Common use of Motivi della decisione Clause in Contracts

Motivi della decisione. Con il terzo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.c., dolendosi che la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Contratti, Contract Law Decisions

Motivi della decisione. Con enuncia il terzo motivo ricorrente 1) «Omessa, insufficiente e contraddittoria mo- tivazione della sentenza impugnata circa la pre- sunta inadempienza contrattuale del ricorsosig. R.», con riferi- mento all’errato giudizio della corte circa la non essen- zialità del termine di consegna dell’autovettura o quanto meno di offerta formale di consegna al cui esame va data precedenza logicapromittente ac- quirente, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.c., dolendosi che la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtàche, secondo il ricorrente, va collocato tempo- ralmente, sulla base della corrispondenza in atti e delle assunte testimonianze, «al più tardi, a fine 1990, inizi 1991». La censura, prima che infondata, è inammissibile a cau- sa della sua genericità. Posto che nel promuovere il fatto che presente giudizio l’attore ebbe a chiedere, come ha ricordato nel ricorso, l’ac- certamento e la leggedeclaratoria di inadempimento della convenuta con riferimento al contratto di vendita da- tato 18 luglio 1989 e la condanna della stessa alla re- stituzione del doppio della caparra, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe e che il versamento stesso tribunale, con la decisione confermata poi dalla corte di appello, ha escluso l’inadempimento della E., non si limiti essendo sta- to previsto contrattualmente alcun termine essenziale per la consegna dell’autovettura, il ricorrente, nell’im- pugnare la statuizione della corte, ha contestato gene- ricamente, con il motivo in esame, la valutazione ne- gativa che il giudice ha fatto circa la pretesa essenzia- lità del termine di consegna dell’autovettura, senza specificare, peraltro, non solo, quale avrebbe dovuto essere, a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionatosuo dire, tale termine, ma attenga allo stesso insorgere neppure in che co- sa sia consistito precisamente l’inadempimento della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel E.. E ciò a prescindere dal fatto che il legislatore ha inteso, nel caso denunciato vizio di aumento motivazione viene riferito alla «presunta inadem- pienza contrattuale del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse socialiSig. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizioneR.», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci risulta de- dotta in causa e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbesulla quale, pertanto, sembrare preferibileil giudice non si è pronunciato. 2) «Omessa decisione e motivazione, sulla richiesta di restituzione della caparra confirmatoria». Anche tale motivo è infondato, risultando che la corte si è espressamente pronunciata in merito a tale richiesta, ritenendola non meritevole di accoglimento per le ra- gioni chiaramente spiegate in sentenza. 3) «Omessa decisione e motivazione della corte sul motivo di appello relativo alla pronuncia ultra petitum operata nella sentenza di primo grado», con riferimen- to alla «ritenzione della caparra» da parte della E., no- nostante che questa non avesse mai chiesto che il tri- bunale si pronunciasse sulla sua «legittimità» ad inca- merare la caparra confirmatoria di cui trattasi, pari a li- re 50.000.000. Non sussiste il vizio lamentato dal ricorrente con il terzo ed ultimo motivo. Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, nei contratti di scambio accompagnati da dazione di caparra confirmatoria, la parte non inadempiente, con- venuta in giudizio per la restituzione della caparra, può limitarsi, per resistere alla domanda, ad eccepire l’ina- dempimento dell’altra parte, senza necessità di propor- re, in via riconvenzionale, domanda di risarcimento dei danni, in quanto quest’ultima domanda si collega ad una situazione giuridica autonoma ed alternativa ri- spetto a quella della ritenzione della caparra (Cass. n. 11684/93). Alla luce di tale principio, non ha errato, pertanto, la corte che, nell’escludere il dedotto inadempimento del- la E. e nel ritenere, viceversa, correlativamente e per im- plicito inadempiente il R., ha confermato la decisione del tribunale circa la legittimità della ritenzione della ca- parra da parte della prima, in conformità all’art. 1385, se- condo comma, Codice civile, non essendo richiesto che la parte adempiente, la quale ha ricevuto la caparra, co- me nella presente fattispecie, xxxxxxx espressamente di ritenere la stessa. Per le ragioni che precedono, il ricorso deve essere ri- gettato, con conseguente condanna del ricorrente alle spese. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi Corte rigetta il ricorso e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formalicondanna il ricorrente alle spese, che attestino la scelta del legislatore liquida in un senso o nell’altroeuro 1100,00, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancanocui euro 1000,00, d’altra parteper onorari, nello stesso sistema positivo, fattori oltre accessori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.clegge.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Contratti

Motivi della decisione. Con il terzo primo motivo di ricorso si deduce "violazione dell'art. 1342 c.c. e violazione e falsa applicazione dell'art. 1363 c.c." nonchè "insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione". Il motivo viene illustrato premettendo anzitutto che, come ha ritenuto il giudice di merito, il contratto inter partes è contratto concluso mediante modulo o formulario predisposto da una delle parti, e, quindi, rilevando che le relative condizioni generali all'art. 26 prevedevano la proroga tacita in mancanza di disdetta da comunicarsi almeno tre mesi prima della scadenza, mentre quelle particolari, valide solo se espressamente richiamate, prevedevano al punto "H" che, "a deroga di quanto disposto dall'articolo 26 (Proroga del ricorsocontratto) delle Condizioni Generali, l'assicurazione cessa allaprima scadenza senza obbligo di disdetta". Si osserva, poi, che nella polizza assicurativa vi è il richiamo alle condizioni particolari con la formula "Condizioni e allegati: Sono operanti le condizioni particolari e gli allegati UNO" e si sostiene che esso, al contrario di quanto avrebbe immotivatamente ritenuto il Tribunale, sarebbe "espresso" e non "generico", in quanto contenuto nell'apposito riquadro delle condizioni e allegati da applicarsi ai singoli contraenti. Si deduce, poi, che, di fronte alle due clausole contrastanti, l'impugnata sentenza - al dichiarato fine di stabilire se la clausola aggiunta avesse o meno portata derogatoria di una delle condizioni generali - avrebbe erroneamente fatto ricorso al criterio ermeneutico di cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’artall'art. 2439, 1° comma, c.c1363 cod. civ., dolendosi nel presupposto che fosse necessario accertare l'intento dei contraenti mediante un esame globale della convenzione, giacchè esso non potrebbe operare quando tra le clausole sussista - come accadrebbe nel caso di specie - incompatibilità o autonomia, che precluderebbe che una clausola possa servire all'interpretazione dell'altra. Ai fini del superamento dell'antinomia si dovrebbe, invece, fare riferimento alla norma dell'art. 1342 cod. civ. o ai canoni interpretativi degli articoli da 1366 a 1371 cod. civ. Il Tribunale, vertendosi in un caso di clausole aggiunte al modulo e al formulario nel quale il ricorso all'art. 1363 è ammesso solo per stabilire se esse siano in irrimediabile contrasto con quelle predisposte e non adempiano ad una funzione integratrice o specificatrice del contenuto negoziale astrattamente tipizzato, una volta riconosciuta l'esistenza del contrasto, avrebbe dovutori solverlo non sulla base dell'art. 1363, bensì sulla base della regola contenuta nell'art. 1342 cod. civ., cioè dando prevalenza alla clausola aggiunta anche se l'altra non era stata cancellata. Con un secondo motivo si lamenta "violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e 1370 cc", nonchè "omessa, contraddittoria e insufficiente motivale". Riferendosi alla motivazione della sentenza impugnata, si sostiene anzitutto che essa sarebbe insufficiente ed inadeguata, là dove ha argomentato la corte prevalenza di appello abbia attribuito una condizione generale su una particolare, pur essendo la prima una clausola vessatoria riportata su modulo a stampa predisposto dall'assicuratore e non modificabile da parte dell'aderente. Inoltre, la sentenza impugnata non avrebbe bene applicato il criterio ermeneutico della buona fede, che imporrebbe "di non suscitare e di non speculare su falsi affidamenti e, ancora, di non contestare ragionevoli affidamenti comunque ingenerati nell'altra parte". Infatti, esaminando la polizza - sottoscritta dal ricorrente per la tutela del figlio dal rischio infortuni - si noterebbe immediatamente che chiunque, pur usando la normale diligenza, non poteva che ritenere operanti le condizioni particolari, sia perchè esse erano richiamate sulla polizza e contenute nel libretto informativo, consegnato all'atto della firma e comprendente tutte le clausole di polizza, sia perchè l'articolo 26, relativo all'obbligo di disdetta, era meramente elencato tra le condizioni generali da approvarsi specificamente in calce al contratto modulo-base (predisposto per la generalità degli assicurati e non modificabile. Onde il ricorrente - per come si evincerebbe valutando con il metro della normale diligenza - sarebbe stato indotto a ritenere che l'apposito riquadro relativo alle condizioni particolari, presente sul frontespizio della polizza, sarebbe rimasto vuoto se esse non fossero state operanti o che quantomeno sarebbe stato cancellato il riferimento alla loro operatività e che, dunque, solo in tal caso sarebbe stata operante la condizione generale sull'obbligo di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consensodisdetta. Si assume ancora che, essendo stata la polizza stipulata per il versamento rischio infortuni inerenti l'attività di calciatore professionista del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimifiglio, se non fossero state operanti le condizioni particolari, che al punto "D" prevedevano l'operatività della polizza anche per gli infortuni derivanti dalla pratica calcistica, sarebbe stato privo di qualsiasi effetto anche lo stesso allegato "UNO", essendo quel tipo di infortunio espressamente escluso dall'operatività della polizza ai sensi dell'art. 5 f) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivodelle condizioni generali. Onde l'operatività delle condizioni particolari si dovrebbe desumere, non già elemento soltanto dal richiamo contenuto nel frontespizio della sua formazione. In realtàpolizza, secondo il ricorrentema anche da quello globale della stessa, il cioè in forza del fatto che la leggestipula della polizza non sarebbe avvenuta, almeno per in quanto non avrebbe coperto il rischio connesso all'attività calcistica svolta dal figlio. Infine, si adduce che l'indagine interpretativa condotta dal Tribunale sarebbe stata inadeguata, in quanto aveva usato i tre decimicriteri di interpretazione soggettiva, richieda la contestualità pur riguardo ad "un punto controverso sul quale era del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che tutto assente una volontà contrattuale", mentre avrebbe dovuto usare quelli di interpretazione oggettiva ed in particolare il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento criterio di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattualecui all'art. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi1370 cod. civ., di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa cortemodo che - in presenza dell'ambiguità determinata dal richiamo delle condizioni particolari, chiamata per la prima volta fra le quali vi era quella sulla cessazione automatica della polizza - avrebbe dovuto privilegiare il significato più favorevole all'assicurato, contraente debole, di fronte a risolvere tale questionequella dell'assicuratore, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e giàche, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto quanto predisponente aveva l'onere di utilizzare un testo non ambiguo ed in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro itmancanza doveva subire l'interpretazione meno favorevole., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Interpretation of Contract Clauses

Motivi della decisione. Con il terzo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logicaprimo motivo, il Bulferetti deduce ricorrente lamenta violazione degli artt. 5 X. Xxxxxxxx, 100, 112 c.p.c., in quanto la sentenza poteva essere impugnata, anche indipendentemente dalla soccombenza delle parti. Con il secondo, violazione degli artt. 100, 112, 132 c.p.c. in ragione della sussistenza di diritti indisponibili, per i quali l’interesse ad impugnare prescinderebbe dalla condotta processuale delle parti. Con il terzo, violazione degli artt. 100, 112, 132 c.p.c., in quanto il trasferimento immobiliare a favore del figlio delle parti, non assicurava il suo interesse alla conservazione dell’habitat domestico. Con il quarto, violazione degli artt. 155 quater, 1021, 1022, 2643, 2645 c.c., non essendo stata disposta la assegnazione della casa coniugale al genitore, collocatario del figlio. Con il quinto, violazione degli artt. 1173, 1174, 1321, 1325, 1987 c.c., per nullità della clausola relativa al trasferimento della abitazione al figlio, essendo l’impegno del padre giuridicamente irrilevante. Con il sesto, violazione dell’art. 2439, 1° comma, 1478 c.c., dolendosi per nullità della predetta clausola, stante la necessità di una delibera assembleare della società proprietaria, per autorizzare la vendita. La sentenza impugnata dichiara inammissibile l’appello principale, sostenendo che, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., per far valere una domanda in giudizio e per proporre impugnazione, occorre avervi interesse, e che la corte di appello abbia attribuito difetta totalmente in capo al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivoR. tale interesse, non già elemento essendo egli risultato soccombente per alcuna delle domande proposte nel primo grado, con le conclusioni definitive da lui rassegnate. Non rinviene il giudice a quo clausole nulle nell’accordo raggiunto tra le parti, non essendovi violazione alcuna di diritti indisponibili, né contrasto con l’interesse del minore: valido il trasferimento immobiliare a suo favore della sua formazionecasa coniugale, con impegno del padre all’acquisto della proprietà e al predetto trasferimento, che garantirebbe al minore stesso la permanenza nell’habitat domestico. In realtàVa condivisa, secondo seppur con alcune doverose precisazioni, l’affermazione della pronuncia impugnata, per cui non è ammessa impugnazione se la parte o entrambe le parti, a seguito di accordo, risultino soccombenti. La fattispecie in esame (conclusioni comuni nell’ambito di un procedimento di divorzio originariamente contenzioso) è assimilabile a quella inerente ad un procedimento di divorzio congiunto. È bensì vero, come afferma il ricorrente, il fatto che l’art. 5, comma 5, X. Xxxxxxxx prevede, apparentemente senza eccezione, la leggepossibilità di impugnazione, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento da parte di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittoriciascun coniuge, ma, almeno per tre decimiil divorzio congiunto, tale previsione riguarda situazioni particolari: il primo giudice non ha recepito o ha recepito solo parzialmente l’accordo tra le parti, magari precisando che erano in questione diritti indisponibili o l’accordo stesso appariva in contrasto con l’interesse del minore, ovvero non era "congrua” la corresponsione una tantum di somma, escludente, per il futuro l’assegno divorzile. In tali casi ovviamente, ciascuno dei coniugi od entrambi potrebbero impugnare la sentenza. Il Pubblico Ministero, ai sensi del art. 5, comma 5, predetto, può impugnare limitatamente agli interessi patrimoniali dei figli. Va interpretata in senso lato tale previsione, con riferimento al patrimonio del minore, al suo mantenimento, ai trasferimenti (immobiliari o mobiliari) che lo riguardano, ecc. E impugnazione potrebbe esservi, da parte di un curatore speciale del minore, in caso di conflitto di interessi con i genitori (questione estranea alla presente fattispecie, non essendovi stata, in corso di causa, istanza alcuna di nomina di un curatore). Si diceva della affermazione condivisibile, per cui non vi è interesse ad impugnare, senza soccombenza, ma, nella specie, vi è una ragione ulteriore per escludere l’impugnazione. Nella separazione consensuale, cosi come nel divorzio congiunto, ma pure in caso di precisazioni comuni che concludano e trasformino il procedimento contenzioso di separazione e divorzio, si stipula un accordo, di risorse già entrate nelle casse socialinatura sicuramente negoziale (tra le altre, Cass. n. 17607 del 2003), che, frequentemente, per i profili patrimoniali si configura come un vero e proprio contratto. Non rileva che, in sede di divorzio, esso sia recepito, fatto proprio dalla sentenza: all’evidenza tale sentenza è necessaria per la pronuncia sul vincolo matrimoniale, ma, quanto all’accordo, si tratta di un controllo esterno del giudice, analogo a quello di separazione consensuale. Com’è noto, nell’accordo tra le parti, in sede di separazione e di divorzio, si ravvisa un contenuto necessario (attinente all’affidamento dei figli, al regime di visita dei genitori, ai modi di contributo al mantenimento dei figli, all’assegnazione della casa coniugale, alla misura e al modo di mantenimento, ovvero alla determinazione di un assegno divorziale per il coniuge economicamente più debole) ed uno eventuale (la regolamentazione di ogni altra questione patrimoniale o personale tra i coniugi stessi). Tradizionalmente gli accordi "negoziali" in materia familiare, erano ritenuti del tutto estranei alla materia e alla logica contrattuale, affermandosi che si perseguiva un interesse della famiglia trascendente quello delle parti, e l’elemento patrimoniale, ancorché presente, era strettamente collegato e subordinato a quello personale. Oggi, escludendosi in genere che l’interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, si ammette sempre più frequentemente un’ampia autonomia negoziale, e la logica contrattuale, seppur con qualche cautela, là dove essa non contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli, si afferma con maggior convinzione. Nei verbali di separazione consensuale o in quelli recepiti dalla sentenza di divorzio congiunto, sono assai frequenti le clausole contenenti promesse di trasferimenti, ma pure trasferimenti effettivi di proprietà o altri diritti reali su beni immobili o mobili da un coniuge all’altro. Intenti modalità, contenuti possono essere i più diversi: regolamentazione di tutti o di alcuni rapporti reciproci tra i coniugi, magari anche al fine di prevenire possibili controversie, con un sistema più o meno complesso di concessioni, compromessi, risarcimenti, riconoscimenti, ecc, attribuzioni ed assegnazioni reciproche, talora anche di portata divisoria, ma pure di adempimento dell’obbligo ex lege di mantenimento (o comunque di assistenza) a favore del coniuge economicamente più debole. Questa corteCorte da tempo ritiene che la clausola di trasferimento di immobile tra i coniugi, chiamata per la prima volta a risolvere tale questionecontenuta nei verbali di separazione o recepita dalla sentenza di divorzio congiunto o magari, ritiene come nella specie, sulla base di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia conclusioni uniformi, è valida tra le parti e nei confronti dei terzi, essendo soddisfatta l’esigenza della forma scritta (e giàtra le prime pronunce al riguardo, in precedenzaXxxx. 11 novembre 1992, da altri tribunali e cortin.12110 e, ancora recentemente, Cass. n. 2263 del 2014), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato cosi come il trasferimento o la promessa di trasferimento di immobili, mobili o somme di denaro, quale adempimento dell’obbligazione di mantenimento (v.o assistenziale) da parte di un coniuge nei confronti dell’altro (tra le altre, in particolare, sentXxxx. 639/76, Foro it., 1976, I, 123317 giugno 1992 n. 7470). La lettera dell’art. 2439Ma pure questa Corte ha sostenuto la ammissibilità, 1° commaa titolo di contributo per il mantenimento del figlio minore, c.c. non può dirsi univocadel trasferimento di un immobile a suo favore, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del quale contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci atipico e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formaligratuito, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione si perfeziona per effetto del contrattomancato rifiuto (Xxxx. 21 dicembre 1987, n. 9500). Va altresì precisato che gli accordi omologati (ovvero recepiti dalla sentenza di divorzio) non esauriscono necessariamente ogni rapporto tra i coniugi) o tra genitori e figli). Si potrebbero ipotizzare (e nella prassi ciò accade frequentemente) accordi anteriori, contemporanei o magari successivi alla separazione o al divorzio, nella forma della scrittura privata o dell’atto pubblico. Al riguardo, la giurisprudenza di questa Corte è variamente intervenuta, con particolare riferimento agli accordi extragiudiziali, in occasione della separazione, attraverso una complessa evoluzione verso una più ampia autonomia negoziale dei coniugi. Dapprima si affermava che tutti i patti intercorsi tra i coniugi, in vista della separazione, anteriori, coevi o successivi, indipendentemente dal loro contenuto, dovevano essere sottoposti al controllo del giudice che, con il suo decreto di omologa, conferiva ad essi valore ed efficacia giuridica. Successivamente si cominciò ad effettuare distinzione sul contenuto necessario ed eventuale delle separazioni consensuali, sui rapporti tra i genitori e figli, riservati al controllo del giudice, e non già che il contratto tra coniugi, che, almeno tendenzialmente, rimanevano nell’ambito della loro discrezionale ed autonoma determinazione, in base alla valutazione delle rispettive convenienze, fino a sostenere successivamente l’autonomia negoziale dei genitori, anche nel rapporto con i figli, purché si forma solo se essi siano versatipervenga ad un miglioramento degli assetti concordati davanti al giudice (tra le altre, Xxxx. Se 22 gennaio 0000 x. 000; x. 00000 del 2006). Al contrario, la giurisprudenza di questa Corte è la situazione positivamente esistente per i tre decimi rimasta tradizionalmente orientata a ritenere gli accordi assunti prima del matrimonio o magari in sede di costituzione della società, non si vede perchéseparazione consensuale, in difetto vista del futuro divorzio, nulli per illiceità della causa, perché in contrasto con i principi di vincoli letteraliindisponibilità degli status e dello stesso assegno di divorzio (tra le altre Cass. N. 6857 del 1992). (Sono stati invece ritenuti validi accordi in vista di una dichiarazione di nullità del matrimonio, in quanto correlati ad un procedimento dalle forti connotazioni inquisitorie, volto ad accertare l’esistenza o meno di una causa di invalidità matrimoniale, fuori da ogni potere negoziale di disposizione degli status: tra le altre Cass. N. 348 del 1993). Giurisprudenza più recente ha sostenuto che tali accordi non sarebbero di per sé contrari all’ordine pubblico: più specificamente il principio dell’indisponibilità preventiva dell’assegno di divorzio dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai rinvenirsi nella tutela del coniuge economicamente più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazionedebole, e l’azione di nullità (relativa) sarebbe proponibile soltanto da questo (al riguardo, Cass. n. 8109 del 2000). Questa Corte più recentemente (Cass. n.23713 del 2012; ma v. pure Cass. n. 19304 del 2013), pur escludendo che nella specie si trattasse di accordi prematrimoniali in vista del divorzio, ha avuto modo di precisare che tali accordi sono molto frequenti in altri Stati, segnatamente quelli di cultura anglosassone, dove essi svolgono una proficua funzione di deflazione delle controversie familiari e divorzili, e pure ha sottolineato le critiche di parte della dottrina all’orientamento tradizionale, che trascurerebbe di considerare adeguatamente non solo i principi del diritto di famiglia ma la dotazione dell’ente stessa evoluzione del sistema normativo, ormai orientato a riconoscere sempre più ampi spazi di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunqueautonomia ai coniugi nel determinare i propri rapporti economici, anche per l’art. 2439successivi alla crisi coniugale, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnataferma ovviamente la tutela dell’interesse dei figli minori.

