso dell'Agenzia Regionale Tribunale di Macerata dichiarava la cessazione degli effetti civili del matrimonio tra P.M. e O.L.; affidava alla madre i figli minori, ponendo a carico del padre un contributo periodico al loro mantenimento; rigettava altresì la domanda riconvenzionale dell' O., volta ad ottenere sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., per la Protezione dell'Ambiente esecuzione in forma specifica dell'impegno assunto, con scrittura privata, dalla P., prima del matrimonio, di trasferire all' O. stesso la proprietà di immobile, in caso di "fallimento" del matrimonio stesso. Avverso tale sentenza proponeva appello l' O., limitando il gravame alla questione della validità ed eseguibilità del predetto impegno, assunto dalla moglie. Costituitasi, la P. chiedeva rigettarsi l'appello. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 28/02/2007 - 14/03/2007, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Macerata, dichiarava valido ed efficace, nei confronti dell' O., il predetto impegno negoziale della P., omettendo peraltro pronuncia ex art. 2932 c.c., ed invitando la parte interessata ad attivarsi, al riguardo, in separata sede. Ricorre per cassazione la P. Con il primo motivo la ricorrente sostiene che la scrittura privata in questione trarrebbe il proprio titolo genetico dal matrimonio e integrerebbe violazione dell'art. 160 c.c., ove si precisa che i coniugi non possono derogare ai doveri e diritti nascenti dal matrimonio. Con il secondo lamenta la ricorrente insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata all'interpretazione della predetta scrittura. La scrittura privata. sottoscritta dai nubendi il giorno prima della celebrazione del matrimonio, prevede che, in caso di suo fallimento (OMISSIS) (ARPA) dal contratto separazione o divorzio), la P. cederà al marito un immobile di consulenza sua proprietà, quale indennizzo delle spese sostenute dallo stesso per la ristrutturazione di altro immobile, pure di sua proprietà, da adibirsi a casa coniugale; a saldo, comunque, l' O. trasferirà alla moglie un titolo BOT di L. 20.000.000. E' evidente che la ricorrente inquadra la predetta scrittura tra gli accordi prematrimoniali in vista del divorzio, molto frequenti in altri Stati, segnatamente quelli di cultura anglosassone, dove essi svolgono una proficua funzione di deflazione delle controversie familiari e conferimento divorzili. Come è noto, la giurisprudenza è orientata a ritenere tali accordi, assunti prima del matrimonio o magari in sede di incarico separazione consensuale, e in vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con ì principi di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre indisponibilità degli status e dello stesso anno assegno di divorzio (per tutte, Cass. N. 6857 del 1992). Tale orientamento è criticato da parte della dottrina, in quanto trascurerebbe di considerare adeguatamente non solo i principi del diritto di famiglia, ma la stessa evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più ampi spazi di autonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche successivi alla crisi coniugale. (E' assai singolare che invece siano stati ritenuti validi accordi in vista di una dichiarazione di nullità del matrimonio, perché sarebbero correlati ad un procedimento dalle forti connotazioni inquisitorie, volto ad accertare l'esistenza o meno di una causa di invalidità del matrimonio, fuori da ogni potere negoziale di disposizione degli status: tra le altre, Cass. N. 348 del 1993). Giurisprudenza più recente di questa Corte ha invece sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all'ordine pubblico: più specificamente il professionista agiva nei confronti dell'Agenziaprincipio dell'indisponibilità preventiva dell'assegno di divorzio dovrebbe rinvenirsi nella tutela del coniuge economicamente più debole, chiedendo e l'azione di nullità (relativa) sarebbe proponibile soltanto da questo (al riguardo, tra le altre, Xxxx. N. 8109 del 2000; n. 2492 del 2001; n. 5302/2006). Va peraltro precisato che la sentenza impugnata, sorretta da motivazione ampia, articolata e non illogica, ha fornito un preciso inquadramento della scrittura privata in esame. Si tratta, all'evidenza, di valutazione di merito, insuscettibile di controllo