Licenziamenti Clausole campione

Licenziamenti. 1. I licenziamenti individuali sono regolati dagli artt.2118 e 2119 del Codice Civile, dalle leggi 15 luglio 1966, n.604, 20 maggio 1970, n.300 e 11 maggio 1990, n.108.
Licenziamenti. In materia di licenziamenti individuali e collettivi si richiamano le leggi e gli accordi interconfederali in vigore.
Licenziamenti. Fermo restando l’ambito d’applicazione della L. n. 604/1966, come modificata dall’art. 18 della L. 300/1970 e della L. n, 108/1990, l’Azienda può procedere al licenziamento del dipendente:
Licenziamenti. INDIVIDUALI‌‌‌‌ Il licenziamento del personale navigante non può avvenire se non nei casi di cui all’art. 2 e 3 della legge 15 luglio 1966, n. 604, che si intendono richiamati.
Licenziamenti. Il licenziamento immediato può essere inflitto al lavorato- re che:
Licenziamenti. Stante le finalità del contratto di solidarietà, volto a superare momenti temporanei di crisi, è da ritenere illegittimo il licenziamento dei lavoratori durante la vigenza del medesimo; in tal senso è orientata la dottrina e la giurisprudenza prevalente. (Pret. Milano, 10 luglio 1989, Pret. Frosionone, 11 maggio 1987).
Licenziamenti. (ART. 18 STAT. LAV.) D.LGS. NR. 23/2015 IN VIGORE DAL 07/03/2015
Licenziamenti. I licenziamenti individuali sono regolati dagli artt. 2118 e 2119 del codice civile, dalla legge 15 luglio 1966, n. 604 e 20 maggio 1970, n. 300, dalla legge 11 maggio 1990, n. 108, e per le imprese artigiane, dagli accordi interconfederali in materia. Il licenziamento è altresì previsto nell'ipotesi di cui all'art. 5, comma 9, del D.M. n. 301 del 3 agosto 1990. I licenziamenti per riduzione di personale sono regolati dalla legge 23 luglio 1991, n. 223 e successive modifiche. Il divieto di licenziamento delle lavoratrici per causa di matrimonio è disciplinato dalla legge 9 gennaio 1963, n. 7. Il divieto di licenziamento delle lavoratrici madri è disciplinato dal T.U. sulla maternità 26 maggio 2001, n. 151.
Licenziamenti. La norma che disciplina il “blocco” dei licenziamenti (art. 14) è stata interamente riformulata pur mantenendo, in buona sostanza, molti dei contenuti precedenti ma la novità, oltre al differimento del termine ultimo del “blocco” al 31 dicembre 2020 (che comunque, come si dirà, non dovrebbe essere inteso come un termine finale valido per tutte le imprese) sta nella previsione di una serie di eccezioni al “blocco” stesso. E così il principio generale è che fino al 31 dicembre 2020 i datori di lavoro che non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale riconducibili all’emergenza epidemiologica da COVID-19 di cui all’art. 1 del d.l. 104/2020 ovvero dell’esonero dal versamento dei contributi previdenziali previsti dall’art. 3 dello stesso decreto legge (vedi nota 1[1]), alle condizioni previste dalla legge, continuano a non poter dare avvio a procedure di licenziamento collettivo e restano sospese, come in precedenza, le procedure pendenti, avviate successivamente al 23 febbraio 2020, fatte salve le ipotesi di cambio appalto, come in precedenza. Alle stesse condizioni è preclusa per i datori, a prescindere dal numero dei dipendenti, la possibilità di effettuare licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, nonché la possibilità di avviare le procedure ex art. 7 della legge n. 604 del 1966. Ora il primo problema interpretativo che si pone, molto delicato e complesso, è quello di capire se la cessazione del divieto di licenziare sia o meno legata, per tutte le imprese, alla data del 31 dicembre 2020. La tecnica legislativa utilizzata questa volta, che - a differenza delle precedenti norme in tema - non individua nel corpo della norma medesima una espressa data di scadenza del divieto, fa ritenere che, in questo caso, la cessazione dl divieto diventi “mobile” ossia differente da impresa a impresa, tenendo conto delle condizioni poste dagli artt. 1 e 3 del d.l. n. 104/2020. In altre parole, e a titolo d’esempio, se una impresa finisse di utilizzare tutto il periodo di cassa Covid ulteriormente concesso con l’art. 1 del d.l. n.104 a fine novembre, potrebbe successivamente effettuare dei licenziamenti. Ciò anche tenendo conto che l’art. 14 impone il divieto di licenziamento ai datori di lavoro che “non abbiano integralmente fruito dei trattamenti di integrazione salariale……” Naturalmente, data la complessità delle norme che sul punto regolano la materia nel d.l. 104/2020, è opportuno un approfondimento in proposito, anche se il tenore l...
Licenziamenti. Non si restaurerà il vecchio articolo 18, ma si correggeran- no le storture introdotte dalla riforma Fornero e dal Jobs Act per tornare ad ampliare le possibilità di reintegra, oggi molto limi- tate. Se vincesse il sì, infatti, ci sarebbe, in ogni caso di licen- ziamento illegittimo, il diritto alla reintegrazione in servizio, al risarcimento pieno dei danni patiti e alla regolarizzazione della posizione. Verrebbero meno, così, le molte differenziazioni di trattamento del lavoratore ingiu- stamente licenziato oggi previste dall’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori, nella “versione Fornero” nell’area di sua residuale applicabilità. «Alcune novità della legge Fornero resterebbero, ma cadrebbe la differenziazione tra gli assunti prima e dopo il 7 marzo 2015, valendo la stessa disciplina per tutti i lavoratori dipendenti di datori di lavoro che intrattengano oltre 5 rapporti di lavoro» precisa Xxxxxxxx. Dopo gli errori realizzati negli ultimi anni, bisognerebbe ora provare a risolvere la crisi non abbandonando le regole, ma difendendole, allargandole e, so- prattutto, facendo in modo che si- ano rispettate da tutti: «è questo che favorisce davvero l’impresa, non l’abbandono della civiltà del lavoro» conclude l’avvocato Xxxxxxxx.