DAVIDE BENINTENDE
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LA GESTIONE DELLE CONVENZIONI CON IL TERZO SETTORE
iniziative e servizi in collaborazione con l’associazionismo
RELAZIONE
• Il principio di sussidiarieta’ in rapporto alla gestione dei servizi
socio-culturali Pag. 1
• I soggetti del Terzo Settore allargato ................................................................... » 3
• La Convenzione quale strumento per lo sviluppo di attività rilevanti
a fini di P.E.G........................................................................................................ » 5
• L’accordo di collaborazione tra l’ente locale e le libere forme associative ........... » 7
• Il contributo economico quale elemento chiave di sviluppo delle politiche
di collaborazione: dalla legge n. 241/90 alla Legge n. 131/2003.......................... » 13
• La rilevanza economica dei servizi del terzo settore............................................ » 15
• Acquisizione diretta di servizi alle organizzazioni del Terzo Settore - Legge
n. 135/2012 “Spending review”............................................................................. » 17
NORMATIVA
• Regione Lombardia - Legge regionale 14 febbraio 2008, n. 1 ............................. » 19
• Xxxxxxx xxx Xxxxxxxxxx xxxxx Xxxxxxxxxx 00 ottobre 1972 n. 633 ........................ » 41
GIURISPRUDENZA
• TAR Sardegna, Sez. I - Sentenza 2/8/2005 n. 1729 ............................................ » 47
• CGE, sez. III - Sentenza 29 novembre 2007, C-119/06...................................... » 53
• TAR Lazio, Sez. Latina - Sentenza 15/11/2007 n. 1211 ...................................... » 63
PRASSI
• Ministero delle Finanze - Decreto 25 maggio 1995.............................................. » 67
• Xxxxxxx xxxxx Xxxxxxx - Xxxxxxxxxxx X. 000/X, 19 dicembre 2007........................ » 69
• Agenzia delle Entrate - Circolare 18/03/2008, n. 22............................................. » 71
• Autorità Vigilanza Contratti Pubblici - Parere n. 26 del 26/02/2009...................... » 77
• Autorità Vigilanza Contratti Pubblici - Parere n. 119 del 22/10/2009.................... » 79
• ANAC - Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore
e alle cooperative sociali....................................................................................... » 81
ESEMPI DI ATTI
• Comune di Roma - Capitolato d’oneri per selezione di soggetti del terzo settore per coprogettazione e cogestione interventi e servizi per infanzia
e adolescenza ...................................................................................................... » 101
• Comune di Motta Visconti - Convenzione con Associazione di promozione
sociale e culturale per lo svolgimento di Corsi Musicali........................................ » 111
• Comune di Sarre - Determinazione delle modalità di scelta del contraente
per l'affidamento del servizio di gestione dell'asilo nido ....................................... » 117
MODULISTICA
• Schema di convenzione-tipo ai sensi dell’art. 5 della legge n. 381/1991 ............. » 121
(tratto da: “LE CONVENZIONI. Coordinamento regionale dei Centri di Servizio per il Volontariato della Lombardia” - uso a fini formativi)
• Bozza di convenzione - Schema teorico generale. Convenzione tra
Organizzazione di volontariato ed Ente Pubblico ................................................. » 125
• Bozza di convenzione tra Organizzazione di volontariato e altro ente
non profit (Cooperativa sociale, Fondazione, Associazione)................................ » 129
• Bozza di convenzione tra Organizzazione di volontariato e Ente pubblico
locale (Area della Sicurezza Urbana e Protezione civile)..................................... » 131
• Bozza di convenzione tra Organizzazione di volontariato e Azienda
Ospedaliera (Area dei Servizi di Autoambulanza)................................................ » 133
• Bozza di convenzione (comodato) tra Organizzazione di volontariato e
Ente pubblico locale.............................................................................................. » 137
• Bozza di convenzione tra Organizzazione di volontariato e Ente pubblico
locale (Area del Segretariato sociale)................................................................... » 141
• Coordinamento delle Organizzazioni di volontariato e dei soggetti del Terzo settore nei Comuni (o nei Piani di zona) ai fini della Informazione,
Consultazione, Progettazione e Valutazione degli interventi e dei servizi sociali.................................................................................................................... » 147
• Bozza di convenzione tra il CSV e/o O.d.V. con il CSA e/o Istituti
scolastici (Area della promozione del Volontariato nella Scuola) ......................... » 135
• Ipotesi di accordo di collaborazione sul progetto di qualificazione e valorizzazione del sistema dei collegamenti tra gli spazi espositivi che
costituiscono il “Museo della Città di Bologna” ..................................................... » 151
SLIDES
• La gestione delle convenzioni con il terzo settore................................................ » 155
1. Il principio di sussidiarieta’ in rapporto alla gestione dei servizi socio-culturali.
In una contingenza storica in cui i mezzi a disposizione degli enti locali, e i conseguenti servizi alle rispettive collettività, sono severamente penalizzati dalle norme che impongono il rispetto del patto di stabilità, si assiste da anni alla previsione di forti riduzioni della spesa pubblica accompagnata dalla compressione dei trasferimenti erariali, nell’ambito di un percorso di decentramento delle competenze dallo Stato, alle Regioni, agli Enti Locali non accompagnato dalle necessarie risorse economiche e di personale.
Aumenta la consapevolezza, ora più chiaramente rispetto al passato, che la crescita dei costi deve essere governata e accompagnata da strumenti moderni di ricerca di nuove forme di collaborazione con il privato sociale, un modo diverso di affrontare la necessità di reperimento delle risorse,
un’approccio metodologico improntato alla collaborazione con il cittadino secondo il principio della sussidiarietà introdotto dal legislatore.
Nel corso degli ultimi trenta anni, in particolare, nel paese si è sviluppato un fenomeno che riguarda in via diretta lo sviluppo delle strategie di gestione dei servizi socio-culturali: il Terzo Settore.
L’evoluzione della normativa del settore socio-culturale si è sviluppata nella direzione alternativa sia
allo statalismo accentratore caratteristico degli anni Settanta, sia allo stato sociale di tipo liberistico ottocentesco: accanto allo Stato e al mercato quali tradizionali soggetti erogatori di servizi alla collettività, si affaccia un nuovo soggetto composto dalle formazioni sociali via via interessate alla gestione diretta e partecipata di servizi prima forniti in esclusiva da imprese specializzate o dalle amministrazioni pubbliche sia in economia che tramite procedure di appalto.
Il fenomeno del coinvolgimento dell’elemento personale anche in forma associativa, della valorizzazione della persona e della maggiore partecipazione diretta alla gestione della cosa pubblica riguarda in primo luogo le amministrazioni locali, dato il loro immediato contatto con la realtà della comunità amministrata, peraltro evidenziato dal rapporto molto stretto esistente tra gli elettori ed il sindaco, eletto direttamente in relazione ad un preciso programma politico.
In questo quadro, da anni il legislatore si è preoccupato di definire il livello delle materie considerate di competenza esclusiva dello Stato e il livello delle materie concorrenti di competenza di regioni ed enti locali, principio già introdotto dal legislatore nazionale all'art. 2 comma 5 della legge 142/90 - modificato dalla legge 265/99 - che lascia in capo ai Comuni e alle Province la titolarità di funzioni proprie, cui si aggiungono quelle delegate dallo Stato, principio ora traslato nell'art. 3 del d.lgs. 267/2000.
Secondo tale disposizione (art. 3 , comma 5) “… i Comuni e le provincie sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro con legge dello Stato e della regione secondo il principio della sussidiarietà. I comuni e le provincie svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere adeguatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni sociali.”
Il principio di sussidiarietà è introdotto dalla normativa nazionale già con l'entrata in vigore della legge 265/99, di attuazione dei principi contenuti nella legge Bassanini n. 59/97 all'art. 4, comma 3), lett. A) secondo cuí "I conferimenti dí funzioni di cui ai commi 1 e 2 avvengono nell'osservanza dei seguenti principi fondamentali: il principio dì sussidiarietà, con l'attribuzione della generalità dei compiti e delle funzioni amministrative ai comuni, alle province, e alle comunità montane, secondo le rispettíve dimensíoní territoriali, assocíative e organizzative, con l'esclusione delle sole funzioni incompatibili con le dìmensioni medesime, attribuendo le responsabilità pubbliche, anche al fíne dí favorire l'assolvímento di funzioni e di compiti di rilevanza sociale da parte delle famiglie, associazioni e comunità, alle autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadiní interessati".
La logica strategica è quella di ammettere tendenzialmente l’intervento diretto da parte dell’ente locale solo dopo avere verificato che determinate attività non possano essere svolte in modo più efficiente ed efficace direttamente da cittadini aggregati normalmente in forme associative, ai quali l'ente locale subentra in caso di assenza o insufficiente intervento, misurato secondo la domanda di fabbisogno espressa dal territorio.
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Gli Enti locali nell’avvalersi della collaborazione delle aggregazioni sociali devono però attenersi al criterio dell’adeguatezza previsto dal TUEL, attrezzandosi dunque alla definizione dei sistemi di valutazione circa le garanzie che tali formazioni volontaristiche offrono di gestire i servizi socio-culturali mantenendo il livello quali-quantitativo richiesto.
La strategia necessaria è quella di promuovere e sostenere il Terzo Settore affinché questo cresca
fino a garantire la qualità dei servizi erogati, in modo da diventare il partner ideale della pubblica amministrazione; ciò potrà avvenire in relazione al grado di coinvolgimento di tale soggetto nelle fasi
della progettazione e della programmazione condivisa delle attività e dei servizi da gestire.
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2. I soggetti del Terzo Settore allargato.
La gestione pubblica del Welfare State, inteso quale sistema di governo preferibile per raggiungere l’equa distribuzione dei redditi, l’accesso generalizzato ai servizi e ai beni fondamentali quali il lavoro, la casa e l’istruzione, ha introdotto la definizione di Terzo Settore quale sistema formato da soggetti senza finalità di lucro, diversi dallo Stato e dagli enti pubblici territoriali e le imprese tradizionali, con lo scopo di costituire, appunto, un terzo settore di intervento nell’ambito dei servizi socio-culturali.
L’ente locale, dunque, può armonizzare le azioni di sviluppo e sostegno ai bisogni della comunità avvalendosi di un rapporto speciale con i soggetti del Terzo Settore, configurando un sistema speciale per la regolazione dei reciproci rapporti, giuridicamente risolto con il sistema delle convenzioni o accordi di collaborazione.
Tale rapporto viene qualificato da una complessa e diversificata configurazioni di elementi quali i contributi economici, il regime dei rimborsi spese, l'assegnazione in uso di sedi di esercizio o sedi temporanee, beni mobili, utilità diverse, ecc..
Nel corso degli anni molti soggetti privati si sono aggregati e riuniti sotto il denominatore comune del Terzo Settore che comprende tradizionalmente le seguenti categorie:
a. le associazioni, le fondazioni, e i comitati ai sensi dell’art. 14 e seguenti del codice civile;
b. le associazioni non riconosciute (art. 36 c.c) e le associazioni riconosciute
c. le associazioni di promozione sociale ai sensi della legge n. 383/2000;
d. le organizzazioni di volontariato regolate dalla legge n. 266/91 e relative normative attuative regionali
e. le associazioni sportive dilettantistiche
f. organizzazioni ed enti religiosi
g. Ipab
h. le altre istituzioni di carattere privato ex art. DPR 361/2000 “Regolamento recante norme per la semplificazione dei procedimenti di riconoscimento di persone giuridiche private ...”
Altri soggetti specializzati si sono via via aggiunti nel tentativo di migliorare gli aspetti dell'imprenditorialità, della managerialità e dell'economicità nel tentativo di colmare alcuni punti di debolezza tipici delle tradizionali organizzazioni non profit.
Il legislatore ha infatti approvato alcune norme di riforma con l'obiettivo di legittimare l'azione e gli obiettivi non lucrativi realizzati da soggetti sotto forma d'impresa che convertono l'utile classico aziendale agli obiettivi non lucrativi prefissati dallo statuto, una sorta di organizzazioni ibride collocate
a metà tra l'ente non profit puro e l'impresa; in particolare:
a. le cooperative sociali ai sensi della legge n.381/1991
b. l'impresa sociale Legge 118/2005
c. le società sportive in forma di capitali ex art. 90 Legge finanziaria 2003
d. le aziende di servizi alla persona ASP
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3. La Convenzione quale strumento per lo sviluppo di attività rilevanti a fini di P.E.G.
Negli ultimi venti anni il rapporto tra pubblica amministrazione e organizzazioni del Terzo Settore si è sviluppato grazie a esperienze disciplinate sulla falsariga dei contratti di servizio, in base alle quali l’ente locale concede agevolazioni di vario tipo all’associazionismo che gestisce attività inserite nei programmi politico amministrativi dell’ente.
Lo strumento convenzionale, simile ma diverso rispetto il contratto di servizio, diventa sempre più rilevante e alternativo ai sistemi ad evidenza pubblica, per la gestione di progetti di PEG, a fronte della diminuita capacità di spesa degli enti locali a seguito degli obblighi imposti dal patto di stabilità e dall’aumento dei costi di gestione di alcuni servizi, in misura più che proporzionale rispetto il tasso di inflazione.
Tuttavia la normativa non dice quando vi sia la possibilità di convenzionarsi con un soggetto del privato sociale (associazione) per la gestione di servizi pubblici.
La disciplina dei servizi pubblici locali trova una sua collocazione storica nel R.D. t.u. 2578 del 1925 ancora in vigore, il quale elenca i s.p.l. e le forme di gestione: in economia, concessione, cottimo fiduciario.
La Legge n. 142/90 e il TUEL. D. lgs. 267/2000 (art. 113-bis servizi privi di rilevanza economica) hanno aggiunto altre forme di gestione più funzionali alle attuali forme di mercato: costituzione e/o partecipazione ad associazioni e fondazioni, istituzioni, consorzi, società di capitali per la gestione di servizi socio-culturali generalmente presso strutture pubbliche.
Per evitare che il concessionario assuma le condizioni di conduttore in monopolio del servizio la legge sugli appalti di servizi e la giurisprudenza costante impongono che la scelta dei concessionari avvenga tramite procedure ad evidenza pubblica (gara: asta pubblica, appalto concorso, licitazione privata e trattativa privata), procedure che male si addicono alle caratteristiche di gruppi organizzati non imprenditoriali.
La dottrina ha chiarito che le convenzioni si qualificano secondo i lineamenti dei contratti di diritto pubblico, discostandosi però da questi ultimi perché stipulati con particolari soggetti senza scopo di
lucro, pur avendo in comune il tratto dell’interesse patrimoniale.
Differenza sostanziale tra la Convenzione e il contratto è che quest’ultimo presuppone una sostanziale parità tra le parti contraenti, mentre nella Convenzione l’ente locale assume un ruolo dominante, in quanto agisce nell’interesse pubblico; nel momento in cui la p.a. non intenda più proseguire il rapporto convenzionale o per motivi di pubblico interesse intenda risolverlo anticipatamente la controparte non potrà eccepire nulla (l’azione di reintegrazione in forma specifica è ammessa solo per i contratti).
Se il servizio fornisce un utile al gestore, ciò che rappresenta il fattore discriminante tra il modello “gestione di mercato” e il modello “gestione non profit” è costituito dalla destinazione di tale profitto,
che nel caso delle associazioni/fondazioni, viene reinvestito nelle attività senza scopi di lucro.
Vi sono però tre precisi limiti nella scelta discrezionale della pubblica amministrazione: garantire la qualità del servizio, garantire l’efficacia, l’efficienza e l’economicità, garantire il libero accesso al servizio a tutti i cittadini richiedenti in condizioni di eguaglianza.
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4. L’accordo di collaborazione tra l’ente locale e le libere forme associative.
Uno strumento particolare grazie al quale la pubblica amministrazione, attraverso il sistema delle contribuzioni / rimborsi spese erogate a forme associative, può intervenire per favorire lo sviluppo delle attività socio-culturali, è quello dell’accordo di collaborazione.
La prima domanda che ci si pone è se tale strumento possa trovare riscontro tra gli istituti privatistici già presenti nel diritto privato, sia in forma tipica che atipica, o, ancora, possa collocarsi tra gli istituti tipici o atipici previsti nell’ambito del diritto pubblico.
A prescindere, però, dalla conclusione, si può fin d’ora sostenere quella che è una caratteristica fondamentale dell’istituto accordo di collaborazione, e, cioè, che, al pari delle sponsorizzazioni, costituisce un modello per l’acquisizione di risorse umane, strumentali, know how, ecc., impiegabile in modo ordinario nella gestione delle attività correnti della pubblica amministrazione, e che deve essere impiegato come nuovo modo di concepire l'azione amministrativa pubblica.
Ad una attenta disamina degli istituti contrattuali privati tipicamente previsti, non si riscontrano modelli specifici a cui l’accordo di collaborazione possa fare riferimento, né si ritiene che possano (gli accordi) rientrare tra quei tipi di contratti più facilmente avvicinabili ai contratti di pubblicità tradizionale o di pubblicità in chiave di contratti pubblicitari di sponsorizzazione.
Anche il legislatore, d’altronde, nella formulazione degli artt. 43 Legge 449/97 e n. 119 D. lgs. 267/2000 “ …. le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi
di collaborazione…”, utilizzando la congiunzione “e”, manifesta la volontà di non confondere i due istituti in un’unica previsione contrattuale (la sponsorizzazione) che possa assumere solo sfumature diverse a seconda dei casi di applicazione concreta; la norma viene ripresa e ampliata dall'art. 119
TUEL.
E’ quindi nell’ambito del diritto pubblico che bisogna condurre le ricerche al fine di ricostruire la qualificazione giuridica dell’accordo di collaborazione, al fine di riconoscere a tale istituto una propria autonoma distinzione rispetto i contratti di sponsorizzazione.
La fonte di riferimento chiaramente applicabile è, come già accennato, l’art. 47 della legge 449/97, una norma che nasce all’interno di un provvedimento di carattere finanziario (collegato alla legge finanziaria 1998) con l’obiettivo dichiarato di procurare risparmi di spesa rispetto gli investimenti disposti dalle pubbliche amministrazioni, e che dovrebbe essere adottato in una logica di programmazione strategica “permanente” delle attività ordinarie delle pubbliche amministrazioni.
La collaborazione con il privato, dunque, al fine di operare risparmi di spesa, nasce non come provvedimento previsto in una logica di riforma degli strumenti di gestione della pubblica amministrazione ma, come provvedimento “d’urgenza” per fare fronte alle difficoltà di bilancio dello Stato e degli Enti Locali.
Con tale norma, quindi, si ricerca un ampio coinvolgimento del privato al fine dei realizzare forme di “cogestione” delle attività ordinarie, nella consapevolezza che non è solo il risparmio di spesa l’obiettivo da raggiungere ma anche il miglioramento della qualità dei servizi pubblici e l’innovazione dell’organizzazione amministrativa in una logica di ricerca permanente di sinergie tra il soggetto pubblico ed i possibili soggetti privati da coinvolgere.
In questo senso, gli accordi di collaborazione si differenziano dalle sponsorizzazioni in quanto a differenza di queste ultime, non è la ricerca esclusiva di un aiuto in soli termini economico-finanziari ad interessare, ma la ricerca e la costruzione di rapporti con finalità più ampie, da raggiungere con il soggetto privato.
Gli unici limiti posti all’applicazione di tale norma, come già accennato in tema di sponsorizzazioni, sono i seguenti:
1. le iniziative di cui al comma 1, art. 47, devono essere dirette al perseguimento di interessi pubblici
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2. devono escludere forme di conflitto di interesse tra l'attività pubblica e quella privata
3. devono comportare risparmi di spesa rispetto agli stanziamenti disposti, secondo quanto disposto dal comma 2 dell’articolo citato
4. devono riguardare il finanziamento di interventi, servizi o attività inseriti nei programmi di spesa ordinari.
In analogia a quanto disposto per l’istituto della sponsorizzazione, l'accordo di collaborazione prevede a chiare lettere la possibilità per tutte le amministrazioni pubbliche di ricorrere ad accordi con soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile. 1
In particolare, i presupposti dei citati accordi riguardano ipotesi in cui conseguano, in seguito all’applicazione concreta, forme di innovazione dell’organizzazione amministrativa e la realizzazione di maggiori economie di spesa.
L’accordo di collaborazione, più in generale, può essere originato a partire da presupposti diversi, in relazione al contenuto caratterizzante il singolo accordo; in particolare, gli accordi citati possono assumere la configurazione del contratto di diritto privato qualora riguardino esclusivamente prestazioni di natura patrimoniale, o di diritto pubblico qualora prevedano attività concordate che incidono sull’organizzazione.
Il tenore letterale della norma introdotta dall’art. 47, potrebbe indurre l’interprete a confondere i due
istituti in un’unica fattispecie; si deve escludere fin d’ora, invece, che gli accordi di collaborazione possano essere letti quale sottospecie dei contratti di sponsorizzazione, in quanto presentano, in realtà una propria specifica configurazione.
Si può essere tratti in inganno dalla prassi adottata nella costruzione della relativa contrattualistica, di qualificare, in alcuni casi, i contratti di sponsorizzazione veri e propri con denominazioni del tipo “ … accordo di collaborazione pubblicitario per l’esibizione del gruppo orchestrale ….”, ecc., mettendo in risalto l’aspetto pubblicitario quale aspetto prevalente nel contratto sottostante.
L’accordo di collaborazione non è da collocare nell’ambito dei contratti pubblicitari, né nell’ambito del diritto privato, ma, piuttosto, nei contratti della Pubblica Amministrazione relativi a rapporti aventi oggetto pubblico.2
Mentre con il contratto di sponsorizzazione il soggetto privato contribuisce all’iniziativa o all’attività dell’ente pubblico normalmente con un contributo finanziario diretto, o spesso anche con una sponsorizzazione tecnica, con l’accordo di collaborazione si cerca di coinvolgere il soggetto privato
nella gestione dell’attività amministrativa pubblica chiedendone la partecipazione anche e soprattutto in termini organizzativi.
Quindi l’aspetto innovativo e caratterizzante dell’accordo di collaborazione è quello di introdurre elementi negoziali che implicano una collaborazione in termini organizzativi tra la pubblica amministrazione e il soggetto privato, realizzando una sorta di “cogestione” dell’iniziativa pubblica, grazie all’utilizzo di un particolare istituto quale il contratto ad oggetto pubblico.
In dottrina, in particolare, M.S. Xxxxxxxx e Bezzi –Sanviti (op. cit.) sostengono l’esistenza di una autonoma categoria di contratti ad oggetto pubblico; nella prassi amministrativa, in particolare, esistono ampi casi di accordi tra Pubblica Amministrazione e soggetti privati, che si configurano come veri e propri contratti anche se privi di un elemento fondamentale: la parità tra i soggetti contraenti, essendo la P.A. in posizione di supremazia.
Tali accordi, di contenuto normalmente patrimoniale, risultano essere caratterizzati da due aspetti compresenti: un contratto ed un provvedimento amministrativo con un oggetto comune di tipo
1 Legge 449 del 1997 - art. 43 comma 1: “Al fine di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione ed accordi di collaborazione con soggetti privati ed associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile.”
2 X. Xxxxx – X. Xxxxxxx “Accordi di collaborazione e contratti di sponsorizzazione” - Xxxxxxx 1998
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Tale concetto di “accordo” si riscontra in un’ampia fattispecie di contratti che vanno dalle concessioni di servizi pubblici, ove la convenzione costituisce il provvedimento che è fonte di obbligazioni,
accompagnata dal contratto vero e proprio, agli accordi bonari in caso di esproprio, ai contratti ad oggetto pubblico che sostituiscono interi procedimenti (es.: convenzioni urbanistiche).
Tutte le categorie citate conducono ad una forma di amministrazione moderna e partecipata, che porta al concetto di “amministrazione per accordi”, sancito definitivamente con la legge 241 del 1990, art.
11; è proprio con tale legge che l’amministrazione pubblica si avvicina al cittadino e che collabora con esso al fine di emanare il provvedimento finale nel modo più proficuo per entrambe le parti, cercando soprattutto di evitare possibili contenziosi.
Viene introdotta la norma per cui il soggetto privato e la pubblica amministrazione procedente possono, nel caso in cui sia attivato un procedimento amministrativo, formare un accordo sostitutivo del provvedimento amministrativo o integrativo del medesimo.
Gli accordi sostitutivi delineati dalla legge n. 241 del 1990 non hanno trovato, nella prassi applicativa, molta fortuna, soprattutto nel campo urbanistico; maggiore impiego, invece, hanno avuto ai fini del riconoscimento della piena capacità di diritto privato (Cassazione Civile n. 4212 del 16.8.1982) purchè l’attività di collaborazione sia funzionale agli scopi istituzionali dell’ente; in altre parole è ammesso l’utilizzo del diritto comune nei rapporti tra ente e soggetto privato purchè lo scopo sia quello di realizzare attività dirette a soddisfare l’interesse pubblico.
Tale interpretazione è in netto contrasto, quindi, con quella parte di dottrina che sosterrebbe ammissibile solo l’impiego di strumenti tipici nei rapporti tra pubblico e privato.
Torna utile, ora, chiedersi se l’accordo sostitutivo di provvedimento di cui all’art. 11 della legge 241/90, possa essere impiegato per comprendere il significato dell’accordo di collaborazione di cui all’art. 43 legge 449/97, secondo un percorso analogico.
In questo senso, si può ricavare che il provvedimento che l’accordo di collaborazione intende sostituire è normalmente il provvedimento di concessione (Bezzi – Sanviti cit.) provvedimento con il quale la pubblica amministrazione si serve dei soggetti privati per raggiungere le medesime finalità previste dalla norma in esame.
Nel caso in cui il soggetto pubblico ritenga di affidare, in particolare, la gestione ed, in generale, la cura dei propri interessi pubblici ad un soggetto privato, può farlo sia per mezzo della concessione tradizionale, regolata da apposito contratto, che tramite un accordo sostitutivo del provvedimento di concessione.
In questo senso la pubblica amministrazione prescinde dalla facoltà di esercizio delle propria potestà pubblica, decidendo di utilizzare uno strumento contrattuale quale l’accordo di collaborazione tra le parti; è proprio l’aspetto collaborativo a caratterizzare fortemente tale fattispecie contrattuale.
La collaborazione, nel nostro caso, può opportunamente essere rivolta ad aspetti organizzativi, ed in particolare gestionali; è proprio la gestione, infatti, di attività o di beni culturali, che ha riguardato il cambiamento di approccio della pubblica amministrazione, sempre più orientata al coinvolgimento del privato ai fini di migliorare l’efficacia, l’efficienza e l’economicità dei servizi.
In particolare, nei processi di esternalizzazione dei servizi culturali realizzati nell’ultimo decennio, la pubblica amministrazione si è spesso orientata ad affidare a terzi o, più di recente, a creare soggetti per la gestione di beni o servizi prima realizzati in economia, con lo scopo di “uscire” dalla gestione
diretta, ma con la volontà, al contempo, di mantenere il controllo, più o meno stretto, delle attività realizzate.
Da qui il concetto di “cogestione” che andrà valutato di volta in volta, come forma di collaborazione in cui le parti misurano pesi e impegni economico-organizzativi uguali o diversi a seconda delle volontà
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In questo senso l’accordo di collaborazione si propone di superare la frammentarietà ed episodicità dell’offerta del mercato delle sponsorizzazioni, normalmente collegate a singole iniziative che si esauriscono in tempi brevi; la sponsorizzazione classica trova dunque un limite di impiego che ha a che fare con l’esigenza di programmazione in medio – lungo periodo delle attività da parte degli enti.
Al fine di stimolare nuovi e duraturi investimenti del privato nel settore dei beni ed attività culturali, occorre garantire forme di economicità continuative nel tempo; le ipotesi sono diversificate, e vanno
dalla concessione a soggetti privati particolarmente qualificati (associazioni, fondazioni per la valorizzazione del patrimonio storico artistico) di beni culturali prestigiosi, a cui affidare la gestione a fronte di un canone che garantisca un ritorno economico magari necessario a finanziario gli ingenti interventi di restauro, oppure l’affidamento in gestione a soggetti privati orientati all’economicità (es.: raggruppamenti d’imprese) di musei o gallerie d’arte che presentano affluenze di pubblico tali da giustificare le aspettative di margini di remunerazione, ecc..
In altre parole l’accordo di collaborazione può attrarre quegli investimenti di soggetti privati che per le caratteristiche e aspettative in gioco non si prestano ad essere catturati dallo strumento della sponsorizzazione.
Nel caso dell’accordo, quindi, il fine non è quello di un ritorno di immagine in termini pubblicitari, come avviene per le sponsorizzazioni, ma in termine di risparmi di spesa da parte dell’ente pubblico che si avvale di beni o servizi messi a disposizione dal partner in collaborazione, anche a fronte di investimenti dei soggetti privati stessi.
Tra i beni pubblici che presentano maggiori potenziali di redditività non vanno scordati, inoltre, gli impianti sportivi quali piscine e campi di calcio, che, se affidati, ad esempio, a solide società polisportive possono effettivamente fruttare notevoli guadagni di gestione (si vedano, in tal senso, le numerose esperienze di impianti gestiti da polisportive nella Regione Xxxxxx Xxxxxxx ed, in particolare l’art. 90 della legge finanziaria 2003 che ha sancito tale forma di gestione).
Quindi lo strumento della concessione, normalmente accompagnato da un’apposita convenzione che regolamenti gli aspetti economico/gestionali tra le parti, può essere trasfuso in un apposito accordo di collaborazione, favorendo le potenzialità di economicità prima inespresse del bene pubblico che può ora essere destinato ad una migliore fruizione collettiva.
L’aspetto pubblicistico assume nel tempo un ruolo strettamente funzionale alla regolazione degli aspetti contrattuali, mentre il ruolo del soggetto pubblico tende ad assumere una posizione via via paritaria rispetto il soggetto privato; quindi di “comune accordo” in condizioni di parità, le parti inseriscono le singole clausole contrattuali, e il provvedimento di concessione viene sostituito dall’accordo di collaborazione (art. 11 L. 241/90 e art. 43 L. 449/97).
Riassumendo, gli accordi di collaborazione sono considerati, secondo la dottrina citata, quali accordi sostitutivi di provvedimenti di concessione, quali strumenti di gestione di beni e di servizi della pubblica amministrazione.
4.1 La scelta del contraente nell’ambito dell’accordo di collaborazione.
La pubblica amministrazione, nell’avvalersi dell’art. 43 L. 449/97, e quindi, nel momento in cui intende sottoscrivere un accordo di collaborazione con un soggetto privato, non può esimersi, normalmente, dall’applicare le necessarie procedure ad evidenza pubblica al fine di selezionare il migliore contraente, cioè quello che offra le più convenienti condizioni di gestione.
La normativa che regola le forme di scelta del contraente nel campo della fornitura di beni o servizi, prevede forme di affidamento che presentano diversi gradi di libertà: dall’asta pubblica, all’appalto concorso, alla licitazione privata, fino alla trattativa privata.
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fini di lucro, avendo già chiaro fin dall’inizio quali siano le potenzialità di sviluppo, le caratteristiche qualitative minime del servizio di gestione, i servizi aggiuntivi proponibili, il personale tecnico da impiegare, il piano delle attività didattiche, ecc. si ricorrerà preferibilmente alla licitazione privata, la
quale consente a tutti i concorrenti di misurarsi su uno stresso progetto proposto dall’ente locale.
Quando invece, l’Amministrazione non disponga di un progetto preferibile di gestione, ad esempio, del servizio o del bene immobile da gestire, allora risulta preferibile adottare il sistema dell’appalto concorso, il quale consente di reperire il progetto da realizzare direttamente dai soggetti candidati; è evidente che con questo sistema il progetto stesso risulta costituire una componente determinante nella scelta del contraente.
Nel caso in cui l’Amministrazione, invece, non sia in possesso di un progetto di gestione definitivo, e ci si trovi in presenza, vista la particolarità e la natura del servizio richiesto di un mercato molto ristretto di servizi, come nel caso di affidamento di un bene culturale ad un’Associazione per la salvaguardia di beni simili a quello proposto in gestione (ad esempio l’affidamento di un Museo Civico all’Associazione “Amici del Museo”), allora il sistema della trattativa privata preceduto da un sondaggio informale, può ritenersi quello più snello e sufficiente per la selezione del miglior contraente.
Il criterio generale di riferimento a riguardo delle forme di gestione il cui successo dipende prevalentemente dalla capacità di autofinanziamento del servizio è quello progettuale: ove l’Amministrazione evidenzi l’esigenza di individuare idee di gestione che favoriscano l’economicità della gestione quale condizione fondamentale per la remunerazione del soggetto affidatario, allora risulta più adatta una forma di selezione che privilegi il progetto proposto dal contraente, e di cui esso
si renda attuatore responsabile.
Nella fase della scelta non bisogna dimenticare, secondo quanto previsto dall’art. 43, comma 2, della legge n. 449/97, di individuare i casi di esclusione per conflitto d’interesse tra l'attività pubblica e quella privata, oltre ad individuare i risparmi di spesa, anche stimati rispetto gli stanziamenti disposti per la realizzazione del servizio o iniziativa.
Conflitti di interesse potrebbero verificarsi, ad esempio, nel caso in cui l’Associazione “Amici del Museo” limitasse l’ingresso al Museo ai soli propri associati, o nel caso in cui l’accesso al parco ambientale fosse riservato per una fascia oraria prevalente ai propri associati anziché alla collettività.
Le citate associazioni potranno assegnare, comunque, alcuni “benefit” ai propri associati senza ledere il principio della salvaguardia del conflitto di interesse, quali la possibilità di avere posti riservati per le iniziative collaterali (es.: concerti nel museo) o la possibilità di avere l’accesso esclusivo all’impianto
sportivo in una fascia oraria non rilevante per la salvaguardia dell’utilizzo pubblico (es.: apertura notturna dell’impianto), ecc..
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5. Il contributo economico quale elemento chiave di sviluppo delle politiche di collaborazione: dalla legge n. 241/90 alla Legge n. 131/2003.
L’erogazione dei contributi economici da parte dell’ente locale, come sopra detto, è vincolato al rispetto della Legge 12 agosto 1990 n. 241, art. 12 che recita:
“1. La concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.
2. L'effettiva osservanza dei criteri e delle modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi di cui al medesimo comma 1.”
Il legislatore è intervenuto nel percorso di valorizzazione del rapporto tra la pubblica amministrazione e la comunità locale, nella legge di riforma costituzionale n. 131 del 2003, confermando il principio di
sussidiarietà e sancendo, in particolare, il rapporto di collaborazione tra l’ente pubblico e il singolo cittadino anche in forma non organizzata.
L’art. 7, comma 1 della Legge n. 131/2003, in attuazione dell’art. 118, comma 3, della Costituzione, recita infatti: “…Stato, Regioni, Città metropolitane, Province, Comuni e Comunità montane favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà. In ogni caso, quando sono impiegate
risorse pubbliche, si applica l’articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n. 241. Tutte le altre funzioni amministrative non diversamente attribuite spettano ai Comuni, che le esercitano in forma singola o associata, anche mediante le Comunità montane e le unioni dei Comuni.”.
Il legislatore con il TUEL tocca anche aspetti rilevanti della gestione dei servizi confermando la logica secondo cui la gestione diretta è riservata in via residuale all’ente locale; tale indirizzo è stato introdotto con l’art. 113-bis del TUEL rispetto le possibilità di gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza economica tramite associazioni o fondazioni costituite e/o partecipate dall’ente locale; in tale ambito la gestione in economia era consentita “… quando, per le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio, non sia opportuno procedere ad affidamento ai soggetti di cui al comma 1 (istituzioni; aziende speciali, anche consortili, società a capitale interamente pubblico …)…”.
Sul punto è intervenuta anche la sentenza n. 272/2004 con la quale la Corte Costituzionale ha dichiarato la non costituzionalità dell’art. 113-bis; tale disposto non incide sulla possibilità dell’ente locale di gestire i servizi culturali avvalendosi delle forme di gestione in precedenza “obbligate” dell’art.
113-bis, almeno fino a quando le regioni non interverranno a disciplinare la materia con apposite normative di settore.
Nel caso in cui il rapporto di collaborazione con il cittadino o con le forme aggregative a livello locale sia sostenuto grazie all’erogazione di risorse pubbliche, nel procedimento preordinato all’emanazione del provvedimento finale di erogazione si dovrà applicare l’articolo 12 della legge 7 agosto 1990, n.
241, come sopra accennato
Tale norma subordina la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualunque tipo a persone ed enti, sia pubblici che privati, alla predeterminazione e alla pubblicazione di apposita regolamentazione da parte dell’ente.
Detti regolamenti devono ispirarsi ai principi generali contenuti nel TUEL (D. lgs. 267/2000) che confermano alcune specifiche attribuzioni in capo all’ente locale: il Comune rappresenta la comunità,
ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo in ambito sociale, economico e culturale; spettano pertanto al comune le funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il territorio comunale.
Mentre il territorio raramente è modificabile, la popolazione con i propri bisogni, usi, costumi e tradizioni storiche, contraddistinguono l’ente e devono guidare gli amministratori alla programmazione delle conseguenti funzioni amministrative.
Un tempo, inoltre, gli spostamenti tra le popolazioni avvenivano più raramente, oggi assistiamo a fenomeni di globalizzazione che spingono masse di popolazioni generalmente dal sud al nord del mondo e anche all’interno del paese; ciò ha un riflesso diretto a livello locale in quanto si assiste sempre più alla nascita nel territorio comunale di nuovi gruppi portatori di esigenze sociali spesso diverse rispetto a quelle della popolazione autoctona.
Interessi che devono, comunque considerarsi collettivi, in quanto riguardano tutta la collettività umana, e quindi passibili di sostegno dell’ente locale tramite contributi e patrocini alle diverse iniziative proposte.
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L’erogazione di contributi non spetta solo alle forme associative costituite sotto forma di associazioni, fondazioni e comitati, ma anche a singole persone, come previsto dalla citata legge “la Loggia” n. 131/2003 o da semplici aggregati spontanei di persone non necessariamente strutturati e costituiti con
atti (gli enti locali favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà).
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6. La rilevanza economica dei servizi del terzo settore
La difficoltà degli Enti locali nella gestione dei servizi riconducibili al terzo settore ed in particolare ai servizi di assistenza alla persona e socio-educativi è evidenziata anche dagli sviluppi della giurisprudenza.
Il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5072/2006, confermando la sentenza del Tar Sardegna del 2.8.2005, ha inquadrato infatti i servizi socio assistenziali ed educativi tra i servizi con rilevanza economica che devono (dovrebbero ?) essere gestiti in regime di concorrenza secondo i tipi dell'art.
113 del TUEL.
Ciò impatta fortemente con i sistemi di affidamento fino ad ora impiegati dagli enti locali in tali materie e in particolare rispetto gli affidamenti diretti di servizi alle organizzazioni del terzo settore: associazioni di volontariato, associazioni di promozione sociale, ASP, fondazioni derivanti dalla trasformazione delle ex IPAB, aziende speciali, ecc.
Tale principio della rilevanza economica deve però essere letto in una logica di valutazione del caso singolo.
La rilevanza economica dei servizi non è infatti determinabile sulla base di un unico criterio; secondo costante giurisprudenza comunitaria, spetta al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare di alcuni parametri quali l'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività e dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione.
La rilevanza economica è legata, secondo tali orientamenti, all’impatto che l’attività può avere sull’assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività: ha rilevanza economica il servizio che risponde ad un interesse pubblico e che si innesta in un settore per il quale esiste, quantomeno in potenza, una redditività, e quindi una competizione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di finanziamento pubblico, più o meno ampie.
E' privo di rilevanza economica il servizio che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e quindi appare irrilevante ai fini della concorrenza.
Occorrerà fare riferimento quindi sia alle caratteristiche tecnico-economiche dei servizi o delle strutture gestite che alla possibilità di sviluppare attività commerciali /imprenditoriali e/o tariffarie in rapporto ai vincoli imposti dall'ente locale. .
La rilevanza economica, in particolare, è caratterizzata da fattori che garantiscono un margine di profitto sulla base della redditività non determinabile a priori ma previa analisi puntuale di fattori quali,
la dimensione delle eventuali strutture, il bacino e numerosità d’utenza attesa, la propensione al consumo dei servizi, la tipologia delle strutture , la presenza di eventuali servizi aggiuntivi a pagamento che consentano di incrementare l’autofinanziamento, la presenza o meno sul mercato di riferimento di potenziali imprese sponsor coinvolgibili.
Fattori che incidono pesantemente con la configurazione della rilevanza economica sono spesso imposti proprio dall'ente locale che limita l'economicità del servizio imponendo tariffe calmierate, servizi gratuiti riservati, o l'osservanza di aspetti qualitativi che impongono al gestore costi elevati.
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7) Acquisizione diretta di servizi alle organizzazioni del Terzo Settore - Legge n. 135/2012 “Spending review”.
Con la conversione in L. n. 135/2012 del D.L. 95/2012 il legislatore ha stabilito le nuove regole per l'affidamento di servizi a titolo oneroso da parte delle pubbliche amministrazioni a favore delle organizzazioni del Terzo Settore.
La Legge, in tale ambito, introduce il divieto per le associazioni che forniscono servizi a favore dell'amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, di ricevere contributi.
Il legislatore, nella fase di conversione del D.L. 95/2012, approva tuttavia una deroga di vasta portata a tale divieto facendo salva la possibilità per gli enti locali di erogare contributi agli enti e le
associazioni operanti nei seguenti campi: servizi socio-assistenziali, beni ed attivita' culturali, istruzione, formazione, associazioni di promozione sociale di cui alla legge n. 383/2000, enti di volontariato di cui alla legge n. 266/1991, cooperative sociali di cui alla legge n. 381/1991, associazioni sportive dilettantistiche di cui all'articolo 90 legge n. 289/2002, organizzazioni non governative di cui alla legge n. 49/1987, associazioni rappresentative, di coordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali, fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l'alta formazione tecnologica.