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Samples: Clausola Di Trasferimento Della Casa Coniugale

Motivi della decisione. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente censura la sentenza impugnata laddove ha ritenuto la sussistenza della conoscenza dello stato d'insolvenza sulla base, da un lato, della sottovalutata incidenza sulla cedente della dichiarazione di fallimento della società sua assunta capogruppo e, dall'altro, dell'intervenuta consapevolezza del deterioramento accentuato delle condizioni economìche e finanziarie di quest'ultima. Con il secondo motivo lamenta la violazione dei canoni interpretativi del contratto stabiliti dal codice civile in ragione di una mancata qualificazione del negozio secondo la comune volontà delle parti sull'oggetto e l'erronea interpretazione delle clausole contrattuali, basata su un solo articolo dello stesso (art. 15) senza prendere in considerazione altri rilevanti articoli,la cui corretta applicazione avrebbe dovuto portare la Corte d'appello a ritenere che il contratto per cui è causa integrava fattispecie contrattuali plurime. Con il terzo motivo deduce: a) omessa motivazione nella parte in cui il giudice di merito non spiega nè evidenzia gli elementi che lo hanno spinto ad attribuire causa di mandato al rapporto tra le parti; b) insufficiente e contraddittoria motivazione laddove la sentenza impugnata afferma che le parti, volendo sviluppare i loro traffici economici, avevano dato vita ad un contratto di factoring anzichè direttamente a rapporti di mandato, a solo fine di agevolare gli incassi a mezzo del trasferimento fittizio della titolarità dei crediti e nonostante che i debitori ceduti sarebbero state primarie imprese di interesse nazionale, perfettamente solvibili; c) insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte d'appello arriva alla affermazione della sussistenza di causa mandato nelle cessioni sulla base di supposizioni prive di concretezza a mezzo di un parziale richiamo ad una sola clausola contrattuale. Con il quarto articolato motivo deduce che con la cessione, a norma dell'art. 1260 c.c. e segg., e della L. n. Con il quinto motivo Ifitalia deduce che, dovendosi al caso di specie applicare la L. 21 febbraio 1991, n. 52, il fallimento avrebbe potuto semmai esperire l'azione di dichiarazione di inopponibilità della cessione dei crediti d'impresa e non già l'azione revocatoria fallimentare prevista dalla L. Fall., art. 67. Vanno esaminati in via preliminare il secondo ed il terzo motivo di ricorso, al cui che, in quanto tra loro connessi, possono essere esaminati congiuntamente. Come già rilevato in precedenza, con tali motivi IFITALIA contesta la violazione da parte della Corte d'appello dei canoni di interpretazione dei contratti stabiliti dal codice civile, in particolare tramite l'omesso esame va data precedenza logicadelle clausole contrattuali nel loro insieme ed una mancata ricostruzione della effettiva volontà delle parti, che ha portato quel giudice ha ritenere che il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.c., dolendosi che la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione factoring in questione avesse dato luogo ad un rapporto di mandato relativo alla gestione dei crediti messi a disposizione da parte della resistente anzichè ad una cessione degli stessi. Sostiene, invece, la ricorrente che una corretta interpretazione del contratto avrebbe dovuto indurre a ravvisare, nella situazione giuridica conseguente alla perfezionata cessione, un risultato traslativo definitivo, specificamente ed autonomamente rilevante (anzichè un mero strumento di agevolazioni delle azioni gestione del credito),in cui assumeva carattere essenziale e centrale, appunto, la cessione dei crediti, con i conseguente risultato giuridico del trasferimento del valore patrimoniale rappresentato dai crediti stessi, laddove la funzione gestoria, pur presente nel tipo contrattuale del factoring, si collocava in posizione subordinata e strumentale. Secondo la ricorrente, quindi, la posizione giuridica attiva correlata a ciascuno dei crediti oggetto di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata cessione doveva considerarsi dismessa dal cedente per effetto della sola manifestazione cessione e trasferita in capo al Factor cessionario che avrebbe così acquisito, quale elemento essenziale di tale cessione (e non ad altro titolo), fa legittimazione ad esigerne ed a riceverne l'adempimento pire proprio e non per conto di altri. I motivi si rivelano anzitutto ammissibili ponendo gli stessi, da un lato,del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento le questioni in punto di diritto in tema di osservanza delle norme sull'interpretazione del contratto stesso e,dall'altra, deducendo vizi motivazionali in relazione al mancato esame di articoli del contratto rilevanti ai fini della decisione. Per altro verso, i quesiti risultando debitamente formulati ponendo essi adeguate questioni giuridiche e quindi suo momento esecutivoriassumendo le questioni inerenti ai vizi di motivazione. Ciò posto, non già elemento i motivi si rivelano fondati. Va premesso che questa Corte ha ripetutamente affermato che il factoring (anche dopo l'entrata in vigore della L. n. 52 del 1991) rimane un contratto atipico il cui nucleo essenziale è l'obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (il facior) la titolarità dei crediti derivati dall'esercizio della sua formazioneimpresa. In realtàLe funzioni economiche del factoring sono molteplici ed esso, secondo di regola, è caratterizzato dalla compresenza di plurime operazioni quali, appunto, la cessione di uno o più crediti (con le possibili varianti del finanziamento in favore dell'impresa, attraverso le anticipazioni o smobilizzi, e dell'assunzione del rischio dell'insolvenza) e l'assunzione da parte del factor di obbligazioni non strettamente inerenti alla cessione, aventi ad oggetto la gestione dei crediti (quali: informazione, consulenza, collaborazione nella gestione aziendale etc.) di non secondaria importanza nell'economia del contratto. A fronte di ciò è prevista una commissione in favore del factor che costituisce il ricorrentecorrispettivo di quell'attività, variabile in rapporto a molteplici elementi che incidono sul grado di assunzione del rischio dell'operazione. Ne consegue che, ai fini della qualificazione del contratto, che dipende dagli effetti giuridici e non da quelli pratico-economici, il fatto giudice deve fare riferimento all'intento negoziale delle parti che la leggerenda palese il risultalo concreto dalle stesse perseguito, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v.valutando, in particolare, sentse esse abbiano optato per la causa vendendi, per quella mandati, o per altra ancora" (Cass. 639/762746/07, Foro it.Cass. 6192/08, 1976Cass. 15797/09, ICass. 17116/04, 1233Cass. 10004/03, Cass. n. 1510/01, Cass. 684/01). La lettera dell’artNel caso di specie,dunque, il giudice doveva ricostruire quale fosse stato l'intento delle parti nella conformazione del contratto sulla base di una adeguata interpretazione delle clausole contrattuali alla luce dei principi del codice civile e doveva fornire adeguata motivazione su tale punto. 2439Vanno a tale proposito ulteriormente rammentati i principi ripetutamente ribaditi da questa Corte in tema di motivazione che deve estrinsecarsi nell'esposizione degli elementi di fatto e di diritto, 1° commanonchè nelle argomentazioni nelle quali si sostanzia la ratio decidendi, c.c. non può dirsi univocache costituiscono il fondamento logico della decisione, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione»allo scopo di consentire alla parte, riferita prima, ed al «dovere» del versamento dei tre decimigiudice dell'impugnazione, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé liberopoi, di dar vita ai segmenti formativi del contratto eseguire la valutazione della conformità dell'atto alle regole che lo governano. (nei contratti reali classici la consegna della cosa Cass. 6192/08) A tal fine è rappresentata come eventonecessario, mai come dovere: art. 1766in primo luogo, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari sentenza contenga una "concisa esposizione" (art. 150 l. fall132 c.p.c., comma 2, n. 4), costituita da un'esposizione minima degli argomenti che permettano di ricostruire il procedimento logico - giuridico seguito per pervenire ad una determinata conclusione e degli elementi di fatto che la risposta fondano (ex plurimis Cass., n. 5434/03; Cass. n. 10484/01). Inoltre, la sentenza di secondo grado deve esplicitare gli elementi imprescindibili a rendere chiaro il percorso argomentativo che fonda la decisione (Cass., SS.UU. n. 10892/01). Nella specie, la pronuncia non si sottrae alle censure svolte dalla ricorrente. La Corte d'appello, dopo avere dato atto delle censure avanzate da Ifitalia alla sentenza di primo grado osserva che "agli scopi più diretti di causa basterà qui tornare a sottolineare che xxxx tipologia contrattuale comporta la cessione da parte di un imprenditore del propri crediti mercantili a breve termine all'operatore specializzato, il quale si assume, a fronte di un compenso, l'obbligo di curarne appunto la gestione e l'incasso ed insieme di finanziare quel cedente mediante lo smobilizzo delle partite in carico, da attuarsi attraverso anticipi ragguagliati in una certa misura percentuale al valore nominate del crediti. Nello svolgimento del quali compiti il factor viene dunque ad operare alla stregua, prevalentemente, di un negozio di mandato: una causa del rapporto contrattuale in oggetto che vale a rendere nella specie inapplicabile la legge, qui invocatasi dalla difesa appellante, n. 52/1991 sulla cessione dei crediti d'impresa, e del resto - pare senz'altro significativo - nemmeno richiamata net testo dell'accordo stipulato nel luglio 1995brattandosi di una disciplina che si rapporta piuttosto alto schema categoriale più specifico, e però anche delimitato, della compravendita. La pluralità delle funzioni cui viene invece ad adempiere il factor cessionario con la complessa articolazione del suo intervento, ove solo si pensi alla gestione del portafoglio crediti nonchè anche il grado di intrinseca onerosità valgono, d'altra parte a evidenziarne una saliente alterità rispetto alle attività di smobilizzo del crediti commerciali d'ordinario esercitate da altri intermediari, e per lo più di matrice bancaria, quali sono i soggetti operanti, vale a dire, nel c.d. commercial finaticing - in primo luogo fra questi, appunto, gli enti creditizi". Tale motivazione non risulta conforme ai principi dianzi enunciati. Come detto, questa Corte ha ripetutamente affermato che la qualificazione giuridica del negozio di factoring deve essere effettuata in base ad una analisi della effettiva volontà delle parti fondata su un esame delle clausole contrattuali. Nel caso di specie, invece, la Corte d'appello, afferma in via di principio che il contratto di factoring è di regola equiparabile ad un contratto di mandato senza che in nessuna parte della sentenza siano stati indicati, sia pure sommariamente, il contenuto del contratto e le clausole del medesimo (eccetto il riferimento all'art. 15, di cui si dirà di seguito); circostanza che, di per sè, già pone in luce la carenza espositiva della motivazione, in quanto la conclusione cui perviene la pronuncia risulta del tutto avulsa dalle risultanze processuali e non comprensibile in riferimento al contenuto concreto del negozio ed alle ragioni che, sulla scorta appunto delle pattuizioni contrattuali, hanno fondato la conclusione. L'affermazione in esame, apoditticamente resa, inoltre contrasta con altro principio affermato da questa Corte secondo cui il nucleo essenziale del contratto di factoring è costituito dal l'obbligo assunto da un imprenditore (cedente o fornitore) di cedere ad altro imprenditore (factor) la titolarità dei crediti derivati o derivandi dall'esercizio della sua impresa (Cass. 24.6.2003, n. 10004; Cass. 27.8.2004, n. 17116; Cass. 2746/07). In tale contesto il factor può acquistare i crediti "pro soluto" (assumendosi il rischio dell'insolvenza dei debitori) o "pro solvendo" (in questo caso saranno accreditate all'imprenditore le sole somme recuperate). Lo strumento formale adoperato è l'istituto della cessione dei crediti regolato dall'art. 1260 c.c. e ss. (Cass. 2746/07). Dalla affermazione di tali principi si evince con tutta evidenza che il contratto di factoring comporta,di regola, la cessione della titolarità dei crediti ed è basato quindi su una ratio vendendi sia pure collegata con una serie di servizi accessori. Da ciò consegue che nel caso in cui questi ultimi acquisitino una prevalenza rispetto alla causa naturale del negozio sino a trasformarlo in un mandato, occorre fornire da parte del giudice una adeguata motivazione in tal senso motivazione che nel caso di specie è del tutto carente. A parte, infatti, l'apodittica affermazione di cui si è finora discusso, Punica motivazione contenuta nella sentenza si riferisce alla clausola relativa al conto di dare ed avere tra le parti contenuta nell'art. 15 del contratto. A tale proposito la sentenza impugnata rileva che "l'art. 15 delle menzionate Condizioni generali prevedesse che il corrispettivo del erediti di cessione fosse volta a volta annotato a credito del cedente all'atto dell'accettazione da parte del factor ma venendo poi reso disponibile per il cedente stesso, ed ancorchè solo ad avvenuta riscossione del crediti medesimi: con il che dunque i pagamenti in oggetto, e - ripetesi - pur sotto condizione dell'incasso, diventavano infine a quello disponibili, in quanto susseguentemente computati in deduzione dal debito maturato verso il cessionario per le anticipazioni erogatene. E così, di là dalle indubitate partieolarità proprie dell'accordo sovraordinato all'apposito conto unitario su cui il faci or, a norma dell'art. 15 succitato procedeva, da un lato, ad annotare il corrispettivo del crediti di cessione a vantaggio del fornitore, e dall'altro per converso a registrare a suo debito il corrispettivo anticipato, gli interessi maturati, nonchè quant'altro ancora ad esso dovutone, il globale contesto pattizio in esame doveva e deve ravvisarsi incentrato, come in precedenza rilevato, su di un incarico di mandato, qualificato nel senso della consensualità è servita gestione di un monte - crediti, piuttosto che su di una cessione a titolo derivativo - traslativo, quanto a dire avente un'efficacia compiuta e definitiva. Le cessioni di credito in parola, quindi, in luogo di denotarsi come generate da una causa contrattuale commutativa, manifestano invece un costitutivo loro carattere strumentale, mirando esse, più essenzialmente, a far salvo dotare il factor di una titolarità formale, ovvero della legittimazione occorrente per l'esercizio del diritti inerenti verso i terzi con la finalità di dare concreta esecuzione al compito gestionale assuntosi, ed a provvederlo insieme della garanzia del compenso spettantegli per le attività esplicate a vantaggio dell'imprenditore, ivi compresa quella precipuamente connotativa del suo finanziamento: e a rendere operante l’impegnodunque anche al fine dette restituzioni conseguenti". In mancanza definitiva dunque la natura di sicuri indici formali, mandato del contratto intercorso tra le parti è desunta dal regolamento dei rapporti di dare ed avere tra le parti sulla base di un conto che attestino la scelta del legislatore sentenza definirà poi equiparabile ad un conto corrente bancario. Il giudice di seconde cure non ha però in un senso o nell’altro, tale dato alcun modo tenuto conto di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato diverse altre clausole contrattuali che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perchéesaminate avrebbero potuto, in difetto ipotesi, portare anche alla diversa conclusione secondo cui la cessione dei crediti era avvenuta con il trasferimento in proprietà degli stessi. In particolare, come sostenuto nel ricorso, la Corte d'appello non ha tenuto conto dei seguenti articoli citati nel ricorso con la trascrizione integrale del testo in osservanza del principio di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnataautosufficienza.

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Motivi della decisione. Con Il primo motivo investe il problema della distinzione tra modelli ornamentali ed opere dell'arte applicate dall'industria. Col secondo motivo si ribadisce che, comunque, difetterebbe l'originalità del disegno in questione e, in ogni caso, la violazione del diritto della Naj Oleari in quanto il disegno è riproduttivo di schemi noti così come lo è quello della Fiorucci; concetto ribadito nel terzo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logicarelativamente alla mancanza di creatività-novità nel disegno Naj Oleari. Nella sua sostanza, il Bulferetti deduce violazione dell’artprimo motivo tende ad escludere che il criterio c.d. 2439, 1° comma, c.c., dolendosi che della dissociabilità ideale sia di per sé sufficiente a scriminare tra opere dell'arte applicate all'industria e disegni ornamentali. Secondo la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto tesi della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il società ricorrente, il fatto che la leggetutti i disegni e più in generale le opere bidimensionali sono in astratto dissociabili o scindibili dal concreto supporto sul quale ab origine sono state impresse, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento perché sono concepibili su di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto supporto diverso; se così fosse risulterebbe priva d'ogni senso l'intera categoria dei disegni ornamentali che pure il legislatore ha intesoespressamente disciplinato, nel caso esclude l'applicabilità ad essi delle disposizioni sul diritto d'autore. Da questa costatazione risulterebbe evidente come, per questa categoria dei disegni ornamentali, occorra dar rilievo al criterio della destinazione e della funzione. Nella fattispecie concreta, la pretesa opera d'arte consisteva in un pezzo di aumento stoffa, con un disegno che vi si ripeteva ciclicamente e non era mai stato realizzato su diverso supporto "sì che non poteva dubitarsi che nessuno, tanto meno l'autore o il suo committente, avesse mai pensato ad una funzione di esso per un godimento estetico separato dal tessuto e dagli indumenti con esso confezionati". Il motivo è infondato. La regola è chiara. Rilevante per la distinzione è la scindibilità o no del capitalevalore artistico dell'opera dell'ingegno dal carattere industriale del prodotto al quale l'opera stessa è concretamente associata. Tenendo conto anche dei contrasti dottrinari e giurisprudenziali precedenti alla entrata in vigore dell'attuale legge sul diritto di autore, dotare è anche chiaro che dettando la società non disposizione di soli crediti verso cui al n. 4 dell'art. 2 della legge sul diritto di autore (d'ora innanzi abbreviata in L. a) il legislatore ha voluto negare rilevanza ad ogni altro criterio tra quelli che erano stati suggeriti o che in altre legislazioni sono stati accolti. Non rileva in specie - come è d'altronde costante giurisprudenza di questa Corte - la destinazione: né quella obiettiva quale verificatasi nei fatti fino al momento del sorgere della lite; né quella soggettiva, quella cioè pensata e voluta dall'autore al momento della creazione e dopo. Non rileva dunque che la creazione sia stata voluta dall'autore o obiettivamente considerata ed apprezzata come opera dell'arte (ad esempio valutata come pezzo unico, come originale, come tale esposta in mostre o musei) oppure come ornamento di prodotto industriale o artigianale (dunque calata in migliaia o milioni di esemplari tanti quanti i sottoscrittoriprodotti, macosì ornati, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse socialifabbricati e messi in circolazione). Questa corteregola, chiamata per oltre che chiara, è anche soddisfacente perché logica. Il diritto di autore protegge e deve proteggere la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia forma (e giàin senso ampio cui si contrappone il contenuto) che abbia un valore estetico in sé, in precedenzaassoluto: tant'è che all'autore è riconosciuto il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l'opera in ogni forma e modo e dunque anche se viene mutato il supporto materiale sul quale l'opera si è necessariamente, da altri tribunali come è il caso delle opere di cui al n. 4 dell'art. 2 della legge sul diritto d'autore, materializzata. Il brevetto per modello ornamentale invece, protegge e corti), confermando qualche spunto in tal senso deve proteggere la forma che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, l'autore dà o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo contribuisce a dare ad un obbligo prodotto industriale. Si tratta di forma che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interpretealtro che forma di quello specifico prodotto industriale: l'autore infatti, è condizionato dalla forma necessaria che il prodotto ha per rispondere alla sua funzione di oggetto utile, può soltanto "abbellire" quella forma che è e resta la forma, funzionale e estetica, di quel prodotto.Tant'è che al titolare del brevetto per modello ornamentale è data l'esclusiva non per qualsiasi utilizzazione di quella forma, ma solo sull'uso di quella forma per quel determinato prodotto o al più per un determinato "genus" di prodotti industriali (cfr. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 23295 del D.P.R. 25 agosto 1940, n. 21411 e modificazioni, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 23344 reg. 31 ottobre 1941, 2° comman. 1354, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c2593 cod.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Strumenti a Protezione Del Disegno Tessile

