DIRITTO. La ricorrente, coniuge del titolare (ora deceduto) di un contratto di finanziamento che in aggiunta prevedeva la possibilità del rilascio di una carta di credito ad uso rotativo, chiede che il Collegio voglia dichiarare la nullità del finanziamento stesso per mancanza di forma scritta ed altri elementi e, infine, effettuare un controllo sul tasso applicato e l'ammontare degli interessi complessivamente pagati. L’intermediario non ha sollevato questioni pregiudiziali, tuttavia occorre precisare che dalla documentazione agli atti non emergono profili di inammissibilità del ricorso per incompetenza ratione temporis dell’ABF. Difatti, la questione oggetto di lite attiene ad un nuovo finanziamento concesso in data 12.1.2009. Pertanto sussiste la competenza ratione temporis di questo Arbitro come modificata dal provvedimento di “Revisione” 12/12/2012, entrato in vigore il 1° gennaio 2012, che alla Sez. I^, § 4, IV comma, dispone: «non possono essere sottoposte all’ABF controversie relative a operazioni o comportamenti anteriori al 1° gennaio 2009». Passando al merito della controversia occorre rilevare come la stessa abbia ad oggetto le modalità di stipula (con specifico riferimento al requisito della forma scritta) idonee a garantire la validità di un contratto di finanziamento collegato ad un contratto c.d. multiconto. Tale particolare tipologia di contratto - più volte oggetto d’esame da parte dell’ABF – viene stipulato, in occasione della richiesta da parte del cliente di un finanziamento per l’acquisto di un bene o di un servizio, mediante un modulo prestampato che contiene, altresì, la facoltà di richiedere ulteriori finanziamenti ad uso rotativo. Al fine di pervenire ad una soluzione circa la controversia sottoposta all’esame di questo Collegio non può non verificarsi prioritariamente la validità del contratto di finanziamento collegato alla carta di credito revolving che nel caso di specie emerge essere stato stipulato verbalmente (a mezzo comunicazione avvenuta per via telefonica). IL XXXX.xx Sul tema è nota l’ampia ed articolata decisione del Collegio di coordinamento dell’ABF la quale nel risolvere il contrasto interpretativo insorto tra i diversi Collegi ha adottato in analoga vicenda la soluzione ermeneutica che conduce alla declaratoria di nullità del contratto di finanziamento in quanto privo della forma scritta, al tempo dei fatti richiesta dall’art. 117, commi 1 e 3, T.U.B. (Collegio di Coordinamento, decisione n. 3257 del 12.10.2012). Questo Co...
DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Fac...
DIRITTO. Si deve preliminarmente rilevare, ai fini della composizione del Collegio oltre che della normativa sostanziale applicabile ai rapporti di cui si verte, che la ricorrente deve qualificarsi come “consumatore”, e non come c.d. “professionista di riflesso”, pur avendo prestato fideiussione in favore di soggetto verosimilmente imprenditore (come è legittimo desumere dalla natura di parte del credito nei suoi confronti vantato dall’intermediario, segnatamente quello avente ad oggetto i titoli tornati insoluti) dovendosi ritenere, in difetto di prova contraria, che la detta garanzia sia stata rilasciata esclusivamente in ragione del vincolo coniugale con il debitore principale, come deciso con pronuncia resa da questo Collegio in analoga vertenza, alla cui motivazione sul punto si rinvia anche ai sensi dell’art. 118, Disp. att. c.p.c.. (v. ABF dec. 4109/13 del 26/07/2013). Ciò posto, deve preliminarmente dichiarasi irricevibile la domanda risarcitoria riferita alla risoluzione del contratto di mutuo del quale la ricorrente non è parte, stante il conseguente difetto di legittimazione ad agire. Venendo al merito della controversia, come sopra rilevato, la ricorrente censura la compensazione operata dall’intermediario tra l’importo di € 14.392,03, costituente il saldo del suo conto corrente, e parte dell’esposizione maturata dal coniuge nei confronti dello stesso intermediario, da lei garantita sino a concorrenza di € 195.000,00 con fideiussione rilasciata il 25/01/01, da ultimo rinnovata in data 30/09/10 (v. all. 1 di parte resistente). Al riguardo è bene precisare che le condizioni generali che disciplinano il rapporto di conto corrente di cui si tratta - nel riprodurre in modo pressoché pedissequo l’art. 11 della Circolare ABI LG/000906 del 25/02/05 a sua volta estensivamente modellato sulla scorta dell’art. 1853 cod. civ. – alla clausola 5, III° e IV° co., dispongono: “Quando esistono tra l’Azienda di credito ed il correntista più rapporti o più conti di qualsiasi genere o natura, anche di deposito, ancorchè intrattenuti presso altre Dipendenze italiane o estere, ha luogo in ogni caso la compensazione di legge ad ogni suo effetto. L’Azienda di credito ha altresì il diritto di valersi della compensazione ancorchè i crediti, seppure in monete differenti, non siano liquidi ed esigibili e ciò in qualunque momento senza obbligo di preavviso e/o formalità, fermo restando che dell’intervenuta compensazione – contro cui non potrà in ogni caso eccepirsi la convenzione d...