Le associazioni superstiti incise dal divieto rappresentano un ambito residuale del mondo no profit;
pertanto sembra legittimo interrogarsi sulla ratio generale della norma.
Con l'art. 4, comma 7 sono state stabilite, inoltre, novità circa le modalità di acquisto di servizi strumentali da tali citati enti.
La normativa stabilisce che a decorrere dal 1° gennaio 2014 le P.A. ex art. 1, comma 2, del D. lgs. 165/23001, acquisiscono sul mercato i beni e servizi strumentali alla propria attivita' mediante le procedure concorrenziali previste dal codice degli appalti (art. 2, comma 1 del D. lgs. 163/2006).
E' ammessa però l'acquisizione in via diretta di beni e servizi fino all'importo di € 200.000 tramite convenzioni realizzate con soggetti appartenenti ai seguenti ambiti normativi: art. 30 della legge 7 dicembre 2000, n. 383 Associazioni di promozione sociale, art. 7 della legge 11 agosto 1991, n. 266 Associazioni di volontariato, art. 90 della legge 27 dicembre 2002,n. 289 Associazioni sportive dilettantistiche, art. 5 della legge 8 novembre 1991, n. 381 Cooperative sociali di tipo “B”, e inoltre le organizzazioni non governative legge 26 febbraio 1987, n. 49, e relativi regolamenti di attuazione.
L'art. 4, comma 8 del citato decreto stabilisce, inoltre, che a decorrere dal 1° gennaio 2014 l'affidamento diretto a favore di societa' a capitale interamente pubblico, nel rispetto dei requisiti richiesti dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria per la gestione in house, può avvenire nei limiti dell'importo di € 200.000 annui.
Sono fatti salvi gli affidamenti in essere fino alla scadenza naturale e comunque fino al 31 dicembre
2014 e le acquisizioni in via diretta di beni e servizi il cui valore complessivo sia pari o inferiore a
200.000 euro in favore di un nutrito ambito di organizzazioni del Terzo Settore: associazioni di promozione sociale, associazioni di volontariato, associazioni sportive dilettantistiche, cooperative sociali, organizzazioni non governative.
Le limitazioni previste dai commi 7 e 8 citati non si applicano alle Cooperative Sociali tipo “B” art. 5 L. 381/1991 per i servizi diversi da quelli socio- sanitari ed educativi.
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Regione Lombardia - Legge regionale 14 febbraio 2008, n. 1
Testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso.
IL CONSIGLIO REGIONALE
ha approvato
IL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE
promulga la seguente legge regionale:
CAPO I
Oggetto del testo unico
Art. 1
Oggetto del testo unico
1. Il presente testo unico, redatto ai sensi della legge regionale 9 marzo 2006, n. 7 (Riordino e semplificazione della normativa regionale mediante testi unici), riunisce le disposizioni di legge regionali in materia di terzo settore riguardanti:
a. le organizzazioni di volontariato;
b. le associazioni;
c. le cooperative sociali;
d. le società di mutuo soccorso;
e. le associazioni familiari;
f. l'erogazione di contributi alle articolazioni regionali e provinciali dell'unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, dell'ente nazionale per la protezione e l'assistenza dei sordi, della associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra, dell'associazione nazionale mutilati ed invalidi civili, dell'associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro e dell'unione nazionale mutilati per servizio della regione Lombardia;
g. l'erogazione di contributo ordinario al servizio dei cani guida per non vedenti.
CAPO II
Le organizzazioni di volontariato
Art. 2
1. La Regione riconosce il ruolo del volontariato come strumento di solidarietà sociale e di concorso autonomo alla individuazione dei bisogni e al conseguimento dei fini istituzionali dei servizi, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l'autonomia ed il pluralismo, ne riconosce la funzione di promozione culturale e di formazione ad una coscienza della partecipazione.
Art. 3
1. Ai fini del presente testo unico è volontariato il servizio reso dai cittadini in modo continuativo, senza fini di lucro, attraverso prestazioni personali, volontarie e gratuite, individualmente o in gruppi, svolte sul territorio regionale, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, per il perseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale. Tali finalità si perseguono attraverso le seguenti attività:
a. attività di carattere sociale, rientranti nell'area degli interventi socio-assistenziali e socio-sanitari, anche nelle forme innovative non codificate nella programmazione regionale;
b. attività di carattere civile, rientranti nell'area della tutela e del miglioramento della qualità della vita, della protezione dei diritti della persona, della tutela e valorizzazione dell'ambiente, della protezione del paesaggio e della natura, del soccorso in caso di pubblica calamità;
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2. L'attività di volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario; al volontario possono essere soltanto rimborsate dalla organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l'attività prestata entro i limiti preventivamente stabiliti dalla organizzazione stessa.
3. La qualità di volontario è incompatibile con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l'organizzazione di appartenenza.
Art. 4
Organizzazioni di volontariato
1. È considerata organizzazione di volontariato ogni organismo liberamente costituito al fine di svolgere le attività di cui all'articolo 3, che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti.
2. Le organizzazioni di volontariato possono assumere la forma giuridica che ritengono piu' adeguata al perseguimento dei fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico.
3. Negli accordi degli aderenti, nell'atto costitutivo o nello statuto, oltre che da quanto disposto nel codice civile per le diverse forme giuridiche che l'organizzazione assume, devono essere espressamente previste l'assenza dei fini di lucro, la democraticità della struttura, l'elettività e la gratuità delle cariche associative, nonche´ la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti, i criteri di ammissione e di esclusione di questi ultimi, i loro obblighi e diritti; devono essere altresì stabiliti l'obbligo di formazione del resoconto economico annuale dal quale devono risultare i beni, i contributi, nonche´ le modalità di approvazione dello stesso da parte dell'assemblea degli aderenti.
4. Le organizzazioni di volontariato possono assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento oppure occorrenti a qualificare o specializzare l'attività da esse svolta.
5. Le organizzazioni svolgono le attività di volontariato mediante strutture proprie o, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, nell'ambito di strutture pubbliche e private.
6. Le organizzazioni di volontariato debbono assicurare i propri aderenti, che prestano l'attività di volontariato, contro gli infortuni e le malattie connessi allo svolgimento dell'attività stessa, nonche´ per
la responsabilità civile verso terzi.
7. Il venir meno dei requisiti per l'iscrizione e la cessazione delle attività di volontariato comporta la cancellazione dal registro da disporsi con decreto motivato del dirigente della struttura competente.
Art. 5
Istituzione del registro generale regionale del volontariato
1. È istituito il registro generale regionale delle organizzazioni di volontariato. La Giunta regionale provvede:
a. ad approvare il modello di registro diviso in sezioni secondo le attività di cui al comma 1 dell'articolo 3;
b. a emanare apposita disciplina riguardante i criteri di attuazione di quanto previsto dall'articolo 4, le modalità ei contenuti delle domande da presentarsi da parte delle organizzazioni.
2. Il possesso dei requisiti di cui al comma 3 dell'articolo 4 dà diritto all'iscrizione nel registro del volontariato.
3. La domanda di iscrizione è inoltrata dagli interessati al Presidente della Giunta regionale e, contestualmente, al sindaco del comune nel cui territorio l'organizzazione ha la sede amministrativa od operativa, per l'espressione del parere che ne attesti l'esistenza e l'operatività; tale parere deve essere trasmesso alla Giunta regionale entro sessanta giorni dalla data di presentazione della domanda; decorso tale termine il parere si intende favorevole.
4. L'iscrizione nel registro è disposta con decreto del dirigente della struttura competente entro novanta giorni dalla data di acquisizione del parere del comune, o dall'inutile decorso dei sessanta giorni dalla data di presentazione della domanda di parere.
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6. L'iscrizione nel registro è condizione necessaria per accede-re ai contributi pubblici, nonche´ per stipulare le convenzioni e per beneficiare delle agevolazioni fiscali previste dalla normativa vigente.
7. La mancanza dei requisiti per l'iscrizione e la cessazione delle attività di volontariato comporta la cancellazione dal registro da disporsi con decreto motivato del dirigente della struttura competente.
Art. 6
Partecipazione alla programmazione
1. Le organizzazioni iscritte nel registro partecipano alla programmazione dei servizi a livello comunale, sovracomunale e regionale e a tal fine devono essere informate e consultate per i programmi regionali e locali nei settori di specifica attività; possono proporre al riguardo programmi ed iniziative.
Art. 7
Formazione e qualificazione professionale
1. Le iniziative di formazione e qualificazione professionale dei volontari sono attuate da:
a. le organizzazioni di volontariato che provvedono in modo autonomo e diretto alla formazione ed all'aggiornamento dei propri soci;
b. la Giunta regionale, che, sulla base di proposte inoltrate dagli enti locali e dalle organizzazioni di volontariato, promuove iniziative di formazione ed aggiornamento del volontario, predisponendo un piano annuale per lo svolgimento di corsi utili all'esercizio dell'attività di volontario.
2. I volontari delle associazioni iscritte nel registro hanno priorità, nell'ambito delle disposizioni emanate dalla Giunta regionale, all'ammissione ai corsi di aggiornamento organizzati dai comuni, dalle province e dalla Regione o da questi finanziati.
Art. 8
Contributo alle attività di volontariato
1. La Regione interviene a sostegno delle organizzazioni di volontariato in forma di contributo sia a sostegno delle attività generali, ivi comprese le attività di formazione, sia per specifiche attività documentate e per progetti. La Giunta regionale predispone annualmente una proposta per la definizione dello stanziamento fra le attività di cui all'articolo 3.
2. La proposta dei criteri di intervento è trasmessa dalla Giunta regionale al Consiglio regionale per il parere della commissione consiliare competente che si esprime con parere vincolante entro sessanta giorni dal ricevimento; trascorso inutilmente tale termine la proposta della Giunta si intende approvata.
3. Per lo svolgimento delle attività previste dal presente capo è istituito presso la direzione generale competente un gruppo di lavoro pluridisciplinare cui partecipano i settori interessati dalle attività definite all'articolo 3.
Art. 9
1. Le organizzazioni di volontariato iscritte nel registro da almeno sei mesi possono stipulare convenzioni con la Regione e gli altri enti pubblici per lo svolgimento di:
a. attività e servizi assunti integralmente in proprio;
b. attività innovative e sperimentali;
c. attività integrative o di supporto a servizi pubblici.
2. Per lo svolgimento delle attività di cui al comma 1 le convenzioni regolano:
a. la durata del rapporto di collaborazione;
b. il contenuto e le modalità dell'intervento volontario;
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d. le modalità di coordinamento dei volontari con gli opera-tori dei servizi pubblici; le coperture assicurative di cui al comma 6 dell'articolo 4;
e. i rapporti finanziari riguardanti le spese da ammettere a rimborso fra le quali devono figurare necessariamente gli oneri relativi alla copertura assicurativa;
f. le modalità di risoluzione del rapporto;
g. la verifica dei reciproci adempimenti.
3. La Regione e gli altri enti pubblici individuano le organizzazioni di volontariato con cui convenzionarsi per la realizzazione dei servizi previsti dal comma 1 del presente articolo, tra quelle:
a. le cui attività principali si realizzano nel settore per il qua-le si chiede l'intervento e che abbiano inoltre avviato esperienze concrete;
b. b) che hanno sotto varie forme sostenuto la formazione e l'aggiornamento dei volontari, con particolare riferimento all'area per la quale si chiede il convenzionamento.
4. Il rinnovo delle convenzioni avviene secondo le condizioni previste dall'articolo 7 della legge 11 agosto 1991, n. 266 (Leggequadro sul volontariato) e dal presente articolo.
Art. 10
1. La Giunta regionale emana disposizioni in merito alle modalità di attuazione della vigilanza sulle organizzazioni di volontariato iscritte nel registro generale regionale.
2. Le organizzazioni di volontariato sono tenute a presentare entro il 30 maggio di ciascun anno alla Regione una relazione sul mantenimento dei requisiti per l'iscrizione nel registro e sulla attività svolta nell'anno precedente, accompagnata dal rendiconto economico-finanziario mantenendo una giusta riservatezza per i soggetti coinvolti nell'attività dell'organizzazione.
Art. 11
Nomine regionali nel comitato di gestione del fondo speciale per il volontariato
1. Il Presidente della Giunta regionale, o suo delegato, partecipa di diritto al comitato di gestione, previsto dall'articolo 2 del decreto ministeriale 8 ottobre 1997, per la gestione del fondo speciale regionale di cui al comma 1 dell'articolo 15 della legge 266/1991.
2. Il Presidente del Consiglio regionale nomina nel comitato di gestione previsto dal comma 1 quattro rappresentanti di organizzazioni di volontariato, iscritte nei registri regionali, maggiormente presenti con la loro attività nel territorio regionale; tali componenti durano in carica due anni e non sono immediatamente rieleggibili.
Art. 12
Conferenza regionale del volontariato
1. La conferenza regionale si riunisce almeno una volta ogni due anni al fine di discutere gli indirizzi generali delle politiche regionali delle attività di cui all'articolo 3, e i rapporti fra le organizzazioni di volontariato e le istituzioni.
2. La conferenza esamina il rapporto sullo stato del volontariato e può essere organizzata per trattare tematiche specifiche e per sezioni.
3. Alla conferenza partecipano i responsabili o loro delegati delle organizzazioni di volontariato iscritte nel registro generale di volontariato. Alla conferenza sono altresì invitate le organizzazioni di volontariato non iscritte.
Art. 13
1. Per quanto non previsto dal presente capo si applicano le disposizioni della legge 266/1991.
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CAPO III
Promozione, riconoscimento e sviluppo dell'associazionismo
Art. 14
Finalità e ambito di applicazione
1. La Regione riconosce e promuove l'associazionismo nella pluralità delle sue forme quale fondamentale espressione di libertà, di promozione umana, di autonome capacità organizzative e di impegno sociale e civile dei cittadini e delle famiglie, nonche´ di convivenza solidale, di mutualità e di partecipazione alla vita della comunità locale e regionale; ne riconosce altresì il ruolo nel rapporto tra istituzioni, famiglie e cittadini nelle politiche di settore.
2. La Regione promuove il pluralismo del fenomeno associativo senza fini di lucro e ne sostiene le attività, che, rivolte sia ai soci che alla collettività, sono finalizzate alla realizzazione di scopi sociali, culturali, educativi, ricreativi, nel rispetto dei principi delle pari opportunità tra uomini e donne.
3. La Regione favorisce le iniziative promosse dagli enti locali volte a qualificare e valorizzare le realtà associative operanti sul territorio.
4. Le disposizioni del presente capo si applicano anche alle associazioni di promozione sociale di cui all'articolo 2 della legge 7 dicembre 2000, n. 383 (Disciplina delle associazioni di promozione sociale). Sono esclusi dall'applicazione del presente capo i circoli cooperativi, le cooperative sociali e i loro consorzi, nonche´ le associazioni di cui ai capi II e V del presente testo unico.
5. I benefici previsti dalle norme del presente capo non sono cumulabili con contributi e agevolazioni previsti dalle disposizione del presente testo unico e di altre leggi regionali riguardanti la medesima attività.
Art. 15
1. Sono ammesse a beneficiare delle agevolazioni e dei contributi le associazioni aventi gli scopi previsti dall'articolo 14, a condizione che:
a. non abbiano fine di lucro;
b. svolgano effettiva attività da almeno un anno;
c. assicurino, attraverso le norme statutarie e i regolamenti, la partecipazione democratica dei soci alla vita delle stesse e alla formazione dei propri organi direttivi ed in particolare assicurino la tutela dei diritti inviolabili della persona, la disciplina della organizzazione interna, l'elettività di almeno i due terzi delle cariche sociali, l'approvazione da parte dei soci, o di loro delegati, del programma e del bilancio,
la pubblicità degli atti e dei registri, la garanzia del diritto di recesso, senza oneri per il socio, la disciplina del-la procedura di esclusione del socio che preveda il contraddittorio di fronte a un organo interno di garanzia, la previsione statutaria che in caso di scioglimento dell'associazione il patrimonio sociale non possa essere ridistribuito tra i soci.
Art. 16
Registri provinciali e registro regionale delle associazioni
1. Presso ogni provincia è istituito il registro provinciale delle associazioni operanti nel territorio provinciale. In tale registro è istituita una apposita sezione nella quale sono iscritte le associazioni di promozione sociale, che siano in possesso dei requisiti soggettivi e statutari di cui agli articoli 2 e 3 della legge 383/2000, anche in deroga all'articolo 15 del presente testo unico.
2. E istituito presso la Regione il registro regionale delle associazioni, che prevede un'apposita sezione per le associazioni di promozione sociale, ai sensi dell'articolo 7, comma 4, della legge 383/2000; nel registro possono iscriversi:
a. ale associazioni di carattere regionale;
b. le associazioni di carattere nazionale che hanno una sede operativa nel territorio della Regione. Nella sezione del registro relativa alle associazioni di promozione sociale sono iscritte le associazioni in possesso dei requisiti soggettivi e statutari di cui agli articoli 2 e 3 della legge 383/2000, anche in deroga all'articolo 15 del presente testo unico.
23
4. I registri provinciali e regionale indicano l'ambito o gli ambiti in cui si esplica l'attività delle associazioni, anche in collegamento con le altre associazioni nazionali e internazionali
Art. 17
Iscrizione nei registri provinciali e regionale
1. Nei registri provinciali si iscrivono le associazioni in possesso dei seguenti requisiti:
a. che abbiano sede legale od operativa sul territorio provinciale;
b. che operino da almeno un anno;
c. che svolgano attività in attuazione delle finalità dell'articolo 14;
d. che dispongano di uno statuto fondato su principi di trasparenza e democrazia, che le cariche negli organi direttivi siano prevalentemente elettive e che, a tal fine, l'eventuale numero dei membri cooptati
o designati non sia superiore ad un terzo dei componenti complessivi di tali organismi, che, nelle associazioni cui aderiscono uomini e donne, si riconosca il principio delle pari opportunità. Le cooptazioni o le designazioni devono essere ratificate alla prima seduta utile dell'assemblea degli associati;
e. che operino avvalendosi di prestazioni volontarie da parte degli associati e con cariche sociali prevalentemente gratuite, con il solo rimborso delle spese sostenute per l'esclusivo espletamento delle funzioni istituzionali esercitate per conto delle associazioni. Le associazioni possono, in caso di particolare necessità, assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo, anche ricorrendo a propri associati.
2. I requisiti necessari per l'iscrizione nella sezione relativa alle associazioni di promozione sociale sono quelli di cui agli articoli 2 e 3 della legge 383/2000, anche in deroga all'articolo 15 del presente
testo unico.
3. Le associazioni che si iscrivono nel registro regionale di cui all'articolo 16, oltre a possedere i requisiti di cui al comma 1, devono operare in almeno due province o in almeno tre comunità montane.
4. La domanda di iscrizione nei registri è presentata:
a. al Presidente della provincia per le associazioni che rispondono ai requisiti del comma 1;
b. al Presidente della Regione per le associazioni che rispondono ai requisiti del comma 2.
5. La domanda, presentata dal legale rappresentante dell'associazione, deve essere corredata dalla documentazione seguente:
a. copia dell'atto costitutivo e dello statuto;
b. elenco nominativo di coloro che ricoprono cariche sociali;
c. la relazione sull'attività svolta nell'anno precedente e di quella in programma nonche´ la consistenza numerica dell'associazione;
d. il resoconto economico dell'anno precedente con la rappresentazione dei beni patrimoniali.
6. La Regione e la provincia, ogni anno, pubblicano l'elenco aggiornato delle associazioni iscritte nei rispettivi registri.
7. La provincia invia copia del registro provinciale al Presidente della Regione.
8. Alle associazioni è fatto obbligo di comunicare al Presidente della provincia o della Regione le variazioni dell'atto costitutivo, delle cariche sociali e delle sedi operative.
9. Ogni due anni, la Regione e la provincia sottopongono a revisione i rispettivi registri, verificando il permanere dei requisiti per il mantenimento dell'iscrizione delle associazioni.
10. Il venir meno dei requisiti previsti per l'iscrizione o la cessazione dell'attività associativa comporta la cancellazione dai registri da disporsi con provvedimento motivato.
Art. 18
Procedure e modalità per l'iscrizione nei registri provinciali e regionale
1. La Regione e la provincia provvedono all'accettazione o al diniego delle domande di iscrizione entro novanta giorni dalla presentazione delle stesse.
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3. La mancanza dei requisiti comporta il diniego dell'iscrizione nei rispettivi registri da disporre con atto motivato.
Art. 19
Interventi per la promozione dell'associazionismo
1. La Regione persegue le finalità previste dal presente capo sia sostenendo le iniziative degli enti locali, sia direttamente attraverso:
a. sostegno di specifici progetti di attività anche mettendo eventualmente a disposizione spazi ed attrezzature regionali per iniziative promosse dalle associazioni;
b. la razionalizzazione e il coordinamento dei servizi esistenti, la fornitura di informazioni e di assistenza tecnica d'intesa con le altre istituzioni locali.
2. La Regione promuove altresì la stipulazione di convenzioni tra le associazioni, singole o associate e gli enti pubblici per cooperare nei servizi di utilità sociale e collettiva.
Art. 20
Disposizioni applicative e attività di vigilanza
1. Il Consiglio regionale, su proposta della Giunta regionale, approva le disposizioni applicative che consentano alla Regione e alle province di procedere all'iscrizione nei registri di rispettiva competenza.
2. Con lo stesso atto vengono regolate le modalità di attuazione della vigilanza sulle associazioni iscritte nei registri.
Art. 21
Programma e interventi della Regione
1. La Regione, per il perseguimento delle finalità di cui al presente capo, adotta, con provvedimento del Consiglio regionale, un programma biennale che stabilisce le linee fondamentali degli interventi e le risorse finanziarie per favorire l'associazionismo, coordinando tali iniziative con le priorità indicate nel programma regionale di sviluppo.
2. Sono ammessi a finanziamento progetti di valenza regionale rientranti nel programma biennale, presentati dalle associazioni iscritte nel registro regionale e in quelli provinciali da almeno sei mesi.
3. Per l'attuazione dei progetti di cui al comma 2, su conforme deliberazione della Giunta regionale, il direttore generale competente è autorizzato a stipulare apposite convenzioni con le associazioni. I progetti possono essere attuati anche in collaborazione con gli enti locali o altri enti pubblici; in tal caso la Regione contribuisce in misura tale che il contributo pubblico complessivo non superi comunque il 70% del valore del progetto ammesso a finanziamento.
4. Possono essere ammessi a finanziamento progetti di una o piu' associazioni anche associate, sostenuti e presentati dalle province di appartenenza.
5. I progetti delle associazioni che sono attuati e finanziati se-condo le norme delle leggi regionali di settore, non accedono al finanziamento previsto dal programma biennale di cui al comma 1.
Art. 22
Conferenza regionale dell'associazionismo
1. La Giunta regionale indice ogni due anni una conferenza dell'associazionismo rivolta alla partecipazione delle associazioni operanti nel territorio regionale iscritte nei registri provinciali e nel registro regionale.
2. La conferenza regionale si esprime, con valutazioni e proposte, in ordine alle politiche nazionali, regionali e locali in materia di associazionismo; essa si esprime altresì sui rapporti tra le istituzioni pubbliche e le realtà associative.
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Art. 23
1. La Regione, nell'ambito delle proprie competenze in materia di formazione professionale, al fine di realizzare gli obiettivi di cui all'articolo 14 coordina e sostiene la promozione di progetti di qualificazione e riqualificazione degli operatori che vengono impegnati nelle attività delle associazioni; agevola l'accesso dei membri delle associazioni ai corsi e alle iniziative di formazione promossi dalla Regione.
2. Le associazioni iscritte nei registri provinciali o nel registro regionale possono altresì proporre, nel rispetto dei requisiti e delle modalità stabilite dalla legislazione vigente, la realizzazione di interventi formativi previsti nei programmi annuali delle attività di formazione professionale approvate dalle province.
Art. 24
Modalità di erogazione dei finanziamenti regionali
1. La Regione eroga finanziamenti alle associazioni iscritte nel registro regionale, per la realizzazione dei progetti di cui all'articolo 21, commi2e3. La Regione eroga finanziamenti alle province per i progetti di cui all'articolo 21, comma 4.
2. I progetti di rilevanza regionale, fatti salvi quelli di cui al-l'articolo 21, comma 3, attuati in collaborazione con enti locali o altri enti pubblici e i progetti di cui all'articolo 21, comma 4, presentati dalle province, possono essere finanziati fino al 50% dei costi previsti.
3. Le richieste di finanziamento devono essere corredate dall'iscrizione al registro, dalla relazione sull'attività da realizzare e dalla dichiarazione di eventuale partecipazione di altri soggetti.
4. Per i progetti che le associazioni intendono attuare negli ambiti previsti dalle leggi regionali di settore, di cui all'articolo 21, comma 5, i contributi sono erogati secondo le modalità previste dalle rispettive leggi.
5. Non sono comunque ammessi a finanziamenti i progetti che si configurano come attività commerciale.
Art. 25
1. La Giunta regionale adotta le deliberazioni necessarie per dare attuazione a quanto previsto agli articoli 17, 18, 19 e 21, commi 2, 3,4e5.
2. Nell'ambito dei provvedimenti attuativi della legge regionale 23 luglio 1996 n. 16 (Ordinamento della struttura organizzativa e della dirigenza della giunta regionale), la Giunta regionale individua il settore e le strutture organizzative competenti all'applicazione della presente legge.
3. Il Presidente della Giunta regionale può delegare ad un assessore la tenuta del registro di cui all'articolo 16.
CAPO IV
Le cooperative sociali
Art. 26
1. Le disposizioni del presente capo disciplinano l'albo regionale delle cooperative sociali, le azioni regionali per la qualità dei servizi sociali, nonche´ la partecipazione dei soci volontari delle cooperative
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Art. 27
Albo regionale delle cooperative sociali
1. E istituito l'albo regionale delle cooperative sociali e dei loro consorzi.
2. L'iscrizione all'albo di cui al comma 1 è condizione per accedere alle agevolazioni previste dalla normativa regionale.
3. Le province provvedono alla gestione dell'albo delle cooperative sociali, in particolare alla ricezione delle domande, alla verifica dei requisiti per l'iscrizione, per il mantenimento o la cancellazione dall'albo delle cooperative sociali, degli organismi analoghi alle cooperative sociali aventi sede negli Stati dell'Unione europea nonche´ delle cooperative sociali aventi sede in Italia ma che non operano prevalentemente in Lombardia.
4. L'iscrizione all'albo regionale delle cooperative sociali che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b) della legge 8 novembre 1991, n. 381 (Disciplina delle cooperative sociali) è condizione per la stipulazione di convenzioni in deroga alle ordinarie regole per la stipulazione di contratti con le amministrazioni pubbliche che operino in ambito regionale. L'iscrizione all'albo regionale o comunque la dimostrazione del possesso di requisiti equivalenti produce i medesimi effetti nei confronti degli organismi analoghi alle cooperative sociali aventi sede negli Stati dell'Unione europea nonche´ delle cooperative sociali aventi sede in Italia ma che non operano prevalentemente
in Lombardia, con esclusione dall'accesso a contributi o finanziamenti.
5. 5. La Regione, con il regolamento previsto dall'articolo 4 della l.r. 21/2003, sentita la consulta regionale per lo sviluppo della cooperazione, di cui all'articolo 3 della stessa legge regionale, stabilisce
i requisiti per l'iscrizione e la permanenza nell'albo regionale delle cooperative sociali, nonche´ i tempi
e le modalità per la presentazione delle domande, i casi di cancellazione, le modalità di gestione dell'albo, ivi compreso il necessario raccordo con le province.
Art. 28
1. La Regione, in sede di contrattazione decentrata, riconosce ai propri dipendenti, impegnati come soci volontari nelle cooperative sociali, la partecipazione alle attività formative di cui al-l'articolo 8 della
l.r. 21/2003, ai fini della valutazione dell'orario e della prestazione lavorativa.
2. Al fine della piu' ampia applicazione di quanto previsto dal comma 1, la Regione favorisce le iniziative promosse dagli enti locali che consentono ai propri dipendenti lo svolgimento di attività di
socio volontario nelle cooperative sociali orientate all'inserimento di soggetti svantaggiati.
Art. 29
Azioni regionali per la qualità dei servizi sociali
1. La Regione, nell'attuazione della rete delle unità d'offerta sociali e sociosanitarie, adotta indirizzi per sostenere le attività svolte dalle cooperative sociali, privilegiando la gestione di servizi aggiudicati in base all'offerta economicamente piu' vantaggiosa, con le modalità previste dall'articolo 83, comma 1, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE).
2. La Regione promuove intese con le associazioni rappresentative degli enti locali e degli enti gestori delle unità d'offerta sociosanitarie e delle cooperative per concordare la formulazione di bandi pubblici, relativi a gare di affidamento della gestione di servizi, che garantiscano la qualità dei servizi.
3. La Giunta regionale approva schemi di convenzione-tipo, rispettivamente per:
a. la gestione di servizi socio-sanitari, assistenziali ed educativi;
b. la fornitura di beni e servizi di cui all'articolo 5 della legge 381/1991.
4. Per gestione di servizi si intende l'organizzazione complessiva e coordinata dei diversi fattori materiali, immateriali e umani che concorrono alla realizzazione di un servizio, con esclusione delle mere prestazioni di manodopera.
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6. La Regione vigila sul rispetto dei trattamenti previsti dai contratti nazionali di lavoro nelle cooperative che gestiscono servizi sociali per conto degli enti locali e degli enti gestori dei servizi socio sanitari, a pena di sospensione o revoca dei benefici concessi.
7. Nell'ambito delle funzioni conferite con la legge regionale 5 gennaio 2000, n. 1 (Riordino del sistema delle autonomie in Lombardia. Attuazione del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 «Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dallo Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59»), le province svolgono anche le attività indicate al comma 6.
CAPO V
Le società di mutuo soccorso
Art. 30
1. La Regione, ispirandosi ai principi fissati dagli articoli 3 e 4 del proprio Statuto ed in attuazione dei suoi compiti istituzionali, riconosce la particolare e rilevante funzione sociale delle società di mutuo soccorso (SMS) costituite, senza fini di lucro, ai sensi della legge 15 aprile 1886, n. 3818 (Costituzione
legale delle società di mutuo soccorso), nonche´ i valori storici e culturali che esse rappresentano nella società lombarda.
2. A tal fine la Regione valorizza la funzione di promozione sociale, di servizio e di innovazione perseguita dalle società stesse che hanno finalità sociali, culturali, ricreative, di salvaguardia del patrimonio storico, culturale, artistico e di sviluppo della cultura della solidarietà tra i lavoratori, favorisce la diffusione della conoscenza e l'illustrazione della storia e delle attività delle società, con particolare riferimento a quelle in attività da almeno cinquant'anni e dispone interventi finanziari per il recupero e l'utilizzo sociale degli immobili e degli arredi di proprietà dei suddetti sodalizi e per le iniziative tese allo sviluppo della cultura mutualistica.
Art. 31
1. Per il perseguimento degli obiettivi di cui all'articolo 30 e nell'ambito delle disponibilità finanziarie dei singoli bilanci di esercizio, la Regione concede contributi per agevolare la realizzazione di programmi riguardanti:
a. la ristrutturazione e la manutenzione straordinaria degli immobili di proprietà delle società di cui all'articolo 30, adibiti a sede sociale ed allo svolgimento della attività sociale;
b. l'ammodernamento degli arredi, degli impianti e dei beni strumentali connessi all'attività sociale nonche´ interventi di conservazione e restauro del materiale storico documentario;
c. le iniziative sociali ed educative finalizzate allo sviluppo della cultura mutualistica.
2. I programmi di cui al comma 1 devono essere finalizzati comunque al raggiungimento degli scopi sociali previsti dagli statuti delle società di mutuo soccorso.
Art. 32
1. Per l'ottenimento dei contributi regionali, le società di mutuo soccorso di cui all'articolo 30 presentano domanda al Presidente della Giunta regionale entro il 30 gennaio di ogni anno corredata dalla seguente documentazione:
a. per le opere di cui alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 31, copia del progetto di massima e la perizia estimativa del costo complessivo delle opere asseverate;
b. per gli interventi di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 31, preventivo dettagliato ed asseverato, nonche´ una relazione volta a specificare e motivare le spese sostenute;
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d. per le opere di cui al comma 2 dell'articolo 33, copia del progetto di massima, la perizia estimativa del costo complessivo delle opere asseverate, una relazione del comune di appartenenza che illustri le finalità dell'intervento ed una copia della convenzione.
Art. 33
Concessione ed erogazione dei contributi
1. La Giunta regionale, sulla base delle domande pervenute, verificata la conformità dei programmi alle finalità del presente testo unico, nonche´ la congruità dei costi previsti, delibera annualmente il piano di riparto dei contributi determinando criteri, priorità e modalità di assegnazione.
2. Qualora l'opera di ristrutturazione preveda la creazione di adeguate sale da destinare allo svolgimento di attività pubbliche quali conferenze, dibattiti, mostre ed altre iniziative promosse da organizzazioni culturali, sociali, sindacali e politiche, il contributo viene assegnato prioritariamente per
la ristrutturazione di immobili, o porzioni di essi, concessi in utilizzo sulla base di convenzioni pluriennali ai comuni in cui gli stessi sono ubicati.
3. L'erogazione dei contributi avviene con decreto del dirigente competente.
4. L'erogazione dei contributi per gli interventi di cui al comma 2 ed alla lettera a) del comma 1 dell'articolo 31, avviene con le seguenti modalità:
a. il 50% alla presentazione di copia del progetto approvato dalla competente commissione comunale edilizia e di copia dell'avvenuta stipula del contratto di esecuzione dei lavori da parte delle società di mutuo soccorso o di una dichiarazione equivalente nel caso di esecuzione in amministrazione diretta;
b. il 50% a presentazione del certificato di collaudo o del certificato di regolare esecuzione nonche´ della documentazione di tutte le spese sostenute per la realizzazione dell'opera.
5. L'erogazione dei contributi per gli interventi di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 31 è subordinata alla certificazione di avvenuta acquisizione dei beni o della realizzazione degli impianti.
6. L'erogazione dei contributi per le iniziative di cui alla lettera c) del comma 1 dell'articolo 31 è subordinata alla certificazione delle spese sostenute.
Art. 34
Controlli regionali e revoca dei benefici
1. La direzione generale competente esercita il controllo sulla realizzazione dei programmi e sul concreto utilizzo dei finanziamenti.
2. In caso di utilizzo dei contributi non conforme alla deliberazione di concessione, la direzione generale competente, esperite le necessarie verifiche, può disporre la revoca totale o parziale dei contributi assegnati.
Art. 35
Iniziative promozionali regionali
1. Per le finalità di cui all'articolo 30, la Regione promuove, a seguito di una preliminare indagine conoscitiva e ricognitiva dei sodalizi esistenti in Lombardia con particolare riferimento alle situazioni
delle sedi e del loro stato conservativo, delle proprietà, degli archivi, delle bacheche, delle bandiere e del materiale iconografico di loro appartenenza, le seguenti iniziative:
a. la costituzione e il reperimento della sede di una biblioteca specializzata sulle società di mutuo soccorso, con particolare riferimento a quelle lombarde;
b. la costituzione di un archivio filmico e fotografico del materiale iconografico delle società di mutuo soccorso;
c. l'organizzazione di un deposito per ricovero temporaneo di archivi sociali, bandiere o altro materiale di proprietà delle società di mutuo soccorso per la predisposizione di interventi di restauro conservativo;
d. l'organizzazione di mostre e convegni sia per la valorizzazione del patrimonio storico-culturale delle società di mutuo soccorso, sia per lo studio e l'analisi delle nuove forme di solidarietà, nonche´ incontri formativi per i cittadini impegnati nelle attività delle società di mutuo soccorso;
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CAPO VI
Promozione dell'associazionismo familiare
Art. 36
Promozione dell'associazionismo familiare
1. La Regione, in applicazione dei principi e degli obiettivi di cui alla legge regionale 6 dicembre 1999,
n. 23 (Politiche regionali per la famiglia), e in attuazione del principio di sussidiarietà, in base al quale vengono gestite dall'ente pubblico le funzioni che non possono essere piu' adeguatamente svolte dall'autonomia dei privati come singoli o nelle formazioni sociali in cui si svolge la loro personalità, valorizza e sostiene la solidarietà tra le famiglie, promuovendo le associazioni e le formazioni di privato sociale rivolte a:
a. organizzare ed attivare esperienze di associazionismo sociale, atto a favorire il mutuo aiuto nel lavoro domestico e di cura familiare, anche mediante l'organizzazione di «banche del tempo»;
b. promuovere iniziative di sensibilizzazione e formazione al servizio delle famiglie, in relazione ai loro compiti sociali ed educativi.
2. La Giunta regionale provvede a censire le associazioni di cui al comma 1, costituitesi sul territorio regionale ed a iscriverle, a domanda, sulla base di modalità predeterminate dalla Giunta medesima, in apposito registro istituito ed aggiornato presso la direzione regionale competente.
3. Le associazioni familiari iscritte nel registro di cui al comma 2 possono stipulare convenzioni con la Regione o con gli altri enti pubblici per lo svolgimento di interventi o la gestione di servizi o strutture nell'ambito dei servizi alla persona finalizzati al sostegno della famiglia.
4. Si intendono per associazioni di mutuo aiuto di cui al comma 1, lettera a), le organizzazioni che favoriscono l'erogazione e lo scambio, tra i soci, di prestazioni di servizi e di sussidi a sostegno della famiglia.
5. Per sostenere ed incentivare le associazioni e le formazioni di privato sociale di cui al comma 1, la Regione, nell'ambito delle disponibilità finanziarie dei singoli bilanci di esercizio e sulla base di criteri e modalità definiti dalla Giunta regionale, concede contributi, ad integrazione delle quote annualmente versate dai singoli associati.
6. Per «banche del tempo», ai fini del comma 1, lettera a), si intendono forme di organizzazione mediante le quali persone disponibili ad offrire gratuitamente parte del proprio tempo per attività di cura, custodia ed assistenza, vengono poste in relazione con soggetti e con famiglie in condizioni di bisogno. Il collegamento e l'intermediazione tra i soggetti interessati alla banca del tempo sono svolti
da associazioni senza scopo di lucro.
7. La Regione, in attuazione dello Statuto, favorisce le forme di associazionismo e di autogestione come modalità necessaria per garantire l'effettiva partecipazione di tutti i cittadini alla realizzazione della politica regionale per la famiglia.
8. E istituita presso la direzione regionale competente in materia di interventi sociali la consulta regionale delle associazioni familiari, composta da:
a. assessore regionale competente;
b. tre rappresentanti delle associazioni di famiglie iscritte nel registro di cui al comma 2;
c. tre rappresentanti di strutture di autorganizzazione a livello regionale di servizi tra le famiglie;
d. due rappresentanti dei comuni designati dall'ANCI Lombardia;
e. un rappresentante delle province designato dalla UPL;
f. un direttore di dipartimento per le attività socio-sanitarie integrate (ASSI), indicato dall'assessore regionale competente.
9. La consulta è nominata ed insediata dal Presidente della Giunta regionale.
10. La consulta elegge nel proprio seno il presidente e delibera un proprio regolamento interno per l'organizzazione e la disciplina dei lavori. Il supporto tecnico-organizzativo, i locali e le attrezzature necessari per il funzionamento della consulta sono forniti dalla Regione.
11. La consulta dura in carica per tutta la legislatura nel corso della quale è stata insediata.
30
CAPO VII
Erogazione di contributo ordinario alle articolazioni regionali ed alle sezioni provinciali dell'unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, dell'ente nazionale per la protezione e l'assistenza dei sordi, dell'associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra, dell'associazione nazionale mutilati e invalidi civili, dell'associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro e dell'unione nazionale mutilati per servizio della regione Lombardia
Art. 37
1. La Regione, allo scopo di sovvenire alle particolari necessità di promozione umana e sociale dei ciechi, dei sordomuti, delle famiglie dei caduti e dei dispersi in guerra e degli invalidi civili e del lavoro, concede a titolo di contributo ordinario annuo la somma indicizzata di euro 103.291,38 in favore dell'unione ita-liana dei ciechi e degli ipovedenti, di euro 103.291,38 in favore dell'ente nazionale per
la protezione e l'assistenza dei sordi, di euro 103.291,38 in favore dell'associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra, di euro 103.291,38 in favore dell'associazione nazionali mutilati e invalidi civili, di euro 103.291,38 in favore della associazione nazionale mutilati ed invalidi del lavoro, di euro 103.291,38 in favore della unione nazionale mutilati per servizio, ente morale istituito con decreto del Capo provvisorio dello Stato 24 giugno 1947, n. 650.
2. Il contributo di cui al comma 1 è finalizzato a consentire alle stesse associazioni di meglio perseguire i propri compiti istituzionali di preminente rilievo sociale, sia associativi che di rappresentanza, patrocinio e tutela dei minorati della vista, dell'udito e della parola, delle famiglie dei dispersi in guerra, degli invalidi civili e del lavoro.
3. Per le finalità di cui al comma 1, per garantire un piu' diffuso servizio sul territorio regionale, alle associazioni è concesso un contributo per ogni provincia in cui risulta aperta, ad uso esclusivo dell'associazione, almeno una sede.
4. Le finalità e le modalità di erogazione del contributo in favore dell'unione nazionale mutilati per servizio sono conformi a quelle stabilite rispettivamente dal comma 2 e dall'articolo 38.