Motivi della decisione. Con il terzo primo motivo l'INPS denuncia la violazione dell'articolo 1362 c.c., e dell'articolo 116 c.p.c., nonche' vizio di motivazione (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), e con il secondo motivo lamenta la violazione della Legge n. 153 del 1969, articolo 12, (articolo 360 c.p.c., n. 3) per avere la Corte di appello confuso il dato della configurabilita' di un titolo autonomo portato dalla transazione con la ratio e la funzione tipica di tale contratto, il quale normalmente non reca alcun riconoscimento dell'altrui pretesa, essendo proprio questo il presupposto per addivenire ad un accordo che evita il giudizio. Non e' dunque sufficiente, per escludere la riconducibilita' delle erogazioni al rapporto di lavoro, che manchi uno stretto nesso di corrispettivita', dovendo considerarsi che a norma della Legge n. 153 del 1969, articolo 12, tutto cio' che il lavoratore riceve, in natura o in denaro, dal datore di lavoro in dipendenza e a causa del rapporto di lavoro rientra nell'ampio concetto di retribuzione imponibile a fini contributivi e che i profili contributivi che l'ordinamento ricollega al rapporto di lavoro non sono disponibili dalle parti. Dal tenore dei verbali di conciliazione risulta che le somme erogate erano riconducibili al pregresso rapporto di lavoro, mentre il disconoscimento delle pretese dei lavoratori e' clausola di stile, funzionale a rendere possibile la regolazione transattiva del rapporto, ma priva di un preciso significato interpretativo. Parimenti, privo di rilievo e' il riferimento all'incentivazione all'esodo, che costituisce una formula di copertura, peraltro contrastante con la cessazione gia' avvenuta del rapporto di lavoro. Comunque, non era stato debitamente considerato, quanto alla posizione del lavoratore (OMISSIS), che vi erano somme imputabili a TFR e a differenze retributive, indicative della riferibilita' della transazione al rapporto di lavoro, e, quanto alla posizione del (OMISSIS), che dal libero interrogatorio del lavoratore era emerso che erano state rivendicate differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori e che questa era la vera causale della erogazione, mentre privo di un concreto fondamento era il riferimento all'incentivo all'esodo. Il ricorso e' fondato e va, pertanto, accolto. Preliminarmente, deve rilevarsi che nel ricorso per cassazione risultano riportati integralmente i testi delle due transazioni, oltre alla copia del verbale del libero interrogatorio del (OMISSIS), ossia gli atti sui quali i ricorso si fonda, restando cosi' assolto il requisito dell'autosufficienza, in relazione a quanto prescritto dall'articolo 366 c.p.c., n. 6. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di interpretazione del contratto - riservata al giudice del merito, le cui valutazioni sono censurabili in sede di legittimita' solo per violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale o per vizi di motivazione - al fine di far valere i suddetti vizi, il ricorrente per cassazione, per il principio di specificita' ed autosufficienza del ricorso, deve riportare il testo integrale della regolamentazione pattizia del rapporto nella sua originaria formulazione, o della parte in contestazione, precisare quali norme ermeneutiche siano state in concreto violate e specificare in qual modo e con quali considerazioni il giudice di merito se ne sia discostato (Cass. n. 8296 del 2005, conf. Cass. 3075 del 2006, n. 11661 del 2006,1825 del 2007). Xxx' premesso, va osservato che la Legge n. 153 del 1969, articolo 12, nella sua originaria formulazione, applicabile alla fattispecie ratione temporis, stabiliva che, "per la determinazione della base imponibile per il calcolo dei contributi di previdenza ed assistenza sociale, si considera retribuzione tutto cio' che il lavoratore riceve dal datore di lavoro in danaro o in natura, al cui esame va data precedenza logicalordo di qualsiasi ritenuta, in dipendenza del rapporto di lavoro". Restavano escluse dalla retribuzione imponibile le somme corrisposte al lavoratore per i titoli tassativamente elencati nella stessa norma. A sua volta, il Bulferetti deduce violazione dell’artDecreto Legge 30 maggio 1988, n. 173, articolo 4, comma 2 bis, conv. 2439in Legge 26 luglio 1988, n. 291, ha previsto che "la disposizione recata nel secondo comma, numero 3), del testo sostitutivo di cui alla Legge 30 aprile 1969, n. 153, articolo 12, va interpretata nel senso che dalla retribuzione imponibile sono escluse anche le somme corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, al fine di incentivare l'esodo dei lavoratori". La retribuzione, considerata dal legislatore ai fini contributivi, non coincide con quella generalmente data ai fini della disciplina del rapporto di lavoro subordinato (articolo 2099 c.c.), dolendosi tant'e' che il legislatore (il quale, non a caso, nel capoverso dell'articolo 12 usa l'espressione "si considera retribuzione") - con la corte locuzione "tutto cio' che il lavoratore riceve dal datore di appello abbia attribuito lavoro in dipendenza del rapporto di lavoro" - ha adottato il principio di causalita', ampliando sostanzialmente il normale concetto di retribuzione, poiche' il concetto di retribuzione imponibile, di cui al citato articolo 12, supera il principio di corrispettivita', dal momento che comprende non soltanto gli emolumenti corrisposti in funzione dell'esercizio di attivita' lavorativa, ma anche gli importi, che, pur senza trovare riscontro in una precisa ed eseguita prestazione lavorativa, costituiscono adempimenti di obbligazioni pecuniarie imposte al datore di lavoro da leggi o da convenzioni nel corso del rapporto di lavoro ed aventi titolo ed origine dal contratto di sottoscrizione delle azioni lavoro, restando escluse le erogazioni derivanti causa autonoma (Cass. Sez. Un. n. 3292 del 1985). Nel contempo il legislatore ha indicato le ipotesi eccettuative, per modo che al di nuova emissione fuori di esse non ne sono ammesse altre. Infatti, l'elencazione da parte della Legge n. 153 del 1969, articolo 12, degli emolumenti esclusi, in tutto o in parte, ai fini del computo dei contributi previdenziali ha carattere esplicitamente tassativo e non sono quindi ammissibili analogie ed equiparazioni, se non nei limiti puntualmente individuati da successive disposizioni. Ne risulta, percio', un sistema di chiusura, che, mentre consente al giudice di merito di verificare se gli emolumenti (previsti dalla contrattazione collettiva o individuale, o concessi unilateralmente dal datore) rientrano nel concetto di retribuzione previdenziale, come voluto dal legislatore, impedisce alle parti (collettive o individuali) di attribuire direttamente ad un emolumento natura consensualedifforme da quella conferita ex lege mediante previsioni o denominazioni, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consensocomunque simulate, essendo riservata al giudice la facolta' di accertare la concreta funzione svolta dall'emolumento. Se e' vero che in alcune, risalenti pronunce di questa Corte e' stato ritenuto che le erogazioni del datore di lavoro derivanti da titolo transattivo, finalizzato non ad eliminare la "res dubia" oggetto della lite ma ad evitare il versamento rischio della lite stessa, che non contenga un riconoscimento neppure parziale del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento diritto del contratto stesso e quindi suo momento esecutivolavoratore, sono da considerarsi non "in dipendenza" ma in nesso di mera occasionalita' con il rapporto di lavoro e, pertanto, non già elemento assoggettabili a contribuzione assicurativa ai sensi della sua formazioneLegge 30 aprile 1969, n. 153, articolo 12, (Cass. In realtàn. 49/1997, secondo il ricorrenten. 6923/96), il fatto la giurisprudenza piu' recente - e qui condivisa - ha affermato che, al fine di valutare se siano assoggettabili a contribuzione obbligatoria le erogazioni economiche corrisposte dal datore di lavoro in favore del lavoratore in adempimento di una transazione, spiega limitato rilievo la circostanza che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire tali somme siano pervenute al lavoratore in adempimento di un impegno contrattuale già perfezionatoaccordo transattivo, dovendosi valutare piu' approfonditamente non solo se manchi uno stretto nesso di corrispettivita', ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio se risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto lavoro, che ne giustifichi la corresponsione, in quanto occorre tener conto sia del principio secondo il quale tutto cio' che il legislatore ha intesolavoratore riceve,in natura o in denaro, nel caso dal datore di aumento lavoro in dipendenza e a causa del capitalerapporto di lavoro rientra nell'ampio concetto di retribuzione imponibile ai fini contributivi (Legge n. 153 del 1969, dotare la società non ex articolo 12) sia della assoluta indisponibilita', da parte dell'autonomia privata, dei profili contributivi che l'ordinamento collega al rapporto di soli crediti verso i sottoscrittorilavoro (Cass. n. 11289 del 2003). Ne consegue che, maai fini di cui alla Legge n. 153 del 1969, almeno per tre decimiarticolo 12, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici l'indagine del giudice di merito nella presente controversia sulla natura retributiva o meno delle somme erogate al lavoratore del datore di lavoro non trova alcun limite nel titolo formale di tali erogazioni; inoltre, per escludere la computabilita' di un istituto non e' sufficiente la mancanza di uno stretto nesso di corrispettivita', ma occorre che risulti un titolo autonomo, diverso e distinto dal rapporto di lavoro, che ne giustifichi la corresponsione (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sentcfr. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233Cass. n. 6663/2002). La lettera dell’artDifatti, sul fatto costitutivo dell'obbligazione contributiva, che ha natura di obbligazione pubblica nascente ex lege, non puo' incidere in alcun modo una volonta' negoziale che regoli in maniera diversa l'obbligazione retributiva, ovvero risolva con un contratto di transazione la controversia insorta in ordine al rapporto di lavoro, precludendo alle parti del rapporto stesso il relativo accertamento giudiziale (vedi Cass. 2439, 1° comma, c.cn. 3122/2003). non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» Il rapporto assicurativo e l'obbligo contributivo ad esso connesso sorgono con l'instaurarsi del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta rapporto di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contrattolavoro, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologicasono del tutto autonomi e distinti, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che l'obbligo contributivo del datore di lavoro verso l'istituto previdenziale sussiste indipendentemente dal fatto che gli obblighi retributivi nei confronti del prestatore d'opera siano stati in tutto o in parte soddisfatti, ovvero che il lavoratore abbia rinunciato ai suoi diritti (cfr. tra le numerose decisioni, Cass. 15 maggio 1993, n. 5547; 13 aprile 1999, n. 3630). Xxxx' come il giudicato negativo, per esempio, circa la sottoscrizione re perficiturnatura subordinata di un rapporto, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamentopuo' spiegare influenza per i soggetti, rimasti estranei al giudizio, che siano titolari di rapporti del tutto autonomi rispetto a quello su cui e' intervenuto il giudicato (cfr. Cass. n. 2795/1999; n. 4821/1999), oppure se essa più semplicemente implichi cosi' la transazione tra datore di lavoro e lavoratore non puo' esplicare effetti riflessi sulla posizione dell'Inps, che fa valere in giudizio il credito contributivo derivante dalla legge e non dalla transazione. Puo' dunque essere ribadito il principio che, essendo imposta l’immediatezza in tema di obbligo contributivo previdenziale, la transazione intervenuta tra lavoratore e datore di lavoro e' estranea al rapporto tra quest'ultimo e l'INPS, avente ad oggetto il credito contributivo derivante dalla legge in relazione all'esistenza di un rapporto di lavoro subordinato (Cass. n. 17670/2007). Nel caso di specie, la Corte territoriale non ha fatto corretta applicazione di tali principi ed ha seguito un percorso logico-giuridico incoerente, in quanto, pur ravvisando un nesso, almeno parziale, tra l'attribuzione patrimoniale e le rivendicazioni per inquadramento superiore, TFR o indennita' di preavviso, ha poi disatteso tale relazione ponendo a carico dell'INPS l'onere di dimostrare in quale misura il titolo dell'erogazione trovasse tale giustificazione, concludendo che, in difetto di tale prova, l'intera somma doveva essere considerata estranea al rapporto di lavoro. Oltre al vizio logico intrinseco a tale opzione interpretativa, che svaluta lo stesso dato letterale assunto a fondamento del versamento dei tre decimiragionamento, questi siano senza indugio esigibilila soluzione si pone in contrasto con i principi sopra riportati, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui xxxxxx' non occorre un nesso di corrispettivita' per ritenere la solutio deve essere pretesa"dipendenza" della erogazione dal rapporto di lavoro. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbeInoltre, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però quello che la tesi Corte di appello qualifica come un titolo autonomo, ossia la volonta' delle parti di evitare l'alea del giudizio, tale non e', esprimendo solo la funzione tipica della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formalitransazione, che attestino la scelta del legislatore e' preordinata, mediante reciproche concessioni, ad evitare l'insorgere di una lite o di porre fine ad una controversia gia' in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società corso (art. 2329, n. 2, articolo 1965 c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase Costituisce un elemento di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia fatto positivamente accertato dalla stessa Corte di subprocedimento appello che "dal dato testuale degli accordi transattivi" risulta che gli stessi avevano "preso le mosse da pretese dei lavoratori collegate al rapporto di lavoro" (c.dpag. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art3 sent. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.cimp.). Vi e', che è in realtà causa dunque, un espresso riconoscimento della derivazione causale degli accordi dalle pretese e rivendicazioni dei lavoratori; a fronte di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332cio', 3° commaresta ininfluente, c.c.): per le ragioni gia' esposte, la dichiarata volonta' delle parti contraenti di escludere tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della societànesso, non si vede perché, in difetto potendo siffatta intenzione valere ad elidere gli effetti che la legge correla ad erogazioni comunque connesse al rapporto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnatalavoro.

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Samples: Sentenza

Motivi della decisione. Con il terzo motivo Preliminarmente, devesi confermare che i due ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza e tra loro connessi, vanno riuniti ex art. 335 c.p.c.. Va, inoltre, del pari preliminarmente rilevato come i ricorsi rubricati sub nn. R.G. 13911/03 ( O. c/ ICE-SNEI) e R.G. 13686/03 (ICE-SNEI c/ O.), proposti contestualmente ai rispettivi controricorsi e con i quali, tra l'altro, le parti riprospettano le medesime questioni fatte valere con i loro ricorsi originari, siano da considerare inammissibili. E', infatti, principio acquisito che la parte, dalla quale siasi già proposto ricorso per cassazione (sia esso principale od incidentale) contro alcune delle statuizioni della sentenza di merito, nel rapporto con un determinato avversario, non possa successivamente presentare un nuovo ricorso, al nell'ambito dello stesso rapporto, nemmeno se nel frattempo abbia ricevuto notificazione del ricorso di detto avversario, ed a prescindere dal fatto che quest'ultimo possa suggerire un'estensione della contesa anche con riguardo ad altre pronunzie relative a quel rapporto, atteso che l'ordinamento non consente il reiterarsi o frazionarsi dell'iniziativa impugnatoria in atti separati (secondo il principio della cosiddetta consumazione dell'impugnazione) e che il relativo divieto non trova deroga nelle disposizioni di cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’artall'art. 2439, 1° comma, c.c334 c.p.c., dolendosi che la corte le quali operano soltanto in favore della parte che, prima dell'iniziativa dell'altro contendente, abbia fatto una scelta di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensualeacquiescenza alla sentenza impugnata (da ultimo, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consensoCass. 2.2.07 n. 2309, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo14.11.06 n. 24219, non già elemento della sua formazione. In realtà27.10.05 n. 20912, secondo il ricorrente26.9.05 n. 18756, il fatto che la legge10.2.05 n. 2704, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 123324.12.04 n. 23976). La lettera dell’art. 2439Si può, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico quindi procedere all'esame dei due elementi nella formazione del contrattoricorsi originar, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto dei quali quello previamente proposto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, eccR.G. n. 10084/03 ICE-SNEI c/ O.) va considerato principale e quello successivo (R.G. 10431/03 O. c/ ICE-SNEI) incidentale.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Privilegio Speciale Sul Bene Immobile

Motivi della decisione. Con La ricorrente, con il terzo motivo primo motivo, denuncia falsa ed erronea applicazione, dell’art. 67, secondo xxxxx, l. fall., in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., deducendo che il Tri- bunale aveva qualificato come cessioni di credito i negozi aventi ad oggetto la somma di £ 232.679.384 ed afferma- to che il Fallimento non ne aveva chiesto la revoca, of- frendo una qualificazione neppure contestata dall’attore. A suo avviso, la Corte territoriale non avrebbe espresso una precisa posizione sul punto, nel senso che, dopo avere prospettato che la cessione di ricevute bancarie è idonea soltanto a conferire al cessionario un mandato a riscuotere in nome e per conto del ricorsocedente, sia pure in rem propriam, con la conseguenza che la titolarità del credito resta del mandante, con improvvisa «inversione di rotta» ha poi sostenuto che, anche ritenendo sussi- stente una cessione di credito, nella specie mancava la prova dell’anteriorità della data della cessione rispetto al fallimento. Secondo la ricorrente, nella specie sareb- be indubbio che l’incasso della ricevuta bancaria è av- venuto in forza di una cessione del credito, dato che sul punto non vi era contestazione e che sugli stampati ri- lasciati dalla Banca alla società vi era la dicitura «ces- sione pro solvendo». Inoltre, non sussisteva un mero mandato a riscuotere, poiché essa istante provvedeva ad anticipare l’importo delle ricevute bancarie, curando il successivo incasso delle somme dai terzi debitori, co- me risulta dagli estratti conto, i quali evidenziano l’af- fluenza delle somme sul c/c delle somme oggetto di det- te ricevute, al cui esame va data precedenza logicanetto, delle commissioni. Pertanto, nella specie sussistono anche i presupposti della compensazione ex art. 56 l. fall., erroneamente ne- gata dalla sentenza, richiamando la giurisprudenza rife- rentesi alle semplici rimesse sul c/c scoperto, non affida- to. Ne consegue, che i pagamenti per £ 199.472.384 non erano revocabili in difetto della revoca del negozio di cessione del credito, secondo un principio affermato da questa Corte nelle sentenze n. 2936 del 1997 e n. 1295 del 1991. La Banca, con il Bulferetti deduce violazione secondo motivo, denuncia falsa ed er- ronea applicazione dell’art. 2439, 1° comma, 2704 c.c., dolendosi in relazione al- l’art. 360, nn. 3 e 5, c.p.c., sostenendo che la corte sentenza ha escluso la certezza della data delle cessioni di credito, ritenendola non desumibile dalle lettere di cessione, in quanto prive dei caratteri di cui all’art. 2704 c.c.. A suo avviso, si tratterebbe di una affermazione caratte- rizzata da «astrattezza», mentre essa istante, nell’atto di appello abbia attribuito al contratto e nella comparsa conclusionale, aveva invocato anche altri fatti e atti idonei a dare prova della data cer- ta, e cioè gli estratti del conto corrente, che riportavano il numero di sottoscrizione delle azioni distinta di nuova emissione natura consensualepresentazione, vale a dire l’importo accre- ditato e la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto data di valuta. Inoltre, lo stesso curatore ha dato prova della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento certezza della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi data producendo gli estratti conto che, essendo imposta l’immediatezza del versamento richiamando le distinte da essa depo- sitate per provare le cessioni di credito, stabilivano per relationem l’anteriorità della formazione dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto documenti rispetto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fallfallimento.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Mandato E Cessione Di Ricevute Bancarie

Motivi della decisione. Con il terzo primo motivo la ricorrente deduce la violazione di legge e la carenza di motivazione nell’interpretazione del ricorsoconcetto di videogramma adottato nel contratto per identificare l’oggetto dei diritti ceduti. Il motivo è infondato. La stessa parte riconosce che il vocabolo non è consa- crato in una specifica definizione normativa - eventual- mente di natura stipulativa - così da acquisire un signifi- cato legale tipico, nel contesto dei contratti aventi ad oggetto l’utilizzazione economica di un’opera tutelata dal diritto di autore. Al contrario, dalla disamina di vari spunti dottrinari, ol- tre che da disposizioni sparse nella L. 22 aprile 1941, n. 633 (Protezione del diritto d’autore e di altri diritti con- nessi ai suo esercizio), emerge un’anfibologia del voca- bolo, promiscuamente utilizzato ad indicare talvolta il “contenente” - e cioè il supporto materiale che fissa im- magini e suoni dell’opera d’autore - sia il “contenuto”: e cioè, la stessa opera nella sua identità artistica e cultura- le. Da questa premessa concettuale, aderente al cui esame va data precedenza logicadato legisla- tivo, discende come logica conseguenza che rientra negli ordinari canoni ermeneutici la ricostruzione della volon- tà effettiva delle parti contraenti nel disegnare t’ambito ed i limiti del diritto di sfruttamento di films a mezzo vi- deogrammi: ricostruzione, rimessa al prudente giudizio del giudice di merito e non soggetta a sindacato di legit- timità, se non inficiata da violazione di parametri norma- tivi (art. 1362 c.c. e ss.), o da vizio di logicità. Né l’una, né l’altra censura possono muoversi alla deci- sione della Corte d’appello di Roma, che con diffusa motivazione ha messo in evidenza il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.ccarattere onnicom- prensivo dei diritti di utilizzazione concessi dalla Alber- to Grimaldi Production s.a., dolendosi che la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimianaliticamente elencati nell’allegato B) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologicae riportati per esteso in sentenza: incluso il richiamo alla piattaforma “video on demand” - reiterato due volte nel testo negoziale - appa- rentemente riferibile proprio alla comunicazione, o meglio tramite Internet, utilizzata dalla Telecom Italia s.p.a., tramite il suo sito web “(omissis)”. Dev’essere dunque esclusa la immediatezza del dovere forzatura di versamento rispetto alla sottoscrizionealcun parame- tro normativo; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza giudice di merito ci dice però ha pure valorizzato la previsione di chiusura della clausola, inclusiva di “qual- siasi altra forma e modo e di qualsiasi altro mezzo e pro- cesso tecnico, scoperto o che in futuro sarà inventato e per qualsivoglia utilizzazione commerciale, ivi incluso ogni canale di vendita diretta o indiretta (ad es., ... tramite piattaforma video on demand ...)”, rilevandone l’ampiezza incompatibile con i pretesi limiti del diritto di utilizzazione legati al mezzo tecnico adottato. Al riguardo, si può anche aggiungere che così facendo la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingerecorte ha implicitamente richiamato il parametro legale di cui all’art. 1365 c.c.; oltre a locuzioni sparse nella stessa legge sul diritto d’autore, sul presupposto a conferma dell’eclettismo semantico del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contrattotermine videogramma, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari spesso usato in ac- cezione contenutistica (art. 150 l. fall.71 sexies: “È consentita la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto ...; art. 171, secondo cui è punito co- lui che “... a) abusivamente duplica... con qualsiasi pro- cedimento, ogni altro supporto contenente fonogrammi o videogrammi di opere cinematografiche o audiovisi- ve...”). Fuori dell’ambito rigoroso della violazione dei criteri le- gali di interpretazione e del vizio di logicità - entrambi assenti - la prospettazione di una tesi ermeneutica alter- nativa, mediante argomentazioni contrapposte (di natura retorica, in senso tecnico- giuridico) attiene, in ultima analisi, al merito; e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interpretequindi oggetto di rie- same in questa sede. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 24391362 c.c. e ss., ricavabili dall’ipotesi nonché la carenza di motivazione nell’interpretazione del contratto. Il motivo ripercorre in gran parte l’iter argomentativo te- sté vagliato. L’unico argomento davvero aggiuntivo riguarda la pre- tesa violazione del canone ermeneutico di cui all’art. 1363 c.c. (Interpretazione complessiva delle clausole): violazione, che discenderebbe dall’omessa valorizzazio- ne della clausola limitativa del territorio in cui si poteva svolgere l’utilizzazione economica dell’opera (Italia, Città del Vaticano, San Marino, navi e aerei battenti bandiera nazionale). L’argomento, peraltro, non identicaè punto decisivo, e nondimeno per molti aspetti parallelaperché la possibilità di un abuso nell’utilizzazione del programma oltre tali confini, col sistema video on demand, (abuso, materialmente realizzabile, del versamento resto, anche con i sup- porti materiali cui sicuramente si riferiva la cessione dei tre decimi al momento diritti) non vale a rendere necessitata l’interpretazione proposta: dando luogo, in ipotesi, ad un’inadempienza contrattuale della costituzione concessionaria, suscettibile di sanzio- ne. Resta il fatto che la previsione espressa del sistema di- stributivo indicato con l’acronimo “vod” (video on de- mand) corrisponde alla modalità di sfruttamento dei films in questione attuata dalla Telecom Italia tramite il portale “(omissis)”: e cioè all’acquisizione, da parte di clienti, della società (artvisione, a richiesta, di opere facenti parte del catalogo, senza programmazione predefinita. 2329Il terzo motivo, n. 2con cui si denunzia la violazione di leg- ge e la carenza di motivazione nel ritenere di scarsa im- portanza l’inadempimento dell’obbligo di rendiconto semestrale, c.c.)è inammissibile, risolvendosi in una diffor- me valutazione degli elementi di fatto apprezzati dalla corte territoriale, con motivazione adeguata, immune da vizi logici: fondata sul rilievo che il rendiconto era stru- mentale all’eventuale corrispettivo aggiuntivo in caso di superamento del volume predefinito di fatturato. Intanto Né del resto la parte ha allegato, nei ricorso, di aver sol- lecitato l’adempimento, nel corso del biennio di durata del rapporto contrattuale: così da dimostrare un interesse attuale, non generico, all’acquisizione dei dati, indipen- dentemente da alcuna finalità specifica. Il ricorso è dunque infondato e va rilevato che, allorquando respinto. L’obiettiva incertezza della controversia giustifica la compensazione delle spese della fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento legittimità. (c.d. costituzione non simultaneaomissis), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Licensing Agreements