DIRITTO. Il diritto del cliente ad ottenere copia della documentazione relativa alla documentazione bancaria è regolato da norme di legge e dalle disposizioni di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia. L’art. 119, 4° comma, del Testo unico bancario (D.lgs. n. 385/1993) dispone al riguardo che: «Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione». A loro volta, le Disposizioni di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e Finanziari del 29.7.2009, emanate dalla Banca d’Italia, stabiliscono (Sez. IV, par. 4 – Richiesta di documentazione su singole operazioni) che: «Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni dalla richiesta, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Gli intermediari indicano al cliente, al momento della richiesta, il presumibile importo delle relative spese». Dal dato testuale delle norme richiamate risulta chiaramente che la legittimazione a chiedere copia della documentazione relativa ai rapporti bancari spetta al « cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni». In alcuni precedenti l’ABF ha attribuito la legittimazione attiva alla proposizione dell’istanza ex art. 119, co. 4 T.U.B. al socio di società di persone (Collegio Roma, decisione n. 3793/12, richiamata dal ricorrente) nonché al garante (Collegio Roma, decisione 2306/14; nonché, ma con orientamento più restrittivo, Collegio Napoli, decisione 1447/2010), ritenendo tali soggetti potenziali destinatari di effetti sostanziali conseguenti al rapporto bancario intestato alla società di persone ovvero al debitore principale. Il ricorrente argomenta che tali orientamenti dovrebbero valere anche a suo favore in considerazione, da un lato, dell’affinità esistente tra le società a responsabilità limitata e le società di persone, e dall’altro lato dell’accordo di postergazione volontaria del 24.3.2009. Entrambi i motivi sono evidentemente infondati. L’art. 2331 c.c.,...
DIRITTO. Il ricorso merita di essere accolto nei limiti appresso indicati. Quanto alla nota dell’11.12.2009 prot. 24796, con cui l’Ufficio Scolastico Regionale del Lazio ha trasmesso all’Ufficio scolastico provinciale di Roma l’esposto presentato dal ricorrente contro la delibera del Consiglio d’Istituto della S.M.S. ……………………. per l’istituzione della settimana corta, non vi è ragione per non riconoscerne l’ostensibilità al ricorrente. Anche la nota, datata 11.1.10, e recante numero di protocollo 24796/A, con cui l’Ufficio scolastico provinciale di Roma chiedeva al Dirigente scolastico della S.M.S. una relazione approfondita sui fatti oggetto del gravame proposto dal ricorrente è pienamente accessibile. A diversa conclusione si deve pervenire con riferimento alla relazione trasmessa dal predetto Ufficio scolastico provinciale, trasmessa in data 4.2.2010 (prot. 505), al fine di soddisfare la richiesta di invio delle necessarie controdeduzioni difensive a seguito della proposizione del ricorso giurisdizionale al T.A.R. del Lazio menzionato nella nota del 24.2.2010 inviata dal Dirigente dell’U.S.P. di Roma all’odierno ricorrente. Si tratta di una relazione che, contenendo elementi necessari per la difesa in giudizio dell’Amministrazione, è destinata ad essere trasfusa in una nota qualificabile come corrispondenza inerente ad una lite in atto tra il ricorrente e l’Amministrazione. Qualora fosse consentito l’accesso alla relazione in questione verrebbe elusa la norma contenuta nell’art. 2, comma 1, lettera c) del d.P.C.M. n. 200 del 1996 – contenente il regolamento recante norme per la disciplina di categorie di documenti formati o comunque rientranti nell’ambito delle attribuzioni dell’Avvocatura dello Stato sottratti al diritto di accesso – che esclude l’ostensibilità della corrispondenza inerente ad una lite in atto che coinvolga l’Amministrazione. Ne deriva la legittimità del rigetto dell’istanza di accesso in relazione alla nota prot. 505 del 4.2.2010 La Commissione accoglie il ricorso in parte qua ed invita l’Amministrazione a riesaminare l’istanza di accesso nei sensi di cui in motivazione.