5. L'ente beneficiario di cui al comma 4 deve operare in conformità agli obiettivi fissati dall'articolo 39 e deve rendere programma dettagliato delle attività e la relazione sullo stato di relativa attuazione in conformità a quanto stabilito dall'articolo 40.
Art. 38
1. Il contributo è concesso con decreto del Presidente della Giunta regionale, rispettivamente al consiglio regionale dell'unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, al comitato regionale di coordinamento dell'ente nazionale per la protezione e l'assistenza dei sordi, al comitato regionale della Lombardia dell'associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra, al comitato regionale dell'associazione nazionale mutilati e invalidi civili della Lombardia, al consiglio regionale dell'associazione mutilati ed invalidi del lavoro della Lombardia, da ripartirsi secondo le seguenti modalità:
a. il 10% delle somme di rispettiva competenza alle suddette articolazioni regionali per le attività promozionali e organizzative di carattere generale;
b. il restante 90% delle stesse, per metà in parti uguali e per metà in proporzione al numero dei soggetti rappresentati, alle sezioni costituite sul territorio regionale.
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Art. 39
1. Nell'ambito delle linee generali delle rispettive attività promozionali, gli enti beneficiari di cui all'articolo 37 operano, in particolare, per il conseguimento dei seguenti obiettivi:
a. assicurare un programma organico di intervento a favore dei propri rappresentati, tenendo conto
delle esigenze derivanti dalle minorazioni sensoriali della cecità, del sordomutismo e dell'invalidità civile, nonche´ dalla particolare condizione di affiizione morale e materiale in cui versano le famiglie
dei caduti e dispersi in guerra;
b. favorire lo svolgimento di adeguati programmi annuali di propaganda per la profilassi della cecità, del sordomutismo e per la prevenzione degli stati di invalidità;
c. promuovere adeguati interventi atti a favorire la educazione e l'istruzione professionale dei ciechi, dei sordomuti e degli invalidi civili e conseguentemente il loro proficuo inserimento nelle attività lavorative e la loro effettiva partecipazione alla vita sociale della regione;
d. incrementare la ricerca tecnologica primaria, consistente nello studio, nel perfezionamento e nella sperimentazione di materiali ed apparecchiature speciali;
e. rendere possibile ogni altra utile attività promozionale e di sostegno sul piano sociale, lavorativo e culturale, nonche´ l'adeguamento delle attuali strutture organizzative al soddisfacimento delle fondamentali necessità dei minorati sensoriali e fisici e dalle famiglie dei caduti e dispersi in guerra.
Art. 40
Relazione sullo stato di attuazione dei progetti
1. Gli enti di cui all'articolo 37 sono tenuti a presentare alla Giunta regionale, entro il 30 settembre di ogni anno, il programma dettagliato delle attività che intendono svolgere nell'anno successivo, ed entro il 30 giugno di ogni anno il resoconto dell'attività svolta nell'anno precedente, debitamente approvati dalle assemblee dei soci.
2. La Giunta regionale, laddove riscontri difformità rispetto agli scopi e alle finalità della presente legge, invita gli enti di cui al comma 1 a rettificare i programmi annuali di attività.
CAPO VIII
Erogazione di contributo ordinario al servizio cani guida per non vedenti
Art. 41
1. La Regione, in riconoscimento del servizio reso alla collettività, concede contributi ordinari annui, da destinare allo svolgimento del servizio, alle associazioni che forniscono gratuitamente ai non vedenti cani guida appositamente addestrati.
2. Le modalità di erogazione e di rendicontazione del contributo sono determinate con deliberazione della Giunta regionale.
CAPO IX
Norme finali
Art. 42
Abrogazioni e modificazioni di norme
1. Sono abrogate le seguenti leggi:
a. legge regionale 24 luglio 1993, n. 22 (Legge regionale sul volontariato);
b. legge regionale 16 settembre 1996, n. 28 (Promozione, riconoscimento e sviluppo dell'associazionismo);
32
d. legge regionale 9 agosto 1993, n. 24 (Erogazione di contributo ordinario alle articolazioni regionali ed alle sezioni provinciali dell'unione italiana ciechi, dell'ente nazionale per la protezione e l'assistenza ai sordomuti, dell'associazione nazionale famiglie caduti e dispersi in guerra, dell'associazione nazionale mutilati e invalidi civili e dell'associazione nazionale mutilati e invalidi del lavoro della regione Lombardia);
e. legge regionale 10 giugno 2002, n. 11 (Erogazione di contributo ordinario al servizio cani guida per non vedenti).
2. Sono altresì abrogati:
a. i commi 5 e 6 dell'articolo 8 e l'articolo 11 della legge regionale 18 novembre 2003, n. 21 (Norme per la cooperazione in Lombardia);
b. l'articolo 5 della legge regionale 6 dicembre 1999, n. 23 (Politiche regionali per la famiglia);
c. i commi dal 19 al 22 e 29, 28º e 29º alinea, dell'articolo 1 della legge regionale 15 dicembre 1999, n.
24 (Variazioni al bilancio per l'esercizio finanziario 1999 ed al bilancio pluriennale 1999/2001 con modifiche di leggi regionali - IV provvedimento di variazione);
d. il punto 48 dell'allegato a) della legge regionale 23 luglio 1996, n. 16 (Ordinamento della struttura organizzativa e della dirigenza della Giunta regionale);
e. i commi 33 e 45 dell'articolo 4 della legge regionale 27 gennaio 1998, n. 1 (Legge di programmazione economicofinanziaria ai sensi dell'art. 9 ter della l.r. 31 marzo 1978, n. 34 «Norme
sulle procedure della programmazione, sul bilancio e sulla contabilità della regione» e successive modificazioni e integrazioni);
f. i commi 9 e 11 dell'articolo 11 e il punto 9 dell'allegato d) della legge regionale 22 luglio 2002, n. 15 (Legge di semplificazione 2001. Semplificazione legislativa mediante abrogazione di leggi regionali. Interventi di semplificazione amministrativa e delegificazione);
g. il comma 2 dell'articolo 4 della legge regionale 24 marzo 2003, n. 3 (Modifiche a leggi regionali in materia di organizzazione, sviluppo economico, territorio e servizi alla persona);
h. l'articolo 5 della legge regionale 24 marzo 2004, n. 5 (Modifiche a leggi regionali in materia di organizzazione, sviluppo economico e territorio. Collegato ordinamentale 2004);
i. il comma 4 dell'articolo 1 della legge regionale 5 maggio 2004, n. 12 (Modifiche a leggi regionali in materia di potestà regolamentare);
j. il comma 1 dell'articolo 4 della legge regionale 24 febbraio 2006, n. 5 (Disposizioni in materia di servizi alla persona e alla comunità);
k. il comma 1 dell'articolo 1 della legge regionale 2 agosto 2006, n. 17 (Assestamento al bilancio per l'esercizio finanziario 2006 ed al bilancio pluriennale 2006/2008 a legislazione vigente e programmatico - I provvedimento di variazione con modifiche di leggi regionali).
3. Alla legge regionale 18 novembre 2003, n. 21 (Norme per la cooperazione in Lombardia) è apportata la seguente modifica:
a. l'articolo 4 è sostituito dal seguente:
«Art. 4 (Anagrafe regionale delle cooperative)
1. E istituita l'anagrafe regionale delle cooperative e dei loro consorzi, la cui articolazione e disciplina è determinata dalla Giunta regionale sentite la commissione consiliare competente e la consulta.
2. La tenuta e la gestione dell'anagrafe è delegata alle CCIAA.
3. La Regione, con regolamento, sentita la consulta di cui all'articolo 3, stabilisce i requisiti per l'iscrizione e la permanenza nell'anagrafe regionale delle cooperative, nonche´ i tempi e le modalità
per la presentazione delle domande, i casi di cancellazione, le modalità di gestione dell'anagrafe, ivi compreso il necessario raccordo tra province e CCIAA.».
4. Alla legge regionale 6 dicembre 1999, n. 23 (Politiche regionali per la famiglia) sono apportate le seguenti modifiche:
a. all'articolo 4, comma 2, lettera d), le parole: «realizzare l'attività di organizzazione delle "banche del tempo" di cui all'art. 5, comma 6» sono sostituite dalle parole: «realizzare l'attività di organizzazione delle "banche del tempo" di cui all'articolo 36, comma 6, del testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso:».
b. all'articolo 4, comma 16, le parole «La Giunta regionale, sentita la Consulta di cui all'art. 5, comma 8:» sono sostituite dalle parole: «La Giunta regionale, sentita la consulta di cui all'articolo 36, comma
8, del testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso:».
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Art. 43
1. I risultati e gli effetti prodotti dalle leggi e dalle disposizioni abrogate o modificate ai sensi dell'articolo 42, nonche´ gli atti adottati sulla base delle medesime leggi e disposizioni, permangono e restano validi ed efficaci.
2. Per quanto riguarda l'attività delle persone giuridiche di diritto privato derivanti dalla trasformazione delle IPAB, operanti in ambito sociale, sociosanitario ed educativo, restano ferme le disposizioni della legge regionale 13 febbraio 2003, n. 1 (Riordino della disciplina delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza operanti in Lombardia).
Art. 44
1. Per le spese di formazione di cui all'articolo 7 e per i contributi alle attività di volontariato di cui all'articolo 8 si provvede, per l'esercizio finanziario 2008 e seguenti, con le risorse stanziate annualmente all'UPB 5.2.5.2.93 «Valorizzazione del non profit e servizio civile».
2. Per gli interventi di promozione dell'associazionismo e finanziamento di progetti di cui agli articoli 19
e 21 si provvede, per l'esercizio finanziario 2008 e seguenti, con le risorse stanziate annualmente all'UPB 5.2.5.2.93 «Valorizzazione del non profit e servizio civile».
3. Per le attività formative di cui all'articolo 23 si provvede, per l'esercizio finanziario 2008 e seguenti, con le risorse stanziate annualmente all'UPB 5.2.5.2.93 «Valorizzazione del non profit e servizio civile».
4. Alle spese previste dagli articoli 31 e 35 si provvede per l'esercizio finanziario 2008 e seguenti, con le risorse stanziate annualmente all'UPB 2.3.1.3.56 «Valorizzazione del patrimonio culturale» per le spese in conto capitale e all'UPB 2.3.3.2.54 «Qualificazione e sostegno delle attività culturali» per le spese di natura corrente.
5. Per le spese di cui all'articolo 36, comma 5, si provvede, per l'esercizio finanziario 2008 e seguenti,
con le risorse stanziate annualmente all'UPB 5.2.2.2.91 «Promozione e sostegno alla famiglia e ai minori» e per quelle di cui al comma 8 si provvede, per l'esercizio finanziario 2008 e seguenti, con le risorse stanziate annualmente all'UPB 7.2.0.1.184 «Spese postali, telefoniche e altre spese generali».
6. Per il finanziamento delle azioni di sostegno e per gli interventi di cui agli articoli 37, 38, 39 e 40 si provvede, per l'esercizio finanziario 2008 e seguenti, con le risorse stanziate annualmente all'UPB
5.2.5.2.93 «Valorizzazione del non profit e servizio civile».
7. Per il contributo di solidarietà di cui all'articolo 41 si provvede, per l'esercizio finanziario 2008 e seguenti, con le risorse stanziate annualmente all'UPB 5.2.3.02.97 «Tutela delle fragilità: anziani e disabili».
La presente legge regionale è pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione.
E fatto obbligo a chiunque spetti di osservarla e farla osservare come legge della Regione lombarda. Milano, 14 febbraio 2008
Xxxxxxx Xxxxxxxxx
(Approvata con deliberazione del Consiglio regionale n. VIII/512 del 5 febbraio 2008
Si riporta il nuovo testo risultante dalle modifiche apportate
Nuovo testo dell'allegato A della l.r. 23 luglio 1996, n. 16 «Ordinamento della struttura organizzativa e della dirigenza della Giunta regionale»
Allegato
Elenco disposizioni abrogate
Sono abrogate:
1. la l.r. 22 aprile 1974, n. 21 «Norme per il conferimento degli incarichi di consulenza e professionali, per la costituzione di commissioni consultive o di studio e per l'indizione di congressi o convegni da parte della Giunta regionale»;
34
3. la l.r. 1 agosto 1979, n. 42 «Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale»; 4. …;
5. la l.r. 9 giugno 1981, n. 29 «Modifiche alla l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale" - Istituzione di nuovi servizi e conseguenti provvedimenti di adeguamento»;
6. l'art. 3 della l.r. 6 luglio 1981, n. 35 «Modifiche ed integrazioni alla l.r. 5 settembre 1978, n. 59 "Interventi straordinari per il riassetto dell'Oltrepò Pavese" e all'art. 2 della l.r. 19 maggio 1980 n. 61 "Norme per l'attuazione del progetto integrato Valtellina e programma di interventi straordinari"»;
7. la l.r. 31 agosto 1981 n. 52 «Modifiche alla l.r. 22 aprile 1974 n. 21»;
8. la l.r. 28 giugno 1982, n. 31 «Piano territoriale regionale»;
9. la l.r. 15 dicembre 1982, n. 70 «Modificazioni della l.r. 7 giugno 1980, n. 95 e della l.r. 9 giugno 1981, n. 29 "Istituzione del servizio vertenze"»;
10. la l.r. 24 marzo 1983 n. 19 «Norme finanziarie ed organizzative della l.r. 27 luglio 1981 n. 40»;
11. l'art. 12 della l.r. 28 giugno 1983, n. 53 «Interventi per attività di promozione educativa e culturale», nonche´ l'allegato a) alla suddetta legge;
12. l'art. 7 della l.r. 27 agosto 1983, n. 68 «Modifiche ed aggiunte alla l.r. 7 giugno 1980, n. 95 "Disciplina della formazione professionale in Lombardia"», nonche´ l'allegato a) alla suddetta legge;
13. la l.r. 14 settembre 1983, n. 72 «Modificazioni delle ll.rr. 1 agosto 1979, n. 42 e 9 giugno 1981, n.
29. Istituzione del servizio grandi progetti territoriali di interesse regionale»;
14. l'art. 2 della l.r. 24 maggio 1985, n. 52 «Norme organizzative in materia di usi civici», nonche´ l'allegato alla suddetta legge;
15. il quarto comma dell'art. 28 della l.r. 14 dicembre 1985, n. 81 «Norme in materia di biblioteche e archivi storici di Enti locali o di interesse locale», nonche´ l'allegato alla suddetta legge;
16. la l.r. 12 settembre 1986, n. 48 «Modifiche alla l.r. 7 giugno 1980, n. 95 "Disciplina della formazione professionale in Lombardia", e successive modifiche ed alla l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale", e successive modifiche»;
17. la l.r. 28 novembre 1986, n. 58 «Modifiche alla l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale". Istituzione del settore problemi dell'energia, ridefinizione delle attribuzioni del servizio energia istituito con l.r. 9 giugno 1981, n. 29 ed istituzione del nuovo servizio centrali elettriche. Abrogazione della l.r. 26 agosto 1986, n. 43»;
18. la l.r. 1 dicembre 1986, n. 59 «Modifiche alla l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e
degli uffici della Giunta regionale" - Modifica della denominazione e delle competenze del "servizio trasporti e navigazione interna", ed istituzione del "servizio reti e sistemi di trasporto", nell'ambito del settore trasporti e mobilità»;
19. la l.r. 14 febbraio 1987 n. 10 «Modificazioni ed integrazioni all'ordinamento del personale e all'ordinamento organizzativo della Regione» nonche´ gli allegati alla suddetta legge;
20. l'art. 6 della l.r. 29 aprile 1988, n. 20 «Istituzione del comitato di intesa Regioni-Enti Locali»;
21. l'art. 15 della l.r. 21 giugno 1988, n. 33 «Disciplina delle zone del territorio regionale a rischio geologico e a rischio sismico», nonche´ l'allegato alla suddetta legge;
22. l'art. 16 della l.r. 24 giugno 1988, n. 34 «Norme in materia di sanità pubblica veterinaria: istituzione, organizzazione e funzionamento dei servizi di medicina veterinaria», nonche´ gli allegati c) e d) alla suddetta legge;
23. la l.r. 16 settembre 1988, n. 49 «Modifica alla l.r. 1 agosto 1979, n. 42. Ridefinizione delle competenze delle strutture ordinate all'espletamento delle attività di pianificazione generale e di programmazione economica»;
24. il secondo ed il terzo comma dell'art. 22 della l.r. 20 febbraio 1989, n. 6 «Norme sull'eliminazione delle barriere architettoniche e prescrizioni tecniche di attuazione»;
25. l'art. 2 della l.r. 14 aprile 1989, n. 10 «Integrazioni e modifiche dell'art. 9 (consulta provinciale della caccia) della l.r. 31 luglio 1978, n. 47 e degli artt. 11 e 38 della l.r. 16 agosto 1988, n. 41, recanti norme per la protezione e la tutela della fauna e per la disciplina dell'esercizio venatorio»;
26. il primo comma dell'art. 4 della l.r. 5 giugno 1989, n. 20 «La Lombardia per la pace e la cooperazione allo sviluppo»;
27. la l.r. 27 luglio 1989, n. 29 «Attuazione della l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale", e della l.r. 14 febbraio 1987, n. 10 "Modificazioni ed integrazioni all'ordinamento del personale e all'ordinamento organizzativo della Regione". Ridefinizione delle competenze del settore "Coordinamento per i servizi sociali"»;
35
29. la l.r. 9 settembre 1989, n. 39 «Attuazione l.r. 14 febbraio 1987, n. 10. Modificazioni ed integrazioni all'ordinamento del personale e all'ordinamento organizzativo della Regione. Ristrutturazione del settore energia e protezione civile»;
30. la l.r. 2 gennaio 1990, n. 1 «Istituzione del servizio psichiatria presso il settore coordinamento per i servizi sociali»;
31. il terzo comma dell'art. 7 della l.r. 6 febbraio 1990, n. 7 «Case di cura private: disciplina dell'autorizzazione e della vigilanza -convenzioni» nonche´ l'allegato n. 5 alla suddetta legge;
32. la l.r. 8 maggio 1990, n. 32 «Istituzione del servizio "Formazione e sviluppo della professionalità", nell'ambito del settore affari generali della Giunta regionale - Modificazione della l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale"»;
33. l'art. 5, il comma 4 dell'art. 6, nonche´ gli allegati C, D, E, F, della l.r. 8 maggio 1990, n. 33
«Istituzione dell'agenzia di stampa e di informazione della Giunta regionale e delle strutture e degli organismi per la comunicazione, l'editoria e l'immagine»;
34. la l.r. 8 maggio 1990 n. 36 «Riorganizzazione del Settore Sanità ed Igiene»;
35. l'art. 4 della l.r. 10 maggio 1990, n. 50 «Disciplina delle funzioni di competenza della Regione in attuazione del d.P.R. 17 maggio 1988, n. 175 "Attuazione della direttiva CEE n. 82/501, relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali, ai sensi della legge 16 aprile
1987, n. 183"»;
36. l'art. 15 della l.r. 10 maggio 1990 n. 51 «Misure per la prima attuazione della raccolta differenziata e il riutilizzo delle materie prime secondarie», nonche´ l'allegato alla suddetta legge;
37. …;
38. la l.r. 19 dicembre 1991, n. 41 «Istituzione dei servizi circondariali per l'agricoltura, le foreste e l'alimentazione di Lecco e Lodi»;
39. la l.r. 15 febbraio 1992, n. 7 «Modifica ed integrazione alla l.r. 8 maggio 1990, n. 36. Riorganizzazione del Settore Sanità ed Igiene»;
40. l'ottavo comma dell'art. 3, l'art. 13 e l'allegato a) della l.r. 2 maggio 1992, n. 16 «Istituzione e funzioni della commissione regionale per la realizzazione di pari opportunità fra uomo e donna»;
41. il quarto comma dell'art. 3 e l'art. 5 della l.r. 1 agosto 1992, n. 23 «Norme per l'esecuzione degli interventi straordinari per la ricostruzione e la rinascita della Valtellina e delle adiacenti zone delle province di Bergamo, Brescia e Como colpite dagli eventi calamitosi dell'estate 1987»;
42. la l.r. 7 settembre 1992, n. 29 «Modificazione e rideterminazione del contingente organico del ruolo della Giunta regionale amministrazione generale»;
43. la l.r. 16 gennaio 1993, n. 1 «Modificazioni ed integrazioni alle disposizioni dell'art. 22 della l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale" e successive modificazioni ed integrazioni»;
44. la l.r. 16 febbraio 1993, n. 5 «Adeguamento delle disposizioni organizzative della l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale e successive modificazioni in relazione agli incarichi attribuiti ai componenti della Giunta regionale", a norma dell'art. 23 dello statuto»;
45. l'art. 22 della l.r. 19 aprile 1993, n. 13 «Ordinamento delle Comunità Montane» nonche´ gli allegati
a) e b) alla suddetta legge;
46. il secondo e il terzo comma dell'art. 12 della l.r. 1 giugno 1993, n. 16 «Attuazione dell'art. 9 della legge 8 novembre 1991, n. 381. "Disciplina delle cooperative sociali"»;
47. il primo ed il secondo comma dell'art. 22 della l.r. 29 giugno 1993, n. 20 «Norme in materia di controllo sugli atti degli enti locali», nonche´ gli allegati a) e b) alla suddetta legge;
48. …;
49. la l.r. 31 luglio 1993, n. 23 «Modifiche ed integrazioni all'art. 22 della l.r. 1 agosto 1979, n. 42 "Ordinamento dei servizi e degli uffici della Giunta regionale" come modificato ed integrato dalla l.r. 16 gennaio 1993, n. 1»;
50. …;
51. il primo comma dell'art. 15 e l'art. 17 della l.r. 2 dicembre 1994, n. 36 «Amministrazione dei beni immobili regionali» nonche´ l'allegato alla suddetta legge.
36
Si riporta il nuovo testo risultante dalle modifiche apportate
Nuovo testo dell'art. 4 della l.r. 6 dicembre 1999, n. 23 «Politiche regionali per la famiglia»
Art. 4
(Potenziamento dei servizi socio-educativi, agevolazioni per l'acquisto di strumenti tecnologicamente avanzati, formazione professionale, interventi socio-sanitari)
1. Nel rispetto dei diritti del bambino ed al fine di prevenire i processi di disadattamento, i servizi socio- educativi per la prima infanzia prevedono modalità organizzative fiessibili per rispondere alle esigenze delle famiglie, con particolare attenzione a quelle numerose e monoparentali.
2. La Regione promuove e sostiene l'adozione, preferibilmente con l'intervento dei comuni, di iniziative innovative da parte di associazioni e di organizzazioni di privato sociale, finalizzate a:
a. realizzare forme di auto-organizzazione e mutualità familiari, quali i «nidi famiglia». Per nido famiglia s'intende l'attività di cura di bambini da 0 a 3 anni, svolta senza fini di lucro, promossa e autogestita da famiglie utenti;
b. potenziare la ricettività dei servizi di asili nido, anche mediante il convenzionamento con i soggetti che gestiscono tali servizi secondo gli standard qualitativi ed organizzativi definiti dalla Giunta regionale;
c. fornire le strutture ed i supporti tecnico-organizzativi per la realizzazione di attività ludiche ed educative per l'infanzia;
d. realizzare l'attività di organizzazione delle «banche del tempo» di cui all'articolo 36, comma 6, del
testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso, o di altre attività che favoriscano il mutuo aiuto tra le famiglie per l'espletamento delle attività di cura, sostegno e ricreazione del minore;
e. agevolare la ricerca di persone che accudiscano bambini a domicilio, favorendo la predisposizione in luoghi pubblici di elenchi di persone qualificate disponibili all'esercizio di tale attività;
f. organizzare direttamente, previa convenzione con l'impresa, servizi nido presso la sede di imprese pubbliche e private, a favore dei figli dei lavoratori;
g. combattere il fenomeno della dispersione scolastica;
h. attivare, con particolare riguardo ai capoluoghi di provincia, spazi di aggregazione educativo- ricreativa a disposizione dei minori.
3. Entro 90 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, la Giunta regionale definisce le modalità operative necessarie all'attuazione di quanto previsto al comma 2 e, in particolare, i tempi, le modalità per la presentazione dei progetti di iniziative innovative, l'organismo competente alla valutazione tecnica degli stessi e la procedura per la formazione della graduatoria.
4. Al fine di agevolare l'integrazione ed il reinserimento sociale e professionale di portatori di handicap, la Regione concede alla famiglia o al singolo soggetto portatore di handicap contributi per l'acquisto di strumenti tecnologicamente avanzati.
4. -bis. La Regione promuove e sostiene la creazione di centri di accoglienza per donne maltrattate e per le madri e i bambini che hanno subito maltrattamenti in famiglia.
5. Con deliberazione della Giunta regionale sono definite le tipologie di strumenti, di cui al comma 4, ammissibili a contributo, le modalità e i termini per la presentazione delle richieste di contributo, la formazione della graduatoria e l'erogazione dei benefici.
6. La Regione nell'ambito dell'attività di formazione professionale di sua competenza:
a. coordina e finanzia programmi, rivolti prioritariamente alle donne, in particolare in materia di aggiornamento e riconversione professionale, al fine di favorire il reinserimento nel sistema occupazionale del cittadino che ha interrotto l'attività lavorativa per motivi di maternità e/o di cura di un componente del nucleo familiare;
b. promuove corsi di formazione rivolti ai soggetti che operano nell'ambito dei servizi socio-educativi;
c. finanzia corsi di formazione diretti ai soggetti di cui al comma 4.
7. La Regione promuove specifiche attività di formazione e riqualificazione rivolte agli operatori dei servizi socio-assistenziali coinvolti nell'attuazione degli obiettivi della presente legge.
8. La Regione riconosce e sovvenziona i servizi alla famiglia erogati da soggetti pubblici e privati accreditati per svolgere attività di informazione e formazione sulla vita coniugale e familiare e sulla valorizzazione personale e sociale della maternità e paternità.
9. Gli interventi previsti sono volti in particolare a:
a. prevenire e rimuovere le difficoltà che potrebbero indurre la madre all'interruzione della gravidanza;
b. prevenire e rimuovere le cause di potenziale fattore di danno per il nascituro;
c. garantire gli interventi finalizzati alla cura della infertilità ed abortività spontanea e lavorativa;
37
e. effettuare programmi relativi all'affido familiare ed all'adozione, intesi come esercizio della paternità e maternità responsabile.
10. È fatto obbligo pariteticamente ai consultori pubblici e privati autorizzati di assicurare la realizzazione di programmi di formazione dei giovani al futuro ruolo di coniugi e di genitori, nonche´ programmi formativi ed informativi riguardanti la procreazione responsabile, rivolti a gruppi omogenei
di popolazione. Nell'ambito di tali programmi devono essere offerte modalità di sostegno e di consulenza personalizzata, che garantiscano la libertà di scelte procreatrici, nel rispetto della deontologia professionale degli operatori, nonche´ delle convinzioni etiche e dell'integrità psicofisica delle per-sone. Adeguata informazione deve essere data, in particolare, sui diritti della donna in stato
di gravidanza e sui servizi socio-sanitari ed assistenziali esistenti sul territorio a favore del bambino e a tutela dei suoi diritti.
11. Al fine di perseguire le finalità e gli obiettivi della presente legge, la Regione promuove programmi sperimentali di informazione sui temi della sessualità. Tali programmi sono presentati dai consultori pubblici e da quelli privati riconosciuti, in conformità degli obiettivi di cui all'art. 2.
12. La Regione sostiene e valorizza l'assistenza a domicilio in tutti i settori di intervento sociale e sanitario, come metodologia e come intervento specifico alternativo alla istituzionalizzazione.
13. La Regione eroga, mediante i dipartimenti per le attività socio-sanitarie integrate (ASSI), contributi economici alle famiglie, a carico del fondo sanitario ai sensi dell'art. 8, comma 15, della l.r. 11 luglio 1997, n. 31 (Norme per il riordino del servizio sanitario regionale e sua integrazione con le attività dei servizi sociali), al fine di garantire, a domicilio, prestazioni assistenziali di rilievo sanitario. Tali contributi consistono in buoni servizio a favore delle famiglie, per l'acquisizione diretta delle prestazioni erogate dai soggetti pubblici e privati, accreditati o convenzionati. Le risorse per le prestazioni di cui al presente comma vengono definite, in sede di programmazione annuale, all'interno della quota del fondo sanitario regionale destinata alle attività socio-sanitarie integrate.
14. L'ordine di priorità degli aventi titolo ai buoni servizio di cui al comma 13 è determinato sulla base del quoziente familiare definito al comma 15.
15. Il quoziente familiare è determinato in base ai seguenti elementi:
a. reddito complessivo del nucleo familiare;
b. numero dei componenti della famiglia;
c. presenza nel nucleo familiare di:
c1) soggetto portatore di handicap fisico e/o psichico; c2) anziano convivente non autosufficiente;
c3) soggetto in situazione di particolare disagio psico-fisico.
16. La Giunta regionale, sentita la consulta di cui all'articolo 36, comma 8, del testo unico delle leggi regionali in materia di volontariato, cooperazione sociale, associazionismo e società di mutuo soccorso:
a. qualifica l'incidenza degli stati di cui al comma 15, lettera c), al fine della concreta determinazione del quoziente familiare;
b. definisce le modalità operative per la presentazione delle domande ai comuni per i necessari adempimenti istruttori e per la concessione dei contributi.
17. La Regione promuove iniziative sperimentali per favorire la stipula di accordi tra le organizzazioni imprenditoriali e le organizzazioni sindacali che consentano la sospensione dell'attività lavorativa per ragioni di assistenza e di cura ai familiari e ai figli.
18. Per tutti i servizi previsti dai commi 6, 7,8e13del presente articolo, la Regione garantisce il diritto del fruitore alla libera scelta del luogo e del soggetto erogatore del servizio favorendone l'esercizio attraverso il convenzionamento o l'accreditamento dei soggetti erogatori pubblici e privati presenti sul territorio regionale.
Si riporta il nuovo testo risultante dalle modifiche apportate
Nuovo testo dell'art. 8 della l.r. 18 novembre 2003, n. 21 «Norme per la cooperazione in Lombardia»
Art. 8
(Attività formative)
1. La Regione, in coerenza con i fabbisogni espressi dai mercati del lavoro locale, incentiva azioni formative rivolte ai dipendenti e ai soci delle cooperative finalizzate ai seguenti obiettivi:
a. qualificazione e riqualificazione connesse alla tipologia del-l'impresa;
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c. formazione informatica, anche finalizzata al telelavoro.
2. La Regione sostiene le iniziative di formazione professionale e di sviluppo della cooperazione mediante:
a. il coinvolgimento delle associazioni di cui all'articolo 2, i consorzi cooperativi e gli organismi di volontariato per realizzare programmi integrati;
b. la realizzazione di esperienze pilota per la diffusione della cultura cooperativa.
3. Le attività di formazione programmate dalla Regione e dalle Province sono accessibili anche mediante l'accredito di buoni formativi, erogati alle persone ovvero alle imprese ed ai loro consorzi,
che devono essere utilizzati presso strutture pubbliche o private accreditate allo svolgimento delle attività di formazione e orientamento professionale, scelte direttamente dai soggetti interessati. I buoni sono erogati dalle Province.
4. La Regione e gli enti locali provvedono alla diffusione dell'offerta formativa, anche per il tramite delle associazioni di cui all'articolo 2, dei consorzi cooperativi, nonche´ tramite gli enti o organismi bilaterali costituiti da associazioni regionali di rappresentanza e tutela del settore cooperativo giuridicamente riconosciute e dalle organizzazioni sindacali dei prestatori di lavoro comparativamente
piu' rappresentative a livello regionale o territoriale, alla diffusione dell'offerta formativa. Le Province svolgono le funzioni di coordinamento, programmazione territoriale e monitoraggio sull'efficacia degli interventi e la qualificazione professionale effettivamente raggiunta.
Si riporta il nuovo testo risultante dalle modifiche apportate
Nuovo testo dell'art. 4 della l.r. 24 febbraio 2006, n. 5 «Disposizioni in materia di servizi alla persona e alla comunità»
Art. 4
(Modifiche alla legge regionale 28/1996 in materia di associazionismo) 1. ......
2. Le associazioni iscritte nei registri di cui alla l.r. 28/1996 alla data di entrata in vigore della presente legge conservano l'iscrizione nei registri medesimi. Le associazioni iscritte nei registri provinciali e nel registro regionale di cui alla l.r. 28/1996 e nel registro di cui alla l.r. 23/1999 che abbiano, alla data di entrata in vigore della presente legge, i requisiti di cui agli articoli 2 e 3 della legge 383/2000, in attesa della istituzione dell'apposita Sezione del registro delle associazioni relativa alle associazioni di promozione sociale, sono considerate associazioni di promozione sociale a norma dell'articolo 2, comma 1, della legge 383/2000.
39
Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972 n. 633
Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto
Articolo 4
1. Per esercizio di imprese si intende l'esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, delle attività commerciali o agricole di cui agli articoli 2135 e 2195 del codice civile, anche se non organizzate in forma di impresa, nonché l'esercizio di attività, organizzate in forma d'impresa, dirette
alla prestazione di servizi che non rientrano nell'articolo 2195 del codice civile.
2. Si considerano in ogni caso effettuate nell'esercizio di imprese:
1) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società in nome collettivo e in accomandita semplice, dalle società per azioni e in accomandita per azioni, dalle società a responsabilità limitata, dalle società cooperative, di mutua assicurazione e di armamento, dalle società estere di cui all'art. 2507 del codice civile e dalle società di fatto;
2) le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte da altri enti pubblici e privati, compresi i consorzi, le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica e le società semplici, che abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole.
3. Si considerano effettuate in ogni caso nell'esercizio di imprese, a norma del precedente comma, anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi fatte dalle società e dagli enti ivi indicati ai propri soci, associati o partecipanti.
4. Per gli enti indicati al n. 2) del secondo comma (….le associazioni o altre organizzazioni senza personalità giuridica), che non abbiano per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole, si considerano effettuate nell'esercizio di imprese soltanto le cessioni di beni e
le prestazioni di servizi fatte nell'esercizio di attività commerciali o agricole.
Si considerano fatte nell'esercizio di attività commerciali anche le cessioni di beni e le prestazioni di servizi ai soci, associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, o di contributi supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto, ad esclusione di quelle effettuate in conformità alle finalità istituzionali da associazioni politiche, sindacali
e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, anche se rese nei confronti di associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento o statuto fanno parte di una unica organizzazione locale o nazionale, nonché dei rispettivi soci, associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali.
5. Agli effetti delle disposizioni di questo articolo sono considerate in ogni caso commerciali, ancorché esercitate da enti pubblici, le seguenti attività: a) cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, escluse le pubblicazioni delle associazioni politiche, sindacali e di categoria,
religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona cedute prevalentemente ai propri associati; b) erogazione di acqua e servizi di fognatura e depurazione, gas, energia elettrica e vapore; c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale; d) gestione di spacci aziendali, gestione di mense e somministrazione di pasti; e) trasporto e deposito di merci; f) trasporto di persone; g) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici; prestazioni alberghiere o di alloggio;
h) servizi portuali e aeroportuali; i) pubblicità commerciale; l) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari. Non sono invece considerate attività commerciali: le operazioni relative all'oro e alle valute estere, compresi i depositi anche in conto corrente, effettuate dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi; la gestione, da parte delle amministrazioni militari o dei corpi di polizia, di mense e spacci riservati al proprio personale ed a quello dei Ministeri da cui dipendono, ammesso ad usufruirne per particolari motivi inerenti al servizio; la prestazione alle imprese consorziate o socie, da parte di consorzi o cooperative, di garanzie mutualistiche e di servizi concernenti il controllo qualitativo dei prodotti, compresa l'applicazione di marchi di qualità; le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate in occasione di manifestazioni propagandistiche dai partiti politici rappresentati nelle Assemblee nazionali e regionali; le cessioni di beni e prestazioni di servizi poste in essere dalla Presidenza della Repubblica, dal Senato della Repubblica, dalla Camera dei deputati e dalla Corte costituzionale, nel perseguimento delle proprie finalità istituzionali; le prestazioni
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sanitarie soggette al pagamento di quote di partecipazione alla spesa sanitaria erogate dalle unità sanitarie locali e dalle aziende ospedaliere del Servizio sanitario nazionale. Non sono considerate, inoltre, attività commerciali, anche in deroga al secondo comma:
a) il possesso e la gestione di unità immobiliari classificate o classificabili nella categoria catastale A e le loro pertinenze, ad esclusione delle unità classificate o classificabili nella categoria catastale A10, di
unità da diporto, di aeromobili da turismo o di qualsiasi altro mezzo di trasporto ad uso privato, di complessi sportivi o ricreativi, compresi quelli destinati all'ormeggio, al ricovero e al servizio di unità da diporto, da parte di società o enti, qualora la partecipazione ad essi consenta, gratuitamente o verso
un corrispettivo inferiore al valore normale, il godimento, personale, o familiare dei beni e degli impianti stessi, ovvero quando tale godimento sia conseguito indirettamente dai soci o partecipanti,
alle suddette condizioni, anche attraverso la partecipazione ad associazioni, enti o altre organizzazioni;
b) il possesso, non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate, di partecipazioni o quote sociali, di obbligazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire dividendi, interessi o altri frutti, senza strutture dirette ad esercitare attività finanziaria, ovvero attività di indirizzo,
di coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate.
6. Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all'articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell'interno, non si considera commerciale, anche se effettuata verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l'attività istituzionale, da bar ed esercizi similari, sempreché tale attività sia strettamente complementare a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e sia effettuata nei confronti degli stessi soggetti indicati nel secondo periodo del quarto comma.
7. Le disposizioni di cui ai commi quarto, secondo periodo, e sesto si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata:
a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell'associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;
b) obbligo di devolvere il patrimonio dell'ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l'organismo di controllo di cui all'articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;
c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l'effettività
del rapporto medesimo, escludendo espressamente ogni limitazione in funzione della temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d'età il diritto di voto per l'approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell'associazione;
d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;
e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all'articolo 2532, secondo comma, del codice civile, sovranità dell'assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari,
delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1° gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell'articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale;
f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.
8. Le disposizioni di cui alle lettere c) ed e) del settimo comma non si applicano alle associazioni religiose riconosciute dalle confessioni con le quali lo Stato ha stipulato patti, accordi o intese, nonché
alle associazioni politiche, sindacali e di categoria.
9. Le disposizioni sulla perdita della qualifica di ente non commerciale di cui all'articolo 111-bis del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, si applicano anche ai fini dell'imposta sul valore aggiunto.
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Articolo 10
Operazioni esenti dall'imposta
1. Sono esenti dall'imposta:
1) le prestazioni di servizi concernenti la concessione e la negoziazione di crediti, la gestione degli
stessi da parte dei concedenti e le operazioni di finanziamento; l'assunzione di impegni di natura finanziaria, l'assunzione di fideiussioni e di altre garanzie e la gestione di garanzie di crediti da parte
dei concedenti; le dilazioni di pagamento, le operazioni, compresa la negoziazione, relative a depositi di fondi, conti correnti, pagamenti, giroconti, crediti e ad assegni o altri effetti commerciali, ad eccezione del recupero di crediti; la gestione di fondi comuni di investimento e di fondi pensione di cui al decreto legislativo 21 aprile 1993, n. 124, le dilazioni di pagamento e le gestioni similari e il servizio bancoposta;
2) le operazioni di assicurazione, di riassicurazione e di vitalizio;
3) le operazioni relative a valute estere aventi corso legale e a crediti in valute estere, eccettuati i biglietti e le monete da collezione e comprese le operazioni di copertura dei rischi di cambio;
4) le operazioni, relative ad azioni, obbligazioni o altri titoli non rappresentativi di merci e a quote sociali, eccettuate la custodia e l'amministrazione dei titoli; le operazioni, incluse le negoziazioni e le opzioni, eccettuate la custodia e amministrazione, relative a valori mobiliari e a strumenti finanziari diversi dai titoli. Si considerano in particolare operazioni relative a valori mobiliari e a strumenti finanziari i contratti a termine fermo su titoli e altri strumenti finanziari e le relative opzioni, comunque regolati; i contratti a termine su tassi di interesse e le relative opzioni; i contratti di scambio di somme
di denaro o di valute determinate in funzione di tassi di interesse, di tassi di cambio o di indici finanziari, e relative opzioni; le opzioni su valute, su tassi di interesse o su indici finanziari, comunque regolate;
5) le operazioni relative alla riscossione dei tributi, comprese quelle relative ai versamenti di imposte effettuati per conto dei contribuenti, a norma di specifiche disposizioni di legge, da aziende e istituti di credito;
6) le operazioni relative all'esercizio del lotto, delle lotterie nazionali, dei giochi di abilità e dei concorsi pronostici riservati allo Stato e agli enti indicati nel decreto legislativo 14 aprile 1948, n. 496, ratificato con legge 22 aprile 1953, n. 342, e successive modificazioni, nonché quelle relative all'esercizio dei totalizzatori e delle scommesse di cui al regolamento approvato con decreto del Ministro per l'agricoltura e per le foreste 16 novembre 1955, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 273 del 26
novembre 1955, e alla legge 24 marzo 1942, n. 315, e successive modificazioni, ivi comprese le operazioni relative alla raccolta delle giocate;
7) le operazioni relative all'esercizio delle scommesse in occasione di gare, corse, giuochi, concorsi e competizioni di ogni genere, diverse da quelle indicate al numero precedente, nonché quelle relative all'esercizio del giuoco nelle case da giuoco autorizzate e alle operazioni di sorte locali autorizzate;
8) le locazioni non finanziarie e gli affitti, relative cessioni, risoluzioni e proroghe, di terreni e aziende agricole, di aree diverse da quelle destinate a parcheggio di veicoli, per le quali gli strumenti urbanistici non prevedono la destinazione edificatoria, ed i fabbricati, comprese le pertinenze, le scorte e in genere i beni mobili destinati durevolmente al servizio degli immobili locati e affittati, esclusi quelli strumentali che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni e quelli destinati ad uso di civile abitazione locati dalle imprese che li hanno costruiti per la vendita;
8-bis) le cessioni di fabbricati, o di porzioni di fabbricato, a destinazione abitativa, effettuate da soggetti diversi dalle imprese costruttrici degli stessi o dalle imprese che vi hanno eseguito, anche tramite imprese appaltatrici, gli interventi di cui all'articolo 31, primo comma, lettere c), d) ed e), della
legge 5 agosto 1978, n. 457, ovvero dalle imprese che hanno per oggetto esclusivo o principale dell'attività esercitata la rivendita dei predetti fabbricati o delle predette porzioni;
9) le prestazioni di mandato, mediazione e intermediazione relative alle operazioni di cui ai numeri da 1 a 7, nonché quelle relative all'oro e alle valute estere, compresi i depositi anche in conto corrente,
effettuate in relazione ad operazioni poste in essere dalla Banca d'Italia e dall'Ufficio italiano dei cambi, ai sensi dell'articolo 4, quinto comma, del presente decreto;
10) abrogato
11) le cessioni di oro da investimento, compreso quello rappresentato da certificati in oro, anche non allocato, oppure scambiato su conti metallo, ad esclusione di quelle poste in essere dai soggetti che producono oro da investimento o che trasformano oro in oro da investimento ovvero commerciano oro da investimento, i quali abbiano optato, con le modalità ed i termini previsti dal decreto del Presidente
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previste dall'articolo 81, comma 1, lettere c-quater) e c-quinquies), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, riferite all'oro da investimento; le intermediazioni relative alle precedenti operazioni. Se il cedente ha optato per l'applicazione dell'imposta, analoga opzione può essere esercitata per le relative prestazioni di intermediazione. Per oro da investimento si intende:
a) l'oro in forma di lingotti o placchette di peso accettato dal mercato dell'oro, ma comunque superiore ad 1 grammo, di purezza pari o superiore a 995 millesimi, rappresentato o meno da titoli;
b) le monete d'oro di purezza pari o superiore a 900 millesimi, coniate dopo il 1800, che hanno o hanno avuto corso legale nel Paese di origine, normalmente vendute a un prezzo che non supera dell'80 per cento il valore sul mercato libero dell'oro in esse contenuto, incluse nell'elenco predisposto
dalla Commissione delle Comunità europee ed annualmente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, serie C, sulla base delle comunicazioni rese dal Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, nonché le monete aventi le medesime caratteristiche, anche se non comprese nel suddetto elenco;
12) le cessioni di cui al n. 4) dell'art. 2 fatte ad enti pubblici, associazioni riconosciute o fondazioni aventi esclusivamente finalità di assistenza, beneficenza, educazione, istruzione, studio o ricerca scientifica e alle ONLUS;
Articolo 2 Cessioni di beni
……..