in questa sede, ove immune da errori di diritto. L'impegno negoziale della P., una sorta di datio in solutum, viene collegato alle spese affrontate dall'O. per la sistemazione di altro immobile adibito a casa coniugale, e il fallimento del matrimonio non viene considerato come causa genetica dell'accordo, ma è degradato a mero "evento condizionale". Prosegue la Corte di merito precisando che, ove causa genetica fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutail matrimonio (e il suo fallimento), con condanna l'impegno predetto, una sorta di sanzione dissuasiva volta a condizionare la libertà decisionale degli sposi anche in ordine all'assunzione di iniziative tendenti allo scioglimento del vincolo coniugale, sarebbe sicuramente nullo. Ma indice di tale ipotesi potrebbe essere soltanto una notevole sproporzione delle prestazioni, al risarcimento dei dannicontrario non provata. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile L'argomentazione è censurata dalla ricorrente, ma, al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistacontrario, la Corte territoriale ha fatto buon uso delle regole di appello ermeneutica contrattuale, in particolare con riferimento all'art. 1363 c.c., per cui le clausole del contratto si interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell'atto. Si tratterebbe in definitiva - si può aggiungere - di Trieste rigettava il gravame. A tal fineun accordo tra le parti, libera espressione della loro autonomia negoziale, estraneo peraltro alla categoria degli accordi prematrimoniali (ovvero effettuati in sede di separazione consensuale) in vista del divorzio, che intendono regolare l'intero assetto economico tra i coniugi o un profilo rilevante (come la corresponsione di assegno), con sentenza 3 aprile 2013possibili arricchimenti e impoverimenti. Nella specie, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"dunque un accorcio (rectius: un vero e proprio contratto) caratterizzato da prestazioni e controprestazioni tra loro proporzionali, e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsosecondo l'inquadramento effettuato dal giudice a quo.

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Svolgimento del processo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale Il Consorzio UNISAN Società Cooperativa sociale - Onlus ricorre per la Protezione dell'Ambiente del cassazione della sentenza della Corte d'Appello di Roma n. 1600/2017, pubblicata il 31/03/2017, affidandosi a tre motivi, illustrati con memoria. Resiste e propone ricorso incidentale, fondato su un solo motivo, l'Associazione Xxxx Xxxxx Onlus in liquidazione. Il Consorzio ricorrente espone quanto segue. L'Associazione Anni Verdi Onlus concedeva in locazione, per l'esclusivo svolgimento di attività di assistenza sanitaria, al Patrimonio destinato dalla Società Riabilitazione e Reinserimento RI.REI. - Consorzio di cooperative sociali società cooperativa Onlus (d'ora innanzi indicato come Consorzio RI.REI.) due immobili in (OMISSIS) ), siti in (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutaOMISSIS), con condanna decorrenza dall'1/08/2008 e fino al risarcimento 31/07/2010, per il canone di Euro 14.166,67; con altro contratto locava un altro immobile in (OMISSIS), con decorrenza dall'1/12/2008 e fino al 31/07/2010, per il canone mensile di Euro 1.931,67. Alla scadenza di entrambi i contratti il Consorzio RI.REI. non riconsegnava gli immobili; anzi, con scrittura privata del 3 maggio 2011 concedeva in affitto al Consorzio UNISAN tra Cooperative sociali - Società cooperativa sociale Onlus (d'ora in avanti indicato come Consorzio UNISAN) il ramo d'azienda comprensivo delle attività assistenziali svolte negli immobili locati, determinando il subentro del Consorzio UNISAN nella disponibilità dei dannisuddetti immobili. Con ricorso al Tribunale di Roma, ex art. 447 bis c.p.c., l'Associazione Anni verdi Onlus in liquidazione denunciava la mancata riconsegna degli immobili concessi in godimento alla scadenza dei contratti di locazione; deduceva il mancato pagamento dei canoni, prima, e delle indennità di occupazione, successivamente, nonchè la mancata registrazione dei contratti. Rilevata la concessione in affitto del ramo di azienda al Consorzio UNISAN, quando i contratti di locazione risultavano scaduti, denunciava l'occupazione senza titolo degli immobili da parte del Consorzio UNISAN e la reiterata morosità di quest'ultimo relativamente alla corresponsione dei canoni di locazione e/o delle indennità di occupazione. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto Tribunale di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fineRoma, con sentenza n. 10443/2014, accoglieva la domanda attorea, dichiarava risolti per inadempimento i contratti di locazione e, per l'effetto, condannava il Consorzio RI.REI e il Consorzio UNISAN al rilascio degli immobili; condannava il Consorzio RI.REI. al pagamento di Euro 240.210,67 per canoni scaduti e non pagati fino al 2 maggio 2011 e di Euro 16.446,68 per imposte di registrazione, al netto degli interessi; condannava in solido il Consorzio RI.REI e il Consorzio UNISAN al pagamento di Euro 434.655,09 per indennità di occupazione dal 3 aprile 2013maggio 2011 alla data del ricorso, di Euro 16.098,34 mensili per indennità di occupazione sino al rilascio dei beni, al netto degli interessi legali, e poneva a carico di entrambi le spese di lite. La decisione veniva impugnata dinanzi alla Corte d'Appello di Roma, in via principale, dal Consorzio UNISAN e, in via incidentale, dall'Associazione Anni Verdi Onlus. Entrambi gli appelli venivano rigettati dalla Corte territoriale con la sentenza oggetto dell'odierna impugnazione che, dopo aver discusso respinto la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti"richiesta di sospensione del giudizio ex art. 295 c.p.c., ritenuti assenti i presupposti normativi e dopo aver rilevato che la pregiudizialità, consequenzialità e dipendenza tra le parti questioni oggetto del giudizio in corso e quelle oggetto della sentenza del Tribunale di Roma n. 20374/2016, confermava integralmente la decisione del giudice di prime cure e compensava parzialmente le spese di lite tra le parti, condannando il Consorzio UNISAN al pagamento della metà del loro ammontare. I quattro motivi formulati dall'appellante principale - 1) nullità del contratto per mancata registrazione; 2) erroneità della sentenza nella parte in cui aveva ritenuto inopponibile il contratto di locazione per mancata comunicazione L. n. 392 del 1978, ex art. 36; 3) mancata considerazione del particolare contesto in cui si era svolta la controversia; 4) mancato scomputo dal dovuto della somma di Euro 415.349,00 per i lavori di ristrutturazione eseguiti sugli immobili locati - venivano rigettati con le seguenti motivazioni: la registrazione tardiva aveva avuto effetto sanante ex tunc, ai sensi dell'art. 1360 c.c., costituendo la registrazione non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata"un requisito di validità del contratto, bensì di efficacia; l'inopponibilità al terzo cessionario del contratto di locazione, la Corte mancata considerazione del contesto della controversia e la richiesta di appello qualificava scomputo delle somme spese per la ristrutturazione dei beni locati erano da ritenersi questioni nuove, in precedenza non dedotte. Le censure formulate dall'Associazione Xxxx Xxxxx - violazione della L. n. 431 del 1998, art. 5 in relazione alla L. n. 392 del 1978, art. 27 ed errata valutazione circa la natura transitoria del contratto; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 231 del 2002; violazione e falsa applicazione dell'art. 1591 x.x. x xxxx'xxx. 000 x.x.x. - xxxxxxxx rigettate perchè: a) la durata minima contrattuale prevista dalla L. n. 392 del 1978, art. 27 doveva considerarsi applicabile al caso di specie, residuando la possibilità di una durata inferiore a sei anni per la documentata transitorietà delle esigenze locatizie del conduttore, mentre i contratti in oggetto avevano avuto una durata biennale per esigenze del locatore, perciò il rapporto come contratto d'operagiudice di prime cure che aveva sostituito alla durata pattizia quella minima legale non era incorso in errore; b) correttamente il giudice di primo grado aveva dichiarato risolti i contratti per inadempimento e non per scadenza della locazione ed aveva concluso per l'inesigibilità della richiesta di risarcimento del danno, ex art. Riteneva pertanto legittimo 1591 c.c.; c) il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenutaD.Lgs. n. 231 del 2002 non poteva applicarsi al caso di specie, data l'inestensibilità alle attività assistenziali svolte da ricollegare una onlus della normativa ivi contenuta, riferibile esclusivamente allo svolgimento di attività di impresa ed alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.P.A.