DIRITTO. Con riferimento alle problematiche sollevate dal RPC del comune di Arezzo circa la sussistenza dell’incompatibilità dell’incarico dirigenziale in esame, ai sensi dell’art. 12, co. 4 lett. b) del d.lgs. n. 39/2013, si evidenzia che l’Autorità si è già pronunciata in merito, e più precisamente, quanto al precedente punto a) con la delibera n. 1001 del 21 settembre 2016, mentre sul punto b) si richiama la delibera n. 1184 del 09 novembre 2016 ed, infine, rispetto al punto c) restano ferme le indicazioni fornite da questa Autorità con gli orientamenti n. 10 del 15 maggio 2014 e n. 52 del 3 luglio 2014. In merito “all’esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione” è stato evidenziato nella citata delibera n.1001/2016 di quest’Autorità che «tutti gli incarichi dirigenziali interni ed esterni mediante i quali sia conferita la responsabilità di un servizio/ufficio, sono soggetti alla disciplina del d.lgs. n. 39/2013. Infatti, il riferimento all’“esercizio in via esclusiva delle competenze di amministrazione e gestione” di cui all’art. 1 comma 2 lett. j) e k) del d.lgs. n. 39/2013, ha la sola funzione di meglio descrivere la posizione del titolare dell’incarico, evidenziandone le differenze rispetto a quella di coloro ai quali sono stati attribuiti incarichi amministrativi di vertice». Quanto alla società in seno alla quale è stato conferito l’incarico in questione, deve ritenersi che essa rientri nella definizione di enti di diritto privato in controllo pubblico, di cui all’art. 1 comma 2 lett.
DIRITTO. I ) Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente deduce la falsa applicazione dell’art. 2265 c.c in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., sostenendo, sul ritenuto patto leonino, che l’intera motivazione svolta dalla Corte del merito era basata su assiomi, non essendo stato riguardato il complesso dei patti, né sotto il profilo soggettivo, né sotto quello oggettivo. Sostiene la ricorrente che se la Corte del merito avesse valutato il complesso delle clausole delle pattuizioni in esame, anziché limitarsi ad isolare le sole ipotesi conseguenti all’inadempimento, avrebbe rilevato che la Friulia era entrata nella compagine sociale come “socio d’impulso”; la Friulia, cioè, non era entrata nella s.p.a. Laminatoio di Buttrio per finanziarla con l’acquisto di azioni, ma per assisterla dal di dentro con le proprie capacità (non esclusivamente, ma anche finanziarie) e concorrere a risollevarne la condizione economica di impresa, unitamente agli altri soci. In questa prospettiva, che è coerente con la finalità della finanziaria regionale secondo la legge regionale di previsione, le clausole esaminate dalla Corte non avrebbero costituito patto leonino, ma clausola “penale” a favore di una parte in caso di inadempimento e clausola “premiale” per l’altra parte in caso di adempimento. In questa prospettiva né l’una né l’altra clausola costituirebbero patto leonino. Non la prima perché non si esclude la sopportazione di perdite da parte della Friulia, in caso di gestione negativa per cause diverse dall’inadempimento. Non la seconda che conferma il diritto della Friulia, finché socia, alla percezione degli utili, la cui detrazione opera soltanto in funzione della determinazione del prezzo della eventuale cessione delle azioni ai soli soci Galotto.
DIRITTO. Il Collegio ritiene il ricorso non meritevole di accoglimento. Deve premettersi che non può ragionarsi in merito ad una possibile applicazione dell’art. 56 cod. cons. - disposizione richiamata dall’intermediario per corroborare la sua tesi difensiva. La norma è stata infatti interamente riscritta dall’art. 1, comma 1, d.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, con decorrenza dal 13 giugno 2014. Nella sua precedente versione, esso si occupava effettivamente del “Pagamento mediante carta”, disciplinando anche l’ipotesi di charge back. Nella sua nuova versione, vigente al momento in cui si è verificata la vicenda, tale disciplina non esiste più. La norma è rubricata adesso “Obblighi del professionista in caso di recesso” del consumatore e nulla più dispone in merito. La regolamentazione delle cd. clausole di riaddebito – ad eccezione delle ipotesi specificamente previste dalla legge – è dunque demandata all’autonomia negoziale. Appare dunque imprescindibile esaminare il regolamento dei rapporti tra esercente (odierna ricorrente) e emittente della carta di credito (odierna resistente) in relazione al diritto di riaddebito. L’intermediario ha effettuato, infatti, il charge back dell’importo precedentemente accreditato all’esercente, sostenendo che questi non ha correttamente adempiuto alle modalità di prenotazione convenzionalmente pattuite.