2. Costituiscono inoltre cessioni di beni:
n. 4) le cessioni gratuite di beni ad esclusione di quelli la cui produzione o il cui commercio non rientra nell'attività propria dell'impresa se di costo unitario non superiore a lire cinquantamila e di quelli per i quali non sia stata operata, all'atto dell'acquisto o dell'importazione, la detrazione dell'imposta a norma dell'articolo 19, anche se per effetto dell'opzione di cui all'articolo 36-bis;
13) le cessioni di cui al n. 4) dell'art. 2 a favore delle popolazioni colpite da calamità naturali o catastrofi dichiarate tali ai sensi della legge 8 dicembre 1970, n. 996, o della legge 24 febbraio 1992,
n. 225;
14) prestazioni di trasporto urbano di persone effettuate mediante veicoli da piazza o altri mezzi di trasporto abilitati ad eseguire servizi di trasporto marittimo, lacuale, fluviale e lagunare. Si considerano urbani i trasporti effettuati nel territorio di un comune o tra comuni non distanti tra loro oltre cinquanta chilometri;
15) le prestazioni di trasporto di malati o feriti con veicoli all'uopo equipaggiati, effettuate da imprese autorizzate e da ONLUS;
16) le prestazioni relative ai servizi postali;
17) abrogato
18) le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell'esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell'articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze;
19) le prestazioni di ricovero e cura rese da enti ospedalieri o da cliniche e case di cura convenzionate nonché da società di mutuo soccorso con personalità giuridica e da ONLUS, compresa la somministrazione di medicinali, presìdi sanitari e vitto, nonché le prestazioni di cura rese da stabilimenti termali;
20) le prestazioni educative dell'infanzia e della gioventù e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS, comprese le prestazioni relative all'alloggio, al vitto e alla fornitura di libri e materiali didattici, ancorché fornite da istituzioni, collegi o pensioni annessi, dipendenti o funzionalmente collegati, nonché
le lezioni relative a materie scolastiche e universitarie impartite da insegnanti a titolo personale;
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22) le prestazioni proprie delle biblioteche, discoteche e simili e quelle inerenti alla visita di musei, gallerie, pinacoteche, monumenti, ville, palazzi, parchi, giardini botanici e zoologici e simili;
23) le prestazioni previdenziali e assistenziali a favore del personale dipendente;
24) le cessioni di organi, sangue e latte umani e di plasma sanguigno;
25) abrogato
26) abrogato
27) le prestazioni proprie dei servizi di pompe funebri; 27-bis) abrogato
27-ter) le prestazioni socio-sanitarie, di assistenza domiciliare o ambulatoriale, in comunità e simili, in favore degli anziani ed inabili adulti, di tossicodipendenti e di malati di AIDS, degli handicappati psicofisici, dei minori anche coinvolti in situazioni di disadattamento e di devianza, rese da organismi di diritto pubblico, da istituzioni sanitarie riconosciute che erogano assistenza pubblica, previste all'articolo 41 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, o da enti aventi finalità di assistenza sociale e da ONLUS;
27-quater) le prestazioni delle compagnie barracellari di cui all'articolo 3 della legge 2 agosto 1897, n. 382;
27-quinquies) le cessioni che hanno per oggetto beni acquistati o importati senza il diritto alla detrazione totale della relativa imposta ai sensi degli articoli 19, 19-bis1 e 19-bis2;
27-sexies) le importazioni nei porti, effettuate dalle imprese di pesca marittima, dei prodotti della pesca allo stato naturale o dopo operazioni di conservazione ai fini della commercializzazione, ma prima di qualsiasi consegna.
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TAR Sardegna, Sez. I - Sentenza 2/8/2005 n. 1729
Sulla distinzione tra servizi pubblici a rilevanza economica e quelli privi di rilevanza economica.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO PER LA SARDEGNA-SEZIONE PRIMA
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso n°1356/04 proposto da Oltrans Service Soc. Coop. a r.l. in persona de legale rappresentante, rappresentata e difesa dall’avv. xxxx. Xxxxxxxxxx Xxxxxx e dall’avv. Xxxxxx Xxxxx, presso lo studio dei quali, in Cagliari, viale Bonaria n°80, è elettivamente domiciliata;
contro
Comune di Arzachena, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall’avv. Xxxx Xxxxxx Xxxxxxxx, ed elettivamente domiciliato in Cagliari, xxx Xxxxxxxx xx00;
e nei confronti di
XX.XX.XX. s.r.l., in persona del legale rappresentante, non costituita in giudizio;
per l’annullamento
delle deliberazioni nn°103 e 104, ambedue del 3/12/2004, con cui il Consiglio Comunale di Arzachena ha deciso l’affidamento diretto di taluni servizi pubblici locali alla XX.XX.XX.
della deliberazione 13/5/2004 n°37 con cui ha stabilito la costituzione di una società a responsabilità limitata a capitale pubblico maggioritario cui affidare in via diretta la gestione di taluni servizi pubblici locali ed ha approvato il relativo statuto;
dei pareri sulla regolarità tecnica ed amministrativa espressi in ordine alle suddette deliberazioni; delle eventuali deliberazioni della Giunta Municipale di approvazione degli schemi di contratto intesi a regolare i rapporti tra società e comune, nonché dei contratti, se del caso, stipulati;
degli eventuali provvedimenti adottati in esecuzione delle sopra citate deliberazioni consiliari;
dei moduli organizzativi e funzionali per la gestione dei servizi del settore socio-assistenziale e dell’analisi di fattibilità richiamati nella menzionata deliberazione n°104/2004.
Visto il ricorso con i relativi allegati.
Udita alla pubblica udienza del 29/6/2005 la relazione del dr. Xxxxxxxxxx Xxxxxx e uditi altresì gli avvocati delle parti come da separato verbale.
Xxxxxxxx e considerato in fatto e in diritto quanto segue.
FATTO
Con deliberazione 13/5/2004 n°37, il Consiglio Comunale di Arzachena ha deciso la costituzione di una società a responsabilità limitata, denominata “XX.XX.XX.”, a capitale interamente del Comune di
Arzachena quantomeno all’atto della costituzione, cui affidare in via diretta la gestione di numerosi servizi pubblici locali.
Successivamente il comune ha adottato la deliberazione consiliare n°103 del 3/12/2004, con cui ha affidato senza gara alla detta società i servizi concernenti la gestione della comunità alloggio per minori, del centro educativo diurno per minori e della mensa sociale e la deliberazione n°104 in pari
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Ritenendo tutti i citati provvedimenti e gli ulteriori atti meglio indicati in epigrafe illegittimi, la Oltrans Service soc. coop. a r.l., impresa operante nel settore dei servizi sociali che già gestiva nel comune di Arzachena i servizi oggetto delle citate deliberazioni nn°103 e 104, li ha impugnati, chiedendone l’annullamento per i seguenti motivi.
1) Il comune ha ritenuto i servizi assegnati con le impugnate deliberazioni nn°103 e 104 del 2004 privi di rilevanza economica e sulla base di tale presupposto ha optato per l’affidamento diretto alla società controinteressata, ai sensi dell’art. 113 bis del D. Lgs. 18/8/2000 n°267.
Sennonchè la citata norma, al momento dell’adozione delle avversate delibere, era già stata dichiarata incostituzionale dal giudice delle leggi, (Corte Cost., sentenza 27/7/2004 n°272), per cui non poteva più essere applicata.
Risultano quindi violati gli art. 27 e 30 della L. 11/3/1953 n°87.
2) La trattativa privata per cui è causa sarebbe comunque illegittima anche laddove al momento dell’adozione degli atti impugnati l’art. 113 bis del D. Lgs n°267/2000 fosse stato ancora in vigore.
In tal caso, infatti, gli artt. 113 bis – nonché l’art. 113 del D. Lgs n°267/2000 - ed il contestato affidamento diretto contrasterebbero con il divieto di discriminazione e violerebbero le libertà di prestazione dei servizi pubblici e di concorrenza sanciti a livello comunitario dagli artt. 12, 45, 46, 49, 81, 82, 83, 84, 85, 86, 87, 88 e 89 del Trattato dell’Unione Europea, dalle direttive comunitarie 90/531, 93/38, 90/50 e 2004/18 nonché con la normativa interna contenuta tra l’altro nel D. Lgs. n°157/1995.
La citata normativa, invero, stabilisce che i servizi come quelli di specie siano affidati mediante gara, a prescindere dalla rilevanza economica o meno degli stessi.
L’art. 113 bis, ed eventualmente l’art. 113, del D. Lgs. n°267/2000 dovranno essere quindi disapplicati dal giudice.
In subordine si chiede che venga richiesta una pronuncia pregiudiziale alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee sulla conformità delle citate disposizioni alla normativa comunitaria.
3) Laddove si ritenesse che l’art. 000 xxx xxxxx xx xxxxxx xx momento dell’adozione degli atti impugnati, quest’ultimo sarebbe comunque incostituzionale per violazione degli artt. 117, 2°comma, lett. e) e 118
u.c. della Costituzione, nonché dell’art. 2 della L. Cost. 18/10/2001 n°3.
In subordine a quanto dedotto col terzo motivo si chiede pertanto che venga sollevata la relativa questione di costituzionalità.
4) L’avversato affidamento contrasta anche con l’art. 113 bis in quanto i servizi assegnati alla XX.XX.XX. non sono affatto privi di rilevanza economica.
In ogni caso, i servizi privi di rilevanza economica possono essere affidati in via diretta ad una “società a capitale interamente pubblico a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”.
Nella fattispecie tale condizione non sussiste atteso che il mero possesso dell’intero capitale da parte dell’ente non è sufficiente a realizzare quella situazione di controllo voluta dalla norma e prima ancora dai principi comunitari
Non risulta rispettato nemmeno l’obbligo di svolgere la parte più importante dell’attività con l’ente controllante, dato che nello statuto della XX.XX.XX. è prevista la possibilità di cedere a privati il 49 % del pacchetto azionario e di partecipare ad appalti nella materia dei servizi.
5) Il Comune di Arzachena afferma di aver assunto le impugnate determinazione dopo aver proceduto alla complessiva revisione dei moduli organizzativi e funzionali per la gestione dei servizi del settore socio assistenziale e dopo specifica analisi di fattibilità da cui sarebbe emerso che il miglior modo di gestire i servizi di che trattasi consisterebbe nell’affidamento diretto a società a capitale interamente pubblico.
La scelta è, peraltro, illogica, carente di istruttoria e immotivata, in quanto non sono state in alcun modo esplicitate le ragioni che hanno indotto a ritenere più conveniente il modello organizzativo consistente nell’affidamento diretto e non è stata effettuata alcuna comparazione con la modalità di gestione del servizio precedentemente utilizzata, né è stata effettuata alcuna valutazione del servizio
in precedenza svolto dall’odierna ricorrente.
6) Gli atti impugnati sono censurabili anche perché non è stata effettuata alcuna valutazione degli altissimi costi che il Comune dovrà sostenere per gestire i servizi attraverso il modello organizzativo prescelto.
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Anzi, in Sardegna con L.R. n°16/1997 era già stata prevista l’istituzione dell’albo delle cooperative sociali alle quali riservare la gestione dei servizi per cui è causa.
Le determinazioni comunali impugnate si pongono, quindi, in contraddizione con la riferita normativa e sono, inoltre, viziati da difetto di istruttoria e carenza di motivazione in quanto non sono spiegate la ragioni del modello organizzativo prescelto, nonostante la normativa di settore e la Costituzione (art. 118 u.c.) riservino la gestione dei servizi in questione ad associazioni, organismi privati e cooperative. Si è costituita in giudizio l’amministrazione intimata depositando memoria con cui si è opposta all’accoglimento del ricorso.
Alla pubblica udienza del 29/6/2005 la causa, su richiesta delle parti, è stata posta in decisione.
DIRITTO
In via pregiudiziale vanno affrontate le questioni di rito sollevate dell’amministrazione resistente. Deduce in primo luogo il Comune che la ricorrente non avrebbe interesse all’impugnazione in quanto,
sebbene sino al 31/12/2004 la medesima abbia gestito parte dei servizi affidati in via diretta alla XX.XX.XX., a partire dal 1/1/2005 la gestione degli stessi è cessata, e l’istante non ha dimostrato di avere in concreto risorse sufficienti per assicurare il proseguimento dell’attività, dato che il suo personale è stato interamente assorbito dalla suddetta società pubblica.
L’eccezione è infondata.
In base ad un consolidato principio giurisprudenziale gli imprenditori che svolgono la propria attività
nel medesimo ambito economico cui si riferisce l’oggetto del contratto, vantano un interesse qualificato ad impugnare l’atto con cui l’amministrazione decide di aggiudicare il contratto stesso a trattativa privata (cfr. ex plurimis, T.A.R. Sardegna 11/6/2003 n°738, nonché Cons. Stato IV Sez., 15/2/2003 n°952, V Sez., 19/3/1999 n°292).
Nel caso di specie, è indubbio che la Oltrans Service soc. coop. a r.l. operi nel settore dei servizi socio-assistenziali, tanto è vero che, come riconosce la stessa amministrazione (memoria difensiva depositata in data 19/1/2005) parte delle attività cui si riferiscono le deliberazioni impugnate erano gestite, sino al 31/12/2004, dalla stessa cooperativa, per cui non è seriamente contestabile la sua legittimazione a proporre l’odierno gravame.
D’altra parte, è irrilevante, ai fini di che trattasi, ogni verifica in ordine all’attuale possesso, da parte di quest’ultima, delle risorse economiche ed umane occorrenti per lo svolgimento dei servizi assegnati a trattativa privata. L’interesse nella specie azionato dalla ricorrente non è quello ad aggiudicarsi l’appalto, bensì quello strumentale a che i servizi siano affidati mediante gara, alla quale la medesima aspira a partecipare.
Il Comune deduce ancora l’irricevibilità del ricorso, in quanto la lesione sarebbe derivata in via immediata alla ricorrente dalla delibera consiliare n° 37 del 13/5/2004 con cui l’ente ha deciso la costituzione della società pubblica cui affidare in via diretta numerosi servizi pubblici, mentre le successive deliberazioni nn°103 e 104 del 3/12/2004 sarebbero atti meramente consequenziali.
Sennonché l’impugnazione della delibera n°37/2004 sarebbe tardiva. Nemmeno questa eccezione, ad avviso del Collegio, coglie nel segno.
Con la citata deliberazione n°37/2004, il Consiglio Comunale di Arzachena si è limitato a decidere la costituzione di una società a capitale pubblico (interamente comunale all’atto della costituzione e con possibilità di cedere successivamente a privati sino ad un massimo del 49 % del pacchetto azionario) cui affidare la gestione di taluni servizi pubblici, senza esternare l’intendimento di procedere con certezza ed in via immediata, all’affidamento dei detti servizi alla nuova società, cosicché deve disconoscersi che dalla menzionata deliberazione potesse discendere una lesione attuale alla sfera giuridica della ricorrente.
L’immediatezza della lesione deve escludersi anche in considerazione dell’oggetto sociale assegnato alla XX.XX.XX..
Questo, infatti, include una variegata ed amplissima gamma di servizi pubblici, segnatamente:
“a) servizi relativi ai porti turistici, riguardo alle attività connesse, complementari e di supporto per la nautica;
b) servizi relativi alle aree archeologiche e beni monumentali e museali, compresi uffici, agenzie, bar, ristoranti, negozi di interesse turistico, biglietterie ed altri servizi connessi, complementari e di supporto;
c) servizi relativi a tutti i parcheggi pubblici nell’ambito del territorio comunale, ivi compresa la loro manutenzione; servizi relativi a tutti i parchi pubblici, boschi e verde pubblico: strade acquedotti,
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d) servizi connessi agli impianti sportivi e promozione dello sport (ivi comprese piscine e palestre), incluse le eventuali strutture ricettive sportive, in tutte le diverse discipline riconosciute dal Comitato olimpico nazionale italiano e dalle federazioni sportive associate;
e) servizi relativi alla promozione culturale e turistica del territorio sia direttamente che con il coinvolgimento di imprenditori locali, associazioni o cooperative di volontariato;
f) servizi di trasporto pubblico, limitatamente al trasporto scolastico, turistico e dei disabili ivi comprese le attività complementari, accessorie e a completamento;
g) attività connesse ai servizi ambientali, all’igiene ambientale ed ai servizi di pulizia presso stabili ed uffici, quali a titolo meramente esemplificativo, realizzazione di impianti, raccolta, trasporto;
h) gestione di strutture sanitarie e socio-assistenziali per l’erogazione di servizi sanitari e parasanitari di pubblico interesse quali a titolo esemplificativo, centri diurni, case di riposo e comunità alloggio per anziani e minori;
i) gestione di beni demaniali dismessi”.
Un così vasto e diversificato ambito di attività, tra le quali, fra l’altro, non rientrano quelle affidate con la delibera n°104/2004, porta ad escludere che la scelta di utilizzare, per la gestione di taluni servizi pubblici, lo strumento dell’affidamento diretto a società con capitale pubblico, possa farsi risalire alla delibera n°37/2004.
Occorre ulteriormente rilevare che in base alla delibera n°37/2004 la XX.XX.XX. si configurava come società a capitale interamente pubblico solo in fase di costituzione, in quanto era espressamente prevista la possibilità di futura cessione di una quota minoritaria del capitale sociale. Cosicché la delibera mostrava sin dal principio segni di incertezza circa il modello di gestione dei servizi pubblici
che il comune intendeva adottare, circostanza questa che impedisce di assegnare alla medesima efficacia immediatamente lesiva.
Deve conseguentemente escludersi che le delibere nn°103 e 104 del 3/12/2004 abbiano natura di atti meramente consequenziali rispetto alla citata deliberazione n°37/2004.
Piuttosto, per quanto rivolto contro la citata delibera n°37/2004, il ricorso va dichiarato inammissibile, non essendo stata dedotta nei confronti di quest’ultima alcuna specifica censura.
Nella restante parte il ricorso, può essere affrontato nel merito.
Il primo ed il quarto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente, meritano accoglimento. In punto di fatto occorre premettere che con le impugnate deliberazioni nn°103 e 104 del 3/12/2004, il Consiglio Comunale di Arzachena ha, rispettivamente, affidato in via diretta alla XX.XX.XX. i seguenti
servizi pubblici: a) gestione della comunità alloggio per minori, del centro educativo diurno per minori e della mensa sociale (delibera n°103/2004); b) assistenza domiciliare in favore di persone anziane e/o svantaggiate, consegna di pasti caldi a domicilio, lavanderia e stireria, nonchè gestione del centro di aggregazione per anziani (delibera n°104/2004).
Ciò ha fatto in asserita applicazione dell’art. 113 bis del D. Lgs. 18/8/2000 n°267, sul presupposto che quelli affidati potessero essere qualificati come servizi privi di rilevanza economica ai sensi della citata norma.
Sennonché, come correttamente dedotto dalla ricorrente, all’epoca dell’adozione delle anzidette deliberazioni, l’art. 113 bis del menzionato D. Lgs. n°267/2000, era già stato espunto dall’ordinamento, atteso che, con sentenza 27/7/2004 n°272, il giudice delle leggi ne aveva dichiarato l’incostituzionalità. Ai sensi dell’art. 30 della L. 11/3/1953 n°87, non poteva, quindi, più farsene applicazione.
Peraltro, fondatamente la ricorrente lamenta che, in ogni caso, i servizi in questione non potevano essere considerati “privi di rilevanza economica”.
La nozione di servizio pubblico locale di rilevanza economica e, per converso, quella di servizio privo di siffatta rilevanza, dev’essere ricostruita in via interpretativa, mancando una disposizione normativa che ne fornisca la definizione.
Gli indici rivelatori della rilevanza economica dei servizi pubblici locali possono desumersi dai principi comunitari che informano la materia, giacché è noto che la disciplina della gestione dei suddetti servizi
è stata più volte modificata, negli ultimi anni, proprio a causa delle procedure di infrazione avviate dalla Commissione Europea nei confronti dell’Italia per violazione degli artt. 43, 49 e 86 del Trattato.
Dispone l’art. 86, comma 2, del Trattato istitutivo della Comunità Europea così come successivamente modificato: “le imprese incaricate della gestione di servizi di interesse economico generale o aventi carattere di monopolio fiscale sono sottoposte alle norme del presente trattato, e in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui l’applicazione di tali norme non osti all’adempimento, in linea di diritto e di fatto, della specifica missione loro affidata”.
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Ciò non toglie che il mercato e la concorrenza costituiscano, di regola, la formula migliore per gestire anche tali servizi (tant’è che, ai sensi del citato art. 86 comma 2 del Trattato CE, le imprese che ne sono incaricate sono senz’altro sottoposte alle regole di concorrenza), salvo soltanto il caso che, per il fatto di non essere remunerativi, il mercato non consenta concretamente di assolvere alla loro specifica missione e si renda pertanto indispensabile il riconoscimento di diritti speciali o esclusivi.
“La Commissione europea nel <<Libro Verde sui servizi di interesse generale>> (COM-2003-270) del 21/5/2003, afferma, invero, che le norme sulla concorrenza si applicano soltanto alle attività economiche, dopo aver precisato che la distinzione tra attività economiche e non economiche ha carattere dinamico ed evolutivo, cosicché non sarebbe possibile fissare a priori un elenco definitivo dei servizi di interesse generale di natura non economica. Secondo la costante giurisprudenza comunitaria spetta infatti al giudice nazionale valutare circostanze e condizioni in cui il servizio viene prestato, tenendo conto, in particolare, dell'assenza di uno scopo precipuamente lucrativo, della mancata assunzione dei rischi connessi a tale attività ed anche dell'eventuale finanziamento pubblico dell'attività in questione” (così citata Corte Cost. n°272/2004).
Reputa, pertanto, il Collegio che la distinzione tra servizi di rilevanza economica e servizi privi di tale rilevanza sia legata all’impatto che l’attività può avere sull’assetto della concorrenza ed ai suoi caratteri di redditività; di modo che deve ritenersi di rilevanza economica il servizio che si innesta in un settore per il quale esiste, quantomeno in potenza, una redditività, e quindi una competizione sul mercato e ciò ancorché siano previste forme di finanziamento pubblico, più o meno ampie, dell’attività
in questione; può invece considerarsi privo di rilevanza quello che, per sua natura o per i vincoli ai quali è sottoposta la relativa gestione, non dà luogo ad alcuna competizione e quindi appare
irrilevante ai fini della concorrenza. In altri termini, laddove il settore di attività è economicamente competitivo e la libertà di iniziativa economica appaia in grado di conseguire anche gli obiettivi di interesse pubblico sottesi alla disciplina del settore, al servizio dovrà riconoscersi rilevanza economica, ai sensi dell’art. 113 del D.Lgs. n°267/2000, mentre, in via residuale, il servizio potrà qualificarsi come privo di rilevanza economica laddove non sia possibile riscontrare i caratteri che connotano l’altra categoria (cfr. T.A.R. Liguria II Sez., 28/4/2005 n°527).
Facendo applicazione dei concetti sopra esposti alla fattispecie, deve concludersi che i servizi pubblici affidati alla XX.XX.XX. con le deliberazioni impugnate, possiedono, sicuramente, rilevanza economica, poiché si tratta di attività suscettibili, in astratto, di essere gestite in forma remunerativa e per le quali esiste certamente un mercato concorrenziale, come emerge, quantomeno, dal fatto, incontroverso, che sino al 31/12/2004 buona parte dei servizi in questione erano gestiti dall’odierna ricorrente; del resto, quest’ultima ha proposto l’odierno ricorso proprio al fine di ottenere che l’affidamento dei servizi di che trattasi avvenga mediante gara all’evidente scopo di parteciparvi.
Vero è che in base all’art. 113, comma 5 lett. c), del ricrdato D. Lgs. n°267/2000, anche la gestione dei servizi di rilevanza economica può essere affidata senza gara “a società a capitale interamente pubblico”, ma ciò, “a condizione che l'ente o gli enti pubblici titolari del capitale sociale esercitino sulla società un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano” (c.d. affidamento in hause providing).
Nel caso di specie, la ricorrente ha fondatamente contestato che il controllo esercitato sulla XX.XX.XX. dal Comune di Arzachena abbia le caratteristiche volute dalla riferita disposizione normativa.
Secondo la giurisprudenza amministrativa e comunitaria, “per controllo analogo si intende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un controllo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario” (così Cons. Stato, VI Sez., 25/1/2005 n°168, si veda anche Corte Giust. C. E. 18/11/1999,
in causa C-107/98).
Ma tali connotati non sono riscontrabili nella relazione tra resistente amministrazione e controinteressata.
Non sono sufficienti, invero, i poteri spettanti al Comune quale unico socio (approvazione dei bilanci, nomina e revoca degli amministratori e del collegio sindacale ecc.). Al riguardo basta osservare che:
a) la norma richiede il “controllo analogo”, come requisito ulteriore rispetto a quello consistente nel
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ciò esclude la presenza di una relazione di subordinazione gerarchica. I motivi esaminati risultano pertanto fondati.
In questa parte il ricorso va conseguentemente accolto mentre restano assorbite le ulteriori censure prospettate.
Sussistono validi motivi per disporre l’integrale compensazione di spese ed onorari di giudizio.
P.Q.M.
IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA SARDEGNA – SEZIONE I
Dichiara il ricorso in epigrafe inammissibile per quanto rivolto contro la delibera consiliare n°37/2004; lo accoglie per quanto diretto contro le delibere nn°103 e 104 del 2004, e per l’effetto, annulla queste ultime.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità Amministrativa.
Così deciso in Cagliari, in Camera di Consiglio, il 29/6/2005 dal Tribunale Amministrativo Regionale per la Sardegna con l’intervento dei Signori:
Xxxxx Xxxxx, Presidente; Xxxxxxxx Xxxxxx, Consigliere;
Xxxxxxxxxx Xxxxxx, Consigliere – Estensore.
Depositata in segreteria il 02/08/2005
Il Segretario Generale f.f.
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CGE, sez. III - Sentenza 29 novembre 2007, C-119/06
SENTENZA DELLA CORTE (Terza Sezione) 29 novembre 2007 (*)
«Inadempimento di uno Stato – Violazione della direttiva 92/50/CEE che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi – Aggiudicazione di un appalto senza bando di gara – Aggiudicazione dei servizi di trasporto sanitario in Toscana»
Nella causa C-119/06,
avente ad oggetto un ricorso per inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, proposto il 28 febbraio 2006,
Commissione delle Comunità europee, rappresentata dal sig. X. Xxxxx e dalla sig.ra X. Xxxxxxx, in qualità di agenti, assistiti dal sig. X. Xxxxxxx, avvocato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
ricorrente,
contro
Repubblica italiana, rappresentata dal sig. I.M. Xxxxxxxxx, in qualità di agente, assistito dai sigg. X. Xxxxxx e X. Xxxxxx, avvocati dello Stato, con domicilio eletto in Lussemburgo,
convenuta,
LA CORTE (Terza Sezione),
composta dal sig. X. Xxxxx, presidente di sezione, dai sigg. X.X. Xxxxx Xxxxxxxxx (relatore), X. X Xxxxxx, dalla sig.ra X. Xxxxx e dal sig. X. Xxxxxxxxxx, giudici,
avvocato generale: xxx. X. Xxxxx
cancelliere: xxx.xx X. Xxxxxxxx, amministratore principale
vista la fase scritta del procedimento e in seguito alla trattazione orale del 6 settembre 2007,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza conclusioni,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
1 Con il suo ricorso, la Commissione delle Comunità europee chiede alla Corte di constatare che, poiché la Regione Toscana e le Aziende sanitarie della medesima regione:
– hanno, innanzitutto, concluso con la Confederazione delle Misericordie d’Italia, l’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (comitato regionale toscano) e la Croce Rossa Italiana (sezione toscana) l’accordo quadro regionale per lo svolgimento di attività di trasporto sanitario dell’11 ottobre 1999,
– hanno poi prolungato detto accordo quadro attraverso il protocollo d’intesa del 28 marzo 2003 e, infine,
– hanno concluso, il 26 aprile 2004, sulla base della delibera regionale n. 379 del 19 aprile 2004, un nuovo accordo quadro regionale che, continuando le relazioni con le associazioni summenzionate, affida loro la gestione dei servizi in questione per il periodo compreso tra il 1º gennaio 2004 e il 31 dicembre 2008 (in prosieguo: l’«accordo quadro del 2004»),
la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi (GU L 209, pag. 1), come modificata dall’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica ceca, della Repubblica di Estonia, della Repubblica di Cipro, della Repubblica di Lettonia, della Repubblica di Lituania, della Repubblica di Ungheria, della Repubblica di Malta, della Repubblica di Polonia, della Repubblica di Slovenia e della Repubblica slovacca e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea (GU 2003, L 236, pag. 33; in prosieguo: la «direttiva 92/50»), e, in particolare, dei suoi artt. 11, 15 e 17.
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3 L’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50 prevede, in particolare, che sono «“appalti pubblici di servizi”, i contratti a titolo oneroso stipulati in forma scritta tra un prestatore di servizi ed un’amministrazione aggiudicatrice».
4 L’art. 3, nn. 1 e 2, di tale direttiva stabilisce quanto segue:
«1. Per aggiudicare appalti di servizi pubblici (…), le amministrazioni applicano procedure adattate alle disposizioni della presente direttiva.
2. Le amministrazioni assicurano la parità di trattamento tra i prestatori di servizi».
5 A norma dell’art. 6 di detta direttiva:
«La presente direttiva non si applica agli appalti pubblici di servizi aggiudicati ad un ente che sia esso stesso un’amministrazione ai sensi dell’articolo 1, lettera b), in base a un diritto esclusivo di cui beneficia in virtù delle disposizioni legislative, regolamentari od amministrative pubblicate, purché tali disposizioni siano compatibili con il trattato».
6 Ai sensi dell’art. 7, nn. 1 e 2, della direttiva 92/50:
«1. a) La presente direttiva si applica:
– agli appalti pubblici di servizi di cui all’articolo 3, paragrafo 3, agli appalti pubblici di servizi di cui siano oggetto i servizi indicati all’allegato I B, ai servizi della categoria 8 dell’allegato I A e ai servizi di telecomunicazioni della categoria 5 dell’allegato I A, i cui numeri di riferimento CPC sono 7524, 7525 e 7526, attribuiti dalle amministrazioni aggiudicatrici di cui all’articolo 1, lettera b), il cui valore stimato al netto dell’imposta sul valore aggiunto (IVA) sia pari o superiore a 200 000 [euro];
– agli appalti pubblici di servizi di cui siano oggetto i servizi indicati all’allegato I A, tranne i servizi della categoria 8 e i servizi di telecomunicazioni della categoria 5, i cui numeri di riferimento CPC sono 7524, 7525 e 7526,
i) attribuiti dalle amministrazioni aggiudicatrici indicate nell’allegato I della direttiva 93/36/CEE [del Consiglio 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di forniture (GU L 199, pag. 1)], il cui valore stimato al netto dell’IVA sia pari o superiore al controvalore
in [euro] di 130 000 diritti speciali di prelievo (DSP);
ii) attribuiti dalle amministrazioni aggiudicatrici indicate nell’articolo 1, lettera b) e diverse da quelle menzionate nell’allegato I della direttiva 93/36(…), il cui valore stimato al netto dell’IVA sia pari o superiore al controvalore in [euro] di 200 000 DSP.
(…)
2. Ai fini del calcolo dell’importo stimato dell’appalto, l’amministrazione aggiudicatrice si basa sulla retribuzione complessiva del prestatore di servizi, tenendo conto delle disposizioni di cui ai paragrafi
da 3 a 7».
7 L’art. 8 della direttiva 92/50 così dispone:
«Gli appalti aventi per oggetto servizi elencati nell’allegato I A vengono aggiudicati conformemente alle disposizioni dei titoli da III a VI».
I titoli da III a VI contengono gli articoli da 11 a 37 della direttiva 92/50.
8 L’art. 9 della direttiva 92/50 così prevede:
«Gli appalti aventi per oggetto servizi elencati nell’allegato I B vengono aggiudicati conformemente agli articoli 14 e 16».
9 L’art. 10 di detta direttiva precisa quanto segue:
«Gli appalti aventi per oggetto contemporaneamente servizi elencati nell’allegato I A e servizi figuranti nell’allegato I B vengono aggiudicati conformemente alle disposizioni dei titoli da III a VI qualora il
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10 L’art. 11 di detta direttiva stabilisce:
«1. Nell’aggiudicare gli appalti pubblici di servizi le amministrazioni applicano le procedure definite nell’articolo 1, lettere d), e), e f) [cioè le procedure aperte, le procedure ristrette e le procedure negoziate] adattate ai fini della presente direttiva.
2. Le amministrazioni possono aggiudicare gli appalti pubblici di servizi mediante procedura negoziata, previa pubblicazione di un bando di gara, nei seguenti casi:
(…)
3. Le amministrazioni possono aggiudicare appalti pubblici di servizi mediante procedura negoziata non preceduta dalla pubblicazione di un bando di gara nei casi seguenti:
(…)
4. In tutti gli altri casi le amministrazioni aggiudicano gli appalti pubblici di servizi con procedura aperta ovvero con procedura ristretta».
11 Ai sensi dell’art. 15, n. 2, della direttiva 92/50:
«Le amministrazioni che intendono aggiudicare un appalto pubblico di servizi mediante procedura aperta, ristretta o, nei casi stabiliti nell’articolo 11, negoziata, rendono nota tale intenzione con un bando di gara».
12 L’art. 17 di detta direttiva 92/50 precisa:
«1. I bandi o avvisi vanno redatti conformemente ai modelli contenuti negli allegati III e IV e devono fornire le informazioni richieste in tali modelli. (…)
2. I bandi e gli avvisi sono inviati dall’amministrazione aggiudicatrice, nei più brevi termini e per i canali più appropriati, all’Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee. (…)
(…)
4. I bandi di gara di cui all’articolo 15, paragrafi 2 e 3 vengono pubblicati per esteso nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee e nella banca di dati TED, nelle rispettive lingue originali. Un riassunto degli elementi importanti di ciascun bando viene pubblicato nelle altre lingue ufficiali delle Comunità; il testo nella lingua originale è l’unico facente fede.
(…)»
13 L’allegato I A della direttiva 92/50, intitolato «Servizi a norma dell’articolo 8», contiene la menzione seguente:
«Categoria Denominazione
Numero di riferimento della CPC 2
Servizi di trasporto terrestre (…), inclusi i servizi con furgoni blindati, e servizi di corriere ad esclusione del trasporto di posta
712 (salvo 71235), 7512, 87304»
14 L’allegato I B di detta direttiva, intitolato «Servizi a norma dell’articolo 9», comprende la menzione seguente:
«Categoria Denominazione
Numero di riferimento della CPC 25
Servizi sanitari e sociali 93»
15 L’art. 1, n. 5, della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (GU L 134, pag. 114), prevede quanto segue:
«Un “accordo quadro” è un accordo concluso tra una o più amministrazioni aggiudicatrici e uno o più operatori economici e il cui scopo è quello di stabilire le clausole relative agli appalti da aggiudicare durante un dato periodo, in particolare per quanto riguarda i prezzi e, se del caso, le quantità previste».
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16 L’art. 32, nn. 1 e 2, di tale direttiva stabilisce:
«1. Gli Stati membri possono prevedere la possibilità per le amministrazioni aggiudicatrici di concludere accordi quadro.
2. Ai fini della conclusione di un accordo quadro, le amministrazioni aggiudicatrici seguono le regole di procedura previste dalla presente direttiva in tutte le fasi fino all’aggiudicazione degli appalti basati su
tale accordo quadro. Le parti dell’accordo quadro sono scelte applicando i criteri di aggiudicazione definiti ai sensi dell’articolo 53.
Gli appalti basati su un accordo quadro sono aggiudicati secondo le procedure previste ai paragrafi 3 e 4. (…)
(…)».
17 A norma dell’art. 80, n. 1, della direttiva 2004/18:
«Gli Stati membri mettono in vigore le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva entro il 31 gennaio 2006. Xxxx ne informano immediatamente la Commissione.
(…)»
18 Ai sensi dell’art. 82 di detta direttiva:
«La direttiva [92/50], ad eccezione dell’articolo 41, e le direttive 93/36(…) e 93/37/CEE, [del Consiglio 14 giugno 1993, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori (GU L 199, pag. 54)] sono abrogate, a decorrere dalla data di cui all’articolo 80, fatti salvi gli obblighi degli Stati membri relativi ai termini di recepimento e di attuazione di cui all’allegato XI.
(…)»
Fatti e procedimento precontenzioso
19 La Regione Toscana e le Unità sanitarie locali, nonché le Aziende ospedaliere di tale regione (in prosieguo: «le Aziende») hanno concluso taluni accordi con la Confederazione delle Misericordie d’Italia, con l’Associazione Nazionale Pubbliche Assistenze (comitato regionale toscano) e con la Croce Rossa Italiana (sezione toscana), in quanto rappresentanti di diverse associazioni di volontariato (in prosieguo: «le associazioni interessate»), ai fini dell’affidamento di servizi di trasporto sanitario a tali associazioni.
20 Nel corso del periodo tra il 1º luglio 1999 e il 31 dicembre 2002, l’affidamento dei servizi per il trasporto sanitario alle associazioni interessate è stata disciplinata da un accordo quadro regionale stipulato l’11 ottobre 1999. Quest’ultimo è stato prorogato fino alla fine del 2003 mediante un protocollo d’intesa del 28 marzo 2003. Con la delibera n. 379, la giunta regionale della Toscana ha approvato l’accordo quadro del 2004.
21 Il 9 luglio 2004, in seguito ad un reclamo, la Commissione ha inviato alla Repubblica italiana una lettera di diffida relativa all’affidamento dei servizi di trasporto sanitario alle associazioni interessate in forza degli accordi summenzionati. Le autorità italiane non hanno risposto a tale lettera.
22 Il 22 dicembre 2004, la Commissione ha inviato un parere motivato alla Repubblica italiana. Tale Stato membro ha risposto al parere con una comunicazione del 16 marzo 2005. Non essendo soddisfatta di tale risposta, la Commissione ha proposto il presente ricorso.
Sul ricorso Argomenti delle parti
23 La Commissione ritiene che i servizi di trasporto sanitario in esame costituiscano servizi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva 92/50, che la Regione Toscana e le Aziende siano amministrazioni aggiudicatrici ai sensi di tale direttiva, che gli accordi in parola siano stati redatti in forma scritta e che i detti servizi di trasporto sanitario siano prestati a titolo oneroso, di modo che le operazioni controverse costituiscono appalti pubblici di servizi ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50.