Motivi della decisione. Con il terzo primo motivo del ricorsoricorso lo S., deducendo viola- zione e falsa applicazione dei principi generali della lealtà e buona fede con riferimento all’abuso del diritto nell’e- sercizio del recesso ad nutum previsto dall’accordo nazio- nale agenti, formula il seguente quesito di diritto: “se, nell’ipotesi in cui la legge o un accordo collettivo … pre- vedono una clausola che riconosca a un contraente il di- ritto di recedere ad nutum dal contratto, spetti al giudice, in presenza di una inconfutabile disparità di forze fra i contraenti, valutare dal punto di vista giuridico e da quello extragiuridico, in modo ampio e rigoroso, se l’eser- cizio del recesso e le modalità con cui esame va data precedenza logicaè attuato integrino o meno l’ipotesi di abuso del diritto al fine di riconoscere l’eventuale diritto al risarcimento del danno”. Con la seconda censura il ricorrente, denunciando omessa, insufficiente e contradditoria motivazione, for- mula, ex art. 366-bis c.p.c., il Bulferetti deduce seguente interpello: “se l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo e controverso per il giudizio, quale la ricorrenza dell’abuso di diritto, possa essere rav- visata nell’avere la Corte di appello erroneamente con- siderato l’abuso del diritto speculare agli atti emulativi”. Con la terza critica il ricorrente, allegando omessa, in- sufficiente e contraddittoria motivazione, chiede, ex art. 366-bis c.p.c.: “se l’omessa, insufficiente o contradditto- ria motivazione circa un punto decisivo e controverso per il giudizio, quale la configurabilità dell’abuso di di- ritto, possa essere ravvisata nell’aver la Corte d’appello valutato i fatti di causa in modo illogico”. Con il quarto motivo lo S., assumendo erroneo rigetto delle prove orali, chiede, ai sensi del richiamato art. 366- bis c.p.c.: “se, in presenza di atti compiuti nell’ambito dell’autonomia contrattuale di una parte, non aventi, di per sé stessi, carattere illecito, abbia rappresentato un er- ror in procedendo il rigetto delle prove orali volte a indivi- duare la configurabilità dell’abuso del diritto e della con- seguente lesione cagionata all’altra parte del contratto”. Con la quinta censura, il ricorrente, deducendo erroneo rigetto dell’ordine di esibizione, chiede, sempre ex art. 366-bis c.p.c.: “se in presenza di contestazioni sulla mo- tivazione (peraltro non richiesta) del recesso ad nutum, abbia rappresentato un error in procedendo il rigetto del- l’istanza volta a ordinare l’esibizione ex artt. 210 e/o 212 c.p.c. di quei documenti che avrebbero potuto escludere la sussistenza di detta motivazione così da far desumere la configurabilità dell’abuso del diritto nell’e- sercizio del recesso ad nutum”. Con la sesta critica il ricorrente, prospettando violazione dell’art. 2439, 1° comma, 1750 c.c., dolendosi dell’art. 13 comma 4 lett. g dell’accor- do nazionale agenti e dell’art. 1753 c.c., articola il se- guente interpello: “se nell’ipotesi in cui la legge (art. 1750 c.c.) preveda un meccanismo di quantificazione dell’indennità sostitutiva del preavviso in concreto più favorevole all’agente rispetto al meccanismo indicato da un accordo collettivo (art. 13 dell’accordo nazionale agenti) debba essere riconosciuta la prevalenza della di- sciplina codicistica sulla contrattazione collettiva”. Preliminarmente va rilevato che le censure, alla stregua di conforme giurisprudenza di questa Corte, vanno valu- tate alla stregua della formulazione del quesito di dirit- to, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo (Cass., sez. un., 11 marzo 2008, n. 6420, nonché per tutte Cass., sez. un., 5 luglio 2011, n. 14661). Tanto precisato e passando all’esame delle varie censu- re, mette conto osservare che il primo motivo, con il quale si chiede se spetta al giudice di valutare se l’eser- cizio del recesso e le modalità con cui è attuato integri- no o meno l’ipotesi di abuso di diritto, è infondato. Infatti la corte Corte del merito valuta con diffusa argomenta- zione la non configurabilità dell’abuso del diritto rispetto all’esercizio e alle modalità con cui è stato esercitato il di- ritto di appello abbia attribuito al contratto recesso da parte delle compagnie di sottoscrizione delle azioni assicurazione. Va peraltro annotato che non è ravvisabile abuso del diritto nel solo fatto che, perseguendo un risultato in sé consentito attraverso strumenti giuridici adeguati e le- gittimi, una parte non tuteli gli interessi dell’atra in se- de di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione esecuzione del consensocontratto, essendo necessario, inve- ce, che il versamento diritto soggettivo sia esercitato con modalità non necessarie e irrispettose del controvalore dovere di correttezza e buona fede, causando uno sproporzionato e ingiustifica- to sacrificio della controparte contrattuale, e al fine di conseguire risultati diversi e ulteriori rispetto a quelli per i quali quei poteri o facoltà furono attribuiti (ivi compresa per tutte v. da ultimo Xxxx. 29 maggio 2012, n. 8567). A tale regula iuris la quota Corte del merito si è rigidamente attenuta accertando che il recesso non motivato è con- sentito dalla legge, la comunicazione dello stesso è av- venuta secondo buona fede e correttezza e l’avviso ai clienti era doveroso. Né risulta dedotto, come sottolineato dalla Corte di- strettuale, che le compagnie miravano a conseguire fini diversi e ulteriori a quelli per i quali i poteri di recesso risultano attribuiti. Anche il secondo motivo e il terzo, concernenti rispet- tivamente la pretesa confusione fra abuso del diritto e atti emulativi e la valutazione illogica del diritto, sono infondati. L’atto emulativo presuppone, infatti, che l’at- to di esercizio del diritto sia privo di utilità per chi lo compie e sia posto in essere al solo scopo di nuocere o di recare molestia ad altri ed è, quindi, evidente che una volta accertato da parte della Corte del merito che gli atti di cui si tratta costituiscono esercizio di un dirit- to-potere attribuito dalla legge e dall’accordo collettivo e che non vi è stato nell’esercizio di tale diritto-potere violazione dei tre decimi) adempimento doveri di buona fede e correttezza nonché il perseguimento di scopi diversi da quelli per i quali ta- le diritto-potere è riconosciuto non è configurabile al- cun atto emulativo. Analoghe considerazioni valgono, come rilevato innanzi, per l’abuso del contratto stesso diritto. Tanto comporta che contrariamente a quanto assunto da parte ricorrente non vi è stata la dedotta confusione fra abuso del diritto e quindi suo momento esecutivoatto emulativo né illogicità nella valutazione dei fatti di causa ai fini dell’identificazione dell’abuso di diritto. La quarta censura relativa alla mancata ammissione del- le prove testimoniali e la quinta concernente l’ordine di esibizione sono inammissibili. Infatti ambedue i motivi sono privi del requisito di autosufficienza non essendo riportati i capitoli di prova di cui si denuncia la mancata ammissione e non essen- do precisato in quale atto e con quali modalità è stato richiesto l’ordine di esibizione. L’ultimo motivo, afferente la questione della prevalenza, per la quantificazione dell’indennità di preavviso, della di- sciplina codicistica rispetto a quella collettiva non essen- do questa di maggior favore, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo è scrutinabile atteso che il ricorrente, in violazione del principio di autosufficienza, non trascrive nel ricorso il fatto testo della clausola collettiva di cui sostiene la previsione di un’indennità inferiore a quella che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera risulterebbe dall’applicazione dell’art. 2439, 1° comma, 1750 c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che In conclusione il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, eccricorso va rigettato.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Contratto Di Agenzia

Motivi della decisione. (omissis) Con il terzo motivo addotto a sostegno del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.c., dolendosi ricorso principale W. L. e T. V. lamentano che la corte Corte di appello abbia attribuito «ha applicato il disposto dell’articolo 1478 Cc anziché quanto previsto dall’articolo 1479 Cc», pur se «al contratto di momento della sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso preliminare di compravendita la Sig.ra P. M. non aveva messo a conoscenza i promittenti acquirenti che l’immobile fosse di proprietà di altri» e quindi suo momento esecutivoin tali casi «è possibile per il compratore chiedere la risoluzione del contratto salvo che il venditore non abbia, nel frattempo, acquistato la proprietà della cosa», mentre «nella fattispecie ciò era tanto più importante perché esistevano, come è stato riconosciuto da tutti i tenti, problemi di esercizio del diritto di prelazione da parte di terzi, con la conseguenza che i ricorrenti non già elemento avrebbero più avuto la garanzia da parte del loro originale contraddittore e promittente venditore». Secondo i ricorrenti principali, pertanto, M. P. avrebbe dovuto acquistare lei stessa l’immobile in questione e poi trasferirlo a loro, sicché legittimamente avevano rifiutato di farselo alienare direttamente dagli effettivi proprietari, per il tramite della sua formazionestessa P. in veste di loro procuratrice. In realtàordine alle modalità di adempimento dell’obbligazione assunta dal promittente venditore di una cosa altrui, secondo il ricorrentenella giurisprudenza di legittimità è insorto un contrasto, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questionecui composizione la causa è stata assegnata alle Sezioni unite. In prevalenza, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa questa Corte si è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (orientata nel senso che la sottoscrizione re perficiturprestazione può essere eseguita, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento)indifferentemente, acquistando il bene e ritrasmettendolo al promissario, oppure se essa più semplicemente implichi chefacendoglielo alienare direttamente dal reale proprietario, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimiin quanto l’articolo 1478 Cc ‑ relativo al contratto definitivo di vendita di cosa altrui, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto ma applicabile per analogia anche al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi preliminare dispone che il venditore «è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece obbligato a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi procurarne l’acquisto al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versaticompratore», il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già può ben avvenire anche facendo al che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della societàterzo, non si vede perchéal quale il bene appartiene, in difetto di vincoli letteralilo ceda egli stesso al promissario (v., dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumentotra le più recenti, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasioneCassazione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione13330/00, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi2656/01, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque15035/01, anche per l’art. 243921179/04, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata24782/05).

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Samples: Dispensa Di Diritto Civile

Motivi della decisione. Con l’unico motivo formulato il terzo motivo del ricorsoC., al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione denunciando viola- zione e/o falsa applicazione dell’art. 2439184 c.c. ed insuffi- ciente e contraddittoria motivazione, 1° commaassume che la tesi del giudice di appello - secondo cui l’operatività dell’art. 184 c.c. sarebbe esclusa sia nel caso in cui il bene oggetto di comunione legale tra i coniugi risulti intestato ad en- trambi, sia nel caso in cui l’atto dispositivo del bene sia stato posto in essere dal solo coniuge non intestatario - non può essere condivisa sotto diversi profili. Il ricorrente rileva anzitutto che il testo dell’art. 184 c.c. non autorizza a distinguere tra atti concernenti beni inte- stati nei registri immobiliari esclusivamente al coniuge disponente da un lato, ed atti concernenti beni intestati alla comunione coniugale ovvero non intestati al dispo- nente dall’altro, considerato che gli artt. 177 e ss. c.c., dolendosi a differenza di quanto attiene alla comunione ordinaria, fanno riferimento ai beni della comunione coniugale in- dipendentemente dalla loro formale intestazione; né ciò appare in contrasto con il principio della continuità del- le trascrizioni, poiché, quando i coniugi operano con- giuntamente, risulta disponente del bene anche il coniu- ge non indicato nell’atto di provenienza; inoltre, poiché in caso di acquisto di un bene operato da uno solo dei co- niugi in regime di comunione l’acquisto opera automati- camente anche a vantaggio dell’altro, non si comprende perché lo stesso principio non debba valere anche nel ca- so di disposizione del bene medesimo. Il ricorrente evidenzia poi l’infondatezza dell’ulteriore as- sunto della Corte territoriale secondo cui la sottoscrizio- ne del preliminare suddetto da parte del solo T.F. non in- testatario formale comporterebbe l’inefficacia dell’atto, e non la semplice azione di annullamento ex art. 184 c.c., anche per la ragione che il coniuge intestatario non sa- rebbe stato in grado di conoscere l’atto e di attivarsi quin- di nel termine di un anno di cui all’art. 184 c.c.; invero il giudice di appello è incorso nell’equivoco di considerare il momento dai quale decorre il suddetto termine coinci- dente con la stipula dell’atto, laddove invece esso decor- re dal momento in cui il coniuge pretermesso ha effettiva conoscenza dell’atto e, in via sussidiaria, entro un anno dalla trascrizione. Il C. inoltre, sottolineando che l’art. 184 c.c. si limita a prevedere solo l’annullabilità (o la convalida) dell’atto di disposizione dell’intero bene da parte del singolo coniuge a richiesta del coniuge pretermesso, afferma che la corte norma suddetta presuppone la piena efficacia dell’atto di appello abbia attribuito al contratto dispo- sizione dell’intero immobile fin dall’origine, nell’ambito di sottoscrizione delle azioni una scelta legislativa di nuova emissione natura consensualebilanciamento della tutela da un lato della posizione del coniuge pretermesso e dall’al- tro del terzo acquirente. La censura è fondata. La sentenza impugnata ha affermato che, vale a dire poiché il con- tratto preliminare del 24 giugno 1996 riguardante un im- mobile oggetto di comunione legale tra i coniugi T.F. ed L. E. era stato stipulato dal solo marito, non intestatario del bene, si versava in una ipotesi non già di annulla- mento dell’atto ex art. 184 c.c., non essendo la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso parte in- teressata in grado di conoscerlo e quindi suo momento esecutivodi attivarsi nel termine annuale ivi previsto, non già elemento ma di sua inefficacia; a tal riguardo ha considerato tale caso assimilabile a quello di immobile che, pur appartenente alla comunione legale, sia intestato ad entrambi i coniugi, dove pure si determi- nerebbe una situazione di inefficacia dell’atto, xxxxxx- mando a conforto di tale assunto - secondo cui quindi l’art. 184 c.c. troverebbe applicazione solo nell’ipotesi di atto compiuto, nonostante il regime di comunione lega- le, dal coniuge intestatario del bene stesso - la pronuncia di questa Corte 2 febbraio 1995 n. 1252. Tale convincimento è frutto di un errata interpretazione dell’art. 184 c.c. ed anche di un palese fraintendimento della sua formazionesentenza ora menzionata, che invero ha affermato un principio di diritto del tutto diverso rispetto a quello sostenuto dalla Corte territoriale. In realtàMuovendo dunque con tale ultimo rilevante profilo, secondo è be- ne sottolineare che con tale pronuncia si è ritenuto che in tema di comunione legale tra i coniugi tutto gli atti di di- sposizione di beni immobili o beni mobili registrati appar- tenenti alla comunione legale, compiuti da un solo coniu- ge senza il ricorrentenecessario consenso dell’altro, ovverosia in vio- lazione della regola dell’amministrazione congiunta, sono validi ed efficaci e sottoposti alla sola sanzione dell’annul- lamento ai sensi dell’art. 184 c.c. in forza dell’azione pro- ponibile dal coniuge (il cui consenso era necessario) entro i termini previsti dalla stessa norma, ed ha cassato la sen- tenza del giudice di merito, il fatto quale aveva ritenuto che l’annullabilità prevista dall’art. 184 c.c. riguarderebbe la sola ipotesi in cui l’atto di disposizione sia compiuto dal coniuge che risulti unico intestatario del bene. Occorre poi evidenziare che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti motivazione della pronun- cia 2 febbraio 1995 n. 1252 di questa Corte offre esaurien- ti e convincerti argomentazioni a costituire adempimento sostegno de principio di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, diritto sopra enunciato; è stato invero ivi affermato in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi par- ticolare che, essendo imposta l’immediatezza del versamento a differenza della comunione ordinaria, la co- munione legale tra i coniugi prescinde rigorosamente dal dato della intestazione formale dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.)beni, e che d’altra par- te, se le risultanze dei registri immobiliari sono indifferen- ti per quanto attiene all’accertamento circa l’appartenen- za dei beni alla comunione legale, è del tutto arbitrario af- fermare che la risposta norma in esame non riguardi qualsiasi atto, ma soltanto gli atti concernenti i beni intestati nei registri immobiliari al coniuge disponente. Rilevato poi che, in mancanza di espresse disposizioni de- rogatorie, gli effetti della disposizione dell’intera cosa co- mune nella comunione tra i coniugi soggiacciono alle stesse regole stabilite per la comunione ordinaria, e che nessun argomento autorizza a ritenere che l’art. 184 c.c. preveda che gli atti di disposizione posti in essere da uno solo dei coniugi siano soggetti a sanzioni diverse dalla an- nullabilità e, quindi, sottoposti ad una disciplina diversa, la sentenza impugnata ha concluso che tale norma, per l’esigenza di tutelare la rapidità e la certezza della circola- zione dei beni in regime di comunione legale, disciplina il conflitto tra il terzo ed il coniuge pretermesso in modo più favorevole al primo, con il regime degli effetti ten- dente alla conservazione del negozio. Alla luce di tali considerazioni si deve concludere che il convincimento della sentenza impugnata in ordine alla asserita inefficacia dell’atto di disposizione di un immobi- le oggetto di comunione legale tra i coniugi da parte del coniuge non intestatario del bene appare sprovvisto di ogni aggancio positivo ed in contrasto con il sistema di circolazione dei beni in regime di comunione legale co- me sopra delineato; del resto l’orientamento consolidato di questa Corte esclude una disciplina differenziata per tale ipotesi, ritenendo che, in regime di comunione lega- le tra i coniugi, il contratto preliminare di vendita di be- ne immobile stipulato da un coniuge senza la partecipa- zione o il consenso dell’altro è soggetto alla disciplina dell’art. 184 c.c., comma 1, e non è pertanto inefficace nei confronti della comunione, ma solamente esposto al- l’azione di annullamento da parte del coniuge non con- senziente, nel senso breve termine prescrizionale entro cui è ri- stretto l’esercizio di tale azione, decorrente dalla cono- scenza effettiva dell’atto, ovvero, in via sussidiaria, dalla trascrizione o dallo scioglimento della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegnocomunione (Cass. 21 dicembre 2001 n. 16177; Cass. 11 giugno 2010 n. 14093). In mancanza definitiva in accoglimento del ricorso la sentenza im- pugnata deve essere cassata, e la causa deve essere rinvia- ta da altra sezione della Corte di sicuri indici formaliAppello di Torino che deciderà la controversia in conformità del principio di di- ritto sopra enunciato e che provvedere anche alla pro- nuncia sulle spese del presente giudizio. La Cassazione ribadisce, a distanza di diciassette anni dal suo precedente del 1995, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato l’azione di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (annulla- mento ex art. 2329184, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera primo e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° secondo comma, c.c.) il x.x. xxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxxxx xx xxxx xx xxxxxxxxxx- xxx amministrazione compiuto da un coniuge su beni della comunione in assenza del necessario consenso dell’altro. Viene così ulteriormente smentita la tesi, proposta da una parte della dottrina, che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più voleva ricon- durre la fattispecie al generale rimedio della radicale inefficacia gli atti dispositivi (e, più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realitàstra- ordinaria amministrazione) nel caso dei tre decimi il disponente non risultasse intestatario del bene sui pubblici registri im- mobiliari, o vi risultasse intestatario con il coniuge in sede comunione, laddove la speciale ipotesi di aumentoannullamen- to di cui alla norma in materia di comunione avrebbe trovato applicazione nella sola situazione di esclusiva intestazione del bene in favore del disponente stesso. La decisione si pronuncia però anche sull’applicabili- tà dell’art. 184 cit. al preliminare di vendita, posto mentre non affronta una serie di questioni di un certo interesse, che quest’ultima soluzione non trova conforto né pure la fattispecie in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnataesame pone all’attenzione dell’interprete.