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Con atto di citazione ritualmente notificato la P.O.F. s.r.l. esponeva di avere acquistato il recesso dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente 29- 1-1986 un appartamento in Roma, via (omissis) , del (OMISSIS) (ARPA) dal quale i venditori F.M. e R.S. avevano mantenuto il godimento, a titolo di comodato gratuito, con accollo di tutte le spese di riparazione e di manutenzione ordinaria e straordinaria, sino al 31-12-1989, e con riserva del diritto di esercitare a tale data il diritto di riscatto dell'immobile, previa restituzione del prezzo rivalutato secondo indici ISTAT e rimborso delle spese inerenti al contratto di consulenza vendita. L'attrice assumeva che, al termine previsto, il diritto di riscatto non era stato esercitato, il prezzo della compravendita non era stato restituito e conferimento ciò nonostante i venditori si erano rifiutati di incarico consegnarle l'immobile a seguito del formale invito comunicato il 31-12-1990. Tanto premesso, essa chiedeva dichiararsi l'avvenuta scadenza del termine pattuito senza che fosse stato esercitato il diritto di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 riscatto e la cessazione del rapporto di comodato, con l'avvocato P.M.. ordine ai convenuti di rilascio dell'immobile e condanna degli stessi al risarcimento del danno per l'illegittima detenzione del bene. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva costituirsi, i convenuti eccepivano che la compravendita del suddetto immobile era avvenuta all'esclusivo fine di garantire la restituzione di un debito di lire 135.000.000 maturato nei confronti dell'Agenziadi Xx.Xx. per forniture di materiale e attrezzature strumentali all'attività didattica da essi esercitata; che l'immobile aveva un valore di mercato ben superiore al prezzo di vendita indicato nel contratto; che con una contemporanea scrittura di chiarimento era stato altresì convenuto che l'acquirente P.O.F. avrebbe versato la residua parte del prezzo pattuito (lire 42.940.536) ad altre società controllate dal Po. ed a garanzia di cessioni di pagamento versate da F. ; che varie somme di danaro erano state restituite mediante effetti cambiari e assegni accettati con le firme autentiche degli amministratori della P.O.F., chiedendo Xx.Xx. in tempi prossimi alla stipulazione della compravendita e G.M. successivamente. Nel sostenere, pertanto, che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutala fattispecie presentava tutti gli aspetti di un patto commissorio, i convenuti chiedevano che venisse dichiarata la nullità dell'atto di compravendita per difetto di causa, con conseguente rigetto della domanda attrice e condanna della società istante alla restituzione delle maggiori somme versate dai convenuti rispetto a quelle ricevute in mutuo, oltre agli interessi legali e alla rivalutazione monetaria. Con sentenza in data 25-6-2004 il Tribunale di Roma condannava i convenuti al risarcimento dei dannirilascio dell'immobile in favore dell'attrice, dichiarando il mancato esercizio del diritto di riscatto e la cessazione del comodato; rigettava, invece, ogni altra domanda. Il tribunale qualificava Avverso la predetta decisione proponevano appello i convenuti. Con sentenza in data 25-2-2010 la Corte di Appello di Roma rigettava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di dannigravame, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldatedella mancanza di prova della dedotta esistenza di un patto commissorio. Adita dal professionistaPer la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso F.M. e R.S. , la Corte sulla base di appello di Trieste rigettava il gravametre motivi. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'operaLa P.O.F. s.r.l. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale controricorso e in data 13 febbraio 2017 prossimità dell’udienza ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.una memoria ex art. 378 c.p.c..