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servizi con furgoni blindati, e servizi di corriere ad esclusione del trasporto di posta»), e dell’allegato I
B, categoria 25 («Servizi sanitari e sociali»), della direttiva 92/50. In conformità all’art. 10 di tale direttiva, qualora il valore dei servizi rientranti nell’allegato I A risultasse superiore a quello dei servizi
di cui all’allegato I B, gli accordi controversi avrebbero dovuto essere stipulati ai sensi delle disposizioni dei titoli III-VI della direttiva 92/50. Nel caso opposto, tali accordi avrebbero dovuto essere conclusi in conformità agli artt. 3, n. 2, 14 e 16 della stessa direttiva.
25 In via principale, la Commissione ritiene che il valore dei servizi di trasporto terrestre, ai sensi dell’allegato I A della direttiva 92/50, oggetto degli accordi in questione, superi il valore dei servizi sociali e sanitari, ai sensi dell’allegato I B di tale direttiva, oggetto dei medesimi accordi, e che, conseguentemente, questi ultimi avrebbero dovuto essere aggiudicati in conformità alle disposizioni
dei titoli III-VI di detta direttiva. Tali disposizioni imporrebbero, in particolare, la pubblicazione di un
bando di gara nella Gazzetta ufficiale dell’Unione europea e, in linea di principio, l’aggiudicazione dell’appalto mediante procedura aperta o ristretta.
26 In subordine, nel caso in cui il valore dei servizi sociali e sanitari, ai sensi dell’allegato I B della direttiva 92/50, oggetto degli accordi in questione, superasse il valore dei servizi di trasporto terrestre, ai sensi dell’allegato I A di tale direttiva, anch’essi oggetto di tali accordi, la Commissione ritiene che si applicherebbero l’art. 3, n. 2, della direttiva 92/50, nonché l’art. 49 CE, affinché sia imposto all’amministrazione aggiudicatrice l’obbligo di evitare qualsiasi discriminazione, in particolare in base alla nazionalità, tra i prestatori potenzialmente interessati dall’operazione controversa. Secondo la giurisprudenza della Corte, il principio di non discriminazione implicherebbe un obbligo di trasparenza
in base al quale l’amministrazione aggiudicatrice sarebbe tenuta a garantire un livello di pubblicità adeguato tale da consentire l’apertura del mercato alla concorrenza e il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione.
27 La Repubblica italiana sottolinea che le associazioni interessate, incaricate delle attività di trasporto sanitario, sono organismi di volontariato che svolgono un ruolo importante in materia di solidarietà e di coesione nella società italiana. Sia per la loro natura, sia in virtù della normativa nazionale applicabile, tali associazioni non potrebbero realizzare profitti derivanti dalle prestazioni da esse effettuate. Gli eventuali pagamenti che tali associazioni riceverebbero per i servizi da esse resi sarebbero limitati ai rimborsi delle spese effettivamente sostenute per realizzare l’attività in parola. Gli accordi di cui trattasi sarebbero destinati in particolare a disciplinare tali rimborsi, senza prevedere una remunerazione delle associazioni interessate. Queste ultime, che non sarebbero operatori commerciali, svolgerebbero la
loro attività al di fuori del mercato e dell’ambito della concorrenza. Gli accordi contestati dalla Commissione non verrebbero realizzati a titolo oneroso, ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50. Di conseguenza, essi non costituirebbero appalti pubblici di servizi rientranti nell’ambito di applicazione di tale direttiva.
28 Inoltre, gli accordi controversi non prevederebbero di per sé prestazioni né rimborsi, effetti che deriverebbero soltanto dagli appalti specifici conclusi nell’ambito di tali accordi. Tali accordi non costituirebbero pertanto appalti pubblici di servizi rientranti nell’ambito di applicazione della direttiva
92/50.
29 In subordine, il governo italiano fa valere che, anche supponendo che gli accordi in questione costituiscano appalti di tal genere, essi sarebbero tuttavia esclusi dall’ambito di applicazione della direttiva 92/50 in forza del suo art. 6, in quanto appalti aggiudicati in base a un diritto esclusivo.
30 Risulta da costante giurisprudenza che l’esistenza di un inadempimento deve essere valutata in relazione alla situazione dello Stato membro quale si presentava alla scadenza del termine stabilito nel parere motivato (sentenza 27 novembre 2003, causa C-429/01, Commissione/Francia, Racc. pag. I-14355, punto 56).
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32 Nella fattispecie, il termine fissato nel parere motivato è scaduto il 22 febbraio 2005. Poiché l’accordo quadro regionale dell’11 ottobre 1999 e il protocollo d’intesa del 28 marzo 2003 hanno esaurito i loro effetti prima di questa data, il presente ricorso è irricevibile nei limiti in cui si riferisce ad essi. Di conseguenza, ai fini del presente ricorso va preso in considerazione soltanto l’accordo quadro del 2004.
33 In forza dei suoi artt. 80 e 82, la direttiva 2004/18 ha abrogato la direttiva 92/50 a decorrere dal 31 gennaio 2006. La direttiva 92/50 era pertanto ancora in vigore allo scadere del termine fissato nel parere motivato. Di conseguenza, occorre valutare l’accordo quadro del 2004 proprio alla luce di quest’ultima direttiva.
34 Si pone preliminarmente la questione di stabilire se tale accordo quadro presenti le caratteristiche di un appalto pubblico ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50, cioè se esso sia un contratto a
titolo oneroso, stipulato in forma scritta tra un prestatore di servizi e un’amministrazione aggiudicatrice.
35 Non è contestata la forma scritta dell’accordo quadro del 2004 e neppure il fatto che la Regione Toscana e le Aziende costituiscano amministrazioni aggiudicatrici.
36 Anzitutto, la Repubblica italiana contesta che detto accordo quadro costituisca un appalto pubblico di servizi ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva rilevante, in quanto le associazioni interessate non
sono operatori commerciali ma svolgono la loro attività al di fuori del mercato e dell’ambito della concorrenza. Tale argomento è basato sul fatto che dette associazioni non perseguono fini di lucro e
che esse riuniscono persone motivate da considerazioni di solidarietà sociale.
37 Senza negare l’importanza sociale delle attività di volontariato, si deve necessariamente constatare che tale argomento non può essere accolto. Infatti, l’assenza di fini di lucro non esclude che siffatte associazioni esercitino un’attività economica e costituiscano imprese ai sensi delle disposizioni del Trattato relative alla concorrenza (v., in questo senso, sentenze 16 novembre 1995, causa C-244/94, Fédération française des sociétés d’assurance e a., Racc. pag. I-4013, punto 21; 12 settembre 2000, cause riunite da C-180/98 a C-184/98, Xxxxxx e a., Racc. pag. I-6451, punto 117, nonché 16 marzo 2004, cause riunite C-264/01, C-306/01, C-354/01 e C-355/01, AOK Bundesverband e a., Racc. pag.
I-2493, punto 49).
38 Occorre ricordare che, secondo la giurisprudenza della Corte, entità come le organizzazioni sanitarie che garantiscono la fornitura di servizi di trasporto d’urgenza e di trasporto di malati devono essere qualificate imprese ai sensi delle norme di concorrenza previste dal Trattato (sentenza 25 ottobre 2001, causa X-000/00, Xxxxxxxx Xxxxxxxx, Racc. pag. I-8089, punti 21 e 22).
39 Ne deriva che le associazioni interessate possono esercitare un’attività economica in concorrenza con altri operatori.
40 La circostanza che, a seguito del fatto che i loro collaboratori agiscono a titolo volontario, tali associazioni possano presentare offerte a prezzi notevolmente inferiori a quelli di altri offerenti non impedisce loro di partecipare alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici previste dalla direttiva 92/50 (v., in tal senso, sentenza 7 dicembre 2000, causa X-00/00, XXXX, Xxxx. xxx. X- 00000, punti 32 e 38).
41 Ne deriva che l’accordo quadro del 2004 non è escluso dalla nozione di «appalti pubblici di servizi» ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50, per il fatto che le associazioni interessate non perseguono fini di lucro.
58
43 Al riguardo, occorre ricordare che, per definire l’ambito di applicazione delle direttive in materia di appalti pubblici, la Corte ha sancito un’interpretazione estensiva della nozione di appalto pubblico che include gli accordi quadro. Secondo la Corte, un accordo quadro deve essere considerato «appalto pubblico» ai sensi della direttiva di cui trattasi, nei limiti in cui conferisce unità ai vari appalti specifici
da esso regolati (v., in tal senso, sentenza 4 maggio 1995, causa C-79/94, Commissione/Grecia, Racc. pag. I-1071, punto 15).
44 Come risulta da quest’ultima sentenza, tale interpretazione estensiva della nozione di appalto pubblico, che include gli accordi quadro, si impone per evitare che gli operatori eludano gli obblighi fissati dalle direttive in materia di appalti pubblici. Essa è, peraltro, confermata, per quanto riguarda gli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, dalle disposizioni della direttiva 2004/18. Gli artt. 1, n.
5, e 32 di tale direttiva contengono disposizioni specifiche riguardanti gli accordi quadro che sono basate sul principio che questi ultimi rientrano nell’ambito di applicazione della normativa comunitaria
in materia di appalti pubblici.
45 Ne deriva che l’accordo quadro del 2004 dev’essere considerato un contratto ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50.
46 Il governo italiano contesta infine che tale accordo quadro sia stato concluso a titolo oneroso, in quanto le operazioni di trasporto sanitario di cui trattasi vengono effettuate da associazioni di volontariato che percepiscono soltanto i rimborsi delle loro spese.
47 Neppure tale argomento può essere accolto. Occorre osservare che il carattere oneroso di un contratto si riferisce alla controprestazione erogata dall’autorità pubblica interessata a motivo dell’esecuzione delle prestazioni dei servizi che costituiscono oggetto del contratto e delle quali tale autorità sarà la beneficiaria (v., in tal senso, con riferimento alla direttiva 93/37, sentenza 12 luglio 2001, causa C-399/98, Ordine degli Architetti e a., Racc. pag. I-5409, punto 77).
48 Nella fattispecie, se è vero che il lavoro delle persone che effettuano i trasporti sanitari in parola non è retribuito, risulta nondimeno dagli elementi sottoposti alla Corte che i pagamenti previsti dalle pubbliche autorità interessate superano il semplice rimborso delle spese sostenute per fornire i servizi di trasporto sanitario controversi. Tali importi vengono fissati preventivamente e forfettariamente, sulla
base di tabelle allegate all’accordo quadro del 2004. Il sistema descritto in tali tabelle prevede il pagamento di una somma fissa per la messa a disposizione (detta «stand-by») di un autoveicolo destinato agli interventi, di somme calcolate in funzione dei tempi di sosta segnalati nel corso delle attività di trasporto, di una somma fissa per i trasporti che non superano i 25 km e di importi addizionali per ogni chilometro supplementare.
49 Il governo italiano ha confermato all’udienza che tale metodo di pagamento e le somme previste nell’allegato dell’accordo quadro del 2004 permettono alle autorità nazionali di sovvenzionare le associazioni che effettuano le prestazioni dei servizi di trasporto sanitario in questione.
50 Nelle precise circostanze del caso di specie, il metodo di pagamento previsto dall’accordo quadro del 2004 supera pertanto il semplice rimborso delle spese sostenute. Entro tali limiti, occorre ritenere che tale accordo quadro preveda una contropartita dei servizi di trasporto sanitario da esso contemplati.
51 Di conseguenza, l’accordo quadro del 2004 dev’essere considerato concluso a titolo oneroso ai sensi dell’art. 1, lett. a), della direttiva 92/50.
59
53 Ai sensi del suo art. 7, n. 1, la direttiva 92/50 si applica soltanto agli appalti pubblici di servizi il cui valore stimato al netto dell’IVA è uguale o superiore a taluni importi precisati da tale disposizione.
54 I termini dell’accordo quadro del 2004 non consentono di conoscere il valore, neppure stimato, di quest’ultimo. Tale accordo quadro fornisce soltanto una tariffa di prezzi unitari a partire dalla quale non è possibile fissare il valore dell’appalto controverso.
55 Alla luce dell’art. 7, n. 2, della direttiva 92/50, occorre considerare che il valore dell’accordo quadro del 2004 è costituito dal valore totale degli appalti specifici che sono o saranno aggiudicati in forza di esso (v., in tal senso, sentenza 4 maggio 1995, Commissione/Grecia, cit., punto 15).
56 La Commissione sostiene che, tenuto conto, da un lato, del fatto che l’accordo quadro del 2004 riguarda tutti i servizi di trasporto sanitario che, nel territorio della regione Toscana, non vengono effettuati direttamente dalle aziende, e, dall’altro, della durata pluriennale di tale accordo quadro, si presume che la soglia d’applicazione delle direttiva 92/50 di EUR 200 000 sia raggiunta.
57 Tuttavia, risulta da costante giurisprudenza che, nell’ambito di un procedimento di inadempimento ai sensi dell’art. 226 CE, incombe alla Commissione provare la sussistenza dell’asserito inadempimento. Essa deve fornire alla Corte gli elementi necessari perché questa accerti l’esistenza
di tale inadempimento, senza potersi fondare su alcuna presunzione (sentenza 26 aprile 2005, causa C-494/01, Commissione/Irlanda, Racc. pag. I-3331, punto 41).
58 La Commissione non ha prodotto alcuna prova relativa al valore degli appalti specifici conclusi in forza dell’accordo quadro del 2004.
59 In tale contesto, non è dimostrato che la soglia d’applicazione della direttiva 92/50 sia stata nella fattispecie raggiunta.
60 Ne deriva che il ricorso è infondato nella parte in cui verte su una violazione della direttiva 92/50.
61 In subordine, la Commissione chiede alla Corte di constatare che la conclusione dell’accordo quadro del 2004 sarebbe in contrasto con l’art. 49 CE, se il valore dei servizi attribuiti mediante tale accordo quadro e figuranti nell’allegato I B della direttiva 92/50 dovesse rivelarsi superiore a quello dei servizi figuranti nell’allegato I A di tale direttiva.
62 Orbene, come è stato osservato al punto 58 della presente sentenza, la Commissione non ha fornito alcun elemento di prova quanto al valore dell’appalto controverso. È pertanto impossibile determinare il valore relativo dei servizi controversi che rientrano nell’allegato I A o nell’allegato I B
della direttiva 92/50.
63 Supponendo che tali servizi rientrino, per la parte preponderante del loro valore, nell’allegato I B della direttiva 92/50, si dovrebbe tuttavia ricordare che, qualora un appalto relativo a servizi rientranti nell’ambito di tale allegato presenti un interesse transfrontaliero certo, l’affidamento, in mancanza di qualsiasi trasparenza, di tale appalto ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno delle imprese con
sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate a tale appalto (v. sentenza 13 novembre 2007, causa X-000/00, Xxxxxxxxxxx/Xxxxxxx, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto
30 e giurisprudenza citata).
64 Salvo che non sia giustificata da circostanze obiettive, siffatta disparità di trattamento, che, escludendo tutte le imprese aventi sede in un altro Stato membro, opererebbe principalmente a danno di queste ultime, costituirebbe una discriminazione indiretta in base alla nazionalità, vietata ai sensi dell’art. 49 CE (v., in tal senso, sentenza 13 novembre 2007, Commissione/Irlanda, cit., punto 31 e giurisprudenza citata).
60
per un’impresa con sede in uno Stato membro diverso da quello cui appartiene l’amministrazione aggiudicatrice interessata, un interesse certo e che tale impresa, non avendo avuto accesso ad informazioni adeguate prima dell’aggiudicazione dell’appalto, non ha potuto essere in grado di manifestare il suo interesse per quest’ultimo (v. sentenza Commissione/Irlanda, cit., punto 32).
66 Nella fattispecie, tali elementi non sono stati forniti dalla Commissione. Infatti, la semplice indicazione, da parte di quest’ultima, dell’esistenza di un reclamo che le è stato rivolto in relazione all’appalto in esame non è sufficiente a dimostrare che detto appalto presentasse un interesse transfrontaliero certo e, di conseguenza, a constatare l’esistenza di un inadempimento (v., in tal senso, sentenza 13 novembre 2007 Commissione/Irlanda, cit., punto 34).
67 Pertanto, occorre constatare che il ricorso non è fondato nella parte in cui verte su una violazione dell’art. 49 CE.
68 Di conseguenza, il ricorso della Commissione dev’essere respinto. Sulle spese
69 Ai sensi dell’art. 69, n. 2, del regolamento di procedura, la parte soccombente è condannata alle spese se ne è stata fatta domanda. Poiché la Repubblica italiana ne ha fatto domanda, la Commissione, rimasta soccombente, va condannata alle spese.
Per questi motivi, la Corte (Terza Sezione) dichiara e statuisce:
1) Il ricorso è respinto.
2) La Commissione delle Comunità europee è condannata alle spese.
Firme
* Lingua processuale: l’italiano.
61
T.A.R. Lazio, Sez. Latina - Sentenza 15/11/2007 n. 1211
La giunta è incompetente a decidere sulle modalità di scelta dell'affidatario di un servizio pubblico. E' legittimo l'affidamento diretto di un servizio solo se l'appalto riguarda cooperative sociali e l'importo è sotto soglia. La giunta comunale è organo incompetente a decidere sulle modalità di scelta del contraente trattandosi di atto gestionale e non politico programmatico. L'articolo 5 della l. 381/1991 (testo normativo di favore per le cooperative sociali), stabilisce che gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative sociali, per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all'art. 4, c.1, ma solo se l'importo del servizio
è sotto soglia comunitaria. Materia: appalti / disciplina
* * * REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio sezione staccata di Latina (Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 1168 del 2006, proposto da:
Xxxxx Xxxxxxxxx X.X., rappresentato e difeso dagli avv. Xxxxx Xxxxxx, Xxxxx X. Xxxxxx, con domicilio eletto presso Xxxxx Xxx. Xxxxxx in Latina, c/o Segreteria Tar - Latina;
contro
Comune di Veroli (Fr), rappresentato e difeso dall'avv. Xxxxxx Xxxxx Xxxxxxx, con domicilio eletto presso Xxxxxx Xxxxx Xxx. Spirito in Xxxxxx, x/x Xxx.Xxxxxxxxxx xxx X.Xxxxx 00;
nei confronti di
Consorzio Valcomino Societa' Coop.Sociale A.R.L., rappresentato e difeso dall'avv. Xxx Xxxxxxxx, con domicilio eletto presso Lio Avv. Sambucci in Latina, c/o Segreteria Tar Latina;
per l'annullamento
della DELIBERAZIONE DELLA G.M. N.127 DEL 14.09.2006 DI AFFIDAMENTO SERVIZIO E REFEZIONE MENSA SCOLASTICA ALLA SOCIETA' CONTROINTERESSATA DELLA DURATA DI ANNI TRE..
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Comune di Veroli (Fr);
Visto l'atto di costituzione in giudizio del Consorzio Valcomino Societa' Coop.Sociale A.R.L.; Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell'udienza pubblica del giorno 26/10/2007 il xxxx. Xxxxxxxx Xxxxxxx e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Xxxxxxxx e considerato in fatto e diritto quanto segue:
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FATTO e DIRITTO
Premesso che, con atto notificato il 24/27 novembre 2006 e depositato il successivo giorno 28, la ricorrente – già affidataria del servizio di refezione presso i plessi scolastici comunali - ha impugnato la deliberazione n. 127, datata 14/9/2006, con la quale il comune di Veroli ha affidato alla controinteressata Consorzio Valcomino, a mezzo trattativa diretta, il servizio di refezione e mensa scolastica per la durata di tre anni e per un valore sopra soglia comunitaria;
Vista la sentenza n. 406 del 1 giugno 2007 con la quale questa Sezione ha annullato la deliberazione
di G.C. n. 1 del 4 gennaio 2007 nonché la determinazione del responsabile di servizio datata 8 gennaio 2007, con le quali l’ente locale aveva revocato la suddetta deliberazione n. 127/2006;
Visti i dedotti, seguenti motivi di ricorso:
a) incompetenza della giunta;
b) violazione dell’art. 5 della L. n. 381/1991;
Visto l’art. 26 L. n. 1034/71, come integrato dall’art. 9 L. n. 205/2000;
Dato atto che, ai sensi delle suddette disposizioni normative, la sentenza, ancorché succintamente motivata, è idonea a definire un giudizio a cognizione piena, non essendovi alcuna reciproca interdipendenza tra semplificazione della motivazione e sommarietà della cognizione (cfr. Xxxxx Xxxx.,
00 novembre 1999, n. 427); e che la semplificazione della motivazione, nei casi speciali previsti dalla legge, è strumentale all’esigenza di garantire una ragionevole durata del processo ai sensi dell’art.111, comma 2, Cost., essendo compatibile con il principio di effettività della tutela giurisdizionale (cfr. Cons. St., V, 26 gennaio 2001, n.268);
Considerato che l’interesse azionato dalla ricorrente è strumentale all’esperimento della gara, cui s’intende partecipare onde coltivare la chance di aggiudicazione della commessa;
Vista la deliberazione di G.C. n. 166, datata 5 maggio 2007, con la quale il comune di Veroli:
- ha accettato la proposta del Consorzio Valcomino per la definizione conclusiva di ogni questione in relazione al servizio refezione e mensa scolastica;
- ha revocato la delibera di X.X. x 000 xxx 00 xxxxxxxxx 0000 (xxxxxxx xxx xxxxxxx);
Vista la delibera n. 167, datata 5 ottobre 2007, con la quale la Giunta comunale di Veroli ha dato mandato agli uffici di indire per il servizio de quo una gara ad evidenza pubblica;
Ritenuto che le suddette deliberazioni, intervenute nel corso del giudizio, non fanno venir meno l’interesse alla coltivazione del ricorso in quanto, a seguito della risoluzione consensuale del rapporto
tra la Valcomino ed il comune di Veroli e la pedissequa revoca in autotutela, la deliberazione n. 127/2006 è stata eliminata con effetti soltanto ex nunc, permanendo i suoi effetti lesivi per il tratto di validità ed efficacia del provvedimento originariamente impugnato, rispetto ai quali la pronuncia di annullamento è idonea a soddisfare l’interesse morale dell’impresa oltre quello patrimoniale al ristoro
dei danni nella prospettiva della perdita di chance; Ritenuto sussistente, in capo alla società C.R.C. di Alati F.:
- la legittimazione ad agire, sia in ragione del pregresso rapporto contrattuale di fornitura (posizione differenziata) che in forza dell’art. 5 L n. 381/1991 e del D.Lvo n. 157/1995 (posizione qualificante);
- la legittimazione attiva, in ragione del possesso del requisito di iscrizione alla Camera di Commercio idoneo, ontologicamente e funzionalmente, per l’erogazione del servizio richiesto dal comune consistente nella realizzazione e somministrazione dei pasti presso le scuole (oggetto di iscrizione: “ristorazione collettiva per aziende ed enti pubblici e privati”; “attività di ristorazione, bar, tavola calda e qualsiasi attività affine e/o complementare alla ristorazione in genere ed alla produzione e somministrazione di alimenti e bevande anche alcoliche, comprese l’attività di catering ed il commercio dei relativi prodotti”; “preparazione,produzione e confenzionamento di pasti per aziende, scuole, enti pubblici e/o privati”);
-l’interesse al ricorso, ancorché non impugnata la successiva determinazione dirigenziale datata 20 settembre 2006 (autorizzazione al Consorzio Valcomino di iniziare i lavori di adeguamento dei locali) atteso il rapporto di presupposizione consequenzialità ad effetti caducanti che condiziona la sua efficacia rispetto all’impugnata deliberazione di affidamento del servizio;
Considerato che i motivi di ricorso sono stati dedotti con sufficiente completezza avendo consentito al giudicante di percepire il paventato profilo di lesività causato dagli atti nonché la presunta illegittimità degli stessi;
Visto l’art. 5, della legge n. 381 del 1991 che così recita:
“Gli enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b) , ovvero
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beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell'IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all'art. 4,
c.1.
Per la stipula delle convenzioni di cui al comma 1 le cooperative sociali debbono risultare iscritte all'albo regionale di cui all'articolo 9, comma 1. Gli analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità europea debbono essere in possesso di requisiti equivalenti a quelli richiesti
per l'iscrizione a tale albo e risultare iscritti nelle liste regionali di cui al comma 3, ovvero dare dimostrazione con idonea documentazione del possesso dei requisiti stessi.
Le regioni rendono noti annualmente, attraverso la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee, i requisiti e le condizioni richiesti per la stipula delle convenzioni ai sensi del comma 1, nonché le liste regionali degli organismi che ne abbiano dimostrato il possesso alle competenti autorità regionali.
Per le forniture di beni o servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, il cui importo stimato al netto dell'IVA sia pari o superiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti
pubblici, gli enti pubblici compresi quelli economici, nonché le società di capitali a partecipazione pubblica, nei bandi di gara di appalto e nei capitolati d'onere possono inserire, fra le condizioni di esecuzione, l'obbligo di eseguire il contratto con l'impiego delle persone svantaggiate di cui all'art. 4,
c.1, e con l'adozione di specifici programmi di recupero e inserimento lavorativo. La verifica della capacità di adempiere agli obblighi suddetti, da condursi in base alla presente legge, non può intervenire nel corso delle procedure di gara e comunque prima dell'aggiudicazione dell'appalto”; Ritenuto, alla luce dell’esposto quadro normativo, che i dedotti motivi di ricorso sono assistiti da giuridico fondamento in quanto:
a)la giunta comunale è organo incompetente a decidere sulle modalità di scelta del contraente trattandosi di atto gestionale e non politico programmatico;
b)l’art. 5 della L. n. 381/1991 (testo normativo di favore per le cooperative sociali) consente una deroga al principio della gara solo se l’appalto del servizio riguarda cooperative sociali e l’importo è
sotto soglia;
Condiviso quanto affermato dalla giurisprudenza amministrativa secondo cui “Ai sensi dell'art. 5 commi 1 e 4 l. 8 novembre 1991 n. 381, nel testo novellato dall'art. 20 l. 6 febbraio 1996 n. 52, la p.a. appaltante non può legittimamente limitare alle sole società cooperative d'utilità sociale l'ammissione ad una gara, d'importo superiore alla soglia comunitaria, relativa ad un appalto di servizi (nella specie, si trattava di custodia e pulizia di edifici scolastici), essendo ciò possibile solo per gli appalti c.d. "sotto soglia”. (Consiglio Stato , sez. V, 30 agosto 0000 , x. 0000; Tar Marche 7 aprile 2000);
Considerato, in disparte quanto sopra, che la regola dell’evidenza pubblica costituisce un principio immanente l’ordinamento di settore degli appalti, ancor più se di rilevanza comunitaria (cfr per le soglie l’art. 28, Codice contratti) ove vigono i principi di non discriminazione, parità di trattamento e concorrenzialità, la cui applicazione s’impone, di norma, anche agli appalti aventi per oggetto i servizi elencati nell’allegato II B del d.l.vo n. 163 del 2006;
Ritenuto, per quanto sopra esposto, violati sia l’obbligo giuridico di indire la pubblica gara per l’affidamento del servizio de quo che il regime inderogabile delle competenze;
Ritenuto che alla fondatezza del gravame e, quindi, all’accoglimento del ricorso impugnatorio consegue la reintegrazione in forma specifica della ricorrente nella posizione sostanziale lesa, dovendo l’amministrazione comunale procedere, per l’effetto conformativo, all’indizione di gara ad evidenza pubblica valevole per il medesimo arco temporale originariamente coperto dalla deliberazione n. 127/2007, con possibilità di partecipazione ed aggiudicazione anche per la ricorrente; Considerata che detta reintegrazione ristora l’interessata dei danni futuri mentre per i danni da questa subiti a causa dell’illegittima sua pretermissione il risarcimento può essere disposto mediante la tecnica della perdita di chance;
Ritenuto fare applicazione, a tal fine, del criterio equitativo e liquidare in favore della ricorrente la somma di € 5.000,00 (pari al 10% del valore dell’appalto per l’anno scolastico 2006/2007, al netto di
Xxx, abbattuto di una ulteriore percentuale in ragione delle probabilità mera di successo);
Ritenuto che alla soccombenza nel giudizio segue la condanna alle spese di lite del comune di Veroli
nella misura liquidata in dispositivo, mentre delle stesse se ne può disporre la compensazione nei confronti della società controinteressata dovendosi imputare i motivi di causa alla condotta dell’amministrazione comunale.
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P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio – Sezione staccata di Latina - accoglie, nei sensi in motivazione il ricorso n. 1168/2006.
Condanna il comune di Veroli al pagamento delle spese di giudizio in favore della ricorrente che si liquidano in complessivi € 2.000,00.
Spese compensate nei confronti della controinteressata.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Latina nella camera di consiglio del giorno 26/10/2007 con l'intervento dei signori: Xxxxxx Xxxxxxx, Presidente
Xxxxxxx Xxxxxxxxx, Consigliere
Xxxxxxxx Xxxxxxx, Primo Referendario, Estensore
L'ESTENSORE IL PRESIDENTE
IL SEGRETARIO
DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 15/11/2007
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Ministero delle Finanze - Decreto 25 maggio 1995
Criteri per l'individuazione delle attività commerciali e produttive marginali svolte dalle organizzazioni di volontariato
IL MINISTRO DELLE FINANZE
di concerto con
IL MINISTRO PER LA FAMIGLIA E LA SOLIDARIETÀ SOCIALE
Visto l’art. 8, comma 4, primo periodo, della legge 11 agosto 1991, n. 266, secondo il quale "i proventi derivanti da attività commerciali e produttive marginali non costituiscono redditi imponibili ai fini dell’imposta sul reddito delle persone giuridiche (IRPEG) e dell’imposta locale sui redditi (ILOR), qualora si documentato il loro totale impiego per i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato";
413, il quale stabilisce che i criteri relativi al concetto di marginalità sono fissati dal Ministro delle finanze con proprio decreto, di concerto con il Ministro per gli affari sociali;
Vista la delega di funzioni del Presidente del Consiglio dei Ministri al Ministro senza portafoglio per la famiglia e la solidarietà sociale di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 26 gennaio 1995 (pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - serie generale - n. 22 del 27 gennaio 1995);
Considerato che occorre provvedere al riguardo;
Decreta:
Art. 1.
1. Agli effetti dell'articolo 8, comma 4, della legge 11 agosto 1991, n. 266, si considerano attività commerciali e produttive marginali le seguenti attività:
attività di vendita occasionali o iniziative occasionali di solidarietà svolte nel corso di celebrazioni o ricorrenze o in concomitanza a campagne di sensibilizzazione pubblica verso i fini istituzionali dell’organizzazione di volontariato;
attività di vendita di beni acquisiti da terzi a titolo gratuito a fini di sovvenzione, a condizione che la vendita sia curata direttamente dall’organizzazione senza alcun intermediario;
cessione di beni prodotti dagli assistiti e dai volontari sempreché la vendita dei prodotti sia curata direttamente dall’organizzazione senza alcun intermediario;
attività di somministrazione di alimenti e bevande in occasione di raduni, manifestazioni, celebrazioni e simili a carattere occasionale;
attività di prestazione di servizi rese in conformità alle finalità istituzionali, non riconducibili nell'ambito applicativo dell’art. 111 comma 3 del T.U. delle imposte sui redditi, approvato con DPR 22 dicembre 1986, n. 917, verso pagamento di corrispettivi specifici che non eccedano del 50% i costi di diretta imputazione.
2. Le attività devono essere svolte :
e. in funzione della realizzazione del fine istituzionale dell'organizzazione di volontariato iscritta nei registri di cui all’art. 6 della legge n. 266 del 1991.
f. senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato, quali l’uso di pubblicità dei prodotti, di insegne elettriche, di locali attrezzati secondo gli usi dei corrispondenti esercizi commerciali, di marchi di distinzione dell’impresa.
3. Non rientrano, comunque, tra i proventi delle attività commerciali e produttive marginali quelli derivanti da convenzioni.
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Xxxxxxx xxxxx Xxxxxxx - Xxxxxxxxxxx X. 000/X, 19 dicembre 2007
IVA. - Prestazioni di servizi effettuate da cooperative sociali nell’ambito dei progetti per lavori di utilità sociale
Con l’interpello specificato in oggetto, concernente l’interpretazione dell’art. 3 del DPR n. 633 del 1973 è stato esposto il seguente
QUESITO
Il Comune di ALFA promuove, in collaborazione con le cooperative sociali presenti sul territorio, progetti per la realizzazione di lavori di utilità sociale che vengono posti in essere con l’obiettivo primario di recuperare soggetti svantaggiati al mercato del lavoro ordinario.
Detti progetti godono di un contributo che viene erogato al Comune di ALFA dalla Direzione Agenzia Regionale del Lavoro (Dipartimento Politiche strutturali e affari europei, Presidenza della Giunta).
In particolare, il Comune si avvale, per la realizzazione dei lavori di utilità sociale, di cooperative sociali di tipo B e C, iscritte nell’albo regionale, che curano la realizzazione dei lavori in argomento, operando in veste di “soggetti attuatori”, e che assumono, per il periodo previsto, lavoratori in situazione di marginalità rispetto al mercato del lavoro, mentre l’ente locale rimane titolare dell’iniziativa e destinatario del contributo della Direzione Agenzia Regionale del Lavoro.
L’ente istante riferisce che, secondo le cooperative sociali interessate, le somme ad esse corrisposte dal Comune di ALFA per la realizzazione dei suddetti lavori dovrebbero essere assoggettate al seguente regime.
a) La “quota di costo dei servizi forniti all’ente locale” dalle cooperative sociali e corrispondente al costo dei lavoratori svantaggiati dovrebbe considerarsi come “una mera erogazione di contributo o rimborso spese escluso dalla base imponibile IVA” ai sensi dell’ “art. 15 comma 3 dpr 633/1972” e, pertanto, non dovrebbe essere fatturata, ma documentata “sulla base di giustificativi di spesa esposti
a rendiconto (buste paga, contributi versati e altro)”. Peraltro, ad avviso delle cooperative sociali, la parte di prestazione svolta a favore dell’ente locale corrispondente al costo dei lavoratori svantaggiati, “in quanto parte di costo assistita da contributo”, non si configurerebbe come prestazione di servizi ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
b) La “parte del costo della prestazione rappresentato dai materiali e altri costi utilizzati per fornire il servizio” dovrebbe essere fatturata con applicazione dell’IVA con aliquota corrispondente al servizio reso.
Ciò premesso, il Comune di ALFA chiede se di sapere se può ritenersi corretta la soluzione prospettata dalle cooperative sociali.
SOLUZIONE INTERPRETATIVA PROSPETTATA DALL’INTERPELLANTE
Il Comune di ALFA non prospetta una propria soluzione interpretativa.
PARERE DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Il “Piano Triennale di Politica del lavoro e di formazione professionale” adottato dalla Regione di ALFA prevede, al paragrafo 6.2., la realizzazione di “progetti per lavori di utilità sociale regionali promossi da Comuni e loro Consorzi” finalizzati ad impiegare soggetti svantaggiati per favorirne il reinserimento nel mondo del lavoro.
Nelle “istruzioni per l’attuazione del Piano Triennale di Politica del lavoro e di formazione professionale”, al punto 2.1., è previsto che i Comuni proponenti i suddetti progetti possono gestire gli stessi direttamente oppure possono “affidare a cooperative sociali (…) la gestione dei lavori di utilità sociale (…)” previsti nei medesimi progetti.
Al successivo punto 3.1. è stabilito che per gli interventi promossi e gestiti in collaborazione tra amministrazione comunale e cooperative sociali, l’Agenzia regionale del Lavoro predispone l’erogazione, in favore dei Comuni proponenti, di un intervento finanziario pari al 100% del costo del lavoro derivante dall’impiego dei lavoratori svantaggiati assunti dalle cooperative sociali, previa
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Il quesito prospettato dal Comune di ALFA è relativo al rapporto intercorrente fra l’ente istante e le cooperative sociali che deve essere analizzato alla luce di quanto risulta dall’istanza di interpello e dalla documentazione alla stessa allegata.
In particolare, dalla deliberazione della Giunta Comunale ….2007 emerge che il Comune di ALFA ha approvato per l’anno 2007, per un periodo di 6 mesi, un Progetto (denominato …..) redatto dall’amministrazione comunale in collaborazione con un Consorzio di cooperative sociali per la realizzazione di lavori di utilità sociale che favoriscano l’inserimento lavorativo di cittadini disagiati.
I lavori previsti nel suddetto progetto consistono nella “pulizia degli impluvi naturali e canali aperti” e nella “pulizia e verniciatura di ringhiere, transenne in legno e ferro e arredi urbani”.
Come evidenziato nel citato progetto al paragrafo 2, l’intervento si realizza tramite “l’affidamento dell’esecuzione delle attività” sopra richiamate alle cooperative sociali, che assumono i “lavoratori in situazione di marginalità” e curano la realizzazione delle opere previste (pulizia degli impluvi naturali e dei canali aperti, nonché pulizia e verniciatura di ringhiere, transenne in legno e ferro e arredi urbani).
A fronte dell’attuazione delle anzidette opere, le cooperative sociali incaricate ricevono dall’ente locale delle somme di denaro.
Dette somme, erogate dal Comune istante alle cooperative sociali, costituiscono, in sostanza, il corrispettivo per il servizio commissionato dall’ente locale, consistente nell’attuazione delle opere previste nel progetto e nel compimento degli interventi attraverso il personale svantaggiato.
Quanto sopra rappresentato, non si ritiene di poter condividere le modalità di rendicontazione prospettate al Comune di ALFA dalle cooperative sociali, secondo le quali occorre distinguere, al fine
di differenziarne il trattamento tributario, fra la parte di costo della prestazione “rappresentato dai materiali e altri costi utilizzati per fornire il servizio” (che ad avviso delle stesse dovrebbe essere assoggettata ad IVA) e la parte di costo “rappresentato dal costo del lavoro per l’utilizzo di lavoratori svantaggiati dipendenti della cooperativa” (che dovrebbe invece considerarsi esclusa dal campo di applicazione del tributo in quanto contributo o rimborso spese ai sensi dell’art. 15, primo comma, n. 3), del DPR n. 633 del 1972 e non riconducibile nell’ambito dell’articolo 3 del DPR n. 633 del 1972).
Si ritiene, infatti, che le cooperative sociali, nel realizzare le attività e le opere previste nei progetti per i lavori socialmente utili, adempiano, sulla base del progetto concordato con il Comune di ALFA, ad una propria obbligazione di fare assunta nei confronti del suddetto ente committente e che, pertanto, le somme da quest’ultimo erogate costituiscano, nel loro complesso, la controprestazione dovuta.
Le cooperative sociali incaricate di svolgere i lavori di utilità sociale previsti nel progetto dovranno, pertanto, assoggettare ad IVA e fatturare tutte le somme percepite dal Comune di ALFA in quanto corrispettivi per il servizio reso.
La risposta di cui alla presente nota, sollecitata con istanza di interpello presentata dalla Direzione Regionale ….viene resa dalla scrivente ai sensi dell’art. 4, comma 1, ultimo periodo, del D.M. 26 aprile 2001, n. 209.
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Agenzia delle Entrate - Direzione Centrale Normativa e Contenzioso Circolare 18/03/2008, n. 22
Esenzione IVA delle prestazioni educative e didattiche ai sensi dell'articolo 10, n. 20) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 - Riconoscimento delle scuole paritarie e non paritarie e di altri organismi privati - Riconoscimento delle scuole ed istituzioni culturali straniere in Italia
Art.1
Premessa.
La presente circolare fornisce chiarimenti in merito al requisito del riconoscimento cui e' subordinata l'applicazione del regime di esenzione dall'IVA recato dall'articolo 10, n. 20) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.
La circolare prende in esame in primo luogo la riforma operata dalla legge 10 marzo 2000, n. 62 e dal decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27, per le scuole non statali, con particolare riguardo alla soppressione dell'istituto della presa d'atto.
Dopo aver esposto le modalita' di riconoscimento delle scuole private, paritarie e non paritarie, in base alle disposizioni recate dalle citate leggi n. 62 del 2000 e n. 27 del 2006, la circolare fornisce, quindi, chiarimenti in merito alle attuali modalita' di riconoscimento di organismi, che con la soppressione dell'istituto della "presa d'atto" restano privi di forme di riconoscimento normativamente disciplinate.
Si tratta di istituti che non svolgono corsi di studio completi secondo gli ordinamenti scolastici e non hanno i requisiti per assumere la denominazione di scuola secondo la citata normativa di settore, ma erogano prestazioni didattiche e formative comunque comprese nelle materie di insegnamento scolastico di competenza del Ministero della Pubblica Istruzione (es. corsi monotematici di lingua straniera).
La circolare, inoltre, esamina le modalita' di riconoscimento degli organismi privati operanti nelle materie di competenza di altri soggetti pubblici diversi dal Ministero della Pubblica Istruzione, per i quali anche antecedentemente alla soppressione della presa d'atto il riconoscimento operava secondo disposizioni proprie degli enti pubblici competenti.
Sono, inoltre, forniti chiarimenti sull'attivita' didattica e formativa resa in esecuzione di progetti approvati e finanziati dagli enti pubblici e sui versamenti effettuati dagli enti pubblici per i corsi di formazione, aggiornamento e riqualificazione del personale dipendente.
La circolare, infine, fornisce chiarimenti in merito al riconoscimento delle scuole ed istituzioni culturali straniere in Italia.
1. Normativa comunitaria e nazionale
L'articolo 132, paragrafo 1) della Direttiva CE del 28 novembre 2006, n. 112 (gia' articolo 13, parte A, paragrafo 1, della Direttiva CEE del 17maggio 1977, n. 388) individua tra le operazioni che gli Stati membri esentano dall'IVA, alla lettera i) "l'educazione dell'infanzia o della gioventu', l'insegnamento scolastico o universitario, la formazione o la riqualificazione professionale, nonche' le prestazioni di servizi e le cessioni di beni con essi strettamente connesse, effettuate da enti di diritto pubblico aventi
lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalita' simili".