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Samples: Azione D’annullamento Ex Art. 184 c.c.

Motivi della decisione. Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell'art. 335 c.p.c.. Con il terzo primo motivo del ricorsoricorso principale C. ed D. A. denunciano violazione della L. n. 47 del 1985, art. 17 e art. 40, commi 2 e 3, in relazione agli artt. 1418 e 2932 c.c. ed agli artt. 100, 112 e 345 c.p.c., nonchè vizi di motivazione. Sostengono le ricorrenti principali che la dichiarazione giurata prodotta nel giudizio di xxxxxxx, in quanto proveniente da soggetto diverso dal "proprietario o altro avente titolo, è stata erroneamente considerata idonea a rimuovere l'impedimento alla trasmissione del bene immobile in questione. La corte di appello è incorsa in un fraintendimento delle disposizioni di cui alla L. n. 47 del 1985, art. 40, comma 3 e 4, riferendosi genericamente al cui esame va data precedenza logicadetto articolo laddove il C. nell'atto di appello aveva fatto riferimento al quarto comma e all'istituto della conferma successiva unilaterale dell'atto nullo incompatibile con il giudizio ex art. 2932 c.c.. La dichiarazione de qua, il Bulferetti deduce violazione dell’artnon attiene poi alla sfera "probatoria" del giudizio, ma costituisce un requisito essenziale dell'atto di trasferimento e quindi della sentenza ex art. 2439, 1° comma, 2932 c.c., dolendosi che sicché la sua produzione tardiva in appello, integrando un presupposto necessario esterno per la validità dell'atto, determina una inammissibile domanda nuova in appello, rispetto a quella proposta in primo grado senza tale documento e quindi diversa. Il motivo non è fondato. Innanzitutto va rilevata l'infondatezza delle asserite violazioni degli artt. 112 e 345 c.p.c., per aver la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di accolto la domanda del C. per un motivo in diritto diverso da quello dedotto dall'appellante e per aver inoltre accolto una domanda nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata proposta per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene in grado di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici appello. In proposito va evidenziato che dalla lettura degli atti processuali - attività consentita in questa sede di merito nella presente controversia (e già, legittimità attesa la natura in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v.procedendo del vizio denunciato - e, in particolare, sent. 639/76dell'atto di appello così come articolato dal C. risulta evidente che quest'ultimo con il detto atto di gravame non si limitò a chiedere la riforma della impugnata sentenza del tribunale facendo riferimento solo alla conferma successiva unilaterale dell'atto nullo e alla previsione normativa dettata "dalla L. n. 47 del 1985, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come 40" (non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto applicabile al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (giudizio promosso ex art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, 2932 c.c.), che è ma espressamente dichiarò anche di produrre la documentazione relativa alla realizzazione dell'immobile oggetto di compravendita in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (data anteriore all'1/9/1967 in tal modo rimuovendo - indipendentemente da quanto disposto dal menzionato "della L. n. 47 del 1985, art. 233240, 3° commacomma 4" - "l'impedimento che, secondo la sentenza impugnata avrebbe impedito il trasferimento ai sensi dell'art. 2932 c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono ". La corte di appello correttamente ha preso in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è esame la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.detta richiesta come formulata dal

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Samples: Contratto Di Locazione

Motivi della decisione. La controricorrente ha dedotto la inammissibilità del ricorso, risultandovi indicato un codice fiscale non corrispondente a quello di parte ricorrente. Oltre che speciosa, l’eccezione è del tutto inconsistente. L’errata indicazione del codice fiscale nell’atto introduttivo del giudizio, peraltro non prevista da alcuna disposizione del codice di rito, non può non avere alcun effetto invalidante l’atto medesimo sotto il profilo della identificazione del suo autore. Del resto, anche l’omessa o erronea indicazione dei requisiti di cui all’articolo 143 comma 1 Cpc produce nullità (e non certo inammissibilità) soltanto se comporti l’impossibilità di identificare con sicura certezza il postulante (Cassazione 3745/94, 2895/97). Senza considerare, poi, che qualunque ipotetica nullità dell’atto ricorso, riconducibile a quelle previste e regolate dall’articolo 164 Cpc, comma 1, sarebbe stata nella specie sanata per effetto del raggiungimento dello scopo, identificabile nello svolgimento, da parte della N., di compiute difese nel merito della controversia, per mezzo del tempestivo controricorso. Con il terzo l’unico motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logicadenunziando la violazione degli articoli 143 e 151 Cpc, il Bulferetti deduce G. lamenta che la corte palermitana, al pari del tribunale, ha omesso di valutare comparativamente i comportamenti dei coniugi aifini della dichiarazione di addebito e valorizzato soltanto alcune delle affermazioni da lui fatte in sede di interrogatorio formale. Da quelle pretermesse si sarebbe potuto evincere che la decisione di interrompere ogni rapporto, anche di natura sessuale, con la moglie, pur continuando i coniugi a vivere sotto lo stesso tetto, era stata determinata dalla condotta di quest’ultima. Facendo venire sono l’affectio maritalis, la consorte aveva, infatti, preso le difese del fratello, che, per difendersi dalle proprie responsabilità gestionali, lo aveva ingiustamente accusato di essersi appropriato di somme appartenenti alla cooperativa edilizia che aveva costruito la casa coniugale. Da nessun atto del giudizio, soggiunge il G., era lecito inferire che l’interruzione dei rapporti sessuali fosse stata frutto di una determinazione unilaterale, e ancor meno da ricollegare a una intrapresa relazione adulterina. Il ricorrente imputa, infine, alla corte territoriale di avere ritenuto offensivo per la moglie l’atteggiamento affettuoso da lui tenuto verso una collega d’ufficio, laddove null’altro era emerso in corso di causa se non che egli era solito viaggiare con la donna per recarsi al posto di lavoro e che in un’occasione aveva ritirato presso l’ufficio postale una raccomandata a lei diretta. Il motivo appare inammissibile nella sua formulazione, in quanto, nonostante il richiamo formale a vizi di violazione dell’artdi legge, si risolve in una serie di censure di mero fatto, diretta a contrastare la valutazioni compiute nella sentenza impugnata e a proporre una diversa ricostruzione dei fatti, ed una diversa lettura del materiale probatorio acquisito, del quale si sostiene la idoneità a dimostrare la responsabilità del G. nel fallimento dell’unione coniugale. 2439In particolare, 1° commadiversamente da quanto sostenuto dal ricorrente, la corte di merito non ha affatto disatteso il consolidato orientamento di questa Corte secondo il quale l’indagine sull’intollerabilità della convivenza deve essere svolta sulla base della valutazione globale e comparativa dei comportamenti di entrambi i coniugi, dacchè la condotta dell’uno non può essere giudicata senza un raffronto con quella dell’altro, e solo tale comparazione consente di riscontrare se e quale incidenza esse abbiano rivestito, nel loro reciproco interferire, nel verificarsi della crsi matrimoniale (vedi, tra le altre, Cassazione 14162/01, 279/00, 2444/99, 7817/97, 3511/94, 961/92). Per vero, il giudice a quo ha avviato e condotto la sua indagine proprio seguendo questa prospettiva. Sennonché egli è arrivato alla ineccepibile conclusione che il comportamento provatamente mantenuto dal G., costituendo lesione alla dignità, di donna e di moglie, della N., e non potendo giustificarsi per l’evidente sproporzione, come atto di ritorsione alla dedotta provocazione dell’altro coniuge, era tale da rendere di per se addebitabile la separazione, sottraendosi, quindi, al giudizio comparativo. Ciò in applicazione di altro principio su cui questa Suprema Corte è uniformante orientata. E’ stato infatti più volte affermato che nell’ipotesi in cui i fatti accertati a carico di un coniuge integrino violazione di norme di condotta imperative ed inderogabili, in quanto si traducano nell’aggressione a beni e diritti fondamentali della persona, quali l’incolumità e l’integrità fisica, morale e sociale e la dignità dell’altro coniuge, così superando la soglia minima di solidarietà e di rispetto per la personalità del partner, essi sfuggono ad ogni giudizio di comparazione, non potendo in alcun modo essere giustificati come atti di reazione o ritorsione rispetto al comportamento dell’altro (Cassazione 15101/04, 5397/89, 6256/87, 2809/78). Quindi, la valutazione dei comportamenti dei coniugi effettuata dal giudice a quo è conforme a diritto non potendosi dubitare che il rifiuto, protattosi per ben sette anni, di intrattenere normali rapporti affettivi e sessuali con il coniuge costituisca gravissima offesa alla dignità e alla personalità del partner e situazione che oggettivamente provoca senso di frustrazione e disagio, spesso causa, per come è notorio, di irreversibili danni sul piano dell’equilibrio psicofisico. Consimile contegno, pertanto, configura e integra violazione del dovere di assistenza morale e materiale sancito dall’articolo143 Cc, nella cui nozione sono da ricomprendere tutti gli aspetti di sostegno nei quali, con riferimento anche alla sfera effettiva, si estrinseca il concetto di comunione; si tratta, peraltro, di un dovere che non può non essere il riflesso precettivo di quel legame sentimentale sul quale realmente può reggersi e prosperare il rapporto di coppia. Ove volontariamente posto in essere, il rifiuto alla assistenza affettiva ovvero alla prestazione sessuale non può che costituire addebitamento della separazione, rendendo impossibile all’altro il soddisfacimento delle proprie esigenze di vita dal punto di vista affettivo e l’esplicarsi della comunione di vita nel suo profondo significato. Oltre che condotto secondo corretti criteri giuridici, l’iter arqomentativo espresso dal giudice del merito è privo di mende logiche e sorretto da stringente e esaustiva motivazione. Esso sfugge, pertanto, alle censure mosse dal ricorrente che, come anticipato, pretende di sottoporre al sindacato di questa Corte la valutazione della prova istituzionalmente riservata al giudice del merito. Inammissibile anche sotto altri profili è infine la doglianza riguardante la valenza offensiva asseritamene attribuita dalla corte palermitana all’atteggiamento del G. verso una collega d’ufficio. In proposito, la Corte territoriale, premesso, con argomentazione chiaramente ad abundantiam, che la corrispondente valutazione del primo giudice era sintonica con giurisprudenza di questa Suprema Corte – per la quale la separazione è addebitabile allorquando, in considerazione dei suoi aspetti esteriori, la relazione del coniuge con estranei dia luogo a plausibili sospetti di infedeltà e comporti quindi offesa alla dignità e all’onore dell’altro coniuge – ha solo osservato , in rito, che tale ratio decidendi della pronuncia di prime cure non era stata censurata in modo specifico dal G., limitatosi a rimarcare, con l’atto di gravame, la emersa falsità della circostanza addotta dalla moglie a comprova della relazione extraconiugale (la ricezione a casa della collega di una raccomandata a lei dirett). In più, la corte palermitana ha ritenuto del tutto in conducente la doglianza formulata dall’appellante dacchè, per la stessa sentenza del tribunale, non era stata raggiunta la prova dell’adulterio. Ora tale punto della decisione, come detto essenzialmente attinente al rito, e in particolare alla individuazione del devolutum, non è stato censurato con il ricorso dal G., il quale non può riproporre in questa sede la questione relativa alla (presunta) valutazione anche di quell’aspetto dell’atteggiamento tenuto nei confronti del coniuge. Inoltre, la corte territoriale ha posto a base della statuizione di addebitabilità della separazione, quale causa determinante dell’intollerabilità dell’ulteriore convivenza, esclusivamente il comportamento del G., tradottosi nel prolungato rifiuto di avere rapporti sessuali con la moglie, e non certo il contrastante atteggiamento premuroso da costui mantenuto nei confronti di una collega. Il ricorso va in definitiva dichiarato inammissibile. Le spese del presente grado seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 3.100,00, di cui euro 3.000,00 per onorari d’avvocato, oltre alla spese generali e agli accessori di legge. Così deciso in Roma il 24 gennaio 2005. Depositata in cancelleria il 23 marzo 2005. TRACCIA Il costruttore Tizio intende realizzare, su di un suolo di sua proprietà, un complesso immobiliare composto di sei fabbricati, ognuno di cinque piani. Si reca, quindi, presso la banca Alfa e le comunica che intende assicurarsi l’erogazione della somma di dieci milioni di euro; offre in garanzia il credito di pari somma che egli vanta nei confronti del comune di Roma per lavori precedentemente eseguiti. La banca è d’accordo a mettere a disposizione la suddetta somma, ma pretende interessi e provvigione, oltre al patto di utilizzare il credito alla scopo di realizzare la predetta costruzione. Il contratto viene firmato il giorno 20 agosto 2003, con termine previsto il 20 agosto 2005. Tizio nel 2004 chiede l’erogazione della somma di cinque milioni di euro. Il 25 agosto 2005, Tizio si vede recapitare una raccomandata con ricevuta di ritorno dalla banca Alfa, in cui gli viene chiesta la restituzione di dieci milioni di euro più gli interessi sul prestito e per la provvigione. Tizio si reca da un legale. Il candidato rediga motivato parere sulla questione giuridica proposta POSSIBILE SCHEMA DI SOLUZIONE In premessa poteva essere utile ricostruire sinteticamente il fatto. Successivamente era necessario inquadrare giuridicamente il fatto narrato nell’ambito del contratto di apertura di credito, ex art. 1842 c.c., dolendosi che la corte in quanto si tratta di appello abbia attribuito al una “messa a disposizione”. La banca Alfa si obbliga a pagare verso Tizio qualsiasi somma di denaro richiesta, nei limiti dei dieci milioni di euro; dal contratto di sottoscrizione delle azioni apertura di nuova emissione natura consensualecredito, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo nasce un vero obbligo imposto sulla banca ed il versamento del controvalore cliente (ivi compresa la quota dei tre decimiTizio) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento vanta un diritto di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattualecredito (in senso tecnico). La ratio somma per cui si conviene l’apertura di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha intesocredito può essere usata liberamente (ad esempio per assumere un’obbligazione verso terzi, realizzando, ad esempio, una fideiussione) ovvero entro determinati limiti (e forme), come nel caso di aumento specie (sulla falsariga del capitalemutuo di scopo, dotare la società da cui l’apertura di credito diverge perché non vi è un trasferimento patrimoniale immediato, ma una messa a disposizione). Generalmente, si dice che gli atti di soli crediti verso utilizzazione non sono atti di esecuzione del contratto di apertura di credito, ma atti autonomi ancorchè collegati al predetto contratto; i sottoscrittoriprelevamenti da parte del cliente, madanno luogo ad un rapporto sostanzialmente di mutuo, almeno per tre decimicui il cliente dovrà corrispondere non gli interessi di fido, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa cortema quelli tipici dei prestiti; id est, chiamata per il denaro prestato effettivamente vi saranno interessi come quelli del mutuo, mentre per la prima volta restante somma messa a risolvere tale questionedisposizione, ritiene ma non effettivamente erogata vi saranno interessi più bassi (detti di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici fido). Nel caso di merito nella presente controversia specie, allora, Tizio sarà tenuto a restituire la somma prelevata pari a cinque milioni, con l’aggiunta degli interessi sulla somma prelevata (interessi corrispondenti a quelli del mutuo classico, perché con il prelievo il cliente realizza sostanzialmente un mutuo, collegato con l’apertura di credito); la provvigione, invece, andrà applicata alla sola somma restante (cinque milioni di euro) a titolo di corrispettivo per il servizio della “messa a disposizione”. Alcune differenze tra apertura di credito e giàfigure molto simili andrebbero ricordate: -l’apertura di credito differisce dal mutuo, come visto, in precedenzaquanto il secondo non comporta una messa a disposizione di una somma di denaro, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto ma un effettivo pagamento al momento della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione conclusione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere tanto che si tratta di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficiturmentre l’apertura di credito è contratto obbligatorio); -l’apertura di credito differisce dalla promessa di mutuo, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori in quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi il primo è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo contratto definitivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino preliminare e, inoltre, ha come scopo finale non il trasferimento di una somma di denaro o di altro bene fungibile, ma solo la creazione a quando favore dell’accreditato di una disponibilità che quest’ultimo può anche non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332utilizzare, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già senza che il contratto si forma solo se essi siano versativenga meno; -l’apertura di credito differisce dal mutuo consensuale, perché questo contratto, autonomo rispetto al mutuo, obbliga il mutuatario a prendere la somma stabilita, mentre l’accreditato non ha alcun obbligo di prelevamento. Se questa è Si consiglia di leggere la situazione positivamente esistente sentenza che segue, seppur non attinente al caso preso in esame per i tre decimi in sede la redazione del parere. -Il contratto di costituzione della societàapertura di credito, qualora risulti già previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, non si vede perché, in difetto richiede la stipula per iscritto a pena di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnatanullità.

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Samples: Dispensa Di Diritto Civile Parte I

Motivi della decisione. Con l'unico mezzo di doglianza la ricorrente censura la denunciata sentenza per vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia e per violazione delle norme di cui alla L. n. 253 del 1950, art. 21, artt. 1453, 1455 e 1571 cod. civ. e, con il terzo motivo quesito di diritto, chiede a questa Corte di stabilire "se l'ospitalità concessa dal conduttore a soggetti ricompresi nel novero delle persone di servizio e/o dei parenti o affini entro il 4^ grado concreta presunzione iuris et de iure volta ad escludere la ricorrenza della fattispecie della sublocazione e/o del ricorsocomodato, fatta salva la eventuale prova di segno contrario, incombente in capo al cui esame va data precedenza logicalocatore il quale, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439senza che possa assumere rilievo alcuno la durata, 1° commain concreto, c.c.del rapporto di ospitalità e/o del concesso diritto di utilizzazione, dolendosi che la corte è tenuto a fornire prova certa ed univoca degli elementi conducenti ai fini della configurazione di appello abbia attribuito al un diverso rapporto sinallagmatico, tale da condurre alla declaratoria di inadempimento del contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, locazione: nel caso di aumento del capitalespecie, dotare devono ritenersi alla stregua di elementi conducenti di segno contrario, rispetto al prospettato inadempimento, la società non circostanza che la conduttrice ha provveduto ad onorare le obbligazioni derivanti dal contratto di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per locazione nonchè la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo circostanza che non al fattoè emerso alcun elemento, per sé liberoneppure a livello indiziario e/o presuntivo, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece idoneo a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino ritenere sussistente la scelta cessione del legislatore godimento in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, favore del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.cterzo".). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Contract of Lease