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Svolgimento del processo. La causa concerne il recesso dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto F.G. convenne dinanzi al tribunale di consulenza Busto Arsizio B.A., Xx.Xx., B.G., B.M. T. e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'AgenziaB.R., chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, la risolu- zione per inadempimento del contratto preliminare di compravendita con gli stessi stipulato nell’aprile del 1989 e la loro condanna al risarcimento dei danni. Il A so- stegno di tali richieste, il X.X. xxxxxxx che gli odierni convenuti, quali promittenti venditori, avevano diserta- to l’appuntamento dinanzi al notaio Be. fissato per la sti- pula del contratto definitivo il giorno 30 giugno 1989, dopo che la precedente convocazione era stata rinviata per consentire loro una regolarizzazione di ordine fiscale, precisando che tale assenza gli impedì di vendere, a sua volta, un proprio immobile, per il deciso rifiuto dell’altro contraente di procrastinare l’atto di acquisto. Si costituirono in giudizio i B., ad eccezione di B. A., ri- masta contumace, chiedendo il rigetto delle domande e, in caso di loro accoglimento, di essere manlevati dal me- diatore, la s.a.s. Studio Busto di F. M. e C. che, chiamata in causa, si difese proponendo, in via autonoma, xxxxxx- sta nei confronti dei convenuti di pagamento della prov- vigione. Esaurita l’istruttoria, il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare adito rigettò sia la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'entedo- manda del F. G., che quella della terza chiamata. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione Con sentenza del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista31 dicembre 1999, la Corte di appello di Trieste rigettava il gravame. A tal fineMilano, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra cui si erano rivolte tutte le parti del giudizio, così dispose: a) respinse l’appello principale del F. G., re- putando che,essendo il termine fissato nel contratto pre- liminare non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata"essenziale, il comportamento dei promet- tenti venditori integrasse un ritardo di non grave impor- tanza e non già un inadempimento definitivo, tale da le- gittimare la Corte risoluzione del contratto, b) accolse l’appel- lo incidentale proposto dalla s.a.s. Studio Busto di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" F. M. e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale C. e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia condannò i B. al pagamento della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.provvigione a questa dovuta;

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Svolgimento del processo. La causa concerne Nel fallimento della Xx.Xx. S.n.c. di Ficara Concetto Paolo & C., pendente dinanzi al Tribunale di Forlì, la Cassa dei Risparmi di Forlì propose opposizione ad un piano di riparto parziale dichiarato esecutivo dal giudice delegato. Premesso che la somma distribuita costituiva il recesso dell'Agenzia Regionale ricavato della vendita di un appartamento sul quale risultava iscritta ipoteca a garanzia del credito dalla Cassa stessa vantato in virtù di un mutuo fondiario concesso alla società costruttrice dell'immobile, l'opponente sosteneva che erroneamente tale credito era stato collocato con grado inferiore a quello vantato dal B. per la Protezione dell'Ambiente il rimborso della caparra da questo versata contestualmente alla stipulazione di un contratto preliminare di acquisto del (OMISSIS) (ARPA) dal medesimo appartamento, trascritto in data successiva all'iscrizione dell'ipoteca e scioltosi ai sensi della L. Fall., art. 72. Ad avviso dell'opponente, infatti, l'ipoteca concessa a garanzia del finanziamento di un intervento edilizio ai sensi del D.Lgs. 1 settembre 1993, n. 385, art. 38, prevalendo sulla trascrizione anteriore del contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenziapreliminare, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenutaa norma dell'art. 2825 bis c.c., con condanna al risarcimento dei dannidoveva prevalere, a maggior ragione, sulla trascrizione posteriore. Il tribunale qualificava Tribunale accolse la domanda, osservando, anzitutto, che la particolare causa di prelazione accordata al promissario acquirente dall'art. 2775 bis c.c., comma 1, non si sottrae al principio generale enunciato dall'art. 2748 c.c., comma 2, in forza del quale i crediti muniti di privilegio speciale immobiliare prevalgono su quelli ipotecari, se la legge non dispone diversamente. Ha, tuttavia, ravvisato una tale diversa