In forza del citato art. 132 132 della Direttiva CE n. 112 del 2006, gli Stati membri possono esentare dall'IVA le operazioni educative dell'infanzia e della gioventu' e di insegnamento scolastico o universitario, ivi compresa la formazione o la riqualificazione professionale, sempre che le stesse siano effettuate da enti di diritto pubblico aventi lo stesso scopo o da altri organismi riconosciuti dallo Stato membro interessato come aventi finalita' simili.
L' articolo 10, n. 20) del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 stabilisce l'esenzione dall'IVA per "le prestazioni educative dell'infanzia e della gioventu' e quelle didattiche di ogni genere, anche per la formazione, l'aggiornamento, la riqualificazione e riconversione professionale, rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni e da ONLUS (...)".
La disposizione recata dal citato articolo 10, n. 20) del DPR n. 633 del 1972, coerentemente con quanto previsto dall'articolo 132 della Direttiva CE n. 112 del 2006, subordina, pertanto, l'applicazione
del beneficio dell'esenzione dall'IVA al verificarsi di due requisiti, uno di carattere oggettivo e l'altro soggettivo, stabilendo che le prestazioni a cui si riferisce:
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b) devono essere rese da istituti o scuole riconosciuti da pubbliche amministrazioni.
In merito al requisito del riconoscimento degli istituti o scuole private che svolgono attivita' di natura educativa, didattica o formativa si evidenzia preliminarmente che la normativa comunitaria non specifica le condizioni e le procedure per il riconoscimento dei prestatori di servizi ammessi all'esenzione dall'IVA, rinviando la disciplina del riconoscimento al legislatore nazionale.
La norma recata dall'articolo 10, n. 20) del DPR n. 633 del 1972, nel recepire la disposizione fiscale comunitaria, non fornisce alcuna indicazione sulle condizioni per il riconoscimento, assumendo quest'ultimo come presupposto da cui consegue l'applicazione del beneficio dell'esenzione dall'IVA. La disciplina dei requisiti e delle forme di riconoscimento viene operata da norme diverse da quelle fiscali.
2. Scuole paritarie e non paritarie.
La vigente normativa in materia di riconoscimento di scuole non statali e' recata dalla legge 10 marzo 2000, n. 62 e dal decreto-legge 5 dicembre 2005, n. 250, convertito dalla legge 3 febbraio 2006, n. 27, che hanno ricondotto le scuole non statali in due categorie: scuole paritarie e scuole non paritarie.
L'articolo 1-bis del citato decreto-legge n. 250 del 2005, inserito dalla legge di conversione n. 27 del 2006, al comma 1 dispone, infatti, che "le scuole non statali (...) sono ricondotte alle due tipologie di scuole paritarie riconosciute ai sensi della legge 10 marzo 2000, n. 62, e di scuole non paritarie".
Il comma 2 del medesimo articolo prevede che "la frequenza delle scuole paritarie costituisce assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione, di cui al decreto legislativo 15 aprile
2005, n. 76. La parita' e' riconosciuta con provvedimento adottato dal dirigente preposto all'ufficio scolastico regionale competente per territorio, previo accertamento della sussistenza dei requisiti di
cui all'articolo 1 della citata legge n. 62 del 2000".
Ai sensi del successivo comma 4 dello stesso articolo 1-bis " sono scuole non paritarie quelle che svolgono un'attivita' organizzata di insegnamento e che presentano le seguenti condizioni di funzionamento:
a) un progetto educativo e relativa offerta formativa, conformi ai principi della Costituzione e all'ordinamento scolastico italiano, finalizzati agli obiettivi generali e specifici di apprendimento correlati al conseguimento di titoli di studio;
b) la disponibilita' di locali, arredi e attrezzature conformi alle norme vigenti in materia di igiene e sicurezza dei locali scolastici, e adeguati alla funzione, in relazione al numero degli studenti;
c) l'impiego di personale docente e di un coordinatore delle attivita' educative e didattiche forniti di titoli professionali coerenti con gli insegnamenti impartiti e con l'offerta formativa della scuola, nonche' di idoneo personale tecnico e amministrativo;
d) alunni frequentanti, in eta' non inferiore a quella prevista dai vigenti ordinamenti scolastici, in relazione al titolo di studio da conseguire, per gli alunni delle scuole statali o paritarie".
Il comma 5 del citato articolo 1-bis stabilisce, inoltre, che "le scuole non paritarie che presentino le condizioni di cui al comma 4 sono incluse in un apposito elenco affisso all'albo dell'ufficio scolastico regionale" il quale "vigila sulla sussistenza e sulla permanenza delle predette condizioni, il cui venir meno comporta la cancellazione dall'elenco."Il medesimo comma 5 dispone, altresi', che le "modalita' procedimentali per l'inclusione nell'elenco e per il suo mantenimento sono definite con regolamento adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400".
Ai sensi dello stesso comma 5 del citato articolo 1-bis "le scuole non paritarie non possono rilasciare titoli di studio aventi valore legale, ne' intermedi, ne' finali" e, inoltre, "non possono assumere denominazioni identiche o comunque corrispondenti a quelle previste dall'ordinamento vigente per le istituzioni scolastiche statali o paritarie e devono indicare nella propria denominazione la condizione di scuola non paritaria."Il medesimo comma 5 dispone, infine, che "le sedi e le attivita' d'insegnamento che non presentino le condizioni" individuate dal precedente comma 4 dell'articolo 1-bis "non possono
assumere la denominazione di "scuola" e non possono comunque essere sedi di assolvimento del diritto-dovere all'istruzione e alla formazione".
Dalla ricostruzione normativa sopra svolta discende che il riconoscimento delle scuole non statali abilitate a rilasciare titoli di studio aventi valore legale e la cui frequenza consente l'assolvimento del diritto dovere all'istruzione e alla formazione viene operato attraverso il decreto attributivo della parita' scolastica.
Il riconoscimento delle scuole non statali che non hanno richiesto o ottenuto la parita' e che svolgono un'attivita' organizzata di insegnamento assimilata a quella delle scuole paritarie, ma che non possono rilasciare autonomamente titoli di studio aventi valore legale, avviene, invece, attraverso l'iscrizione
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3. Organismi privati, diversi dalle scuole paritarie e non paritarie, che svolgono corsi nelle materie presenti negli ordinamenti scolastici di competenza del Ministero della Pubblica Istruzione.
Contestualmente alla richiamata disciplina delle scuole paritarie e non paritarie, il citato decreto-legge
n. 250 del 2005, convertito dalla legge n. 27 del 2006, al comma 7 dell'articolo 1-bis, ha abrogato l'articolo 352 del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, che disciplinava le scuole non statali e i
xxxxx assoggettati alla vigilanza del Ministero della Pubblica Istruzione, sopprimendo di fatto l'istituto del riconoscimento di scuole e corsi attraverso la procedura della "presa d'atto".
Pertanto, i soggetti privati diversi dalle scuole paritarie e non paritarie sopra richiamate, operanti nelle aree presenti negli assetti ordinamentali propri dell'istruzione (es. corsi monotematici di lingua straniera), possono attualmente, con la soppressione dell'istituto della presa d'atto, operare a prescindere da qualsiasi forma di vigilanza e di riconoscimento da parte del Ministero della Pubblica Istruzione.
In sostanza il legislatore, nel disciplinare organicamente lo svolgimento dell'attivita' didattica da parte
di organismi diversi dagli enti pubblici, in ossequio al principio di liberta' di insegnamento recato dall'articolo 33 della Costituzione, ha operato chiaramente la scelta di escludere dal riconoscimento e dalla vigilanza della Amministrazione Pubblica competente in materia di istruzione gli organismi privati diversi dalle scuole paritarie e non paritarie, disciplinate dalle citate leggi n. 62 del 2000 e n. 27 del 2006.
Con circolare prot. A00DGOS n. 602 del 18 gennaio 2008 lo stesso Ministero della Pubblica Istruzione ha evidenziato in proposito che la riforma attuata con la legge n. 27 del 2006, privando "l'Amministrazione scolastica della competenza ad emettere provvedimenti di "presa d'atto"relativamente alle scuole meramente private", ha escluso la possibilita' per detta Amministrazione di operare riconoscimenti formali e di esercitare qualsiasi forma di vigilanza sugli
organismi privati diversi dalle anzidette scuole paritarie e non paritarie, ancorche' gli stessi operino nelle materie ascrivibili alla competenza tecnica della medesima Amministrazione.
La scelta del legislatore di sottrarre alla vigilanza e al riconoscimento del Ministero della Pubblica Istruzione organismi privati che svolgono attivita' didattica e formativa diversi dalle scuole paritarie e
non paritarie ha effetti immediati sotto il profilo fiscale in quanto, come gia' rilevato, il riconoscimento costituisce il requisito essenziale richiesto dalla normativa comunitaria e nazionale quale discrimine per ricondurre le prestazioni di cui trattasi nell'ambito dell'esenzione dall'IVA o fra quelle imponibili. Da quanto sopra consegue che gli istituti in argomento (che, pur operanti nelle materie presenti negli ordinamenti scolastici, non svolgono corsi di studio completi e non presentano i requisiti richiesti nel paragrafo precedente per essere annoverati tra le scuole paritarie o non paritarie), con il venir meno
della "presa d'atto", per fruire dell'esenzione dall'IVA devono comunque ottenere un diverso "riconoscimento"utile agli effetti fiscali. La soppressione della presa d'atto non modifica, infatti, la natura sostanziale dell'attivita' svolta che, ove ritenuta rispondente ai requisiti didattico-educativi, puo' essere riconosciuta idonea al raggiungimento degli obiettivi formativi perseguiti.
A tal fine gli istituti interessati che svolgono prestazioni didattiche e formative nelle aree presenti negli assetti ordinamentali dell'Amministrazione scolastica (es. corsi monotematici di lingua straniera, ecc.) potranno ottenere una preventiva valutazione rilevante come "riconoscimento" utile ai fini fiscali anche
da altri soggetti pubblici diversi dal Ministero della Pubblica Istruzione. Detto riconoscimento potra' effettuarsi anche per atto concludente come precisato nel successivo paragrafo 5.
La preventiva valutazione potra' essere operata dalle stesse Direzioni Regionali dell'Agenzia delle Entrate competenti in ragione del domicilio fiscale, le cui determinazioni saranno in ogni caso ancorate al parere tecnico rilasciato dai competenti Uffici scolastici regionali del Ministero della Pubblica Istruzione in conformita' alla circolare diramata dal menzionato Ministero del 18 gennaio 2008, prot.
A00DGOS n. 602 (xxx.xxxxxxxx.xxxxxxxxxx.xx) ed esplicheranno effetti sempre che permangano le condizioni di fatto e di diritto in base alle quali e' stato reso l'anzidetto parere della competente Amministrazione della Pubblica Istruzione.
4. Organismi privati operanti nelle materie di competenza di soggetti pubblici diversi dall'Amministrazione della Pubblica Istruzione.
La riforma delle scuole ed istituti privati illustrata nei precedenti paragrafi relativa ai soggetti operanti nelle materie di competenza del Ministero della Pubblica Istruzione non incide sugli organismi privati
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Per questi organismi, pertanto, il riconoscimento utile ai fini fiscali continua ad essere effettuato dai soggetti pubblici competenti per materia (Regioni, Enti locali, ecc.), con le modalita' previste per le specifiche attivita' educative, didattiche e formative, ad esempio con l'iscrizione in appositi albi o attraverso l'istituto dell'accreditamento (cfr. in proposito la risoluzione n. 53/E del 15 marzo 2007 concernente le fattorie didattiche per le quali il requisito del riconoscimento viene soddisfatto con l'iscrizione nel relativo albo regionale e la risoluzione n. 308/E del 5 novembre 2007 relativa agli enti
che organizzano corsi di formazione per l'accesso alla professione di autotrasportatore riconosciuti attraverso l'autorizzazione rilasciata dal Ministero dei Trasporti).
5. Approvazione e finanziamento da parte di soggetti pubblici di progetti educativi, didattici e formativi. Riconoscimento per atto concludente.
Sono riconducibili nell'ambito applicativo del beneficio dell'esenzione dall'IVA di cui all' articolo 10, n.
20) del DPR n. 633 del 1972, le prestazioni educative, didattiche e formative approvate e finanziate da enti pubblici (Amministrazioni statali, Regioni, Enti locali, Universita', ecc.).
Nel finanziamento della gestione e dello svolgimento del progetto educativo e didattico e' insita, infatti, l'attivita' di controllo e di vigilanza da parte dell'ente pubblico avente ad oggetto i requisiti soggettivi e
la rispondenza dell'attivita' resa agli obiettivi formativi di interesse pubblico che l'ente e' preposto a tutelare.
Il finanziamento del progetto da parte dell'Ente pubblico costituisce in sostanza il riconoscimento per atto concludente della specifica attivita' didattica e formativa posta in essere. Tale riconoscimento e'
idoneo a soddisfare il requisito di cui all'articolo 10, n. 20) del DPR n. 633 del 1972 per fruire del regime di esenzione dall'IVA.
Si precisa che l'esenzione in questi casi e' limitata all'attivita' di natura educativa e didattica specificatamente approvata e finanziata dall'ente pubblico e non si riflette sulla complessiva attivita' svolta dall'ente.
6. Versamenti effettuati dagli enti pubblici per l'esecuzione di corsi di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione del personale dipendente. (articolo 14, comma 10, della legge n. 537
del 1993)
Nel caso in cui l'ente pubblico si avvale di un soggetto terzo per l'esecuzione di corsi destinati alla formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione del proprio personale dipendente, le somme corrisposte dal medesimo ente pubblico all'organizzatore del corso beneficiano dell'esenzione dall'IVA, ai sensi dall'articolo 14, comma 10della legge 24 dicembre 1993, n. 537.
Il citato articolo 14 della legge 537, al fine di limitare l'insorgenza degli oneri fiscali a carico degli enti pubblici che investono risorse nella formazione del personale dipendente, ha stabilito, infatti, che "i versamenti eseguiti dagli enti pubblici per l'esecuzione di corsi di formazione, aggiornamento, riqualificazione e riconversione del personale costituiscono in ogni caso corrispettivi di prestazioni di servizi esenti dall'imposta sul valore aggiunto ai sensi dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633".
7. Scuole ed istituzioni culturali straniere in Italia
Le scuole e le istituzioni culturali straniere in Italia continuano ad essere disciplinate dal decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297.
In particolare, il richiamato X.Xxx n. 297 del 1994 concernente il "Testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione, relative alle scuole di ogni ordine e grado" all'articolo 366stabilisce che "i cittadini e gli enti stranieri, che intendono istituire o gestire, nel territorio della Repubblica, scuole di qualunque ordine e grado, ed organismi culturali di qualunque tipo, quali accademie, corsi di lingue, istituti di cultura e d'arte, doposcuola, convitti, collegi, pensionati, corsi di conferenze e simili" devono essere muniti di una speciale autorizzazione, concessa in forza delle disposizioni recate dal decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 389, rubricato "Regolamento recante semplificazioni dei procedimenti di autorizzazione al funzionamento di scuole e
di istituzioni culturali straniere in Italia".
L'articolo 1 del richiamato DPR n. 389 del 1994 contiene disposizioni concernenti l'apertura e la gestione di scuole da parte di cittadini ed enti appartenenti a Paesi extra-comunitari o di cittadini ed
enti appartenenti alla Comunita' europea.
Il comma 1 del menzionato articolo 1 stabilisce che "i cittadini e gli enti appartenenti a Paesi extra comunitari, che intendono istituire o gestire, nel territorio italiano, scuole di qualunque ordine e grado ed organismi culturali di qualunque tipo (accademie, corsi di lingue, istituti di cultura e d'arte, doposcuola, convitti, collegi, corsi di conferenze e simili) devono essere autorizzati rispettivamente dal
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Il medesimo articolo 3 al comma 2 dispone, altresi', che le domande di autorizzazione si considerano accolte qualora non venga comunicato agli interessati un provvedimento di diniego entro centoventi giorni dalla presentazione della domanda.
L'articolo 1 del citato DPR n. 389 del 1994 al comma 2 dispone, inoltre, che "I cittadini e gli enti appartenenti alla Comunita' Europea, che intendono istituire o gestire, nel territorio italiano, scuole di qualunque ordine e grado ed organismi culturali di qualunque tipo, hanno l'obbligo di presentare rispettivamente al Ministero della Pubblica Istruzione, ovvero al Ministero per i Beni Culturali ed ambientali, una denuncia di inizio dell' attivita' attestante l'esistenza dei presupposti e dei requisiti di
legge. La denuncia di inizio dell'attivita' sostituisce l'atto di consenso dell'amministrazione competente. L'amministrazione verifica d'ufficio, entro e non oltre sessanta giorni dalla denuncia, l'esistenza dei presupposti richiesti dal presente regolamento, disponendo, se del caso, il divieto di prosecuzione dell'attivita'".
Riguardo alla disciplina sopra richiamata relativa alle scuole istituite o gestite da cittadini ed enti appartenenti a Paesi extra-comunitari o appartenenti alla Comunita' Europea, il Ministero della Pubblica Istruzione ha riesaminato l'indirizzo interpretativo da esso espresso in passato con nota n. 73 del 22 gennaio 2003, in base al quale e' stata emanata dall'Agenzia delle Entrate la risoluzione del 17 marzo 2003, n. 65/E.
Detta risoluzione ha precisato, recependo il precedente indirizzo del Ministero della Pubblica Istruzione, che la denuncia di inizio attivita' e la domanda di autorizzazione presentate, ai sensi del
DPR n. 389 del 1994, non assumono la valenza di procedure idonee a conferire alle scuole ed istituzioni culturali stranieri in Italia il requisito del riconoscimento previsto dal richiamato articolo 10, n.
20) del DPR n. 633.
Con nota prot. A00DG0S150 del 23 novembre 2007 il Ministero della Pubblica Istruzione ha ora evidenziato, ai fini della soluzione della problematica in esame, che l'Ordinanza del Ministero della Pubblica Istruzione del 13 gennaio 1999, n. 5, emanata in attuazione del citato DPRn. 389 del 1994, concernente "la disciplina del funzionamento di scuole e di istituzioni culturali straniere in Italia" all'articolo 6 prevede che "la vigilanza sulle istituzioni di cui alla presente ordinanza e' esercitata dal provveditore agli studi secondo le norme proprie della vigilanza sulle scuole private".
Lo stesso Ministero segnala, peraltro, che ai sensi della citata Ordinanza Ministeriale il procedimento per il funzionamento delle scuole ed istituzioni culturali straniere in Italia termina con un provvedimento (anche tacito), il quale e' idoneo a conferire alle scuole ed istituzioni in argomento il requisito del riconoscimento per l'applicazione dell'esenzione dall'IVA di cui al citato articolo 10, n. 20) del DPR n. 633.
Pertanto, alla luce dell'orientamento da ultimo espresso dal menzionato Ministero della Pubblica Istruzione deve ritenersi superata la citata risoluzione n. 65/E del 2003.
Le Direzioni Regionali vigileranno affinche' i principi enunciati nella presente circolare vengano applicati con uniformita'.
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Autorità Vigilanza Contratti Pubblici - Parere n. 26 del 26/02/2009
Oggetto: Istanza di parere per la soluzione delle controversie,ex art. 6, comma 7, lettera n) del Decreto Legislativo n. 163/06, presentata dal Centro Servizi Condivisi di Udine – servizio di trasporto infermi e pronto soccorso stradale nel quadro del sistema regionale per l’emergenza sanitaria 118; 2) Servizio di trasporti secondari programmati degli assistiti dell’Azienda ospedaliero – universitaria di Udine. Base d’asta: Euro 232.550,00 per appalto n. 1; Euro 356.000,00 per appalto n. 2. S.A.: Centro Servizi Condivisi di Udine.
Il Consiglio
Vista la relazione dellUfficio del precontenzioso
Considerato in fatto
In data 23 maggio 2008 è pervenuta istanza di parere da parte del Centro Servizi Condivisi di Udine, con cui viene richiesto di pronunciarsi in ordine alla possibilità per la Sogit di Udine e la Croce Verde Gradiscano di Gradisca di Isonzo, di partecipare alle due procedure di gara descritte in oggetto, in considerazione della loro natura giuridica di associazioni senza fini di lucro. In particolare la stazione appaltante richiede di sapere se la partecipazione dei due soggetti si ponga in violazione dell’art. 34
del D.Lgs. n. 163/2006, che sembra avere natura tassativa e, pertanto, sembrerebbe escludere la possibilità per le associazioni di volontariato di partecipare a gare di appalto.
Nel corso dell’istruttoria condotta da questa Autorità, ha inviato una memoria la Sogit di Udine la quale, ha richiamato una sentenza della Corte di Giustizia del 29 novembre 2007, nella causa C- 119/06, che si sarebbe espressa nel senso di considerare le entità come le organizzazioni sanitarie
che garantiscono la fornitura di servizi di trasporto di urgenza e di trasporto malati, “imprese”, ai sensi delle norme di concorrenza previste dal Trattato. Infatti, secondo la Corte, l’assenza di fini di lucro e la presenza di finalità di solidarietà sociale non sono elementi sufficienti per ritenere che le associazioni di volontariato non possano svolgere un’attività economica in concorrenza con altri operatori.
Ritenuto in diritto
Sulla problematica relativa alla possibilità per una associazione di volontariato di partecipare a procedure di gara, questa Autorità si è già espressa in precedenti occasioni (si vedano i pareri n. 29
del 31 gennaio 2008; n. 266 del 17 dicembre 2008), evidenziando come, in accordo al costante orientamento giurisprudenziale, sia da considerare illegittima la partecipazione a gare di appalti pubblici delle associazioni di volontariato, in quanto l’espletamento di una procedura di selezione del contraente, fondata sulla comparazione delle offerte con criteri concorrenziali di convenienza tecnica - economica, risulta essere inconciliabile con il riconoscimento alle associazioni di volontariato, ex art. 5 della L. n. 266/1991 (legge quadro sul volontariato), della possibilità di usufruire di proventi costituiti esclusivamente da rimborsi derivanti da convenzioni che prescindono dalle regole di concorrenza.
La sentenza della Corte di Giustizia citata dall’istante a sostegno della possibilità per le associazioni di volontariato, nella propria qualità di imprese che esercitano una attività economica, di prendere parte
a procedure di gara, in realtà è intervenuta a chiarire un aspetto differente. In particolare, infatti, l’oggetto del giudizio instaurato dalla Commissione europea dinnanzi alla Corte riguardava la possibilità di affidare direttamente le attività di trasporto in esame mediante un accordo quadro stipulato con la Croce Rossa Italiana senza esperire alcuna procedura ad evidenza pubblica. In altre parole, la questione era quella di stabilire se tale accordo quadro presentasse o meno le caratteristiche di un appalto pubblico, ai sensi della normativa comunitaria sui servizi, e cioè se esso fosse un contratto a titolo oneroso, stipulato in forma scritta, tra un prestatore di servizi e un’amministrazione aggiudicatrice.
Nell’affrontare tale questione la Corte ha constatato che l’assenza di fini di lucro e il perseguimento di fini di solidarietà sociale da parte di un’associazione, ancorché i suoi collaboratori agiscano a titolo volontario, non esclude che la stessa possa esercitare un’attività economica in concorrenza e costituisca impresa ai sensi delle disposizioni del Trattato, ed ha altresì ricordato che entità come le organizzazioni sanitarie che garantiscono la fornitura di servizi di trasporto d’urgenza e di trasporto malati devono essere qualificate imprese ai sensi delle norme di concorrenza previste dal citato Trattato.
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è soggetto dotato di personalità giuridica di diritto pubblico.
Sulla peculiare disciplina dettata dal legislatore nazionale in materia di associazioni di volontariato occorre osservare come l’art. 2, co. 1 e 2, della legge n. 266/1991 preveda che per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro, anche indiretto ed esclusivamente per
fini di solidarietà e, inoltre che: l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario; al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse. Il comma 3 dell’art. 2 cit. stabilisce, inoltre, l’incompatibilità della qualità di volontario con qualsiasi forma di rapporto di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte.
La caratteristica precipua dell’attività di volontariato consiste, dunque, nella sua gratuità, che comporta come corollario inevitabile l’impossibilità di retribuire la medesima, anche da parte del beneficiario. Risulta evidente, pertanto, che la stipulazione di un contratto a titolo oneroso, quale un appalto pubblico di servizi, si pone come incompatibile, rispetto a tale fondamentale aspetto del volontariato.
L’onerosità implica, dunque, che l’Amministrazione - per conseguire il vantaggio rappresentato dall’espletamento del servizio dedotto in appalto - corrisponda il correlativo prezzo, evidentemente comprensivo della retribuzione dei lavoratori impiegati per svolgerlo. Di conseguenza, sussiste una evidente incompatibilità tra l’espletamento di una gara finalizzata all’aggiudicazione di un pubblico servizio e la partecipazione, alla medesima, di associazioni di volontariato (in questo senso T.A.R. Campania, sez.I, 2/4/2007 n. 3021).
Inoltre la stessa legge n. 266/1991 all’art. 5 prevede che le organizzazioni di volontariato traggono le risorse economiche per il loro funzionamento e per lo svolgimento della propria attività da: a) contributi degli aderenti; b) contributi di privati; c) contributi dello Stato, di enti o di istituzioni pubbliche finalizzati esclusivamente al sostegno di specifiche e documentate attività o progetti; d) contributi di organismi internazionali; e) donazioni e lasciti testamentari; f) rimborsi derivanti da convenzioni; g) entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali. Pertanto, il dettato normativo ha escluso che le associazioni di volontariato possano, di regola, espletare attività commerciali, ammettendo solo quelle qualificabili come “marginali”. Con D.M. del 25 maggio 1995 sono stati individuati i criteri per stabilire quali attività sono da intendersi commerciali e produttive “marginali” svolte dalle organizzazioni di volontariato e tra le attività ivi elencate non figura la partecipazione a procedure di selezione
concorrenziale, anzi il citato D.M. precisa che tali attività devono essere svolte “senza l’impiego di mezzi organizzati professionalmente per fini di concorrenzialità sul mercato”.
In base a quanto sopra considerato
Il Consiglio
ritiene,nei limiti di cui in motivazione, che laSogit di Udine e la Croce Verde Gradiscano di Gradisca di Isonzo, non possono partecipare a procedure di gara per l’affidamento di appalti di servizi di trasporto infermi e pronto soccorso stradale, in considerazione della loro natura giuridica di associazioni di volontariato ai sensi della legge n.266/1991.
I Consiglieri Relatori: Xxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx IL Presidente f.f.: Xxxxx Xxxxxxx
Depositato presso la segreteria del Consiglio in data 05/03/2009
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Autorità Vigilanza Contratti Pubblici - Parere n. 119 del 22/10/2009
Oggetto: Istanza di parere per la soluzione delle controversie ex articolo 6, comma 7, lettera n) del D.Lgs. n. 163/2006 presentata dall'impresa Ecologica s.r.l. - Affidamento del servizio di implementazione del sistema di gestione ambientale del Comune di Gravina in Puglia - Importo a base d'asta: € 84.500,00 - S.A.: Comune di Gravina in Puglia (BA).
Il Consiglio Vista la relazione dell'Ufficio del Precontenzioso
Considerato in fatto
In data 18 luglio 2008 è pervenuta a questa Autorità l’istanza di parere indicata in epigrafe, con la quale l’impresa Ecologica s.r.l. ha esposto di aver partecipato alla procedura aperta indetta dal Comune di Gravina in Puglia per l’affidamento del servizio in oggetto e di aver ritenuto di segnalare
alla stazione appaltante la questione dell’ammissibilità della partecipazione alla gara stessa del concorrente RTI A.FO.RI.S (mandataria) – Ambiente Italia s.r.l.(mandante).
In particolare, atteso che il bando di gara al punto 6.2. - "Forma giuridica che dovrà assumere il Raggruppamento di Prestatori di Servizi" - specificava che alla procedura concorsuale "possono partecipare imprese singole o raggruppate e soggetti di cui all’art. 90, lett. d), e), f), g) h) del D.Lgs. n.
163/2006", si faceva notare che “l'RTI avente come mandatario l'impresa sociale A.FO.Rl.S non sembra rientrare tra i soggetti di cui alla lettera g) dell'art 90 del D.Lgs. 163/2006, ai quali si applicano
le disposizioni di cui all'art. 37 del Decreto in oggetto”, dato che l'impresa A.FO.RI.S. - Agenzia di Formazione e Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile - assumeva la forma giuridica di “impresa sociale", risultando - inequivocabilmente - soggetto senza scopo di lucro, come specificato dal D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155 (GU n. 97 del 27-4-2006) recante la disciplina dell'impresa sociale, a norma della legge
13 giugno 2005, n. 118.
A tali osservazioni, l’Amministrazione comunale aveva replicato, con nota in data 14 luglio 2008, osservando che “stante i concetti di impresa e di attività economica elaborati dalla costante giurisprudenza della U.E., peraltro richiamati nella sentenza della Corte di Giustizia del 18.06.1996 C- 35/96, nella nozione "di impresa" deve ritenersi compresa qualsiasi entità che eserciti “un'attività economica”, a prescindere dallo status giuridico della stessa e dalle eventuali modalità di finanziamento. Cosicché è economica qualsiasi attività organizzata consistente nell'offrire beni e servizi su un determinato mercato”.
In seguito, il Servizio è stato aggiudicato al RTI A.FO.RI.S - Ambiente Italia s.r.l., con determinazione dirigenziale dell’ottobre 2008.
A riscontro della richiesta di informazione avanzata dall’Autorità nell’istruttoria procedimentale anche il predetto raggruppamento aggiudicatario ha esposto - con nota pervenuta in data 23 gennaio 2009 - le proprie considerazioni, sostenendo la legittimità della scelta effettuata dalla stazione appaltante.
Ritenuto in diritto
La questione sottoposta a questa Autorità necessita di essere esaminata sotto due distinti profili: il primo, concernente l’interpretazione della clausola del bando che stabilisce i requisiti dei partecipanti
alla procedura per l’affidamento del servizio in oggetto; il secondo, di carattere più generale, riguardante la possibilità di concorrere alla gara per un RTI avente come mandataria un'impresa sociale.
Come esposto in fatto, il bando di gara adottato dal Comune di Gravina in Puglia - al punto 6.2 “Forma giuridica che dovrà assumere il raggruppamento di prestatori di servizi”- statuisce che “possono partecipare imprese singole o raggruppate e soggetti di cui all’art. 90, lett. d), e), f), g) h) del D.Lgs. n.
163/2006".
Tale disposizione, nel fare riferimento – in modo generico – ad “imprese singole o raggruppate” rinvia sostanzialmente all’ampia previsione normativa di cui all’art. 34 del D.Lgs. n. 163/2006 e consente di ritenere che i soggetti idonei a partecipare alla gara in questione sono di due tipologie: quelli previsti dall’art. 34 e quelli di cui all’art. 90, lett. d), e), f), g) h) del D.Lgs. n. 163/2006.
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dai soggetti di cui alle lettere a), b), c), i quali, prima della presentazione dell’offerta, abbiano conferito mandato collettivo speciale con rappresentanza ad uno di essi, qualificato mandatario, il quale esprime l’offerta in nome e per conto proprio e dei mandanti”.
Pertanto, la contestazione dell’istante, laddove rileva che “l'RTI (…) non sembra(va) rientrare tra i soggetti di cui alla lettera g) dell'art 90 del D.Lgs. 163/2006”, è inconferente. Infatti, se la stazione appaltante avesse voluto escludere dalla partecipazione alla procedura di gara di cui trattasi i soggetti di cui all’art. 34 del D.Lgs 163/2006, avrebbe dovuto utilizzare una formulazione lessicale che espressamente precludesse tale possibilità e non una formula ampia come quella di cui
al citato punto 6.2. del bando in esame.
Con riguardo alla seconda questione, occorre evidenziare preliminarmente che l'impresa A.FO.RI.S. - Agenzia di Formazione e Ricerca per lo Sviluppo Sostenibile- costituisce una “impresa sociale", regolarmente iscritta al Registro delle Imprese della C.C.I.A.A. di Foggia.
Secondo lo Statuto - adottato in data 17 aprile 2008 - l’impresa “esercita la sua attività, senza scopo di lucro, in via stabile e principale, nei settori individuati dall’art. 2, lett. d) (educazione, istruzione e formazione ai sensi della legge 28 marzo 2003, n. 53) ed e) (tutela dell’ambiente e dell’ecosistema ai sensi della legge 15 dicembre 2004, n. 308) e del D.Lgs. n. 155 del 24 marzo 2006”.
La recente disciplina dell’impresa sociale (D.Lgs. 24 marzo 2006, n. 155) consente - tra l’altro - che tali “operatori economici” possano esercitare attività di impresa nei settori sopra indicati. Infatti, come
è stato rilevato da recente giurisprudenza, “il decreto legislativo 24 marzo 2006, n. 155, recante
<<disciplina dell’impresa sociale, a norma della legge 13 giugno 2005, n. 118>>, ha dato pratica attuazione alla nozione di impresa sociale, riconoscendo alla stessa la legittimazione a esercitare in
via stabile e principale un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di
beni o servizi di utilità sociale, diretta a realizzare finalità di interesse generale e con particolari requisiti (indicati negli articoli 2, 3 e 4 del medesimo decreto legislativo)” (Cons. Stato, sez. V, 25 febbraio 2009, n. 1128).
In particolare, deve essere evidenziato che uno dei settori di utilità sociale, rispetto ai quali l’esercizio professionale dell’attività da parte dell’impresa sociale è pienamente ammesso, è costituito, giusta quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lettere e), f) e g) del citato D.Lgs. n. 155/2006, dalla gestione
in funzione di tutela dell’ambiente, dell’educazione e del turismo sociale e, nel caso di specie, l’oggetto della procedura per la quale è sorta la contestazione è costituito dall’affidamento del servizio di implementazione del sistema di gestione ambientale comunale.
Ne consegue che, in virtù della disciplina vigente, l’impresa sociale A.FO.RI.S., in qualità di mandataria del RTI A.FO.RI.S - Ambiente Italia s.r.l., a pieno titolo poteva partecipare a una gara concernente l’aggiudicazione di un servizio che rientrava tra quelli di utilità sociale previsti dall’articolo
2 del D.Lgs. n. 155/2006.
In base a quanto sopra considerato Il Consiglio
ritiene, nei limiti di cui in motivazione, che l'impresa sociale A.FO.RI.S., mandataria del RTI A.FO.RI.S
- Ambiente Italia s.r.l., può legittimamente partecipare alla gara indetta per l’espletamento di un servizio di utilità sociale di cui all’art. 2 del D.Lgs, n. 155/2006.
I Consiglieri Relatori: Xxxxxxxxxx Xxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxxx Il Presidente: Xxxxx Xxxxxxxxxxx
Depositato presso la segreteria del Consiglio in data 13 novembre 2009
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
Autorità Nazionale Anticorruzione
Linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali
Documento di consultazione Il terzo settore
Le ragioni dell’intervento
Il terzo settore rappresenta attualmente in Italia un’importante realtà sia sotto il profilo occupazionale sia sotto il profilo sociale per l’erogazione di servizi di interesse generale. Il panorama dei soggetti che operano in tale ambito è molto variegato, l’ISTAT, infatti, ha censito nel corso del 2011 oltre 300.000 organizzazioni no-profit, che ricorrono alle prestazioni di 4,7 milioni di volontari, 681 mila dipendenti, 271 mila lavoratori esterni e 5 mila lavoratori temporanei. L’89% delle istituzioni no-profit è costituita in forma di associazione (201 mila associazioni non riconosciute e 68 mila riconosciute, ossia dotate di personalità giuridica); le cooperative sociale sono circa 11 mila (il 3,7%), le fondazioni 6 mila (il 2,1%) e le altre forme giuridiche circa 14 mila (il 4,8%), rappresentate principalmente da enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, comitati, società di mutuo soccorso, istituzioni sanitarie o educative. Per quanto riguarda in particolare le cooperative sociali, alla data del censimento (31.12.2011), risultano attive circa il 60% del totale; pur rappresentando meno del 4% del totale delle istituzioni no-profit, le
cooperative assorbono circa il 38% dei lavoratori dipendenti e dei collaboratori esterni. Secondo la rilevazione Istat il 60,7% delle cooperative sociali è di tipo A, il 30,8% è di tipo B, mentre il 4,9% è costituito da cooperative miste e il 3,6% da consorzi.
La normativa di settore si presenta molto frastagliata e ciò rende difficile trattare in maniera unitaria l’intero settore. Al fine di riconoscere a tutti i soggetti del terzo settore una veste giuridica unitaria, il Governo ha presentato un disegno di legge recante le linee guida per una revisione organica della disciplina riguardante il terzo settore (d.d.l. n.1870 approvato alla Camera dei deputati il 9.4.2015). Più precisamente, tra gli obiettivi di tale provvedimento vi è innanzitutto quello di costruire un nuovo Welfare partecipativo, valorizzando le potenzialità di crescita e occupazione insite nell’economia sociale e nelle attività svolte dal terso settore; poi quello di premiare in modo sistematico con adeguati incentivi e strumenti di sostegno tutti i comportamenti donativi o comunque pro-sociali dei cittadini e delle imprese, finalizzati a generare coesione e responsabilità sociale.
Per raggiungere tali obiettivi il disegno di legge in esame prevede, tra l’altro, il conferimento della delega al Governo, per il riordino e la disciplina del terzo settore mediante la redazione di un codice
per la raccolta ed il coordinamento delle relative disposizioni, nel rispetto di specifici principi e criteri direttivi (art. 4), tra cui ‹‹valorizzare il ruolo degli enti nella fase di programmazione, a livello territoriale, relativa anche al sistema integrato di interventi e servizi socio-assistenziali nonché di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, paesaggistico e ambientale e individuare criteri e modalità per l’affidamento agli enti dei servizi d’interesse generale, improntati al rispetto di standard di qualità e impatto sociale del servizio, obiettività, trasparenza e semplificazione, nonché criteri e modalità per la valutazione dei risultati ottenuti››. Manca, tuttavia, nel disegno di legge in argomento il riferimento espresso alla necessità di coordinare l’emananda disciplina generale con la normativa dell’Unione Europea e quella nazionale dettata dal d.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (di seguito Codice) in materia di affidamento dei servizi pubblici.
Le presenti linee guida si prefiggono lo scopo di fornire indicazioni operative alle amministrazioni aggiudicatrici e agli operatori del settore al fine di addivenire ad aggiudicazioni rispettose della normativa di settore e della normativa nazionale e comunitaria in materia di affidamenti di contratti pubblici.
I servizi sociali e sanitari
La Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali n. 328/2000 prevede all’art. 1 che «La Repubblica assicura alle persone e alle famiglie un sistema integrato di
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di non autonomia, in coerenza con gli articoli 2, 3 e 38 della Costituzione. Inoltre, prevede che la programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato secondo i princìpi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali».
L’individuazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali è stata operata dall’art. 22 della medesima legge. In base al comma 1, il sistema si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate
nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona e al nucleo familiare con eventuali misure economiche, e la definizione di percorsi attivi volti ad ottimizzare l'efficacia delle risorse, impedire sovrapposizioni di competenze e settorializzazione delle risposte 4.
Le Regioni devono nelle loro leggi regionali garantire almeno l’erogazione delle seguenti prestazioni 5:
a) servizio sociale professionale e segretariato sociale per informazione e consulenza al singolo e ai nuclei familiari;
b) servizio di pronto intervento sociale per le situazioni di emergenza personali e familiari;
c) assistenza domiciliare;
d) strutture residenziali e semiresidenziali per soggetti con fragilità sociali;
e) centri di accoglienza residenziali o diurni a carattere comunitario.
La norma prevede, in attuazione dell’art. 118, ultimo comma della Costituzione e sulla base del principio di sussidiarietà, che gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle rispettive competenze, riconoscono e agevolano il ruolo degli organismi del terzo settore nell’organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali, specificando che «Alla gestione e all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici nonché, in qualità di soggetti attivi nella progettazione e nella realizzazione concertata degli interventi, organismi non lucrativi di utilità sociale,
3 Ai sensi dell’art. 128 del d.lgs. 112/1998 per "servizi sociali" si intendono tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, noncqhuéelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia.
4 I servizi erogabili, tenuto conto dei limiti relativi alle risorse disponibili sono, in base al comma 2:
a) misure di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora;
b) misure economiche per favorire la vita autonoma e la permanenza a domicilio di persone totalmente dipendenti o incapaci di compiere gli atti propri della vita quotidiana;
c) interventi di sostegno per i minori in situazioni di disagio tramite il sostegno al nucleo familiare di origine e l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare e per la promozione dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza;
d) misure per il sostegno delle responsabilità familiari, ai sensi dell'articolo 16, per favorire l'armonizzazione del tempo di lavoro e di cura familiare;
e) misure di sostegno alle donne in difficoltà per assicurare i benefìci disposti dal regio decreto-legge 8 maggio 1927, n. 798, convertito dalla legge 6 dicembre 1928, n. 2838, e dalla legge 10 dicembre 1925, n. 2277, e loro successive modificazioni, integrazioni e norme attuative;
f) interventi per la piena integrazione delle persone disabili ai sensi dell'articolo 14; realizzazione, per i soggetti di cui all'articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, dei centri socio-riabilitativi e delle comunità-alloggio di cui all'articolo 10 della citata legge n. 104 del 1992, e dei servizi di comunità e di accoglienza per quelli privi di sostegno familiare, nonché erogazione delleprestazioni di sostituzione temporanea delle famiglie;
g) interventi per le persone anziane e disabili per favorire la permanenza a domicilio, per l'inserimento presso famiglie, persone e strutture comunitarie di accoglienza di tipo familiare, nonché per l'accoglienza e la socializzazione presso strutture residenziali esemiresidenziali per coloro che, in ragione della elevata fragilità personale o di limitazione dell'autonomia, non siano assistibili a domicilio;
h) prestazioni integrate di tipo socio-educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol e farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e reinserimento sociale;
i) informazione e consulenza alle persone e alle famiglie per favorire la fruizione dei servizi e per promuovere iniziative di auto-aiuto.