Motivi della decisione. Con L'ordinanza a seguito della quale la causa è stata assegnata a queste sezioni unite pone la questione se la costituzione del fondo patrimoniale sia o meno una convenzione matrimoniale. L'ordinanza, pur prendendo atto dell'assenza di un contrasto all'interno dell'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui la costituzione del fondo patrimoniale è una convenzione matrimoniale, invita ad una rimeditazione del problema. Osserva l'ordinanza che l'atto con il terzo motivo quale viene costituito il patrimonio familiare non è una convenzione matrimoniale come si rileva dalla constatazione che lo stesso è disciplinato autonomamente nel capo 6^ Libro 1^ del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’artc.c. 2439, 1° comma, e menzionato nell'art. 2647 c.c., dolendosi comma 1. Rileva inoltre l'ordinanza che la stessa natura dell'atto in questione "parrebbe escludere la riconducibilità dello stesso alle convenzioni matrimoniali". Prosegue l'ordinanza che per aderire all'interpretazione fatta propria dalla corte di appello nella sentenza impugnata si dovrebbe accedere "ad una interpretazione estensiva dell'art. 162 c.c. al fine di ricomprendervi qualsiasi negozio che ponga beni appartenenti a persone coniugate in una condizione giuridica diversa da quella propria del regime patrimoniale legale, con conseguente funzione di pubblicità notizia della trascrizione, in quanto il considerare convenzione matrimoniale un atto unilaterale, in ipotesi posto in essere da un terzo, comporterebbe una interpretazione analogica (vietata) e non semplicemente estensiva dell'art. 162 c.c., comma 4". Afferma invece l'ordinanza che l'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale, "avente natura dichiarativa", non può che discendere dalla trascrizione ex art. 2647 c.c. e non dall'annotazione a margine dell'atto di matrimonio ex quarto comma art. 162 c.c.. Diversamente, precisa l'ordinanza, non potrebbe non essere rilevata l'incongruità di un sistema pubblicitario nel quale al terzo acquirente, pur a conoscenza del vincolo gravante sul bene in virtù del controllo nei registri immobiliari, tale vincolo non sarebbe opponibile in quanto non annotato a margine dell'atto di matrimonio. Devono quindi essere esaminate le seguenti questioni: 1) se l'atto di costituzione del fondo patrimoniale di cui all'art. 167 c.c. sia o meno una convenzione matrimoniale ai fini dell'applicabilità della disposizione dell'art. 162 c.c., comma 4; 2) se, data risposta positiva al quesito che precede, l'opponibilità ai terzi dell'atto di costituzione del fondo patrimoniale - avente ad oggetto beni immobili - sia subordinata all'annotazione a margine dell'atto di matrimonio a prescindere dalla trascrizione del medesimo atto imposta dall'art. 2647 c.c.. Ai detti quesiti la corte di appello abbia attribuito al contratto merito ha dato risposta positiva con sentenza che queste sezioni unite devono confermare confermando in tal modo i principi recentemente affermati da questa Corte con la sentenza 25/3/2009 n. 7210 pronunciata dopo la pubblicazione della citata ordinanza delle seconda sezione civile (richiamata ed esaminata nella detta sentenza) e con la quale è stato deciso un ricorso promosso dai coniugi F.- S. sulla base degli stessi quattro motivi prospettati con il ricorso in esame relativo ad una analoga fattispecie. Per quel che riguarda il primo motivo di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire ricorso va innanzitutto rilevata l'inammissibilità - puntualmente eccepita dalla società resistente - della censura con la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per quale i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata menzionati coniugi prospettano per la prima volta in questa sede di legittimità la tesi secondo cui nella specie sarebbe da escludere la sussistenza di una "convenzione matrimoniale" in quanto "nell'atto costitutivo del fondo la presenza dell'altro coniuge sig. F.G. è richiesta per la sola accettazione". Deducono in proposito i ricorrenti che il fondo patrimoniale in questione è stato costituito "con atto unilaterale di uno solo dei coniugi e con beni che rientravano nella sua proprietà esclusiva sicché alla costituzione per atto unilaterale non possono applicarsi sic et simpliciter le norme speciali della pubblicità". Al riguardo è appena il caso di osservare che la detta censura si basa su una questione - costituzione del fondo patrimoniale in esame da parte di uno solo e di entrambi i coniugi - non prospettata nei giudizi di merito. Della detta questione non si fa infatti alcun cenno nella sentenza impugnata nella quale, anzi, nella esposizione in fatto si da atto che i coniugi F.- S. nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado avevano dedotto di aver costituito, con atto del 20/4/1990, un fondo patrimoniale e, nella parte motiva, si premette che con il detto atto S.R. "con l'assenso del marito" aveva costituito il fondo patrimoniale. Sul punto va ribadito il principio pacifico nella giurisprudenza di legittimità secondo cui nel giudizio di cassazione, a risolvere tale questioneparte le questioni rilevabili di ufficio (sulle quali non si sia formato il giudicato), ritiene non è consentita la proposizione di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici doglianze che, modificando la precedente impostazione difensiva, pongano a fondamento delle domande e delle eccezioni titoli diversi da quelli fatti valere nel pregresso giudizio di merito nella presente controversia (e giàprospettino comunque questioni fondate su elementi di fatto nuovi e difformi da quelli ivi proposti. I motivi del ricorso per cassazione devono infatti investire, in precedenzaa pena di inammissibilità, da altri tribunali statuizioni e corti), confermando qualche spunto in tal senso problematiche che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. abbiano formato oggetto del giudizio di appello per cui non può dirsi univoca, possono essere prospettate questioni nuove o nuovi temi di indagine involgenti accertamenti non compiuti perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi richiesti in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi merito. Pertanto ove il ricorrente in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione legittimità proponga una questione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della trattata nella sentenza impugnata, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere (nella specie non rispettato) non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito. Nella specie tale onere non è stato rispettato: nel ricorso non si afferma che essi coniugi nei giudizi di merito avevano sostenuto l'impossibilità di ravvisare nella specie una "convenzione matrimoniale" per essere stato costituito il fondo patrimoniale con atto unilaterale della sola S.. La riportata tesi esposta dai ricorrenti con la parte non è quindi deducibile in questa sede di legittimità perché introduce per la prima volta un autonomo e diverso sistema difensivo che postula indagini e valutazioni non compiute dal giudice di appello perché non richieste.

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Samples: Patto Di Prelazione

Motivi della decisione. Con Posizione dell’ing. M. In assenza di tempestive e specifiche contestazioni ad opera delle parti costituite in ordine all’avvenuta esecuzione, in maniera puntuale e corretta, della prestazione professionale di spettanza dall’ing. X., deve anzitutto essere riconosciuto il terzo motivo del ricorsodiritto dell’attore ad ottenere la remunerazione per l’opera pro- fessionale resa ad oggettivo beneficio dei committenti. Pacifico, al cui esame va data precedenza logicadunque, il Bulferetti deduce violazione dell’artcredito in punto di an debeatur, costituisce oggetto di contestazione l’effettiva titolarità ex latere debitoris della pretesa azionata, avendo i due convenuti sig.ra P.S. e Podere Cetinaglia Spa eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, e dovendosi, in forza del potere giudiziale di riqualificazione giuridica delle domande e delle eccezioni, interpretare l’atto di chiamata in causa del terzo arch. 2439L.N. non quale esercizio di azione di garanzia o “manleva”, 1° commabensì quale “laudatio actoris” (“nell’interpretazione della doman- da, c.c.il giudice del merito, dolendosi secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, non è condizionato dalla formula adottata dalla parte (tra le tante Xxxx. 8036/04, 259/05, 20912/04, 14682/01, 3370/95, 2922/97), dovendo invece individuare l’effettiva volontà della parte e quindi il contenuto sostanziale della pretesa in una alle finalità in concreto perseguite, tenendo conto non solo della volontà espressamente formulata ma anche di quella che possa implicitamente o indirettamente essere desunta dalle deduzioni o dalle richieste, dal tipo e dai limiti dell’azione proposta, dal comportamento processuale assunto”: Cass. n. 20610/11). Come condivisibilmente osservato dal precedente giudice istruttore nell’ordinanza riservata depositata in data 26/04/11, invero, l’eccezione di di- fetto di legittimazione passiva sollevata da ambo i convenuti, lungi dal dare vita ad una questione pregiudiziale di rito attinente ad una condizione dell’azione, costituisce, a ben vedere, una contestazione dell’effettiva titolarità passiva del- la corte pretesa creditoria azionata, ed introduce, pertanto, una questione di appello abbia attribuito al contratto merito. Peraltro, occorre osservare, sul punto discostandosi dalla posizione del prece- dente assegnatario del fascicolo, come nonostante la mancata formulazione di sottoscrizione delle azioni alcuna richiesta da parte attrice direttamente nei confronti della terza chiamata nelle fasi processuali successive all’estensione del contraddittorio, ben potrà questo giudicante esaminare nel merito la pretesa attorea, ritenendola come ri- ferita alla terza chiamata anziché alla convenuta, senza per questo incorrere nel vizio di nuova emissione natura consensualeultrapetizione: ciò in quanto, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione domanda spiegata da parte dei convenuti nei confronti del consensoterzo chiamato, essendo il versamento ha avuto luogo l’automatica estensione al terzo della domanda attorea, di natura contrattuale (Cass. 12317/11: “Il principio dell’estensione automatica della domanda dell’attore al chiamato in causa da parte del controvalore (ivi compresa convenuto trova applicazione al- lorquando la quota dei tre decimi) adempimento chiamata del contratto terzo sia effettuata al fine di ottenere la liberazione dello stesso e quindi suo momento esecutivoconvenuto dalla pretesa dell’attore, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità in ragione del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha intesoterzo s’individui come unico obbligato nei confronti dell’attore ed in vece dello stesso convenuto, il che si verifica quando il convenuto evocato in causa estenda il contraddittorio nei confronti di un terzo assunto come l’effettivo titolare passivo della pretesa dedotta in giudizio dall’attore. Il suddetto principio, invece, non opera allorquando il chiamante faccia valere nei confronti del chiamato un rap- porto diverso da quello dedotto dall’attore come “causa petendi” come avviene nell’ipotesi di chiamata di un terzo in garanzia, propria o impropria” (cfr. anche Cass. n. 5400/13; Cass. n. 25725/09). Ora, nel caso richiedere giudizialmente la remunerazione per l’opera prestata con riferimento alla ristrutturazione dell’immobile de quo, l’ing. M., attore principale di aumento del capitaleentrambe le cause in questa sede riunite, dotare ha individuato, quali soggetti passivi delle proprie spettanze creditorie, la società non Podere Cetinaglia Sas e la sig.ra P.S., pretendendo di soli crediti verso i sottoscrittoridesumere la prova dell’avvenuto conferimento di incarico d’opera professionale da parte di ciascuno dei due convenuti dalla produzione, ma, almeno per tre decimirispettivamente, di risorse una dichiarazione di notifica preliminare in- viata alla USL 7 ai sensi dell’art. 11, DL n. 494/96 e sottoscritta dalla Sas, qualificatasi come committente, nonché dalla pratica sottoscritta dalla sig.ra P.S., qualificatasi come committente, e presentata all’Ufficio regionale del Genio civile ai sensi della L. n. 64/74. Sennonché, a ben vedere, detta docu- mentazione, la cui sottoscrizione non è stata disconosciuta dai convenuti, fornisce unicamente la prova del fatto, del resto già entrate nelle casse socialipacifico, che costoro fos- sero i committenti dei lavori ed i beneficiari dell’opera professionale prestata, ma appare di per sé inidonea a fornire la dimostrazione della sussistenza di una pattuizione intercorsa direttamente tra la committenza e l’attore ed avente quale specifico oggetto il conferimento dell’incarico professionale, nonché la determinazione del compenso: donde, l’impossibilità di ritenere as- solto, da parte dell’attore, l’onere della prova del titolo della pretesa credito- ria ex contracto, su di esso pacificamente incombente (Cass. Questa corteSS.UU. n. 13533/01). Come evincibile dalla lettura dei documenti allegati ai due atti di citazione, chiamata per la prima volta a risolvere tale questioneinfatti, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e giàle comunicazioni inviate agli uffici competenti assolvono all’esclusiva funzione, in precedenzaottemperanza alle pertinenti discipline pubblicistiche, da altri tribunali di rendere edotti gli organi preposti ai controlli in tema di sicurezza e corti)di ri- spetto della normativa in tema di tutela del territorio circa la pendenza di la- vori e l’identità dei committenti, confermando qualche spunto nonché dei soggetti preposti alla progetta- zione, alla direzione dei lavori e alla loro esecuzione, in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato vista dell’assunzione diretta della responsabilità dei soggetti autoqualificati nei confronti delle au- torità di controllo (v.si veda, in particolare, sentl’art. 639/7611, Foro it.Dl. n. 494/96, 1976nel testo vi- gente ratione temporis all’epoca cui risalgono i lavori, Ia tenore del quale “il committente o il responsabile dei lavori, 1233prima dell’inizio dei lavori, trasmette all’Azienda unità sanitaria locale e alla Direzione provinciale del lavoro territo- rialmente competenti la notifica preliminare elaborata conformemente all’allegato III nonché gli eventuali aggiornamenti (...)”, contenente, tra l’altro, “Committente (i) nome (i) e indirizzo (...) Responsabile (i) dei lavori, (nome (i) e indirizzo (...); Coordinatore (i) per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la progettazione dell’opera (nome (i) e indirizzo (...), Coor- dinatore (i) per quanto riguarda la sicurezza e la salute durante la realizza- zione dell’opera (nome (i) e indirizzo (...)”). La lettera dell’artTuttavia, altro è la prova dell’effettivo svolgimento della prestazione profes- sionale di coordinatore della sicurezza e di progettista, ed altro, invece, la di- mostrazione diretta dell’avvenuta stipula di un contratto d’opera professionale comprensivo di tutti gli elementi essenziali del modello legale di cui all’art. 24392230 c.c.. Dimostrazione, 1° commain effetti, c.cmancata ad opera dell’attore, non essendo emersa la prova della stipulazione da altre risultanze documentali, né tantome- no dalle risultanze delle audizioni testimoniali, dalle quali è evincibile soltanto la conferma dell’effettivo svolgimento di attività nel cantiere da parte dell’ing. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto M. (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: artcfr. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poideposizione teste A., il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.cquale dichiara di avere ricevuto direttive dall’ing.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Prestazione D’opera Intellettuale

Motivi della decisione. In quanto proposte contro la stessa sentenza, le due impugnazioni vanno riunite in un solo processo, in applicazione dell'art. 335 c.p.c.. Con il terzo motivo addotto a sostegno del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, ricorso principale La Xxxxx Xxxxxxxxx e Xxxxxx Xxxxx lamentano che la Corte di appello "ha applicato il Bulferetti deduce violazione dell’artdisposto dell'art. 2439, 1° comma, 1478 c.c. anzichè quanto previsto dall'art. 1479 c.c.", dolendosi che la corte di appello abbia attribuito pur se "al contratto di momento della sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso preliminare di compravendita la sig.ra Profeti Xxxxxxx non aveva messo a conoscenza i promittenti acquirenti che l'immobile fosse di proprietà di altri" e quindi suo momento esecutivoin tali casi "è possibile per il compratore chiedere la risoluzione del contratto salvo che il venditore non abbia, nel frattempo, acquistato la proprietà della cosa", mentre "nella fattispecie ciò era tanto più importante perché esistevano, come è stato riconosciuto da tutti i testi, problemi di esercizio del diritto di prelazione da parte di terzi, con la conseguenza che i ricorrenti non già elemento avrebbero più avuto la garanzia da parte del loro originale contraddittore e promittente venditore". Secondo i ricorrenti principali, pertanto, Profeti Xxxxxxx avrebbe dovuto acquistare lei stessa l'immobile in questione e poi trasferirlo a loro, sicché legittimamente avevano rifiutato di farselo alienare direttamente dagli effettivi proprietari, per il tramite della sua formazionestessa Profeti in veste di loro procuratrice. In realtàordine alle modalità di adempimento dell'obbligazione assunta dal promittente venditore di una cosa altrui, secondo il ricorrentenella giurisprudenza di legittimità è insorto un contrasto, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questionecui composizione la causa è stata assegnata alle sezioni unite. In prevalenza, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa questa Corte si è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (orientata nel senso che la sottoscrizione re perficiturprestazione può essere eseguita, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento)indifferentemente, acquistando il bene e ritrasmettendolo al promissario, oppure se essa più semplicemente implichi chefacendoglielo alienare direttamente dal reale proprietario, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimiin quanto l'art. 1478 c.c. - relativo al contratto definitivo di vendita di cosa altrui, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto ma applicabile per analogia anche al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi preliminare - dispone che il venditore "è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece obbligato a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi procurarne l'acquisto al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versaticompratore", il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già può ben avvenire anche facendo sì che il contratto si forma solo se essi siano versatiterzo, al quale il bene appartiene, lo ceda egli stesso al promissario (v., tra le più recenti, Xxxx. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società6 ottobre 2000 n. 13330, non si vede perché23 febbraio 2001 n. 2656, in difetto di vincoli letterali27 novembre 2001 n. 15035, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento5 novembre 2004 n. 21179, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata24 novembre 2005 n. 24782).

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Samples: Preliminary Agreement

Motivi della decisione. Con In ordine al petitum principale, ovvero alla richiesta di corresponsione dell’importo finanziato da restituire alla società Plusvalore, in via preliminare si deve operare il terzo motivo “distinguo” tra le due distinte fattispecie contrattuali che investono la controversia in esame, invero il contratto di somministrazione stipulato tra il sig. Barison e la società Nettare S.r.l. e il contratto di finanziamento, meglio noto come “contratto di credito al consumo” ma pur sempre riconducibile all’alveo dell’articolo 1813 del ricorsocodice civile, stipulato tra il sig. Barison e la società mutuante “Plusvalore”. Alla luce delle disposizioni vigenti in materia di credito al consumo, previste dal decreto legislativo n.206 del 6 settembre 2005 , c.d. “Codice del Consumo”che rinvia, per quanto in esso non previsto, al Testo Unico Bancario di cui esame va data precedenza logicaal decreto legislativo n.385 del 1 settembre 1993, ai due rapporti negoziali, che coinvolgono parti contraenti solo parzialmente coincidenti, se ne aggiunge un terzo di natura “interna”, che lega il fornitore del servizio alla società finanziaria e noto nella prassi del settore come “accordo di convenzionamento” previsto dalla disciplina in materia di finanziamento finalizzato (e non personale) che si concretizza quando l’importo del finanziamento viene versato dalla società finanziaria direttamente al fornitore del servizio a fronte del quale il corrispettivo viene versato a rate dal consumatore. Tanto premesso, pur sussistendo in linea logica un’indubbia correlazione causale tra il finanziamento finalizzato all’installazione dell’impianto e l’erogazione del servizio richiesto, giuridicamente si può sostenere che non sussista alcun collegamento negoziale tra il contratto di somministrazione e quello di finanziamento (Tribunale di Torino, sez. III, 11 settembre 2007). In via generale, il Bulferetti deduce violazione dell’artconsumatore che stipula un contratto di “credito al consumo” (finanziamento finalizzato) per la fruizione di un servizio non può rifiutare alla società finanziaria il pagamento delle rate a fronte della mancata erogazione del servizio da parte dell’operatore. 2439Pertanto, 1° commail consumatore è tenuto al pagamento dell’intero importo anticipato dalla società finanziaria con la facoltà di rivalersi successivamente nei confronti del fornitore del servizio per la sua inadempienza, c.c.salvo che, dolendosi che dalle condizioni generali di contratto, non risulti la corte possibilità del consumatore di appello abbia attribuito opporre direttamente alla società finanziaria le eccezioni relative al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazionesomministrazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha intesoOrbene, nel caso di aumento del capitalespecie, dotare dalla documentazione acquisita agli atti, ed in particolare dalla nota inviata dalla società Plusvalore in data 20 luglio 2009, si evince l’insussistenza della predetta clausola di opponibilità alla finanziaria delle eccezioni inerenti alle problematiche intercorse tra il sig. Barison e la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e giàNettare S.r.l.. Pur tuttavia, in precedenzaconsiderazione della mancata attivazione del servizio richiesto, la società Nettare S.r.l. sarà tenuta al rimborso dell’importo complessivo del finanziamento, previa esibizione di copia di avvenuto pagamento delle relative rate da altri tribunali e corti)parte del sig. Xxxxxxx, confermando qualche spunto anche in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v.considerazione della nota del 25 febbraio 2009, con la quale la società Nettare S.r.l. ha comunicato l’impegno di risolvere la problematica inerente al finanziamento. In ordine alla mancata attivazione del servizio internet Wireless, richiesto in data 25 maggio 2008, in particolareconsiderazione di quanto previsto dall’articolo 3 delle condizioni generali di abbonamento di Nettare S.r.l. secondo il quale “l’attivazione del servizio avverrà entro i successivi 45 giorni lavorativi; i termini di attivazione decorrono dalla scadenza del periodo riservato a Nettare S.r.l. per l’accettazione della proposta (15 giorni)” si deve circoscrivere il disservizio nel periodo intercorrente tra il 25 luglio 2008 e il 1 luglio 2010, sentdata di deposito dell’istanza. 639/76Al riguardo, Foro itin mancanza di qualsiasi elemento di prova, la mancata attivazione del servizio richiesto sull’utenza in epigrafe per il numero di 706 giorni è da imputarsi esclusivamente alla responsabilità della società Nettare S.r.l. ed in quanto tale implica la corresponsione di un indennizzo proporzionato al disservizio subito dall’utente. Per il computo dell’indennizzo per ogni giorno di disservizio, in assenza di una previsione espressa nelle condizioni generali di contratto di Nettare S.r.l., 1976si prenderà a riferimento, Iin via equitativa, 1233una somma corrispondente all’importo del canone mensile contrattualmente previsto, che dalla documentazione allegata è pari ad euro 30,00 e si dividerà per 30 (la media dei giorni mensili). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta cifra così ottenuta è pari ad euro 1,00 da moltiplicarsi per il numero di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere 706 giorni di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, eccdisservizio.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Deliberation