disposizione (idonea, appunto, ad invertire l'anzidetto criterio di priorità) nel combinato disposto degli artt. 2775 bis e 282 5 bis c.c., reputando che dette norme siano da interpretare nel senso della prevalenza delle ipoteche iscritte a garanzia di mutui fondiari erogati a norma del R.D.L. 12 marzo 1936, n. 375, art. 38 e ss., T.U. bancario, rispetto al privilegio immobiliare accordato al promissario acquirente, indipendentemente dall'esservi stato o meno accollo del mutuo da parte dell'acquirente. Così ragionando ha, dunque, ritenuto irrilevante nella fattispecie la precedente affermazione resa sul tema da questa Corte (Xxxx. 14 novembre 2003, n. 17197, della quale si dirà in seguito), considerando che questa non decidesse riguardo ad un istituto di credito garantito da ipoteca ai sensi del D.Lgs. n. 385 del 1993, artt. 38 e segg., ovvero in altro modo garantito da ipoteca. Avverso il rapporto come contratto decreto del Tribunale di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionista, la Corte di appello di Trieste rigettava Forlì il gravame. A tal fine, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. B. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; affidato ad un unico motivo. Ha resistito con controricorso la Cassa dei Risparmi, la quale ha depositato memoria aggiuntiva successivamente memoria. Non ha svolto difese la curatela del fallimento. Con ordinanza interlocutoria del 20 ottobre 2008, la Prima Sezione Civile, ritenuta la sussistenza di una questione di massima di particolare importanza, avente ad oggetto la prevalenza del privilegio di cui all'art. 2775 bis c.c., sulle ipoteche per mutui fondiari iscritte anteriormente alla trascrizione del contratto preliminare, ha rimesso gli atti al Primo Presidente, il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e quale ha disposto l'assegnazione della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorsoalle Sezioni Unite.

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Svolgimento del processo. Il giorno 11 settembre 1991 dall’area di parcheggio adiacente all’aeroporto di Malpensa, gestito dalla S.r.l Sea Parking, fu sottratta un’auto di proprietà della S.p.A. Gnutti Transfer; il veicolo era assicurato contro il furto con la S.p.A. Società Cattolica di Assicurazioni, la quale provvide al pagamento dell’indennizzo alla propria assicurata. La causa concerne Società Cattolica di Assicurazioni, surrogandosi nei diritti del proprio assicurato, con atto di citazione del 27 maggio 1994, ha convenuto in giudizio davanti al Tribunale di Milano la S.r.l. Sea Parking ed ha chiesto la condanna della convenuta al pagamento di oltre £ 80 milioni, che aveva corrisposto alla propria assicurata. La Sea Parking si è costituita nel giudizio ed ha contestato la fondatezza della domanda, sostenendo: che l’attrice non aveva dimostrato di aver introdotto l’auto nel parcheggio; che non si era assunta l’obbligo di custodire il recesso dell'Agenzia Regionale per la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal veicolo; che, quand’anche fosse configurabile un contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava il rapporto come contratto di clientela - riconducibile al mandato oneroso a tempo determinato - con cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldate. Adita dal professionistadeposito, la sottrazione dell’auto non era ad essa imputabile. La domanda è stata rigettata dal Tribunale, che ha dichiarato che in parcheggi come quello gestito dalla Sea Parking il parcheggio non è custode dell’auto. La decisione, impugnata dalla Società Cattolica, è stata riformata dalla Corte di appello di Trieste rigettava il gravameMilano con sentenza del 23 luglio 1999. A tal fineLa Corte di Appello, premesso che chi immette la propria autovettura in un parcheggio intende ottenerne anche la custodia, ha dichiarato che tra l’automobilista e la Sea Parking era intervenuto un contratto che presentava i caratteri del deposito, con sentenza 3 aprile 2013, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa conseguenza che il "mandato alle liti", gestore del parcheggio aveva l’obbligo di custodire l’autovettura e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'operarispondere del furto. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei ContiLa S.r.l. L'avv. P. Sea Parking ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; cassazione ed ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17memoria. ARPA La Società Cattolica di Assicurazioni coop. a r.l. ha resistito con controricorso. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 ha depositato conclusioni scritte con cui ha chiesto il rigetto del ricorso.