5 Un importante contributo all’armonizzazione delle diverse normative regionali, almeno per quanto concerne le classificazioni adottate è rappresentato dal “Nomenclatore interregionale degli interventi e dei servizi sociali”, adottato dalla Conferenza delle Regioni e delle Province autonome il 29 ottobre 2009.
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
organismi della cooperazione, organizzazioni di volontariato, associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni, enti di patronato e altri soggetti privati».
La legge quadro 328/2000 prevede, inoltre, che le regioni, sulla base di un atto di indirizzo e coordinamento del Governo adottino specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra enti locali e terzo settore, con particolare riferimento ai sistemi di affidamento dei servizi alla persona. Il provvedimento in questione è stato adottato con il d.p.c.m. 30 marzo 2001 recante «Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona previsti dall’art. 5 della legge 8 novembre 2000 n. 328». Il decreto fornisce indirizzi per la regolazione dei rapporti tra Comuni e loro forme associative con i soggetti del terzo Settore6 ai fini dell'affidamento dei servizi alla persona, nonché per la valorizzazione del loro ruolo nella attività di programmazione e progettazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Il provvedimento stabilisce che le Regioni adottano specifici indirizzi per: promuovere il miglioramento della qualità dei servizi e degli interventi anche attraverso la definizione di specifici requisiti di qualità; favorire la pluralità di offerta dei servizi e delle prestazioni, nel rispetto dei principi di trasparenza e semplificazione amministrativa; favorire l'utilizzo di forme di aggiudicazione o negoziali che consentano la piena espressione della capacità progettuale
ed organizzativa dei soggetti del terzo settore; favorire forme di co-progettazione promosse dalle amministrazioni pubbliche interessate, che coinvolgano attivamente i soggetti del terzo settore per l'individuazione di progetti sperimentali ed innovativi al fine di affrontare specifiche problematiche sociali7; definire adeguati processi di consultazione con i soggetti del terzo settore e con i loro organismi rappresentativi riconosciuti come parte sociale.
Il d.p.c.m. prevede che i rapporti tra gli enti affidanti e i soggetti del terzo settore intervengano secondo il modello convenzionale per i rapporti con le associazioni di volontariato (art. 3) e per l’acquisto di servizi e prestazioni da parte dei soggetti del terzo settore (art. 5), o mediante contratti
per l’affidamento della gestione dei servizi sociali (art. 6). Il decreto regolamenta anche la procedura della cosiddetta co- progettazione, per interventi aventi carattere innovativo e sperimentale.
Le convenzioni con le associazioni di volontariato
L’art. 3 del d.p.c.m. 30 marzo 2001 prevede che le regioni e i comuni valorizzano l’apporto del volontariato8 nel sistema di interventi e servizi, ciò può esplicitarsi in due forme: come espressione organizzata di solidarietà sociale, autoaiuto e reciprocità; come strumento di collaborazione nell’attuazione di interventi complementari a servizi che richiedono un’organizzazione complessa e a ltre attività compatibili con la natura e le finalità del volontariato. A tal fine, è previsto che gli enti pubblici stabiliscano forme di collaborazione con le organizzazioni di volontariato avvalendosi dello strumento della convenzione di cui alla legge n. 266/1991 – Legge quadro sul volontariato. In particolare, l’art. 7 della legge 266/1991 stabilisce che lo Stato, le regioni, le province autonome, gli
enti locali e gli altri enti pubblici possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato iscritte da almeno sei mesi
nei registri di cui all’art. 6 e che dimostrino attitudine e capacità operativa . Con la precisazione che le convenzioni devono prevedere forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità nonché le modalità di rimborso delle spese.
A sua volta, l’art. 6 per l’individuazione dei requisiti necessari per l’iscrizione nel registro delle associazioni di volontariato, rimanda alle disposizioni contenute nell’art. 3, che prevedono, tra l’altro, la possibilità di assumere lavoratori dipendenti o avvalersi di prestazioni di lavoro autonomo esclusivamente nei limiti necessari al regolare funzionamento dell’organizzazione oppure occorrenti a qualificare o specializzare l'attività da esse svolta (comma 4) e che le organizzazioni svolgano le
6 L’art. 2 del decreto stabilisce che «ai fini del presente atto si considerano soggetti del terzo settore: le organizzazioni di volontariato, le associazioni e gli enti di promozione sociale, gli organismi della cooperazione, le cooperative sociali, le fondazioni, gli enti di patronato,altri soggetti privati non a scopo di lucro».
7 L’art. 11 della legge 328/2000 stabilisce al quarto comma che le regioni disciplinano le modalità per il rilascio da parte dei comuni ai soggetti di ci all’art. 1, comma 5, della legge su richiamata, delle autorizzazioni all’erogazione dei servizi sperimentali e innovativi per un periodo massimo di tre anni, in deroga ai requisiti di cui al comma 1 (autorizzazione rilasciata dai comuni ai servizi e alle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale gestite da soggetti pubblici o dai soggetti del terzo settore)
8 La legge quadro sul volontariato definisce l’attività di volontariato “quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l'organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà”; la stessa legge ha poi incluso nella definizione di organizzazione di volontariato, ogni organismo costituito per svolgere la predetta attività “che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali, volontarie e gratuite dei propri aderenti”.
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L’art. 5 della legge quadro in esame dispone, altresì, che le organizzazioni di volontariato traggono le risorse economiche da «rimborsi derivanti da convenzioni» e da «entrate derivanti da attività commerciali e produttive marginali».
Pertanto, il corrispettivo reso dalle istituzioni pubbliche che si avvalgono di associazioni di volontariato deve necessariamente limitarsi, nel caso di convenzioni, esclusivamente al rimborso delle spese effettivamente sostenute per la prestazione del servizio, che, solo nei casi eccezionali disciplinati dall’art. 3 della legge sul volontariato, possono comprendere la corresponsione di una retribuzione per l’attività lavorativa svolta. La giurisprudenza ha sostenuto che nel concetto di rimborso spese non possono ricadere forme di remunerazione preordinata o forfettaria (si veda per tutte la Sentenza della Corte di Giustizia UE del 29 novembre 2007, causa C‐119/06) e che il rimborso deve limitarsi esclusivamente ai costi effettivamente sostenuti per la prestazione del servizio.
Al riguardo la Corte di Giustizia, nella sentenza “Spezzino” - riconoscendo la natura di appalto dell’affidamento del servizio di trasporto sanitario, anche nel caso di mero rimborso spese, e la compatibilità della normativa nazionale in materia di volontariato con la normativa comunitaria in materia di appalti - ha sostenuto la necessità che, «nel loro intervento, le associazioni di volontariato non perseguano obiettivi diversi da quelli … [propri], che non traggano alcun profitto dalle loro prestazioni, a prescindere dal rimborso di costi variabili, fissi e durevoli nel tempo necessari per fornire
le medesime, e che non procurino alcun profitto ai loro membri. … L’attività delle associazioni di volontariato può essere svolta da lavoratori unicamente nei limiti necessari al loro regolare funzionamento. Relativamente al rimborso dei costi occorre vegliare a che nessuno scopo di lucro, nemmeno indiretto, possa essere perseguito sotto la copertura di un’attività di volontariato, e altresì a che il volontario possa farsi rimborsare soltanto le spese effettivamente sostenute per l’attività fornita,
nei limiti previamente stabiliti dalle associazioni stesse» (Sentenza della Corte di Giustizia UE del 11 dicembre 2014, causa n. 113/2013).
Nel caso delle convenzioni con le strutture di volontariato, la norma ha dunque introdotto una possibilità di deroga al principio della libera concorrenza prevedendo una riserva in favore delle organizzazioni di volontariato per l’erogazione di servizi alla persona. La disciplina esaminata non prevede il ricorso a procedure di selezione dei soggetti con cui stipulare le convenzioni, in considerazione della particolare natura dell’attività da affidare, che deve essere svolta per finalità di solidarietà sociale, autoaiuto e reciprocità oppure come forma di collaborazione nell’attuazione di interventi complementari a servizi che richiedono un’organizzazione complessa e altre attività compatibili con la natura e le finalità del volontariato.
L’acquisto di servizi e prestazioni dagli organismi no-profit
L’art. 5 del d.p.c.m. 30 marzo 2011 prevede che i Comuni, al fine di realizzare il sistema integrato di interventi e servizi sociali garantendone i livelli essenziali, possono acquistare servizi e interventi organizzati dai soggetti del terzo settore, comprese le associazioni di volontariato e le cooperative sociali.
La norma introduce la possibilità di prevedere una riserva in favore dei soggetti del terzo settore nel caso in cui il ricorso agli stessi si renda necessario per garantire i livelli essenziali dei servizi; livelli che non possono essere garantiti direttamente dall’amministrazione.
La norma, nell’individuare i criteri che le Regioni devono seguire nel disciplinare le modalità di acquisto dai soggetti del terzo settore, fa salvi alcuni principi a garanzia della trasparenza e pubblicità dell’azione amministrativa e della libera concorrenza. Le previsioni introdotte impongono, infatti, alle Regioni di definire le modalità per garantire un’adeguata pubblicità del presumibile fabbisogno di servizi in un determinato arco temporale (programmazione); le modalità per l’istituzione dell’elenco dei fornitori di servizi autorizzati o accreditati ai sensi dell’art. 11 della legge 328/2000 9, che si dichiarano disponibili ad offrire i servizi richiesti secondo tariffe e caratteristiche qualitative concordate; i criteri per l’«eventuale» selezione dei soggetti fornitori sulla base dell’offerta economicamente più vantaggiosa.
Inoltre, la norma impone che l’oggetto del servizio sia l’organizzazione complessiva del servizio e prevede che i Comuni stipulino convenzioni con i fornitori iscritti nell’elenco succitato, anche
9 L’art. 11 della legge 328/2000 stabilisce che i comuni autorizzino o accreditino i servizi e le strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale a gestione pubblica o da parte dei soggetti del terzo settore, sulla base dei requisiti e delle relative tariffe stabilite a livello regionale.
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
acquisendo la disponibilità all’erogazione di servizi e interventi a favore di cittadini in possesso di titoli per l’acquisto di servizi sociali dai soggetti accreditati.
La disposizione prevede, dunque, come eventuale e non obbligatoria la preselezione dei fornitori sulla base di una procedura basata sul criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa di cui all’art. 4 del d.p.c.m. Si ritiene che la preselezione dei soggetti da iscrivere nell’elenco dei fornitori dovrebbe
essere sempre effettuata, considerata la stessa quale modalità idonea a verificare quantomeno il possesso dei requisiti generali (esplicitati dall’art. 38 del Codice dei Contratti) e delle capacità tecnico- organizzative per gestire il servizio oggetto di autorizzazione o accreditamento. È peraltro evidente che a fronte della richiesta di più operatori l’amministrazione dovrebbe poter selezionare quelli che sono in grado di garantire il miglior rapporto tra qualità e costo.
Ai sensi dell’articolo 4 tra i criteri da utilizzare per la valutazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa si indicano:
a) le modalità adottate per il contenimento del turn over degli operatori;
b) gli strumenti di qualificazione organizzativa del lavoro;
c) la conoscenza degli specifici problemi sociali del territorio e delle risorse sociali della comunità;
d) il rispetto dei trattamenti economici previsti dalla contrattazione collettiva e delle norme in materia di previdenza e assistenza.
Si suggerisce, però, di considerare l’ultimo criterio, quello relativo al rispetto della normativa sul lavoro e dei diritti dei lavoratori, in linea con quanto previsto dal Codice dei Contratti, un requisito di partecipazione e non un criterio idoneo a valutare l’offerta complessiva dell’azienda del terzo settore.
Le sovvenzioni
Si evidenzia altresì che tra le modalità di acquisto dei servizi alla persona da soggetti del terzo settore
è prevista la possibilità di ricorrere a forme alternative di erogazione dei servizi in applicazione dei principi di sussidiarietà orizzontale ex art. 118 della Costituzione attraverso la concessione di sovvenzioni o contributi ad organismi che svolgono attività ritenute utili per la collettività. In tali ipotesi
le amministrazioni dovranno procedere in ossequio all’art. 12 della legge 7 agosto 1990 n. 241 a norma della quale la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi, ausili finanziari e l’attribuzione di vantaggi economici di qualsiasi genere a persone, enti pubblici e privati sono subordinate alla predeterminazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi. Inoltre, la norma dispone che l’attribuzione di vantaggi economici sia sottoposta a regole di trasparenza e imparzialità. Pertanto, anche la concessione di contributi, sovvenzioni o altri vantaggi economici ai soggetti del terzo settore dovrà essere preceduta da adeguate forme di pubblicità e avvenire in esito a procedure competitive.
L’affidamento della gestione dei servizi
Il d.p.c.m. 30 marzo 2001 prevede all’art. 6 che le Regioni adottano specifici indirizzi per regolamentare i rapporti tra Comuni e soggetti del terzo settore nell'affidamento dei servizi alla persona di cui alla legge n. 328 del 2000. Detti indirizzi devono tener conto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei servizi da parte della pubblica amministrazione, privilegiando, nel rispetto dei principi di pubblicità e trasparenza dell'azione della Pubblica Amministrazione e di libera concorrenza tra i privati nel rapportarsi ad essa, le procedure di aggiudicazione ristrette e negoziate, da attuarsi previa preselezione con i criteri di cui all’art. 4 e già esaminati in precedenza.
Infine, è previsto che i contratti di affidamento prevedano forme e modalità per la verifica degli adempimenti ivi compreso il mantenimento dei livelli qualitativi concordati e individuino i provvedimenti da adottare in caso di mancato rispetto.
Anche la norma in esame prevede una riserva in favore dei soggetti del terzo settore, ma impone che l’affidamento debba avvenire necessariamente previa preselezione, ai fini dell’indizione della procedura ristretta o negoziata, e con modalità che tengano conto delle norme nazionali e comunitarie che disciplinano le procedure di affidamento dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni. La
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I servizi in parola rientrano, infatti, nei «servizi sanitari e sociali» di cui all’allegato II B della direttiva 2004/18/CE (servizi esclusi dall’applicazione della Direttiva) ai quali risultano applicabili esclusivamente l'articolo 23 (specifiche tecniche) e l'articolo 35, paragrafo 4 (avvisi sui risultati della procedura di aggiudicazione). Ai servizi in argomento, rientranti tra i servizi elencati nell'allegato II B
del Codice dei Contratti, sono applicabili l'articolo 68 (specifiche tecniche), l'articolo 65 (avviso sui risultati della procedura di affidamento) e l'articolo 225 (avvisi relativi agli appalti aggiudicati). Inoltre,
l’art. 27 del Codice prevede che l'affidamento dei contratti pubblici aventi ad oggetto lavori, servizi forniture, esclusi, in tutto o in parte, dall'ambito di applicazione oggettiva del codice, avviene nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, trasparenza e proporzionalità e deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto. Si applica altresì l'articolo 2, commi 2, 3 e 4.
Pertanto, la possibilità della deroga in favore dei soggetti del terzo settore si giustifica soltanto nel rispetto dei limiti soggettivi e oggettivi previsti dalla norma (previsione in favore dei soggetti no-profit
per l’affidamento dei servizi alla persona). Nella determina a contrarre è opportuno indicare le ragioni per le quali si preferisce esternalizzare il servizio e che i servizi oggetto di esternalizzazione rientrano tra quelli per cui è prevista la deroga.
Inoltre, la scelta degli organismi no-profit da cui acquistare il servizio deve avvenire con le garanzie di imparzialità e parità di trattamento previste dall’art. 27 del Codice.
Per quanto concerne i servizi di cui all’Allegato IIB, l’Autorità ha avuto modo di pronunciarsi con il Comunicato del Presidente del 30 novembre 2007 in cui è stato chiarito che i servizi in esame sono menzionati, insieme ad altri, nella «Comunicazione interpretativa per l’aggiudicazione degli appalti non
o solo parzialmente disciplinati dalle direttive appalti pubblici” del 1° agosto 2006, n. C 179 e che, come registrato nella Comunicazione, «sebbene taluni contratti siano esclusi dalla sfera di applicazione delle direttive comunitarie nel settore degli appalti pubblici, le amministrazioni aggiudicatrici che li stipulano sono ciò nondimeno tenute a rispettare i principi del Trattato».
Inoltre, è stata indicata l’esigenza che gli affidamenti siano preceduti da «un adeguato livello di pubblicità che consenta l’apertura degli appalti dei servizi alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle procedure di aggiudicazione» con l’indicazione di alcune modalità per il rispetto
di tale regola.
La riconducibilità del servizio appaltato all’All. II B del Codice non esonera, quindi, le amministrazioni aggiudicatrici dall’applicazione dei principi generali in materia di affidamenti pubblici desumibili dalla normativa comunitaria e nazionale, con particolare riferimento al principio di pubblicità, espressione
dei principi di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa di cui all’art. 97 Cost. (cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 dicembre 2008, n. 5943; 22 aprile 2008, n. 1856; 8 ottobre 2007, n. 5217; 22
marzo 2007, n. 1369; TAR Lazio, Sez. III ter, 5 febbraio 2008, n. 951).
Nella deliberazione n. 102 del 5 novembre 2009 l’Autorità ha, inoltre, sottolineato che sebbene i servizi rientranti nell'allegato II B siano soggetti, a stretto rigore, solo alle norme richiamate dall'art. 20 del D.Lgs. 163/2006, oltre a quelle espressamente indicate negli atti di gara (in virtù del c.d. principio
di autovincolo), quando il valore dell'appalto è decisamente superiore alla soglia comunitaria è opportuna anche una pubblicazione a livello comunitario, in ossequio al principio di trasparenza (cui è correlato il principio di pubblicità), richiamato dall'art. 27 D.Lgs. 163/2006 a tenore del quale “l'affidamento deve essere preceduto da invito ad almeno cinque concorrenti, se compatibile con l'oggetto del contratto”. La codificazione dei principi richiamati conferma dunque la contrarietà per l’affidamento fiduciario.
La nuova direttiva 2014/24/UE introduce un regime “alleggerito” per l’aggiudicazione degli appalti inerenti i servizi sociali ed altri particolari servizi indicati nell’art. 74 e nell’allegato XIV.
Il nuovo regime previsto per l’aggiudicazione dei servizi sopra descritti è individuato dagli artt. 75 (Pubblicazione degli avvisi e dei bandi), 76 (Principi per l’aggiudicazione degli appalti) e 77 (Appalti riservati per determinati servizi) della Direttiva ed è applicabile agli appalti di importo superiore alla
soglia comunitaria, individuata in misura più elevata rispetto a quella prevista per gli altri servizi (euro 750.000,00). La ratio della previsione del regime alleggerito risiede nella constatazione della non significativa dimensione transfrontaliera di tali servizi che, generalmente, vengono prestati in ambiti territorialmente limitati in quanto connotati da particolari caratteristiche socio-culturali legate alla tradizione storica propria di ciascuna realtà.
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
L’elevazione della soglia comunitaria comporta, accanto alla possibile sottrazione di appalti di rilevante importo alla concorrenza comunitaria, anche l’opportunità per i legislatori nazionali di poter meglio considerare e valorizzare le specifiche esigenze sociali da soddisfare con l’affidamento del servizio.
In merito a tale aspetto, l’art. 76 della Direttiva chiarisce che gli Stati Membri, nell’introduzione di norme a livello nazionale per l’aggiudicazione degli appalti in argomento, devono assicurare il pieno rispetto dei principi di trasparenza e di parità di trattamento degli operatori economici da parte delle amministrazioni aggiudicatrici. Inoltre, pur essendo liberi di determinare le norme procedurali applicabili, gli stessi devono assicurare che le disposizioni introdotte consentano alle amministrazioni aggiudicatrici di prendere in considerazione le specificità dei servizi in questione e garantiscano la qualità, la continuità, l’accessibilità, anche economica, la disponibilità e la completezza dei servizi, le esigenze specifiche delle diverse categorie di utenti, compresi i gruppi svantaggiati e vulnerabili, il coinvolgimento e la responsabilizzazione degli utenti e l’innovazione. Infine, la norma stabilisce che gli Stati membri possono altresì prevedere che la scelta del prestatore di servizi avvenga sulla base dell’offerta che presenta il miglior rapporto qualità/prezzo, tenendo conto dei criteri di qualità e sostenibilità dei servizi sociali.
L’art. 77 della nuova direttiva prevede la facoltà, per gli Stati Membri, per le amministrazioni aggiudicatrici di introdurre una riserva di partecipazione, aggiuntiva rispetto a quella prevista dall’art.
20 in favore dei laboratori protetti, individuata con riferimento ad un preciso ambito oggettivo e soggettivo.
Sotto il profilo oggettivo, come precisato nel considerando n. 118, la direttiva limita l’applicazione della riserva alle procedure per l’aggiudicazione di taluni servizi sanitari, sociali e connessi, di taluni servizi
di istruzione e formazione, di biblioteche, archivi, musei e altri servizi culturali, di servizi sportivi e servizi domestici, meglio identificati con i codici CPV (vocabolario comune degli appalti pubblici).
Sotto il profilo soggettivo, è previsto che l’Organizzazione beneficiaria della riserva debba soddisfare tutte le seguenti condizioni:
a) il suo obiettivo è il perseguimento di una missione di servizio pubblico legata alla prestazione dei servizi di cui al paragrafo 1;
b) i profitti sono reinvestiti al fine di conseguire l’obiettivo dell’organizzazione. Se i profitti sono distribuiti o redistribuiti, ciò dovrebbe basarsi su considerazioni partecipative;
c) le strutture di gestione o proprietà dell’organizzazione che esegue l’appalto sono basate su principi di azionariato dei dipendenti o partecipativi, ovvero richiedono la partecipazione attiva di dipendenti, utenti o soggetti interessati;
d) l’amministrazione aggiudicatrice interessata non ha aggiudicato all’organizzazione un appalto per i servizi in questione a norma del presente articolo negli ultimi tre anni.
E’ prevista, inoltre, una durata massima del contratto «riservato», che non può superare i tre anni ed è specificato che l’avviso di indizione di gara deve far riferimento all’articolo in questione.
La norma è facoltativa, pertanto, ciascuno stato membro potrà valutare l’opportunità della relativa adozione. In attesa del recepimento, questa norma appare legittimare l’impostazione presente nella normativa italiana sul terzo settore, anche se rispetto alla stessa sembra più orientata a criteri di concorrenza e trasparenza, introducendo limiti temporali agli affidamenti e favorendo, quindi, la rotazione, attualmente non regolamentata nella disciplina nazionale.
Le procedure per l’acquisto e l’affidamento di servizi sociali agli enti no-profit
a) La programmazione
La legge 328/2000, all’art. 3, prevede come obbligatoria l’attività di programmazione per la realizzazione degli interventi e dei servizi sociali, in forma unitaria ed integrata, che deve essere effettuata adottando il metodo della programmazione degli interventi e delle risorse, dell'operatività per progetti, della verifica sistematica dei risultati in termini di qualità e di efficacia delle prestazioni, nonché della valutazione di impatto di genere. All’art. 1 della legge è previsto, inoltre, che «La programmazione e l'organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della presente legge, secondo i principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità ed unicità dell'amministrazione, autonomia organizzativa e regolamentare degli enti locali». È previsto, altresì, che la programmazione
sia svolta secondo i seguenti princìpi:
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b) concertazione e cooperazione tra i diversi livelli istituzionali, tra questi e i soggetti di cui all'articolo 1, comma 4, che partecipano con proprie risorse alla realizzazione della rete, le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale nonché le aziende
unità sanitarie locali per le prestazioni sociosanitarie ad elevata integrazione sanitaria comprese nei livelli essenziali del Servizio sanitario nazionale.
La programmazione, come più volte osservato dall’Autorità, rappresenta uno strumento fondamentale per garantire la trasparenza dell’azione amministrativa, la concorrenza nel mercato e, per tali vie, prevenire la corruzione e garantire il corretto funzionamento della macchina amministrativa. Inoltre, in assenza di una seria programmazione si rischia di dover procedere ad affidamenti, non programmati,
ma ritenuti necessari, adottando procedure di urgenza, poco rispettose delle regole previste dal Codice dei Contratti, tra cui quelle di trasparenza e parità di condizioni, e creando le basi per i debiti fuori bilancio.
Le amministrazioni devono procedere, con il coinvolgimento dei soggetti qualificati individuati dalla norma, ad una programmazione adeguata che consenta la corretta individuazione e quantificazione preventiva dei bisogni attesi e, quindi, degli interventi da offrire alla collettività nel periodo di riferimento. Per quanto concerne i fabbisogni di servizi sociali (che come tali possono variare nel
tempo e sono legati a cause non sempre controllabili dal decisore pubblico) si ritiene necessario partire dall’analisi statistica relativa all’andamento storico del fenomeno; il dato ricavato dovrà essere integrato con proiezioni sui possibili fabbisogni futuri (ad esempio, negli ultimi anni il dato sugli sbarchi degli immigrati avrebbe dovuto essere integrato con quello relativo alla previsione di possibile aumento degli ingressi), nonché con la valutazione degli effetti di possibili interventi di urgenza/emergenza.
L’Autorità nella Determinazione del 6 novembre 2013, n. 5, ha indicato quali debbano essere i requisiti minimi per una corretta programmazione e progettazione negli affidamenti di servizi e forniture; nel caso di specie queste indicazioni devono essere integrate con quelle previste nella legge n. 328/2000 che, come sottolineato, prevedono il coordinamento e la concertazione tra i diversi livelli istituzionali. Oltre a prevedere la possibile partecipazione degli enti del terzo settore all’attività di programmazione, la normativa assegna un ruolo di rilievo agli stessi anche in materia di progettazione. In particolare, l’art. 7 del d.p.c.m. 30 marzo 2001, prevede che «Al fine di affrontare specifiche problematiche sociali, valorizzando e coinvolgendo attivamente i soggetti del terzo settore, i comuni possono indire istruttorie
pubbliche per la co-progettazione di interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli obiettivi. Le regioni possono adottare indirizzi per definire le modalità di indizione e funzionamento delle istruttorie pubbliche nonché per la individuazione delle forme di sostegno».
Come altre disposizioni contenute nel d.p.c.m., questa norma potrebbe essere applicata anche da altre istituzioni che erogano servizi sociali, quali le aziende del sanitario nazionale.
A tal fine, in linea con esperienze già realizzate, si potrebbe prevedere un percorso in 4 fasi:
a) l’ente rende nota la volontà di procedere alla co-progettazione mediante un avviso di manifestazione di interesse. Nell’avviso sono indicati un progetto di massima e le modalità attraverso cui si procederà per l’individuazione del progetto o dei progetti definitivi;
b) nella seconda fase si procederà alla individuazione del soggetto o dei soggetti partner dell’ente.
Ciò deve avvenire mediante selezione nella quale sono valutati i seguenti aspetti: a) possesso dei requisiti di ordine generale (anche in questo caso, pur non trattandosi di una procedura riconducibile al Codice dei Contratti, sembra opportuno adottare i criteri previsti dall’art. 38 dello stesso), tecnici, professionali e sociali (tra cui l’esperienza maturata); b) caratteristiche della proposta progettuale; c) costi del progetto;
c) avvio dell’attività vera e propria di co-progettazione, apportando eventuali variazioni al progetto presentato per la selezione degli offerenti;
d) stipula della convenzione.
b) Requisiti di partecipazione
Con riferimento ai requisiti prescritti per l’ottenimento di convenzioni, si evidenzia l’opportunità che le amministrazioni aggiudicatrici acquistino o affidino servizi a soggetti che offrano, oltre ai sopra descritti requisiti specifici, anche garanzie di moralità professionale. A tale proposito potrebbero essere
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
utilizzati, come parametri di riferimento, i requisiti di moralità individuati dall’art. 38 del Codice dei Contratti. Infatti, pur non essendo applicabile l’art. 38 del Codice a taluni degli affidamenti sopra descritti e ai contratti dell’Allegato II B (in quanto non richiamato dall’art. 20, comma 1), costituisce
ormai ius receptum il principio secondo cui tutti i soggetti che a qualunque titolo concorrono all’esecuzione di appalti pubblici devono essere in possesso dei requisiti di cui all’art. 38 del Codice. Il possesso di inderogabili requisiti di moralità rappresenta un fondamentale principio di ordine pubblico
ed economico che trova applicazione anche nelle gare dirette all’affidamento della concessione di servizi (Consiglio di Stato, sez. VI, 21 maggio 2013, n. 2725; sez. VI, 27 giugno 2014 n. 3251) e nelle gare riguardanti appalti in tutto o in parte esclusi dall’applicazione del Codice rientranti nell’ambito di applicazione dell’art. 27 (Parere sulla normativa AG 10 del 11 luglio 2012, Parere sulla normativa AG
8 del 3 luglio 2013, Parere di precontenzioso n. 128 del 17 luglio 2013, Parere di precontenzioso n.14
del 29 luglio 2014).
Vi è, infatti, l’imprescindibile esigenza che il soggetto che contratta con la pubblica amministrazione – anche per acquisti non disciplinati dal Codice - sia affidabile e, quindi, in possesso dei requisiti di carattere generale tipizzati dall’art. 38.
Se dunque, nell’ambito delle richiamate procedure, la stazione appaltante può non esigere il medesimo rigore formale di cui all’art. 38 e gli stessi vincoli procedurali, essa ha comunque l’obbligo di verificare in concreto il possesso da parte dei concorrenti dei requisiti di moralità indicati nell’art. 38.
Alle procedure di affidamento dei servizi di cui all’Allegato II B non si applicano in via diretta neppure le disposizioni del Codice in tema di requisiti speciali di partecipazione e controllo del possesso degli stessi (art. 48), in quanto non richiamate dall’art. 20, comma 1.
Le stazioni appaltanti hanno comunque facoltà di richiedere, nel rispetto dei principi di ragionevolezza e proporzionalità, requisiti minimi di idoneità tecnica ed economica (anche diversi da quelli previsti dal Codice), al fine di garantire un determinato livello di affidabilità dell’aggiudicatario sul piano economico
- finanziario e tecnico – organizzativo; in tali ipotesi, tuttavia, non trova applicazione l’art. 48 e si procede alla verifica del possesso di detti requisiti in forza dell’art. 71 e con le modalità previste dall’art. 43 del d.P.R. n. 445/2000 (cfr. Consiglio di Stato, sez. III, 26 settembre 2013 n. 4785).
c) Apertura alla concorrenza
L’art. 5, comma 3, del d.p.c.m. 30 marzo 2001 impone che oggetto dell’acquisto o dell’affidamento sia l’organizzazione complessiva del servizio o della prestazione. Per affidamenti particolarmente complessi o che richiedono la presenza di strutture caratterizzate da vincoli stringenti (su dimensioni, posizionamento, ecc.) ciò può rappresentare una forte barriera alla partecipazione alla procedura di selezione.
È il caso, ad esempio, dei servizi di accoglienza ai rifugiati e agli immigrati, per i quali si sono recentemente registrate diverse criticità sia in fase di selezione, spesso effettuata in situazioni di emergenza, che di gestione successiva - quando è stata superata la fase emergenziale – caratterizzata da numerose proroghe senza indizione di una nuova procedura di gara. In un contesto caratterizzato, oltre che dalla eccezionalità della situazione, anche da carenze e inefficienze nella fase di progettazione e di previsione dei bisogni di accoglienza (dal livello nazionale fino a quello
comunale), spesso si è dovuto procedere all’individuazione, in tempi estremamente ridotti, di centri idonei. Poiché la norma richiede l’unicità dell’affidamento, sembra che possano partecipare alla selezione solamente soggetti (operanti nel terzo settore) dotati di strutture adeguate e in grado di fornire numerosi e complessi servizi10. Per l’adeguatezza della struttura deve essere valutato, tra l’altro, il relativo posizionamento, per il rispetto delle norme in materia di accoglienza e per tener conto anche dei ben noti problemi di ricettività del territorio, legati a questioni di sicurezza e di rifiuto da parte della popolazione residente. Ciò fa sì che nella fase di selezione, specie in situazione di emergenza, il numero di offerenti risulti inevitabilmente ridotto.
Successivamente, una volta superata l’emergenza, risulta estremamente difficile procedere ad un avvicendamento del gestore, il quale è titolare del centro di accoglienza. In altri termini, considerate le difficoltà a reperire una struttura idonea, una volta individuato un centro di accoglienza, risulta estremamente difficile procedere alla sostituzione dello stesso e quindi all’avvicendamento del gestore, che ne è titolare.
10 Nei bandi è spesso indicato che possono partecipare alla gara anche «le strutture alberghiere purché garantiscano – attraverso la stipula di apposite convenzioni con operatori del privato sociale (operatori che dovranno comunque essere obbligatoriamente indicati nella dichiarazione sostitutiva) di comprovata esperienza –
i servizi richiesti volti ad assicurare l’accompagnamento giuridico, sanitario esociale».
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che possano essere adattati alle esigenze dell’accoglienza. In questo caso il gestore non sarebbe il titolare della struttura e la selezione dei gestori può essere condotta considerando l’effettiva capacità
di garantire i servizi sociali previsti. Al termine del periodo di affidamento, qualora permangano le esigenze di accoglienza, si potrà procedere con una nuova gara per la scelta del nuovo gestore.
Anche l’unitarietà della prestazione di gestione, propriamente intesa, può determinare una significativa riduzione del numero degli offerenti. Ad esempio, nel caso degli Sprar – Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, è prevista un’accoglienza integrata, in cui, accanto al soddisfacimento di esigenze di base (vitto e alloggio), devono essere garantiti una serie di servizi minimi, rappresentati da11:
- mediazione linguistico-culturale;
- accoglienza materiale;
- orientamento e accesso ai servizi del territorio;
- formazione e riqualificazione professionale;
- orientamento e accompagnamento all’inserimento lavorativo;
- orientamento e accompagnamento all’inserimento abitativo;
- orientamento e accompagnamento all’inserimento sociale;
- tutela legale;
- tutela psico-socio-sanitaria;
- aggiornamento e gestione della Banca Dati.
Si tratta di servizi alquanto eterogenei che, per essere garantiti in modo efficiente, necessitano di gestori caratterizzati da un elevato livello di integrazione e ciò potrebbe rappresentare una barriera all’ingresso per gli operatori economici di piccola o media dimensione, o specializzati, attivi nel sociale. Peraltro, si dovrebbe valutare la compatibilità della normativa in materia di affidamenti sociali
con il favor riconosciuto dal legislatore nel Codice dei Contratti per l’accesso agli affidamenti da parte delle piccole e medie imprese. Si ricorda, al riguardo, che l’art. 2, comma 1-bis, prevede testualmente:
«Nel rispetto della disciplina comunitaria in materia di appalti pubblici, al fine di favorire l'accesso delle piccole e medie imprese, le stazioni appaltanti devono, ove possibile ed economicamente conveniente, suddividere gli appalti in lotti funzionali. Nella determina a contrarre le stazioni appaltanti indicano la motivazione circa la mancata suddivisione dell’appalto in lotti. I criteri di partecipazione alle gare devono essere tali da non escludere le piccole e medie imprese».
Un problema che spesso si pone negli affidamenti ad imprese attive nel sociale è quello legato al radicamento al territorio di dette imprese. In diversi casi si pone un contrasto tra l’obiettivo di favorire, attraverso la spesa pubblica, i soggetti presenti nel territorio dell’ente con il divieto espresso di discriminazione tra gli operatori economici. La giurisprudenza, comunitaria e nazionale, e gli orientamenti dell’Autorità hanno costantemente rilevato l’illegittimità delle limitazioni territoriali nelle procedure di aggiudicazione, anche in caso di affidamenti di valore inferiore alle soglie comunitarie,
perché in contrasto con il principio costituzionale di parità di trattamento di cui all’articolo 3 della Costituzione e con la normativa comunitaria in materia di appalti di servizi che impone alle amministrazioni aggiudicatrici parità di trattamento tra i relativi prestatori (si vedano, tra l’altro, le Deliberazioni n. 31/2012 e n. 95/2012, nonché, con specifico riferimento agli affidamenti di valore inferiore alle soglie comunitarie, il Comunicato del Presidente dell’Autorità del 20 ottobre 2010 “Bandi
di gara e limitazioni di carattere territoriale”).
In particolare, nel Comunicato del Presidente dell’Autorità del 20 ottobre 2010 è indicato che il divieto vale: «anche nel caso in cui le clausole in argomento trovino conferma in disposizioni normative regionali le quali, ove contemplanti previsioni discriminatorie nel senso indicato, devono ritenersi non conformi ai principi di uguaglianza e di libera circolazione delle persone e delle cose, costituendo, peraltro, una limitazione del diritto dei cittadini di esercitare in qualunque parte del territorio nazionale
la loro professione, impiego o lavoro (cfr. Corte Cost., sentenza 22 dicembre 2006 n. 440)». Peraltro, nel Comunicato è anche indicato che il divieto trova un limite connesso «alle reali esigenze di esecuzione del contratto».
11 Si veda, al riguardo, la circolare del Ministero dell’Interno del 17 dicembre 2014, n. 14906.
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
d) Controlli
Si ravvisa l’opportunità di richiamare le amministrazioni al rispetto delle previsioni normative in materia
di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità. Ciò oltre ad essere un preciso obbligo imposto dalla normativa, nazionale e comunitaria, in materia di appalti pubblici, assume una valenza peculiare nel caso dei servizi sociali per la particolare valenza delle prestazioni.
Xxxxx al riguardo rilevare che la normativa esaminata richiama in più occasioni l’obbligo di verificare la qualità dell’esecuzione del contratto. Infatti, come già ricordato l’art. 7 della l. 266/1991, prevede espressamente che «le convenzioni devono prevedere forme di verifica delle prestazioni e di controllo della loro qualità» Inoltre, in materia di affidamenti di servizi alle imprese del terzo settore, l’art. 6, comma 4, del d.p.c.m. 30 marzo 2001, prevede: «I contratti previsti dal presente articolo prevedono
forme e modalità per la verifica degli adempimenti oggetto del contratto ivi compreso il mantenimento dei livelli qualitativi concordati ed i provvedimenti da adottare in caso di mancato rispetto».
I controlli devono verificare innanzitutto il rispetto delle particolari condizioni di esecuzione, tra cui la presenza di determinate categorie di lavoratori, nonché le ulteriori limitazioni poste a carico delle imprese. Inoltre, al fine di verificare il raggiungimento degli obiettivi di carattere sociale e la qualità della relativa prestazione, laddove è possibile, si suggerisce di procedere anche alla somministrazione
di questionari di gradimento agli utenti.
e) Xxxxxxxx e rinnovi
Un ulteriore problematica emersa nella prassi è quella riferita alla possibilità di procedere a proroghe e rinnovi dei contratti per motivi di urgenza/emergenza e di continuità dei servizi.
Per quanto concerne la fattispecie della proroga, che ricorre in caso di spostamento in avanti del termine contrattuale alle medesime condizioni, la stessa è teorizzabile nei soli limitati ed eccezionali
casi in cui, per ragioni obiettivamente indipendenti dall’amministrazione, vi sia l’effettiva necessità di assicurare precariamente il servizio nelle more del reperimento di un nuovo contraente, e l’amministrazione, una volta scaduto il contratto, qualora abbia ancora la necessità di avvalersi dello stesso tipo di prestazioni, dovrà effettuare una nuova gara (cd. proroga tecnica, cfr. Deliberazione n.
14 del 14/10/2014). Lo spostamento in avanti del termine contrattuale deve essere causato da fattori del tutto limitati, che non coinvolgano la responsabilità dell’amministrazione aggiudicatrice, poiché ciò
comporta un affidamento del contratto in via diretta senza il rispetto delle procedure di evidenza pubblica (Deliberazione n. 1 del 29/01/2014).
Pertanto, la proroga di contratti in corso potrà intervenire esclusivamente in situazioni eccezionali di effettiva emergenza/urgenza assolutamente non prevedibili e, comunque, per il solo tempo necessario al reperimento di un nuovo contraente. Inoltre, la mancata previsione dell’urgenza o dell’emergenza non dovrà dipendere da carenze o errori dell’amministrazione nell’attività di programmazione.
Per quanto attiene alla possibilità di prevedere, nel bando di gara, l’ipotesi del rinnovo del contratto, si evidenzia che l’art. 57, comma 7, del Codice vieta espressamente il «rinnovo tacito» del contratto, sancendo la nullità del contratto rinnovato tacitamente.
Con riferimento, invece, al «rinnovo espresso» del contratto sia l’Autorità (con la Deliberazione n. 183 del 13.6.2007) che la giurisprudenza più recente (Cons. Stato, Sez. III, Sent., 5 luglio 2013, n. 3580) hanno riconosciuto l’ammissibilità del rinnovo espresso allorché la facoltà di rinnovo, alle medesime condizioni e per un tempo predeterminato e limitato, sia ab origine prevista negli atti di gara e venga esercitata in modo espresso e con adeguata motivazione.
In tali ipotesi, troverà applicazione l’art. 29 del Codice, che a proposito del calcolo del valore stimato degli appalti e dei servizi pubblici, prescrive che si tenga conto di qualsiasi forma di opzione o rinnovo del contratto.