Motivi della decisione. Con il terzo motivo del ricorsool primo motivo, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti si deduce violazione dell’art. 24391326 Codice civile, comma 4, e correlato vizio di motivazione. Espone la ricorrente che la clausola del modulo di partecipazione al corso «il commercialista e l’azienda» («in ogni caso l’iscrizione si intenderà perfezio- nata al momento del ricevimento, da parte della SDA della presente scheda compilata e sottoscritta in tutte le sue parti») comportava l’apposizione di due distinte firme: una nello spazio «firma per l’accettazione» e l’altra nello spazio «firma per la specifica approvazione delle clausole 3.2 e 3.3», mentre il legale rappresentante della Fincon- sulting s.r.l. aveva apposto solo la firma per accettazione, limitandosi ad apporre il timbro della società, senza firma- re, nello spazio destinato alla specifica approvazione. In conseguenza, il contratto non si era perfezionato e la sen- tenza, disattendendo tale eccezione, era incorsa in viola- zione del principio che ravvisa la conclusione del contrat- to solo quando proposta ed accettazione siano conformi, nonché in erronea interpretazione dell’art. 1326, quarto comma, c.c.Xxxxxx civile, dolendosi che non prevede una rinuncia alla forma richiesta né prevede che la corte conclusione possa avve- nire senza che l’accettante possa aver contezza dell’inten- zione del proponente di appello abbia attribuito ritenere comunque valida l’accet- tazione, ancorché priva della forma richiesta. Tale effetto, secondo la dottrina, presuppone che sia accertato se l’ac- cettante, non ponendo in essere la forma richiesta dal pro- ponente, intenda fare una dichiarazione che valga come accettazione della proposta e che sia acclarata, inoltre, la sua conoscenza del valore che il proponente ha dato alla accettazione, sia pure, al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensualelimite, vale dandone avviso all’accet- tante, conformemente a dire quanto prevede, per la idoneità tardiva ac- cettazione, l’art. 1326, terzo comma, Codice civile. Nono- stante le ferme contestazioni svolte dalla società, la sen- tenza impugnata aveva omesso tali verifiche. Ulteriore ar- gomento a porsi come fattispecie contrattuale realizzata sostegno della tesi esposta poteva trarsi dall’art. 1352 Codice civile, norma che prevede la nullità del con- tratto per effetto inosservanza della sola manifestazione forma predeterminata con- venzionalmente. Il motivo va rigettato. Anzitutto, gli ele- menti sui quali la parte ricorrente basa la propria ricostru- zione non sono idonei a suffragarla. La approvazione spe- cifica - prevista, dall’art. 1341 Codice civile, per le clauso- le vessatorie predisposte dal contraente «forte» - non inci- de sulla formazione del consenso, essendo il versamento ma soltanto sulla effica- cia delle clausole non sottoscritte che, in caso di mancata approvazione specifica, si considereranno non apposte. La previsione, nel modulo, che l’iscrizione al corso didattico «si intenderà perfezionata al momento del controvalore (ivi compresa ricevimento ... della scheda compilata e sottoscritta in tutte le sue parti» non implica che per la quota dei tre decimi) adempimento conclusione del contratto stesso sia indi- spensabile una doppia sottoscrizione, perché rimane indi- mostrato che l’intento del proponente fosse quello di non ritener valido il contratto se carente dell’approvazione specifica di alcune clausole (oltretutto, secondo l’incensu- rata interpretazione della Corte d’appello, non vessatorie e quindi suo momento esecutivogià impegnative con la sottoscrizione dell’intera proposta per accettazione). Né è possibile stabilire analo- gie con quanto dispone l’art. 1352 Codice civile. Perché quest’ultima norma provvede su una ipotesi nella quale le parti hanno convenzionalmente stabilito, mediante un contratto preliminare, che tutti i loro futuri rapporti do- vranno soggiacere a determinati requisiti di forma per es- sere validamente conclusi e la forma è quindi convenuta e non già elemento meramente proposta. È vero che la sentenza impugnata sembra aver accettato l’interpretazione che, della sua formazioneproposta, ha offerto la ricorren- te perché, per rigettarla, ha affermato: «all’eccezione ex art. 1326 Codice civile, comma 4, si deve replicare osservando che tale norma è posta a tutela del proponente («qualora il proponente richieda ...») che è libero di non avvalersene considerando, come nella specie, concluso il contratto an- che se l’accettazione è stata data in forma diversa da quella richiesta» ma anche seguendo questa impostazione, il mo- tivo di ricorso va rigettato. In realtàprimis, perché quanto ha de- ciso la sentenza d’appello è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 406/2004; n. 12344/2003; n. 13277/2000; n. 1306/1990; n. 499/1988; n. 5839/1982); in secondo il ricorrenteluogo perché i rilievi della ricorrente - circa la ne- cessità di una indagine sulle intenzioni di chi ha accettato senza osservare la forma proposta e circa la necessità che, dell’intenzione di ritenere idonea l’accettazione in forma diversa, il fatto proponente dia tempestiva ed adeguata notizia - costituiscono nuove eccezioni basate su circostanze di fat- to non dedotte dinanzi al giudice del merito, al quale la ri- corrente avrebbe dovuto chiedere di accertare che, dopo la restituzione del modulo sottoscritto, l’università non aveva in alcun modo mostrato di aver accettato l’iscrizione. Col secondo motivo, la sentenza viene censurata per vio- lazione dell’art. 1453 Codice civile, dell’art. 115 Codice procedura civile e art. 2697 Codice civile, e per correlato vizio di motivazione. L’Università non aveva dato, nel corso del giudizio, alcuna prova dell’adempimento della obbligazione a suo carico: non aveva cioè dimostrato di aver tenuto il corso di formazione e istruzione oggetto del contratto, nonostante l’eccezione - che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe nessuna prestazio- ne era stata eseguita o comunque erogata a favore della Finconsulting - sollevata sia in primo che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattualein secondo gra- do dalla società. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto motivazione della sentenza, che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento contratto avente ad oggetto l’effettuazione di un corso, a nulla rileva che l’iscritto non vi abbia partecipato, avendo la controparte già sopportato il relativo costo, as- sumeva quindi come dimostrato lo svolgimento del capitalecorso, dotare senza che nessuna prova in tal senso fosse stata fornita dal- la università, sulla quale incombeva l’onere, data la conte- stazione da parte della Finconsulting, che aveva, sin dalle prime battute del giudizio, eccepito di non aver ricevuto alcuna controprestazione per la somma pretesa ed aveva, a più riprese, dedotto di non aver mai usufruito delle pre- stazioni per cui l’università chiedeva il pagamento. Anche il secondo motivo è infondato. L’eccezione di mancata fruizione, sollevata dalla società nel giudizio di merito, non coincide, né in fatto né in diritto, con l’ec- cezione di mancato adempimento - ovverosia, di man- cata esecuzione del corso - sulla quale si imposta il moti- vo di censura, riferendosi la prima ad un comportamen- to del creditore e la seconda ad un comportamento del debitore, configurandosi la prima come una eccezione di recesso o di impossibilità sopravvenuta e la seconda co- me una eccezione di inadempimento. A fronte della de- cisione del tribunale - che, come riportato in narrativa, considerava irrilevante la mancata partecipazione al cor- so dedotta dalla Finconsulting in quanto non dipenden- te da fatto imputabile all’Università- era onere della ap- pellante segnalare che la sua eccezione era stata frainte- sa dal giudice di primo grado e provare che il corso non aveva avuto luogo o, se aveva avuto luogo, che non ne aveva avuto notizia (S.U. n. 28498/2005) anziché limi- tarsi a ribadire la mancata fruizione. Esattamente, perciò, la sentenza impugnata ha conside- rato che i termini della contestazione non involgevano la esecuzione del corso, ma solo l’obbligo del pagamento, anche se la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse socialiaveva potuto - o voluto - fre- quentare le lezioni. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. Poiché l’intimata università non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della societàha svolto attività difen- siva, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnatav’è luogo a provvedere sulle spese.

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Samples: Contratti

Motivi della decisione. Con il terzo primo motivo del ricorsola ricorrente deduce la violazione degli artt. 1851, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, 1346 e 1378 c.c., dolendosi lamentando che erroneamente la Corte di appello aveva escluso che nella fattispecie ricorresse una ipotesi di pegno irregolare. Infatti, la descrizione dei titoli concessi in garanzia non era preclusiva dell’applicazione dell’articolo 1851 c.c., poiché anche nella fattispecie ivi prevista l’oggetto del pegno doveva essere necessariamente determinato; inoltre, la sentenza impugnata non aveva considerato che il Pi. aveva autorizzato la banca a tenere depositati i titoli presso la Banca d’Italia anche includendoli in un certificato rappresentativo cumulativo di altri titoli della stessa specie con conseguente perdita della individualità e specialità dei titoli concessi in garanzia. Infine, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, il patto di rotatività non può considerarsi incompatibile con il pegno irregolare, in quanto in tal caso il patto incide sull’eventuale debito restitutorio della banca per la parte dei beni costituiti in garanzia che eccedono l’ammontare dei crediti garantiti. Con il secondo motivo la ricorrente deduce il vizio di motivazione, lamentando che la corte Corte di appello abbia attribuito al contratto appello, da un lato, aveva ritenuto che i titoli fossero stati specificamente individuati, trascurando l’autorizzazione ad includerli in un certificato cumulativo e, d’altro canto, aveva escluso la volontà delle parti di sottoscrizione delle azioni porre in essere un pegno irregolare, omettendo di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e giàconsiderare, in precedenzaviolazione degli articoli 1362 e 1363 c.c., da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v.tutte le clausole contrattuali e, in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione l’articolo 10 delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.condizioni

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Samples: Pegno

Motivi della decisione. Con il terzo motivo del Col primo dei tre motivi di ricorso, al cui esame va data precedenza logicadeducendo violazione e falsa applicazione dell'art. 102 c.p.c., il Bulferetti deduce violazione dell’artart. 2439112 c.p.c., 1° commaart. 163 c.p.c., nn. 3 e 4, nonchè artt. 2932 e 1350 c.c., dolendosi in riferimento all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, M.E. si duole del fatto che i giudici d'appello abbiano ritenuto ammissibile la corte domanda di appello abbia attribuito pronuncia dichiarativa dell'avvenuto trasferimento della proprietà del terreno in questione proposta nella memoria autorizzata ai sensi dell'art. 183 c.p.c., benchè essa fosse da ritenersi diversa rispetto alla domanda di pronuncia costitutiva ai sensi dell'art. 2932 c.c., proposta nell'atto di citazione con riguardo al contratto medesimo immobile, e chiede pertanto a questo giudice di sottoscrizione dire: se sia ammissibile la proposizione, nella memoria di cui all'art. 183 c.p.c., comma 5, di domanda diretta ad ottenere l'accertamento del trasferimento della proprietà di un immobile dopo che era stata proposta con l'atto di citazione domanda diretta ad ottenere l'esecuzione specifica dell'obbligo di contrarre relativamente al medesimo immobile; se le due domande siano diverse per petitum e causa petendi; se il passaggio dall'una all'altra delle azioni domande costituisca emendatio libelli ovvero mutatio libelli. Il collegio della seconda sezione civile di nuova emissione natura consensualequesta Corte, vale a dire dinanzi al quale la idoneità a porsi causa è stata chiamata, considerato che il sopra esposto motivo richiede la soluzione di una questione di diritto sulla quale è riscontrabile un contrasto nella giurisprudenza di questa Corte, ha, con ordinanza interlocutoria n. 2096 del 2014, sollecitato l'intervento compositivo di queste sezioni unite ai sensi dell'art. 374 c.p.c., comma 2. Tanto premesso, è innanzitutto da evidenziare che, come fattispecie contrattuale realizzata per effetto risulta dalla esposizione che precede, il motivo in esame, pur recando nell'epigrafe un chiaro riferimento all'art. 360 c.p.c., n. 5, non contiene censure riguardanti la motivazione in fatto della sola manifestazione del consensosentenza nè tanto meno riporta - giusta la previsione di cui all'ultima parte dell'art. 366 bis c.p.c., (applicabile nella specie, essendo stata la sentenza impugnata depositata il versamento del controvalore (ivi compresa 19 marzo 2007) - la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivochiara indicazione di un fatto controverso rispetto al quale la motivazione si assuma in ipotesi viziata, essendo peraltro appena il caso di evidenziare che il motivo di cui all'art. 360, n. 5, non già elemento riguarda (nè alla stregua del testo applicabile ratione temporis nè di quello attualmente vigente) ipotetici "vizi" della sua formazionemotivazione in diritto. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa Non vi è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella pertanto necessità di garantire valutare la serietà sussistenza di eventuali deficienze della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello motivazione prima di procedere all'esame del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fallproblema giuridico proposto.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Contratto Di Compravendita

Motivi della decisione. Con il terzo Il primo motivo del ricorsocensura la violazione degli artt. 342, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.c112 e 112 c.p.c., dolendosi in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, lamentando che la corte Corte distrettuale abbia ritenuto inammissibile il primo motivo di appello, benché l'appellante avesse argomentato le proprie tesi sostenendo che il Tribunale aveva ordinato la ricostituzione della servitù con la larghezza originaria del tracciato, trascurando che tale statuizione non poteva essere eseguita, poiché la ricorrente aveva alienato il fondo servente in corso di giudizio. Il secondo motivo censura la violazione degli artt. 111 e 342 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver la sentenza dichiarato inammissibile il primo motivo di impugnazione non considerando che la ricorrente aveva contestato specificamente che la pronuncia di primo grado aveva accordato alle controparti una tutela obbligatoria, condannandola ad un facere insuscettibile di attuazione, data l'intervenuta alienazione dei fondo gravato, e per aver mal applicato l'art. 111 c.p.c., avendo ritenuto che, a seguito della vendita del fondo servente, fosse possibile condannare l'alienante ad un facere riguardante il bene venduto. I due motivi, che necessitano di esame congiunto, sono fondati. La ricorrente aveva denunciato in appello che la sentenza di primo grado, nel porre a carico dell'appellante l'obbligo di procurare la costituzione della servitù con una larghezza costante di metri sei, le aveva imposto un obbligo incoercibile o non eseguibile spontaneamente, poichè il fondo servente era stato alienato a terzi. Le censura trascritta in ricorso (cfr. pag. 13), sottoponeva - quindi al giudice del gravame, sia pure con argomentazioni succinte, un quesito specifico concernente la portata del decisum, la sua coerenza rispetto alla natura della domanda proposta dai Be. e, soprattutto, gli effetti derivanti dalla cessione del fondo servente nella pendenza del giudizio, evidenziando le ragioni di dissenso rispetto alla pronuncia del Tribunale, che sul punto si era espresso in poche righe, soffermandosi esclusivamente sull'opponibilità della pronuncia nei confronti dell'acquirente del fondo. La Corte distrettuale ha ritenuto che l'appellante si fosse limitato a riproporre le medesime argomentazioni già disattese in primo grado ed ha giudicato inammissibile la censura. Il motivo di appello abbia attribuito al contratto era tuttavia - come si è detto - sufficientemente specifico e rispondeva ai requisiti previsti dal disposto dell'art. 342 c.p.c. (nel testo anteriore alle modifiche introdotte dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. 0a)). Nel giudizio di sottoscrizione appello la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall'appellante attraverso l'enunciazione di specifici motivi. Tale requisito esige che, alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata, vengano contrapposte quelle dell'appellante, dirette ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle azioni prime con sufficiente grado di nuova emissione natura consensualespecificità, vale a dire da correlare con la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto motivazione della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore sentenza impugnata (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazioneXxxx. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato10401/2001; Cass. S.U. 28498/2005; Cass. s.u. 16/2000; Cass. 3805/1998; Cass. 8297/1997), ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio ciò è possibile anche mediante la deduzione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha intesoprimo grado, purchè, come è accaduto nel caso di aumento specie, ciò determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del capitale, dotare la società non gravame di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse socialipercepire con certezza il contenuto delle censure (Cass. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e cortis.u. 28057/2008), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Ord.

Motivi della decisione. Con il terzo primo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti si deduce violazione dell’artdegli artt. 2439, 1° comma, 1755 e 1759 c.c., dolendosi e relativo difetto di motivazione, in quan- to erroneamente i giudici d’appello osservano che nella mediazione sarebbe “insito” un rapporto di mandato; si ag- giunge che “ciò è errato e forviante perché la mediazione presuppone la imparzialità del mediatore, che istituzio- nalmente non è ne’ può essere il rappresentante o comun- que il mandatario di una sola parte, se non rinunciando al proprio ruolo di intermediario imparziale e perdendo quindi il diritto alla provvigione” ed inoltre che “in senso contrario non può certo invocarsi il disposto della L. n. 39 del 1989, art. 2, comma 4, là dove prevede l’iscrizione nel Ruolo, in un’apposita sezione, anche degli agenti muniti di mandato a titolo oneroso: iscrizione che ha il solo scopo di garantire la professionalità anche di tale categoria di soggetti, ma che non implica il venir meno della differenza ed incompatibilità oggettiva tra le due figure”; si afferma, infine, che erroneamente “nel nostro caso la Corte di merito ha ritenuto per l’appunto che l’accertamento della proprietà costituisse una verifica elementare, come tale dovuta dal mediatore in forza dell’obbligo di adeguamento della propria attività al criterio di diligenza professionale media”. Con il secondo motivo si deduce violazione degli artt. 1224 e 1277 c.c., e relativo difetto di motivazione, in quanto “errata è poi la sentenza della Corte d’Appello di Firenze nella parte in cui ha confermato la decisione del Tribunale di gravare l’importo di Euro 2.582,28 della riva- lutazione monetaria e degli interessi legali sulla somma così rivalutata”; si aggiunge che “la mera condanna alla restituzione della provvigione era invece in astratto giu- stificata dal ritenuto inadempimento del mediatore, ma costituiva all’evidenza debito di valuta, giacché l’obbligo restitutorio si concretizza nel pagamento della stessa som- ma ricevuta, cioè di un tantundem già predeterminato nel suo ammontare” e che “la Corte di merito dimentica anche che il danno da svalutazione nelle obbligazioni pecunia- rie va dimostrato come danno ulteriore ex art. 1224 c.c., comma 2”. Il ricorso è infondato in relazione a entrambi i suddetti motivi. Riguardo alla doglianza di cui al primo motivo avente ad oggetto la natura della mediazione e la “misura” della responsabilità del mediatore, considerate dal Giudice della Corte territoriale come entrambe ricon- ducibili al “rapporto di mandato”, rapporto non ritenuto invece sussistente dall’odierna ricorrente, con conseguen- te esclusione dell’obbligo di diligenza professionale in ordine alla comunicazione di tutti i dati e le circostanze, note al mediatore o comunque dallo stesso conoscibili del- l’immobile oggetto di compravendita, occorre rilevare che la corte censura non è meritevole di appello abbia attribuito accoglimento, pur doven- dosi provvedere a rivisitare le argomentazioni dei Giudici di secondo grado. Xxxxxxx in proposito osservare, anche sulla base, in parte, di quanto recentemente affermato da questa Corte (in particolare le sentenze nn. 24333/2008 e 19066/2006) che, oltre alla mediazione c.d. ordinaria o tipica di cui all’art. 1754 c.c., consistente in un attività giuridica in senso stretto, è configurabile una “mediazione” di tipo contrattuale che risulta correttamente riconducibile, più che ad “una mediazione negoziale atipica”, al contratto di sottoscrizione delle azioni mandato. Accanto, infatti, all’ipotesi delineata dall’art. 1754 c.c., i disposti di nuova emissione natura consensualecui agli artt. 1756 e 1761 c.c., vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento supportano l’eventuale configurazione di un impegno contrattuale già perfezionatovero e proprio rapporto di mandato ex art. 1703 c.c.. La previsione tipica di cui all’art. 1754 c.c., ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe individuan- do nel fatto mediatore “colui che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata mette in relazione due o più parti per la prima volta conclusione di un affare, senza essere legato ad alcuna di esse da rapporti di collaborazione di dipen- denza o di rappresentanza”, pone in rilievo tre aspetti: a) l’attività di mediazione prescinde da un sottostante ob- bligo a risolvere tale questionecarico del mediatore stesso, ritiene perché posta in essere in mancanza di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici un apposito titolo (costituente rapporto subordinato o collaborativo); b) “la messa in relazione” delle parti ai fini della conclusione di merito nella presente controversia (e giàun affare è dunque qualificabile come di tipo non negoziale ma giuridica in senso stretto; c) detta attività si collega al disposto di cui all’art. 1173 c.c., in precedenzatema di fonti delle obbligazioni, e, spe- cificamente, al derivare queste ultime, oltre che da con- tratto, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologicafatto illecito, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale da “ogni altro atto idoneo a produrle in conformità dell’ordinamento giuridico” (nel senso che la sottoscrizione re perficitursenso, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formaliquindi, che attestino la scelta l’attività del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato mediatore è dallo stesso le- gislatore individuata come fonte del rapporto obbligatorio nel cui ambito sorge il diritto di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interpretecredito alla provvigione di cui all’art. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, 1756 c.c.). Intanto va rilevato cheAppare preferibile ritenere l’attività in oggetto (per quanto “di regola” previsto nel codice civile) quale giu- ridica in senso stretto e non negoziale, allorquando non solo perché, riconducendosi all’antica distinzione tra atto e negozio, gli effetti della stessa sono specificamente predeterminati dallo stesso legislatore (con particolare riferimento a det- ta provvigione) ma soprattutto perché non vi è alla base della stessa un contratto (rectius: regolamento di interes- si “preventivamente” concordato dal mediatore con una o più parti); ciò comporta che il mediatore, sempre per quanto configurato nell’art. 1754 c.c., acquista il diritto alla provvigione (a condizione della conclusione dell’af- fare) non in virtù di un negozio posto in essere ai sensi dell’art. 1322 c.c., (in tema di autonomia contrattuale) ed i cui effetti si producono ex art. 1372 c.c. (“il contratto ha forza di legge tra le parti”, nel senso che l’efficacia con- trattuale è giuridicamente vincolante) bensì sulla base di un mero comportamento (la fase messa in relazione di sottoscrizione delle azioni assume due o più marcata autonomia parti) che il legislatore riconosce per ciò solo fonte di subprocedimento (un rapporto obbligatorio e dei connessi effetti giuridici. Ciò non toglie, per come già esposto, che l’attività del c.d. costituzione non simultanea)mediatore possa essere svolta anche sulla base di un con- tratto di mandato. Per definizione, l’affidamento di un incarico “col quale una parte si obbliga a compiere uno più atti giuridici per conto dell’altra” da luogo al contratto di mandato ex art. 1703 c.c., (oltre che ad alcune particolari figure di con- tratto, quali la commissione, la spedizione e l’agenzia di cui rispettivamente agli artt. 1731, 1737 e 1742 c.c., in cui il nucleo essenziale degli interessi dei soggetti contraenti, caratterizzato da un’attività giuridica posta in essere da una parte per conto dell’altra, con presunzione di onerosi- tà, e individuante la causa, è ipotizzata analogo a quello tipizzante il mandato stesso ed è altresì specificato; nella commissione: acquisto o vendita di beni per conto del committente e in nome del commissionario; nella spedizione: conclusione di un contratto di trasporto in nome proprio e per conto del mandante; nell’agenzia: promozione, in modo stabile, per la conclusione di contratti in una vera zona determinata). Ne deriva, come spesso avviene nella prassi (e propria mora nel versamento come è fa- cile rinvenire nei contratti standard di mediazione immo- biliare, ove appunto si indica, nella maggior parte dei tre decimi (art. 2334casi, 2° comma, c.c.) il che rimanda un mandato o un incarico a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.vendere o ad acquistare beni immobili), che il mediatore in molti casi agisca non sulla base di un comportamento di mera messa in contatto tra due o più soggetti per la conclusione di un affare (attività giuridica in senso stretto che prescinde da un sottostante titolo giuridico) ma proprio perché “incaricato” da una o più parti ai fini della conclusione dell’affare (generalmen- te in ordine all’acquisto o alla vendita di un immobile); in tal caso risulta evidente che l’attività del mediatore - man- datario è in realtà causa conseguenziale all’adempimento di scioglimento dell’ente collettivo un obbligo di tipo contrattuale (e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (dunque, ex art. 2332, 3° comma, 1173 c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il questa volta riconducibile al contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede come fonte di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnataobbligazioni).