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Svolgimento del processo. La causa concerne Xx.Xx. conveniva, davanti al tribunale di Xxxxx, il recesso dell'Agenzia Regionale per Comune di Lago (CS) chiedendone la Protezione dell'Ambiente del (OMISSIS) (ARPA) dal contratto di consulenza e conferimento di incarico di assistenza legale rinnovato nel febbraio 2004 con l'avvocato P.M.. Nel dicembre dello stesso anno il professionista agiva nei confronti dell'Agenzia, chiedendo che fosse accertato l'inadempimento contrattuale della convenuta, con condanna al risarcimento dei danni. Il tribunale qualificava Esponeva, a tali fine, che: a) nel (OMESSO) il rapporto come Sindaco del comune convenuto le aveva imposto l'immediato sgombero della propria abitazione per il distacco di un muretto di contenimento di un costone roccioso posto sul retro della stessa; b) successivamente, il Comune aveva concluso un contratto di clientela - riconducibile locazione con terzi di un immobile concedendolo in uso all'attrice per circa undici anni; xxxx' fino al mandato oneroso a tempo determinato - con momento in cui l'avvocato si era obbligato per tre anni a prestare la propria opera professionale in relazione a tutti gli affari legali dell'ente. Riteneva sussistente una giusta causa oggettiva di risoluzione del rapporto e rigettava ogni domanda di danni, dando atto che le prestazioni professionali svolte erano state già saldateripristinate le condizioni di sicurezza dell'abitazione; c) le pessime condizioni igienico - sanitarie dell'immobile, pero', le avevano causato gravi patologie delle quali chiedeva, appunto, il risarcimento. Adita dal professionistaSi costituiva il Comune di Lago che eccepiva, in via pregiudiziale, il difetto di giurisdizione del giudice ordinano, e, nel merito, contestava la Corte di appello di Trieste rigettava fondatezza della domanda, proponendo anche domanda riconvenzionale per la restituzione delle spese dallo stesso sostenute. Con atto regolarmente notificato il gravame. A tal fineComune proponeva, con sentenza 3 aprile 2013quindi, dopo aver discusso la questione posta dall'odierno ricorrente circa il "mandato alle liti", e dopo aver rilevato che tra le parti non c'erano "sospesi" in quanto anche l'ultima fattura era "stata pagata", la Corte di appello qualificava il rapporto come contratto d'opera. Riteneva pertanto legittimo il recesso per il "venir meno dell'intuitus personae" e per il sopravvenire dell'impossibilità sopravvenuta, da ricollegare alla sopravvenuta legge regionale che imponeva all'ente di avvalersi dell'avvocatura regionale e ai dubbi sulla legittimità del contratto derivati da pronuncia della Corte dei Conti. L'avv. P. ha proposto sei motivi di ricorso per cassazione, notificato il 26 aprile 2013; regolamento preventivo di giurisdizione. L'intimata non ha depositato memoria aggiuntiva il 22 aprile 2014; memoria in vista dell'adunanza del 10 marzo 2017 e della successiva pubblica udienza, alla quale la causa è stata rimessa con ordinanza 12947/17. ARPA ha resistito con controricorsosvolto attivita' difensiva. Il procuratore generale in data 13 febbraio 2017 PG ha depositato conclusioni scritte scritte, con cui le quali chiede dichiararsi la giurisdizione del giudice ordinario. Il ricorrente ha chiesto il rigetto del ricorsoanche depositato memoria.

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