In conclusione, in nessun caso carenze nella fase di programmazione possono giustificare la proroga dei contratti in essere, mentre per il rinnovo degli stessi è necessario che tale possibilità sia già stata prevista nel bando di gara e, quindi, nella fase di programmazione che, occorre ribadire, è una condizione essenziale, espressamente prevista dalla normativa, per la gestione dei servizi sociali.
Quanto poi alla giustificazione di eventuali proroghe o rinnovi basata sulla necessità di garantire la continuità del servizio si osserva che ciò è comune a molte fattispecie, ma la continuità del servizio è, di regola, indipendente dalla continuità del gestore. Nel caso dei servizi sociali, il particolare rapporto che si può creare tra addetto alla prestazione del servizio e il destinatario dello stesso può giustificare la necessità che venga garantito nel tempo il mantenimento in servizio di alcune tipologie di lavoratori
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Le cooperative sociali
Premessa
Pur appartenendo le cooperative sociali alla categoria delle imprese del terzo settore, esiste una normativa specifica per le cooperative di tipo B, che ne giustifica una trattazione separata.
Le cooperative sociali rientrano nella categoria più generale delle società cooperative di cui all’articolo 2511 c.c. ss., secondo cui queste ultime sono società a capitale variabile con scopo mutualistico, iscritte presso l’albo delle società cooperative di cui all’articolo 2512, secondo comma, e all’articolo
223 sexiesdecies delle disposizioni di attuazione del codice civile (2511 c.c.). Rispetto alla previgente formulazione di quest’ultima norma, il legislatore ha eliminato la differenza tra cooperative a responsabilità limitata e illimitata, sottolineando tuttavia, che le cooperative sono società con caratteri distintivi quali: lo scopo mutualistico e la variabilità del capitale sociale.
Il codice civile non precisa il significato dell’espressione “scopo mutualistico”; indicazioni al riguardo possono, tuttavia, essere tratte dal paragrafo 1024 della relazione ministeriale al codice civile, secondo la quale lo scopo mutualistico consiste «nel fornire beni o servizi o occasioni di lavoro direttamente ai membri dell’organizzazione a condizioni più vantaggiose di quelle che otterrebbero dal mercato». Quest’ultimo vale a distinguere le società cooperative dalle società di capitali, caratterizzate dal diverso scopo di lucro: la partecipazione ad una società cooperativa è, infatti, finalizzata ad ottenere beni, servizi o domanda di lavoro a condizioni migliori di quelle reperibili sul mercato e non
già ad ottenere una remunerazione del capitale investito attraverso la distribuzione degli utili 12.
In considerazione della loro natura societaria alle società cooperative si applica (art. 2519):
a) la normativa specifica prevista dal codice civile artt. 2511 ss;
b) in via residuale, per quanto non previsto dal Titolo VI, Libro V, c.c. la normativa generale dettata per le società per azioni, in quanto compatibile;
c) se previsto dall’atto costitutivo, in quanto compatibile, la normativa sulle società a responsabilità limitata nelle cooperative con un numero di soci cooperatori inferiore a venti ovvero con un attivo dello stata patrimoniale non superiore ad un milione di euro.
Le società cooperative devono iscriversi nel registro delle imprese per ottenere il riconoscimento della personalità giuridica e secondo la previsione dell’art. 2511 c.c. nell’apposito albo delle cooperative di cui agli artt. 2512, secondo comma, e 223 sexiesdecies, dis. att. c.c. istituito presso il Ministero delle attività produttive (oggi Ministero dello sviluppo economico) con D.M. 23 giugno 2004, successivamente modificato con D.M. 6 giugno 2013. Il Ministero cura la tenuta dell’albo per il tramite delle camere di commercio, a cui spetta la raccolta delle notizie, la pubblicità dei dati e la comunicazione alle cooperative del numero di iscrizione. Attualmente l’albo si compone di tre sezioni:
- nella prima sezione sono iscritte le società cooperative a mutualità prevalente di cui agli articoli 2512, 2513 e 2514 c.c.;
- nella seconda sezione sono iscritte le società cooperative diverse da quelle a mutualità prevalente;
12 Quanto alla variabilità del capitale sociale, è opportuno leggere la disposizione dell’art. 2511 c.c. insieme a quella dell’art. 2524 c.c., in virtù della quale: ‹‹il capitale sociale non è determinato in un ammontare prestabilito.
Nelle società cooperative l'ammissione di nuovi soci,nelle forme previste dall'articolo 2528 c.c. non importa modificazione dell'atto costitutivo. La società può deliberare aumenti di capitale con modificazione dell'atto costitutivo nelle forme previste dagli articoli 2438 c.c. e seguenti. L'esclusione o la limitazione del diritto di opzione può essere autorizzata dall'assemblea su proposta motivata degli amministratori››. Dal combinato disposto delle norme citate discende che l’ingresso e l’uscita dalla compagine societaria di nuovi soci non comportano modificazioni dell’atto costitutivo in quanto non sono necessarie contestuali variazioni del capitale sociale.
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
- nella terza sezione sono iscritte le società di mutuo soccorso 13.
L’iscrizione nel predetto albo, da un lato, ha una funzione anagrafico-statistica, in quanto serve a censire tutte le società cooperative, dall’altro costituisce il presupposto per ottenere la fruizione dei benefici fiscali connessi alla qualifica di “mutualità prevalente” ai sensi degli artt. 2512 c.c. e 223 duodecies dis. att. c.c. e le altre agevolazioni non fiscali previste dal legislatore.
Difatti, le società cooperative, sebbene iscritte nel registro delle imprese, non possono beneficiare di alcuna agevolazione e sono sottoposte ad azione di vigilanza per verificarne l’effettiva mutualità, nel caso in cui non presentino domanda di iscrizione all’albo. Si ricorda a tale proposito, che in considerazione delle peculiari agevolazioni di cui godono, il legislatore ha ritenuto necessario sottoporre le società cooperative a specifica attività di vigilanza e controllo sulla gestione (art. 2545 quaterdecies c.c.). La vigilanza si concretizza soprattutto in un’attività ispettiva, a cadenza annuale o biennale, a seconda delle caratteristiche e delle dimensioni degli enti cooperativi, svolta dal Ministero dello Sviluppo Economico; tuttavia, nei casi in cui le cooperative siano iscritte ad associazioni giuridicamente riconosciute, le ispezioni sono effettuate dalle associazioni stesse), e può dare origine ai provvedimenti di cui agli articoli 2545 sexiesdecies c.c. e ss..
Più precisamente l’art. 2545 sexiesdecies c.c. prevede il ricorso alla gestione commissariale in caso di irregolare funzionamento della società cooperativa, tale da comportare un impedimento all’effettiva persecuzione della funzione mutualistica. Il successivo art. 2545 septiesdecies cc. stabilisce che l’autorità di vigilanza, con provvedimento da pubblicare in Gazzetta Ufficiale ed iscrivere nel registro delle imprese, ha facoltà di sciogliere le società cooperative e gli enti mutualistici per motivazioni riconducibili ad anomalie di funzionamento della società cooperativa di tipo strutturale ed organizzativo che riguardano il mancato perseguimento dello scopo mutualistico, l’assenza di condizioni per il raggiungimento dello scopo, il mancato deposito del bilancio di esercizio per due anni consecutivi ed il mancato compimento degli atti di gestione.
Le cooperative sociali sono incluse ex lege nell’ambito della categoria più ristretta delle cooperative a mutualità prevalente, questa circostanza, da un lato, consente a tali società di godere di specifici benefici fiscali, e, dall’altro, impone a queste ultime di prevedere nei propri statuti ex art. 2514 c.c. i seguenti requisiti:
a) il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all'interesse massimo dei buoni postali fruttiferi, aumentato del 2,5 per cento;
b) il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore al 2 per cento del limite massimo previsto per i dividendi;
c) il divieto di distribuire le riserve fra i soci cooperatori;
d) l'obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell'intero patrimonio sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati, ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Gli affidamenti alle cooperative sociali
La legge 8 novembre 1991, n. 381, recante Disciplina delle cooperative sociali, ha istituzionalizzato il profilo della cooperazione nell’ambito del sociale, con lo scopo di perseguire l'interesse generale della comunità alla promozione umana e all'integrazione dei cittadini di cui all’art. 45 della Costituzione, attraverso la gestione di servizi socio sanitari o lo svolgimento di attività diverse – agricole, industriali, commerciali o di servizi - finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. La citata legge individua due distinte tipologie di cooperative:
- cooperative di tipo A, che svolgono servizi socio-sanitari ed educativi, volti ad arrecare beneficio a persone bisognose di intervento in ragione dell’età, della condizione familiare, personale o sociale;
13 A fronte di tale distinzione di ordine generale, la circolare del Ministero delle attività produttive del 6 dicembre 2004 ha previsto quale specificazione della prima sezione, ‹‹la creazione di una speciale sottosezione riservata alle cooperative che, come le cooperative sociali, vengono qualificate a mutualità prevalente direttamente dalla legge. Parimenti in una distinta sottosezione trovano collocazione le banche di credito cooperativo, considerate a mutualità prevalente se rispettano le norme delle leggi speciali (ex art. 223 -terdecies delle disposizioni di attuazione del codice civile), nonché le cooperative agricole e i loro consorzi ai quali viene riconosciuta la prevalenza se la quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci risulta superiore al cinquanta per cento della quantità o del valore totale dei prodotti (art. 111-septies, comma 1, delle disposizioni di attuazione del codice)›.
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Il Ministero del Lavoro aveva ritenuto che ciascuna cooperativa sociale potesse optare se essere di tipo A oppure di tipo B, ma non poteva contemporaneamente assumere le funzioni di entrambe (Direzione Generale della Cooperazione Divisione Circolare n.116/1992). Successivamente, lo stesso Ministero ha ammesso la possibilità che le cooperative sociali siano contemporaneamente di tipo A e
di tipo B (Direzione Generale della Cooperazione Divisione Circolare n. 153/1996), purché ricorrano le seguenti condizioni:
1. le tipologie di svantaggio e/o le aree di intervento esplicitamente indicate nell'oggetto sociale siano tali da postulare attività coordinate per l'efficace raggiungimento delle finalità attribuite alle cooperative sociali (art.1 l. 381/91);
2. il collegamento funzionale tra le attività di tipo A e B risulti chiaramente indicato nello statuto sociale;
3. l'organizzazione amministrativa delle cooperative consenta la netta separazione delle gestioni relative alle attività esercitate ai fini della corretta applicazione delle agevolazioni concesse dalla vigente normativa.
Il mutato orientamento viene spiegato dalla stessa circolare in considerazione del fatto che molte aree di bisogno e di svantaggio per la loro peculiarità comportano interventi funzionalmente collegati. Va, tuttavia, tento conto che, mentre le cooperative di tipo A sono in genere costituite da soci lavoratori in possesso di adeguata qualifica professionale in quanto operano sul mercato nell’ambito
dell’assistenza socio-sanitaria ovvero della formazione scolastica e professionale, le cooperative di tipo B non sono caratterizzate dal tipo di servizio svolto, ma dallo scopo prettamente occupazionale
che perseguono: queste ultime infatti mirano a consentire il reinserimento lavorativo di “soggetti svantaggiati”.
Con tale termine, secondo quanto disposto dall’art. 4 della legge 381/91, si intendono: ‹‹gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, gli ex degenti di istituti psichiatrici, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti, i minori in età lavorativa in situazioni di difficoltà familiare, i condannati ammessi alle misure alternative alla detenzione previste dagli articoli 47, 47- bis, 47-ter e 48 della legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificati dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663. Si considerano inoltre persone svantaggiate i soggetti indicati con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro del lavoro e della previdenza sociale, di concerto con il Ministro della sanità, con
il Ministro dell'interno e con il Ministro per gli affari sociali, sentita la commissione centrale per le cooperative istituita dall'articolo 18 del citato decreto legislativo del Xxxx xxxxxxxxxxx xxxxx Xxxxx 00 dicembre 1947, n. 1577, e successive modificazioni››.
Al fine di realizzare il reinserimento occupazionale di tali soggetti, la cooperativa in esame deve essere costituita per almeno il trenta per cento da persone svantaggiate. Tale percentuale dovrebbe essere calcolata in relazione al numero complessivo dei lavoratori soci ovvero semplici lavoratori dipendenti della società, escludendo in ogni caso i soci volontari.
Le cooperative di tipo A rientrano tra gli organismi del terzo settore e, pertanto, per gli affidamenti di servizi alla persona in favore delle stesse, valgono tutte le considerazioni già espresse per tali aziende nelle presenti linee guida.
Alle cooperative di tipo B, il legislatore riconosce, invece, un particolare favor, prevedendo che ‹‹gli
enti pubblici, compresi quelli economici, e le società di capitali a partecipazione pubblica, anche in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, possono stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), ovvero
con analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità Europea, per la fornitura di
beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi il cui importo stimato al netto dell'IVA sia inferiore agli importi stabiliti dalle direttive comunitarie in materia di appalti pubblici, purché tali convenzioni siano finalizzate a creare opportunità di lavoro per le persone svantaggiate di cui all'articolo 4, comma 1. Le convenzioni di cui al presente comma sono stipulate previo svolgimento di procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, di non
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
discriminazione e di efficienza›› (art. 5) 14. L’ultimo periodo è stato aggiunto dalla legge 23.12.2014 n. 19015.
Dal dato letterale della novella emerge chiaramente la necessità di ricorrere a “procedure di selezione idonee ad assicurare il rispetto dei principi di trasparenza, di non discriminazione e di efficienza”. Il legislatore non chiarisce, però, cosa intende con l’espressione “procedure idonee”, tuttavia, dato il riferimento alla materia degli appalti pubblici contenuta nell’articolo in esame, deve ritenersi che le procedure di selezione siano quelle indicate dal d.lgs. 163/2006 per l’affidamento dei contratti sotto
soglia comunitaria e, più precisamente, quelle di cui agli artt. 124 e 125.
Dalla nuova formulazione di tale norma discenderebbe che le convenzioni stipulate ai sensi dell’art. 5, comma 1, sono soggette alla disciplina del Codice e del Regolamento attuativo (D.P.R. n. 207/2010) sia per quanto attiene le procedure di scelta del contraente, riservata alle cooperative sociali di tipo B, sia per quanto riguarda i requisiti di partecipazione, le specifiche tecniche, l’esecuzione delle prestazioni affidate, gli obblighi di comunicazione nei confronti dell’Autorità.
Poiché il ricorso alle convenzioni costituisce, un indubbio favor per le cooperative sociali di tipo B si ritiene che in linea generale, la scelta dell’ente pubblico di avvalersi dello strumento negoziale, previsto dall’articolo 5, dovrebbe essere adeguatamente motivata nella determina a contrarre, di cui all’art. 11, comma 2 del Codice. Nella convenzione dovrebbero essere chiaramente indicati gli obiettivi che l’ente si propone di perseguire grazie alla deroga nella scelta del fornitore di beni o servizi, ciò anche al fine di permettere i successivi controlli.
Si osserva, infatti, che lo stesso legislatore pone come facoltativo il ricorso alla convenzione in esame, ben potendo, quindi, l’ente pubblico o la società di capitali a partecipazione pubblica soddisfare l’interesse pubblico al reinserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati attraverso le “ordinarie” procedure ad evidenza pubblica di cui al d.lgs. 163/2006. Ne consegue allora che la motivazione dovrebbe riguardare le ragioni di convenienza all’utilizzo del “modulo convenzionale” in relazione alle specifiche finalità di ordine pubblico che si intende raggiungere ed ai principi indicati dall’art. 2 del Codice. Dal momento che sono proprio queste ultime a giustificare la compressione della concorrenza, ne deriva che la scelta del predetto modulo impone che in fase di esecuzione del servizio o della fornitura affidati siano previsti appositi controlli onde verificare il raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Si ricorda, infine, che per gli affidamenti di importo superiore alle soglie, pur sussistendo l’interesse pubblico ad agevolare il reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati, le stazioni appaltanti non possono prevedere affidamenti preferenziali per le cooperative di tipo B, ma devono osservare le procedure ad evidenza pubblica indicate dal Codice, con la facoltà di inserire nei bandi criteri di selezione premianti concernenti l’impiego di lavoratori svantaggiati. Più precisamente, il comma 4 dell’articolo in esame prevede per la fornitura di beni o servizi diversi da quelli socio sanitari ed educativi, di valore pari o superiore alle soglie comunitarie, la possibilità di inserire nei bandi di gara e
nei capitolati d’oneri, fra le condizioni di esecuzione, quella di eseguire il contratto con impiego di persone svantaggiate e quella di adottare specifici programmi di recupero e di reinserimento lavorativo. A ciò si aggiunga che le direttive 17/2004/CE e 18/2004/CE hanno previsto la possibilità di integrare i criteri sociali nelle specifiche tecniche, nei criteri di selezione, nei criteri di aggiudicazione e
14 La previsione del primo comma, come è noto, è stata modificata dall’art. 20 della legge n. 52/96 a seguito dell’avvio, da parte della Commissione Europea, di un procedimento di infrazione a carico dell’Italia per violazione
dei principi comunitari concernenti la libera concorrenza ed il mercato. La disposizione originaria consentiva di stipulare convenzioni con le cooperative che svolgono le attività di cui all'articolo 1, comma 1, lettera b), per la fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari ed educativi, in deroga alla disciplina in materia di contratti della pubblica amministrazione, senza specificare ulteriori limitazioni. Tale circostanza, secondo la Commissione Europea, era lesiva del regime concorrenziale in quanto riservava in esclusiva ad un soggetto la possibilità di affidamento diretto di commesse e appalti. È stato quindi necessario intervenire sulla norma limitando la deroga, nel nuovo primo comma, al di sotto delle soglie Comunitarie. Parallelamente ed è stato ridefinito l’ambito soggettivo di applicazione della disposizione, estendendolo, da un lato, agli enti pubblici economici ed alle società di capitali a partecipazione pubblica e, dall’altro, specificando che parti delle convenzioni possono essere, oltre alle cooperative di tipo B, anche ‘analoghi organismi aventi sede negli altri Stati membri della Comunità Europea”. 15 Si ricorda che nel vigore della predetta normativa l’Autorità a seguito delle violazioni riscontrate (cfr. delibera n.
34/2011) aveva emanato la determinazione n. 3 del 1.8.2012, contenente “Linee guida per gli affidamenti a cooperative sociali ai sensi dell’art. 5, comma 1, della legge n. 381/1991”, oggetto di riesame con la presente determinazione. L’Autorità, nella delibera 34/2011 ha osservato come alcunlegislazioni regionali non fossero conformi con le previsioni della legge n. 381/1991 e, in generale, con i principi degli affidamenti dei contratti pubblici.
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sociali o ambientali), purché le stesse siano compatibili con il diritto comunitario e, tra l’altro, con i principi di parità di trattamento, non discriminazione, trasparenza, proporzionalità e siano precisate nel bando di gara, nella lettera di invito o nel capitolato d’oneri.
Applicazione dell’art. 5 l. 381/1991
La prassi applicativa dell’art. 5, l. 381/1991 ha mostrato sensibili divergenze rispetto al modello indicato dal legislatore per quanto riguarda: la mancata rotazione delle cooperative affidatarie; il non corretto calcolo del valore a base di gara e l’affidamento per servizi e forniture di importo superiore
alle soglie comunitarie; il ricorso al modello convenzionale anche per l’affidamento di servizi diversi da quelli strumentali dell’amministrazione; l’insufficienza delle verifiche successive all’affidamento e all’esecuzione del contratto; l’omissione degli obblighi informativi verso l’Autorità.
Si ritiene, pertanto, opportuno fornire indicazioni puntuali in merito agli affidamenti a cooperative sociali di tipo B, ulteriori rispetto a quelle già formulate nell’ambito della determinazione 3/2012, a cui si rinvia.
f) Soggetti beneficiari delle convenzioni ex art. 5, comma 1, l. 381/1991
Soggetti beneficiari delle convenzioni sono esclusivamente le cooperative sociali di tipo B (nonché le cooperative miste per la parte relativa all’attività finalizzata all’inserimento di persone svantaggiate), purché abbiano almeno il 30 per cento dei lavoratori (soci o non) costituito da persone svantaggiate ai sensi dell’art. 4 della stessa legge e i consorzi di cooperative sociali, purché costituiti almeno al 70%
da cooperative sociali, a condizione che le attività convenzionate siano svolte esclusivamente da cooperative sociali di inserimento lavorativo.
In base alle previsioni del comma 2 dell’art. 5 in esame e nel rispetto del principio di non discriminazione del Trattato UE, possono, inoltre, richiedere di convenzionarsi con gli enti pubblici italiani anche gli analoghi operatori aventi sede negli altri Stati membri della Comunità Europea, che siano in possesso di requisiti equivalenti a quelli richiesti per l'iscrizione all’albo e siano iscritti nelle
liste regionali di cui al comma 3 del medesimo articolo, con facoltà, in alternativa, di dare dimostrazione con idonea documentazione del possesso dei requisiti stessi ovvero il 30% di persone svantaggiate nella compagine lavorativa.
L’iscrizione all’albo regionale, effettuata sulla base di un insieme di elementi concernenti la capacità professionale ed economico finanziaria delle cooperative sociali, è condizione necessaria per la stipula delle convenzioni, come ribadito, tra l’altro, dall’Autorità con parere n. 40 del 2 aprile 2009 ed è necessario che la stessa perduri per tutta la durata dell’affidamento. La cancellazione dall’albo dovrebbe, infatti, essere prevista come causa di risoluzione della convenzione.
Va, peraltro, osservato che, laddove l’albo non sia stato istituito, le cooperative sociali devono, comunque, attestare il possesso dei requisiti previsti dagli articoli 1 e 4 della legge n. 381/1991.
g) L’attività oggetto di esenzione
La disciplina in esame, derogando ai principi generali di concorrenza tra operatori economici, ha valenza eccezionale e, pertanto, deve essere interpretata in maniera restrittiva. Ne consegue che non
è possibile fare rientrare nel suo campo di applicazione contratti diversi da quelli specificamente indicati dal legislatore (Cons. Stato, V, 11 maggio 2010, n. 2829): fornitura di beni e servizi diversi da quelli socio-sanitari. In considerazione di tale fondamentale principio il Consiglio di Stato ha, ad esempio, statuito che l'attività di gestione di una manifestazione fieristica su un campo sportivo
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
comunale – implicando la gestione di un bene pubblico e lo svolgimento di un’attività rivolta ai cittadini
e non all'amministrazione – non rientra nell'ambito di applicazione dell'art. 5 della legge n. 381 del 1991, con la conseguenza che la scelta del gestore deve avvenire nel rispetto delle procedure amministrative poste a tutela della concorrenza (cfr. Cons. Stato, sez. VI 29.4.2013 n. 2342). Per le medesime ragioni il Consiglio di Stato ha anche ritenuto illegittimo l'affidamento diretto del servizio di trasporto urbano e per le zone rurali nel territorio, operato da un comune in favore di una cooperativa sociale di tipo B sulla base di quanto disposto dalla legge n. 381/1991, laddove si riscontri che l'affidamento ha ad oggetto una concessione di servizio pubblico (Cons. Stato, sez. V, 16.4.2014 n.
1863).
h) La durata dell’affidamento
Nel caso di affidamenti a cooperative sociali di tipo B, l’oggetto dell’affidamento non può essere limitato alla mera acquisizione di beni o servizi strumentali, ma, secondo quanto previsto dall’art. 5
della legge n. 381/91, si deve tener conto anche della finalità sociale dello stesso, che ne giustifica la deroga.
Infatti, l’oggetto della convenzione è qualificato dal perseguimento dell’obiettivo del reinserimento lavorativo di soggetti svantaggiati.
Tuttavia, anche mediante la nuova formulazione dell’art. 5, il legislatore ha voluto chiarire la preminenza negli affidamenti pubblici dei principi comunitari in materia di libera concorrenza, parità di trattamento, non discriminazione, nonché di economicità ed efficienza dell’azione amministrativa, economicità che può essere subordinata a esigenze di carattere sociale, che tuttavia non possono giungere fino ad annullare i principi generali in materia di appalti.
Si pone, quindi, la necessità di contemperare la finalità del reinserimento lavorativo con il vincolo, tipico della normativa sugli appalti pubblici, che la durata delle convenzioni non superi un limite temporale ragionevole, avuto riguardo all’oggetto della convenzione medesima. Le amministrazioni, pertanto, devono definire adeguatamente la durata delle convenzioni, affinché non sia di fatto preclusa
ad altre cooperative la possibilità di presentare domanda di convenzionamento, nonché verificare che gli obiettivi stabiliti siano effettivamente perseguiti ed attuati.
Come già evidenziato per gli affidamenti a favore delle imprese del terzo settore, sono di regola preclusi gli istituti della proroga e del rinnovo tacito, anche se potenzialmente giustificabili da esigenze
di natura sociale. A differenza del caso esaminato in precedenza, per le cooperative sociali di tipo B il soggetto debole da tutelare è proprio il lavoratore svantaggiato, pertanto potranno essere valutate positivamente formule di salvaguardia (clausole sociali) presenti nel bando e dirette ai singoli lavoratori.
i) Il calcolo della soglia
Il ricorso al modulo convenzionale è ammissibile soltanto per la fornitura di beni e servizi il cui importo stimato al netto di iva sia inferiore alle soglie comunitarie. Il valore di tali affidamenti deve essere calcolato in conformità alla disposizione dell’art. 29 del Codice, includendo, quindi, il valore di eventuali rinnovi, che devono essere espressamente previsti già al momento in cui viene indetta la procedura di scelta del contraente.
Come già più volte richiamato dall’Autorità ed in linea con quanto previsto dal Codice dei Contratti all’art. 29, comma 4, «nessun progetto … di acquisto volto ad ottenere un certo quantitativo di forniture o di servizi può essere frazionato al fine di escluderlo dall’osservanza delle norme che troverebbero applicazione se il frazionamento non vi fosse stato». In altri termini, l’Autorità valuta con sospetto gli affidamenti effettuati da una stazione appaltante ad un medesimo soggetto per gli stessi servizi (o sostanzialmente equivalenti), di durata limitata, ma ripetuti nel tempo, che singolarmente non raggiungono le soglie di fatturato comunitarie, mentre le superano se considerati nel loro complesso. Anche il frazionamento orizzontale (unico servizio, suddiviso in più affidamenti a diversi soggetti), può rappresentare un indizio di elusione della normativa.
l) La procedura di affidamento
L’unica procedura che appare compatibile con gli affidamenti a cooperative sociali di tipo B è quella dell’offerta economicamente più vantaggiosa, in quanto la stazione appaltante deve poter valutare l’effettivo perseguimento dell’obiettivo di reinserimento dei lavoratori, essendo disponibile a sacrificare
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In linea più generale, nella determinazione n. 7/2011, è stato osservato che il criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa può consentire di attribuire rilievo ad elementi oggettivi, legati alla realizzazione di particolari obiettivi, di valenza non economica, purché siano collegati all’oggetto dell’appalto e consentano di effettuare una valutazione degli offerenti sulla base dei relativi criteri economici e qualitativi, considerati nell’insieme allo scopo di individuare le offerte che presentano il miglior rapporto qualità/prezzo. Con specifico riguardo all’utilizzo di criteri a valenza sociale per
l’affidamento di servizi e forniture, l’articolo 283, comma 2, del Regolamento stabilisce che, al fine della determinazione dei criteri di valutazione delle offerte, le stazioni appaltanti hanno la facoltà di concludere protocolli di intesa o protocolli di intenti con soggetti pubblici con competenze in materia di ambiente, salute, sicurezza, previdenza, ordine pubblico, nonché con le organizzazioni sindacali e imprenditoriali, al fine di attuare, nella loro concreta attività di committenza, il principio di cui all'articolo
2, comma 2 ed all’articolo 69 del Codice dei contratti.
m) Gli appalti riservati ai sensi dell’art. 52 d.lgs. n. 163/2006
Gli affidamenti in deroga alle cooperative di tipo B devono essere distinti dai cd. appalti riservati di cui all’art. 52 del Codice dei contratti. Come chiarito dall’Autorità nella determinazione n. 2 del 23 gennaio 2008, ai sensi del citato art. 52, le stazioni appaltanti hanno la facoltà di riservare la partecipazione, in relazione a singoli appalti, o in considerazione dell’oggetto di determinati appalti, a laboratori protetti, oppure riservarne l’esecuzione nel contesto di programmi di lavoro protetti, quando la maggioranza dei lavoratori interessati è composta di disabili. E’ stata, pertanto, introdotta una deroga alle condizioni normali di concorrenza in favore di soggetti giuridici e di programmi che promuovono l’integrazione o la reintegrazione dei disabili nel mercato del lavoro. Nella determinazione è stato affrontato il
problema dell’assenza di coordinamento tra l’articolo 52 e la legislazione nazionale vigente relativa alle cooperative sociali e alle imprese sociali, che è espressamente fatta salva dalla citata norma, e, in particolare, con la citata legge n. 381/1991.
L’Autorità ha ritenuto che la clausola di salvaguardia posta all’inizio dell’articolo 52 (“Fatte salve le norme vigenti sulle cooperative sociali e sulle imprese sociali”) stia ad indicare che le due discipline - quella dell’articolo 52 del Codice e quella della legge n. 381/1991– si muovono in ambiti distinti. Le cooperative sociali, infatti, diversamente da quanto richiesto per la figura del laboratorio protetto, svolgono attività finalizzate all’inserimento lavorativo di “persone svantaggiate” e non semplicemente “disabili” e devono possedere un organico costituito almeno per il 30% da persone disagiate e non già
la maggioranza di lavoratori disabili, come invece è richiesto per il laboratorio protetto. Pertanto, pur essendo entrambe le disposizioni (articolo 52 del Codice e legge n. 381/1991) finalizzate al perseguimento di fini sociali, dall’analisi della normativa emerge che le due figure – laboratorio protetto/programmi di lavoro protetti e cooperativa sociale – non coincidono.
Le disposizioni di cui all’art. 5 della legge n. 381 del 1991 e dell’art. 52 del D. Lgs. n. 163 del 2006, pur accomunate dalla identica natura eccezionale (e derogatoria rispetto alla disciplina comune) e dalla medesima finalità di protezione delle persone svantaggiate (in attuazione dei principi costituzionali di uguaglianza e solidarietà), hanno ambiti di applicazione e regolano fattispecie del tutto differenti e non sovrapponibili tra di loro (cfr. Cons. Stato, sez. V, 27.3.2015 n. 1620).
Quanto rilevato, tuttavia, non impedisce alle cooperative sociali di cui all’articolo 1, lettera b), della legge n. 381/1991 di essere riconosciute anche come laboratori protetti/programmi di lavoro protetti,
ma anzi, data l’autonomia normativa degli ambiti di applicazione, ne deriva che esse, come d’altronde ogni altro soggetto giuridico, secondo le indicazioni fornite dalla Determinazione dell’Autorità n.2/2008 possono accreditarsi quali laboratori protetti o operare nell’ambito di programmi di lavoro protetti ed avvalersi della riserva di cui all’articolo 52, a condizione che possiedano i requisiti a tal fine richiesti.
n) Verifiche in corso di esecuzione
Come già evidenziato, condizione che determina la possibilità di ricorrere agli affidamenti in deroga alla disciplina dei contratti pubblici è quella che la cooperativa di tipo B sia iscritta al registro regionale di cui all’art. 9 della legge n. 381/91, sul presupposto che sia accertato il rispetto di quanto previsto dall’art. 4, comma 2, della medesima legge. E’ necessario che nell’ambito della verifica di conformità
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ENTI DEL TERZO SETTORE E ALLE COOPERATIVE SOCIALI
in corso di esecuzione la stazione appaltante accerti la persistenza della predetta condizione ed - in caso di esito negativo – adotti le conseguenti determinazioni (es. risoluzione della convenzione e comunicazione all’albo ai fini della cancellazione). Inoltre, in considerazione del fatto che la deroga
alla regola dell’evidenza pubblica può giustificarsi solo in relazione all’obiettivo di generare opportunità di nuova occupazione per i soggetti svantaggiati, dovrà essere verificato in corso di esecuzione, ove
possibile e secondo le specifiche esigenze del caso, che la cooperativa impieghi per l’esecuzione dell’appalto un numero minimo di persone svantaggiate, pari almeno al 30% del personale che esegue le prestazioni previste in convenzione.
o) Gli obblighi di comunicazione all’Autorità
La limitazione della deroga nei termini sopra indicati fa si che gli affidamenti mediante modulo convenzionale siano soggetti agli obblighi di comunicazione all’Autorità, così come chiarito con Comunicato del Presidente del 27 luglio 2010, G.U. 31.7.2010., anche in relazione all’acquisizione del CIG. Le comunicazioni vanno effettuate secondo le soglie e le procedure vigenti per la generalità degli affidamenti.
Per quanto concerne gli obblighi di tracciabilità, l’Autorità ha già chiarito che questi valgono anche per le somme erogate a seguito di convenzioni, di cui all’art. 5 della legge n. 381/91, a cooperative sociali (si veda il paragrafo 4.6 della Determinazione n. 4 del 7 luglio 2011, Linee guida sulla tracciabilità dei flussi finanziari ai sensi dell’articolo 3 della legge 13 agosto 2010, n. 136).
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COPROGETTAZIONE E COGESTIONE INTERVENTI E SERVIZI PER INFANZIA E ADOLESCENZA
Comune di Roma
Capitolato d’oneri per selezione di soggetti del terzo settore per coprogettazione e cogestione interventi e servizi per infanzia e adolescenza
CAPITOLATO D’ONERI
SELEZIONE DI SOGGETTI DEL TERZO SETTORE PER LA COPROGETTAZIONE E LA SUCCESSIVA COGESTIONE DEL PROGETTO “VERSUS” INTERVENTI E SERVIZI PER INFANZIA E ADOLESCENZA (L.285/97) RIVOLTI AI BAMBINI ED ALLE BAMBINE, AI RAGAZZI ED ALLE RAGAZZE ADOLESCENTI ED AI GIOVANI DEL MUNICIPIO XIII DEL COMUNE DI ROMA.
Premessa:
L'art. 6, comma 2, lettera a) della legge 8 novembre 2000 n° 328 "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali" attribuisce, tra l'altro, ai comuni l'attività di programmazione, progettazione, realizzazione del sistema locale dei servizi sociali in rete, indicazione delle priorità e dei settori di innovazione attraverso la concertazione delle risorse umane e finanziarie locali, con il coinvolgimento dei soggetti di cui all'art. 1, comma 5. L'art. 7, comma 1, del Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 30/3/2001, "Atto di indirizzo e Coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona ai sensi dell'art. 5 della legge 8/11/2000 N° 328" prevede che, "al fine di affrontare specifiche problematiche sociali, valorizzando e coinvolgendo attivamente i soggetti
del terzo settore, i comuni possono indire istruttorie pubbliche per la coprogettazione di interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli obiettivi". Le linee programmatiche dell'Amministrazione del Municipio Roma XIII, relative alle azioni ed ai progetti da realizzare nel corso del mandato, approvate
nel “Piano Regolatore Sociale” 2008/2010, prevedono il riconoscimento e la promozione del privato sociale, sia nelle forme della cooperazione sociale che del volontariato, e l'apertura di una fase di progettazione sociale che impegni le realtà territoriali.
Nei tavoli di discussione e programmazione nel territorio è emersa una priorità relativa all’area infanzia ed adolescenza legata al finanziamento Legge 285/97:
Nell’ambito di una progettualità di più ampio respiro rivolta all’ infanzia e all’adolescenza, così come recita la legge 285 del 1997, la fascia adolescenziale sembra rappresentare un target privilegiato e tutt’ora nell’occhio del mirino di chi è attento alle problematiche giovanili ed ai nuovi e vecchi disagi psico-sociali di questa fragile popolazione.
Diventa pertanto prioritario strutturare nel territorio del Municipio un Piano integrato che permetta di coinvolgere in stretta sinergia tutte le realtà che operano nella predetta fascia.
Ad oggi la tipologia di interventi più diffusa nell’ambito dei progetti 285 risulta essere ancora il “centro di aggregazione” in quanto possibile spazio strutturato in grado di offrire opportunità di socializzazione e crescita nel tempo libero e di crescita delle relazioni significative tra adulti e ragazzi.
Il Centro di aggregazione può rappresentare ancora uno snodo e un fulcro di una strategia di prevenzione del disagio e della devianza ma può e deve essere anche l’ambito della prospettiva di tipo culturale senza particolari riferimenti alle tematiche del disagio.
In altri termini il centro è intravisto come spazio valido sia per sopperire a carenze dei ragazzi di tipo educativo e sociale , sia per promuovere nei ragazzi la possibilità d’espressione di nuovi linguaggi, stili, modelli culturali, in una dimensione di protagonismo ed autonomia.
Le tematiche legate alla complessità sociale e le conseguenze di questa sui processi di crescita dell’identità dell’adolescente, in collegamento ed interazione con i fenomeni del cambiamento socioeconomico moderno, si declinano nelle nuove generazioni in una serie di mancanze e fragilità
quali :
inconsapevolezza delle proprie origini storico-culturali
mancanza di riferimenti culturali validi in grado di contrastare i modelli di tipo consumistico globalizzato;
la debolezza delle famiglie che sempre più strette tra esigenze economiche e sociali, produce una forte distanza dagli adolescenti sia in termini emotivi che relazionali;
mancanza di legami significativi con il proprio territorio, percepito spesso come privo di specificità ( vedi le nuove urbanizzazioni ) ;
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l’isolamento e la solitudine, caratteristica di molti adolescenti.
Alla luce di quanto premesso risulta imprescindibile sviluppare nuovi percorsi di intervento e nuove modalità operative in stretta sinergia con le esperienze già acquisite.
Per le finalità proprie, il Municipio Roma XIII promuove la coprogettazione e la successiva cogestione da parte di organismi del privato sociale di Piano integrato per l’infanzia e l’adolescenza.
Art. 1 OGGETTO E FINALITÀ
Sulla base di queste premesse e alla luce delle esperienze attivate con i progetti 285 del precedente Piano, senza trascurare l’importanza del lavoro finora svolto a tutela e sostegno dell’infanzia e dell’adolescenza che ha visto nascere diversi Centri di aggregazione e di socializzazione, , il Municipio Roma XIII (in seguito denominato anche come Ente Gestore, Amministrazione Comunale, Amministrazione) propone una nuova progettualità che abbia come fulcro centrale l’attivazione di un
(1) Servizio di Educativa territoriale che copra tutto il territorio in sinergia con n.2 o 4 poli di aggregazione, socializzazione e sostegno per bambini, ragazzi e giovani adolescenti. I Poli dovranno essere ripensati come luoghi flessibili, a bassa soglia, aperti al territorio ed in rete con tutte le realtà esistenti che operano attualmente a tutela dei minori e a sostegno delle loro famiglie. Tali realtà vanno riconsiderate quali risorse preziose ai fini di un intervento capillare e specifico sia sul versante del disagio giovanile , sia su quello della promozione del benessere, attraverso attività o eventi nell’ambito
del gioco, arte, cultura, sport, musica.
Inoltre i poli di aggregazione dovranno essere in regola con la normativa della L.R. n.41/2003, ove necessario
L’Amministrazione promuove, a tal fine, un tavolo di coprogettazione sociale, secondo quanto disposto dall'art. 7 del DPCM 30/3/2001. “Al tavolo” parteciperanno i soggetti che verranno selezionati con il presente bando e il Municipio Roma XIII.
La Presidenza del “tavolo” di coprogettazione è dell'Ente Gestore che convocherà la prima riunione
del "tavolo"entro 10 giorni dall'aggiudicazione e fisserà il calendario delle riunioni, le modalità di convocazione e cogestione del tavolo, le modalità di monitoraggio dell'attività svolta in corso d'opera, ed individuerà il responsabile del procedimento, nonché, il segretario verbalizzante.
Il tempo assegnato per completare la suddetta coprogettazione è di massimo 20 giorni dalla data fissata nel calendario delle riunioni di cui al precedente capoverso, fatta salva diversa, motivata indicazione dell’Ente Gestore.
Il "tavolo" avrà inoltre funzioni di "gruppo di lavoro permanente" in corso d'opera, vuoi per monitorare e ricalibrare il progetto in essere, che per esaminare nuove richieste di progettazione.
In particolare:
L’EDUCATIVA TERRITORIALE
“L’Educativa Territoriale valorizza particolarmente la prospettiva educativa all’interno degli interventi di politica sociale e promuove il lavoro integrato tra le diverse figure professionali presenti nei servizi territoriali in ambito sociale e sanitario, anche attraverso la stesura di protocolli d’intesa e/o accordi di programma tra le diverse istituzioni.”
Proviamo a definire i contorni di un “contenitore”inteso come una serie di elementi da valutare e analizzare partendo dalla realtà socio-culturale ed economica del territorio che impatta direttamente o indirettamente con i ragazzi.
Un primo elemento rilevabile è dato dalla dimensione delle nuove urbanizzazioni, dallo scarso sviluppo sociale e culturale, dalla disgregazione delle relazioni e dalla mancanza di punti di riferimento importanti per i giovani, compresa la scarsa consapevolezza di sentirsi radicati in un territorio, ovvero, nel “ proprio territorio”.
Altro elemento importante sembra possa essere colto genericamente nella dimensione del disagio psico-sociale che accorpa in sé difficoltà socio-relazionali, interpersonali e intrafamiliari. A questo potremmo aggiungere l’enfatizzazione sull’importanza del “gruppo dei pari” inteso come ambito di sviluppo di una cultura della devianza e della marginalità ( consumo di sostanze stupefacenti, alcol in particolare, bullismo ).
Un terzo elemento riguarda invece il considerare la difficoltà di coinvolgere gli adolescenti nelle esperienze strutturate, siano essi i centri di aggregazioni o le associazioni sportive, culturali, educative, ecc.
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