DIRITTO. 1. La questione sottoposta all’Arbitro concerne il diritto della ricorrente alla riduzione delle garanzie concesse in presenza di una loro sproporzione ed il valore del credito garantito. Infatti, la ricorrente, che ha stipulato con la Banca resistente un mutuo fondiario a garanzia del quale è stata costituita un’ipoteca, rilasciate delle fideiussioni e concesso un pegno su titoli, assume l’esistenza di una “sproporzione genetica” tra il valore delle garanzie concesse e l’importo finanziato e quindi chiede che il Collegio dichiari la nullità per difetto della causa del contratto di pegno e delle fideiussioni, in quanto la funzione di garanzia sarebbe assolta, nel caso di specie, dall’ipoteca di primo grado costituita tenuto conto dell’importo per il quale è stata iscritta. La Banca resistente eccepisce che non vi è una sproporzione tra finanziamento concesso e garanzie, considerato che queste sono state richieste alla luce di una valutazione del merito creditizio del cliente, che al momento della concessione del mutuo risultava essere una società in fase di start up. Dall’esame delle previsioni negoziali relative alle garanzie, come risulta dal contratto agli atti, si trae che la somma mutuata, risulta pari ad euro 195.000 (art. 1) e l'ipoteca è stata concessa per il complessivo importo di euro 390.000 (art. 11, comma 2). Nello stesso contratto risulta altresì che le parti hanno dichiarato di attribuire all'immobile ipotecato il valore di euro 250.000, giusta quanto risulta dalla documentazione tecnica agli atti della Banca resistente (art. 13, comma 1). La fideiussione viene concessa da due soci, uno dei quali legale rappresentante della ricorrente, per l'importo di euro 390.000 (art. 19). La costituzione del pegno su titoli acquisiti dalla ricorrente (incontestata tra le parti) non è invece oggetto di contratto e, comunque, nessuna ulteriore documentazione contrattuale è allegata al riguardo. Il valore del pegno effettivamente acquisito, secondo quanto affermato dal ricorrente, sarebbe pari a euro 46.000,00 mentre, secondo quanto affermato dalla Banca resistente, pari a euro 44.000,00. Ciò posto, una prima considerazione riguarda la circostanza che il valore dell'immobile ipotecato è stato definito, consensualmente, in misura pari ad un importo inferiore rispetto ah quello per il quale era iscritta la garanzia ipotecaria. Ne consegue che, nell'intento delle parti, il valore del cespite non eguagliava quello della garanzia che era stata definita in modo p...
DIRITTO. La controversia riguarda i limiti dello ius variandi riservato all’intermediario, in ordine a un contratto di mutuo stipulato con il ricorrente, che - all’epoca della definizione del regolamento contrattuale - lavorava alle dipendenze dell’intermediario e, in questa veste, aveva potuto accedere a condizioni contrattuali di favore. Occorre preliminarmente chiarire che nel caso di specie non ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 118 t.u.b., come peraltro riconosciuto dal medesimo intermediario resistente. La quaestio iuris dibattuta tra le parti riguarda, più specificamente, l’applicabilità delle previsioni dell’accordo sindacale, quale - presumibilmente - trasfuso nel regolamento contrattuale concluso inter partes. L’art. 4 dell’accordo sindacale, dopo avere definito l’importo massimo erogabile e le condizioni di favore pratiche a beneficio dei dipendenti, disciplina, alla lettera g, l’ipotesi di decadenza dalle condizioni agevolate. Prevede tale lettera g: “Il licenziamento del lavoratore per giusta causa o per giustificato motivo nonché le dimissioni volontarie dall’impiego che non comportino passaggio ad altra Bcc aderente alla Federazione, comporteranno la decadenza dalle condizioni agevolate previste dal presente regolamento. In tali casi la prosecuzione del rapporto avverrà alle condizioni del tasso in vigore per i mutui ipotecari ordinari. Nel contratto di mutuo dovrà essere formalizzata la relativa clausola”. L’art. 3 del contratto di mutuo prevede: “Il tasso di interesse su base annua viene inizialmente stabilito ed accettato nella misura del 1,000% (uno virgola zero zero zero per cento) pari al tasso BCE attualmente in vigore. Successivamente tale tasso potrà subire modifiche in relazione alla variazione, in aumento o in diminuzione del detto tasso con un tetto massimo pari al 6% (sei per cento) annuo, il tutto secondo quanto previsto dall’accordo sulle condizioni agevolate dei dipendenti BCC (accordo del 29/07/2008 aggiornamento del 7/04/2009)”. Il suggerimento interpretativo che scaturisce dall’impostazione difensiva dell’intermediario è che il riferimento all’accordo sindacale contenuto all’art. 3 del contratto di mutuo sia sufficiente al fine di applicare, al caso di specie, anche le ipotesi di decadenza dalle condizioni contrattuali agevolate previste nel medesimo accordo sindacale. Questa opzione interpretativa non persuade affatto. In realtà, non appare estensibile il richiamo, contenuto nell’art. 3 del contratto di mutuo, al...