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Samples: Contratto Di Locazione

Motivi della decisione. Con il terzo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logicadue motivi illustrati congiuntamente, il Bulferetti deduce ricorso de- nunzia i vizi di violazione o falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 1218, 1223, 1350, 1351, 1453, 1455 e 1457 c.c. e dell’art. 2439, 1° comma, c.c116 c.p.c., dolendosi nonché di insufficiente motiva- zione su punti decisivi della controversia. Si sostiene che la corte sentenza gravata è incorsa in moltepli- ci violazioni e false applicazioni di appello abbia attribuito al contratto norme di sottoscrizione delle azioni legge ed in illogiche ed incongrue valutazioni dei fatti, frutto di nuova emissione natura consensualeina- deguata ed erronea interpretazione degli elementi pro- batori acquisiti nel corso del processo, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento le hanno im- pedito di giungere alla sottoscrizione implicherebbe conclusione di ritenere che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento ter- mine stabilito dalle parti per la conclusione del contrat- to definitivo era essenziale ovvero, comunque, di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattualequalifi- care in termini di inadempimento grave e definitivo la condotta posta in essere dai promittenti venditori. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v.corte territoriale, in particolare, sentnon ha considerato, anche in ragione della mancata ammissione delle prove orali ritualmente dedotte, che la essenzialità del termine derivava, nel caso concreto, dalla stretta connessione temporale, di cui i B. erano stati più volte informati, esi- stente tra la stipula del contratto de quo e la vendita, da parte dell’odierno ricorrente, del proprio appartamento, necessaria al fine di fargli procurare la provvista per il pa- gamento del prezzo e di mantenere, nel contempo, una abitazione, condizioni che richiedevano entrambe il ri- spetto del termine prefissato per la stipula del contratto definitivo. 639/76La mancata ammissione delle prove dedotte su tali circostanze è illegittima, Foro it.atteso che esse non mira- vano a provare l’esistenza di un contratto formale, 1976ma solo a dimostrare che i promittenti venditori conosceva- no le circostanze di fatto in forza delle quali il termine doveva considerarsi essenziale. Non risulta perciò osser- vato il principio affermato dalla Corte di legittimità, Ise- condo cui l’essenzialità del termine, 1233oltre che espressa, può essere anche implicita e desumibile dalla natura, dall’oggetto del negozio o da altre circostanze. Del tutto illogica ed incongrua appare poi la ricostruzio- ne dei fatti operata dal giudice di merito, sia con riferi- mento ai motivi del breve rinvio deciso il 28 giugno 1989, che in relazione al telegramma inviato dal F. alla controparte il giorno successivo. Sotto altro profilo, la sentenza impugnata merita censura per l’erronea appli- cazione dei principi stabiliti dagli artt. 1453 e 1455 c.c. e per insufficiente motivazione sul punto, per non avere ritenuto, pur dopo aver escluso l’essenzialità del termine, che comunque il comportamento dei promittenti vendi- xxxx, che avevano disertato l’appuntamento concordato del 30 giugno ed erano poi rimasti silenti per il mese suc- cessivo, non integrasse di per sé un inadempimento di non scarsa importanza, tale da giustificare la domanda di risoluzione del contratto. A tal fine, la Corte di merito ha colpevolmente trascurato che la ragione della man- cata conclusione del contratto in data 28 giugno era ascrivibile ai soli B., che tra essi erano sorti contrasti, e che, inoltre, il loro comportamento successivo era co- munque contrario ai principi di correttezza e buona fede ed era stato causa di pregiudizio per la controparte, che si è vista costretta a rinunciare, pur sopportando, tra l’altro, le spese di mediazione, a concludere il contratto collega- to di vendita del proprio appartamento; per contro, rilie- vo eccessivo è stato attribuito alla lettera dei B. del 28 lu- glio 1989, che manifestava una disponibilità a contrarre ormai inutile, disattendendo in questo caso la Corte il principio in forza del quale il comportamento delle parti del contratto va valutato, ai fini di accertare la gravità dell’inadempimento, tenendo conto della permanenza in capo alla parte non inadempiente dell’interesse ad un adempimento tardivo. Entrambi i motivi, nelle loro articolate censure, sono, in parte, inammissibili e, in parte, infondati. Giova invero precisare che non possono trovare ingres- so nel giudizio di legittimità le doglianze sollevate nel ri- corso che lamentano una errata lettura e valutazione del materiale probatorio da parte del giudice di merito, trat- tandosi di apprezzamenti di fatto incensurabili in cassa- zione, se non sotto il profilo della sufficienza e congruità della motivazione. Parimenti, appartengono alla specifi- ca competenza del giudice di merito tanto l’interpreta- zione del contratto, quanto il giudizio in ordine alla rile- vanza delle prove, sindacabili, in sede di legittimità, il primo, sotto il profilo della applicazione delle regole er- meneutiche stabilite dalla legge, e, entrambi, sotto il profilo della motivazione. Tanto precisato, assume il ricorso che la conclusione cui è giunta la Corte territoriale, di negare carattere di es- senzialità al termine stabilito nel contratto preliminare per la stipula del contratto definitivo, è errata in quanto, pur in mancanza di espressioni contrattuali esplicita- mente volte a qualificare il termine come essenziale, ta- le invocata qualità risultava impressa per implicito dalla presenza di un collegamento tra il contratto de quo e quello, sostanzialmente contemporaneo, in forza del quale l’odierno ricorrente avrebbe venduto ad altri il proprio appartamento. Aggiunge infatti il ricorrente che i due negozi dipendevano reciprocamente l’uno dall’al- tro, atteso che la vendita gli avrebbe procurato la prov- vista in denaro necessaria per l’acquisto, mentre que- st’ultimo gli avrebbe consentito di avere un apparta- mento in cui abitare. Sul punto può osservarsi che certamente corretta, e nemmeno smentita dall’attuale difesa del ricorrente, è l’affermazione del giudice di merito secondo cui, in tema di contratto preliminare di compravendita, il termine stabilito per la stipulazione del contratto definitivo non costituisce normalmente un termine essenziale, il cui mancato rispetto legittima la dichiarazione di sciogli- mento del contratto. Tale conclusione appare conforme all’orientamento più volte ribadito da questa Corte, se- condo cui il termine per l’adempimento può ritenersi es- senziale ai sensi dell’art. 1457 c.c. solo quando, all’esito di indagine istituzionalmente riservata al giudice di me- rito, da condursi alla stregua delle espressioni adoperate dai contraenti e, soprattutto, della natura e dell’oggetto del contratto, risulti inequivocabilmente la volontà del- le parti di considerare ormai perduta l’utilità economica del contratto con l’inutile decorso del termine (così, ex multis, Cass. n. 5797 del 2005 e Cass. n. 1815 del 2004). Xxxxxxxx appare altresì la soluzione della Corte di appel- lo che ha negato rilevanza, al fine della essenzialità del termine, alla connessione tra le due compravendite de- dotta dal F., assumendo che essa rifletteva mere esigenze personali dello stesso, mai esplicitate nel contratto. Fer- ma la valutazione di fatto operata sul punto dal giudice di merito, quale risultato della attività di interpretazione del contratto (Cass. n. 14611 del 2005), deve infatti os- servarsi, in linea di diritto, che il collegamento negozia- le è fenomeno incidente direttamente sulla causa della operazione contrattuale che viene posta in essere, risol- vendosi in una interdipendenza funzionale dei diversi at- ti negoziali rivolta a realizzare una finalità pratica unita- ria. Al fine di acquisire autonoma rilevanza giuridica, specie nel caso in cui le parti contrattuali siano diverse e laddove la connessione rifletta l’interesse soltanto di uno dei contraenti, è necessario tuttavia che il nesso teleolo- gico tra i negozi o si traduca nell’inserimento di appro- priate clausole di salvaguardia della parte che vi ha inte- resse ovvero venga quanto meno esplicitato ed accetta- to dagli altri contraenti, in guisa da poter pretendere da essi una condotta orientata al conseguimento dell’utilità pratica cui mira l’intera operazione. In altri termini, la fattispecie del collegamento negoziale se, da un lato, è configuratale anche quando i singoli atti siano stipulati tra soggetti diversi, richiede, dall’altro, pur sempre che i negozi siano concepiti ed accettati come funzionalmen- te connessi e tra loro interdipendenti (in questo senso: Cass. n. 18655 del 2004). La lettera dell’artsentenza impugnata ha invece escluso tanto la pre- senza di clausole contrattuali espressione della dedotta interdipendenza tra i due contratti, quanto che un tale legame fosse noto e fosse stato condiviso e fatto proprio dagli altri contraenti. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta L’affermata inesistenza di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio questi presupposti rende la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, eccsoluzione adottata pienamente con- divisibile.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Contratto Preliminare Di Compravendita

Motivi della decisione. on il primo motivo la ricorrente lamenta viola- zione e falsa applicazione dell’art. 1304 Codice civile in relazione all’art. 360 Codice procedura civile, nn. 3 e 5; avuto riguardo alla somma pretesa, il contratto di transazione deve essere considerato la «cau- sa petendi» della domanda; in base ai criteri di ordinaria applicazione la transazione ha natura novativa con l’ef- fetto che il precedente rapporto obbligatorio si è estinto e ad esso se ne è sostituito un altro che in tanto sarebbe stato efficace nei confronti della condebitrice solidale in quanto essa avesse dichiarato di volere profittare della transazione. Con il terzo secondo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti la ricorrente deduce violazione dell’art. 2439112 Codice procedura civile in relazione all’art. 360 Codice procedura civile, 1° commann. 3 e 5; sia in primo che in secondo grado è stato chiesto il pagamento della som- ma di L. 11.000.000 corrispondente all’esatta metà del- l’obbligazione assunta con la transazione, c.c.mentre la cor- te di merito ha condannato al pagamento di L. 6.944.740 pari ad Euro 3.506,66 e, dolendosi che cioè, della metà del- l’obbligazione originaria; si è, pertanto, verificato muta- mento della «causa petendi» e del «petitum» o quanto meno ultrapetizione; la corte di appello abbia attribuito al contratto merito non si è inoltre pronunciata sul moti- vo dell’appello incidentale secondo il quale nella specie difetta il rapporto di sottoscrizione delle azioni solidarietà; rapporto in effetti esclu- so alla stregua della documentazione prodotta. I motivi sono connessi e possono essere esaminati con- giuntamente. La Corte di nuova emissione natura consensualemerito ha ritenuto che nella specie la R., vale a dire condebitrice solidale, ha proposto azione di regresso nei confronti dell’altra condebitrice, la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consensoD.A., essendo il versamento del controvalore (ivi compresa chiedendo la quota di debito rapportata non già all’obbligazione origi- naria, ma a quella assunta con la transazione. Secondo la corte la transazione non vincola la condebi- trice che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare tanto nei rapporti interni che in quel- li esterni, rimanendo essa obbligata sia negli uni come negli altri per l’obbligazione originaria. Sostiene la ricorrente che la transazione intervenuta nella specie ha natura novativa con l’effetto che l’obbli- gazione originaria si è estinta e la nuova non vincola la condebitrice che non l’ha stipulata e non ha dichiarato di volerne profittare. Va rilevato in proposito che l’art. 1304, primo comma, Codice civile («La transazione fatta dal creditore con uno dei tre decimidebitori in solido non produce effetto nei con- fronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne pro- fittare») adempimento disciplina gli effetti della transazione stipulata da uno solo dei debitori solidali e si riferisce alla transa- zione concernente l’intero debito solidale; quando, inve- ce, è limitata alla quota interna del contratto stesso debitore che la stipu- la, la transazione riduce il debito originario dell’importo corrispondente alla quota transatta e quindi suo momento esecutivoscioglie il vincolo solidale fra lo stipulante e gli altri condebitori senza in- terferire sulla quota interna di essi, che rimangono ob- bligati verso il creditore nei limiti della loro quota (Cass. 27 marzo 1999, n. 2931; Cass. 19 dicembre 1991, n. 13701). L’inefficacia della transazione nei confronti dei debito- ri che non vi hanno partecipato e non hanno dichiara- to di volerne profittare riguarda sia i rapporti esterni fra costoro ed il comune creditore che quelli interni fra il debitore che ha stipulato la transazione e gli altri debi- tori. In particolare, se la transazione ha ridotto o aumentato l’ammontare del debito originario, la misura del regresso va determinata applicando le percentuali delle quote in- terne all’ammontare originario e non a quello ridotto o aumentato. Se la transazione è novativa della originaria obbligazio- ne solidale, come quando non si limita a ridurre l’am- montare della prestazione controversa, ma la sostituisce con un’altra, in caso di solidarietà passiva, secondo un orientamento dottrinale, non già elemento si applica l’art. 1304 Co- dice civile, bensì l’art. 1300, primo comma, Codice ci- vile, con la conseguenza che i condebitori sono auto- maticamente liberati nei rapporti con il creditore senza bisogno che dichiarino di volere profittare della transa- zione, salva l’ipotesi di un effetto novativo limitato «pro quota» che comporta solo una proporzionale riduzione del debito solidale degli altri condebitori; nei rapporti interni, invece, i condebitori non rimangono necessa- riamente liberati, a questo fine occorrendo che il con- debitore che stipula la transazione rinunci al regresso; ciò perché la liberazione avviene mediante il sacrificio al quale esso si sobbarca per un ammontare superiore al- la sua formazionequota. In realtàSecondo altro orientamento l’art. 1304 Codice civile si applica in quanto transazione e novazione non sono fat- tispecie identiche o assimilabili, cosicché la disciplina dell’una non si comunica a quella dell’altra. A questo secondo orientamento aderisce il Collegio, considerando che l’estinzione dell’obbligazione solida- le in conseguenza della transazione novativa ha un co- sto nelle concessioni fatte dal condebitore che la sti- pula e non è possibile imporre questo costo ai conde- bitori che non lo accettino mediante adesione al ne- gozio transattivo, ritenendolo sproporzionato o non conveniente rispetto all’estinzione; in questo caso si applica la regola generale, secondo il ricorrente, il fatto la quale la transa- zione è inefficace nei confronti del condebitore che non vi ha partecipato e non ha dichiarato di volerne profittare per quanto concerne sia i rapporti esterni che quelli interni. Nella specie la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere natura novativa della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata transazione risulta dedotta per la prima volta a risolvere tale questionein questa sede ed, ritiene implicando il relativo accertamento valutazioni di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici fatto (Cass. 19 maggio 2003, n. 7830), i motivi sono inammissibili per la parte che la concernono; è appena il caso di aggiunge- re che, se non fossero inammissibili, sarebbero infondati in quanto, come già detto, la transazione anche se nova- tiva non vincola i debitori solidali che non la stipulino o non dichiarino di volerne profittare, come la D.A., se- condo quanto incensuratamente ritenuto dalla corte di merito. In questa prospettiva risulta palese l’infondatezza delle censure mosse alla corte di merito nella presente controversia (per avere mutato «causa petendi» e già«petitum», in precedenzadovendosi riconoscere che la corte stessa si è limitata a qualificare la domanda ed in- dividuare la disciplina giuridica, da altri tribunali e corti)facendone corretta ap- plicazione, confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233)senza travalicare i limiti fissati alla sua atti- vità. La lettera dell’artcensura di omessa pronuncia sull’appello incidenta- le trova smentita nella sentenza impugnata, nella qua- le si legge «la scrittura 4 marzo 1989, sottoscritta anche dalla D.A., non è stata tempestivamente e ritualmente disconosciuta dalla parte, sicché, operando il principio del riconoscimento tacito ex art. 2439215 Codice procedu- ra civile, 1° commal’atto ha acquistato l’efficacia di prova legale sulla questione dell’esistenza dell’obbligazione solidale delle acquirenti per il pagamento del saldo del prezzo»; mentre non risulta dedotto come vizio di motivazione, c.c. bensì corno omessa pronuncia e, perciò, inammissibil- mente il fatto che alla luce della documentazione ver- sata in atti non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: artritenersi provata l’obbligazione so- lidale. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbeI motivi sono, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza infondati ed il ricorso è rigetta- to con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fallCassazione.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Contratti

Motivi della decisione. Con il terzo motivo del ricorsoLe Curatela fallimentare - denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 72, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° quarto comma, c.cX.X. 00 marzo 1941, n. 267, nonché vizio di motivazione - censura la sentenza impugnata per aver negato che avesse il diritto di sciogliersi dal contratto ai sensi dell'art. 72, quarto comma, L. fall., dolendosi senza considerare: a) che, in base a quanto disposto da tale disposizione, l'esecuzione della prestazione da parte del contraente in bonis, in caso di fallimento del venditore, non è di ostacolo all'esercizio della facoltà di scelta, da parte del curatore, tra l'esecuzione del contratto e il suo scioglimento; b) che la corte tale principio, formulato esplicitamente per il contratto di appello abbia attribuito compravendita e riconosciuto (pacificamente) applicabile anche al contratto preliminare, è da ritenersi operante anche rispetto al preliminare di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimipermuta; c) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivoconseguentemente, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha intesopoteva esservi dubbio che, nel caso di aumento del capitalespecie, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno il curatore potesse legittimamente optare per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione lo scioglimento del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologicasebbene la controparte avesse già provveduto al trasferimento della proprietà dell'area in favore del fallito, o meglio posto: c1) che la immediatezza posizione di quest'ultimo era assimilabile a quella del dovere venditore e che doveva, quindi, farsi applicazione del principio sancito dall'art. 72, quarto comma, L. fall.; c2) che, in ogni caso, quando sia stato stipulato un contratto preliminare, l'esercizio della facoltà di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi scioglimento del contratto (nei contratti reali classici da parte del curatore del promettente venditore può essere impedito solo se, in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento, sia stato concluso il contratto definitivo, ovvero sia passata in giudicato la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma statuizione giudiziale che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità tenga luogo di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi quella stipulazione; c3) che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza lo stesso effetto preclusivo non può invece essere trascurato dall’interprete. Non mancanoriconosciuto alla trascrizione, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori sempre prima della dichiarazione di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul puntofallimento, della sentenza impugnatadomanda giudiziale di esecuzione in forma specifica un contratto.

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Samples: Sentenza

Motivi della decisione. Con il primo motivo di ricorso le ricorrenti denunciano la violazione dell’articolo 2909 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa non tenendo conto del giudicato interno asseritamente formatosi sulla statuizione del primo giudice, non impugnata con l’appello incidentale degli attori, con la quale - respingendo l’eccezione di prescrizione dell’azione di annullamento del contratto proposta Euromanagement spa in l.c.a. sul presupposto che il relativo decorso era stato interrotto dalla notifica della citazione alla Previdenza spa in l.c.a. - sarebbe stato implicitamente accertato che tale decorso non era stato interrotto dalla notifica della citazione alla Euromanagement spa in bonis. Il motivo non può trovare accoglimento perché l’affermazione, contenuta nella sentenza di primo grado, che la prescrizione quinquennale ex art. 1442 c.c. era stata interrotta, nei confronti della Euromanagement spa, dalla notifica della citazione introduttiva del 1986 alla Previdenza spa in l.c.a. non determina, contrariamente a quanto dedotto nel mezzo di ricorso, la formazione di alcun giudicato implicito sul fatto che la notifica di detta citazione alla stessa Euromanagement spa fosse priva di efficacia interruttiva della prescrizione perché viziata di nullità. Il primo giudice non ha accertato esplicitamente l’invalidità (e quindi la inidoneità ad interrompere la prescrizione) dalla notifica della citazione introduttiva del 1986 alla Euromanagement spa, né tale accertamento costituisce un antecedente logico necessario dell’affermazione che la notifica della medesima citazione alla Previdenza spa in l.c.a. era idonea ad interrompere la prescrizione anche nei confronti della Euromanagement spa. La tesi dei ricorrenti, secondo cui, in mancanza di appello incidentale degli attori, si sarebbe formato un giudicato implicito sulla invalidità, e quindi sulla inidoneità ad interrompere la prescrizione, della notifica della citazione del 1986 alla Euromanagement spa va quindi disattesa, perché si pone in contrasto con il principio, costantemente affermato da questa Corte (da ultimo Cass. 5264/15), che il giudicato non si forma, nemmeno implicitamente, sugli aspetti del rapporto che non abbiano costituito oggetto di specifica disamina e valutazione da parte del giudice, cioè di un accertamento effettivo, specifico e concreto, come accade allorquando la decisione sia stata adottata alla stregua del principio della "ragione più liquida”, basandosi la soluzione della causa su una o più questioni assorbenti. Né, giova precisare, il motivo di ricorso in esame potrebbe trovare accoglimento alla stregua delle argomentazioni svolte della Euromanagement spa in l.c.a. nella memoria illustrativa depositata ai sensi dell’articolo 378 c.p.c. In tale memoria si lamenta che la Corte di appello, nell’affermare che la notifica della citazione del 1986 nei confronti della Euromanagement spa era idonea ad interrompere la prescrizione dell’azione di annullamento, avrebbe omesso di verificare la validità di tale notifica, sull’erroneo presupposto che l’eventuale nullità della stessa non potesse essere da lei rilevata, perché non rilevabile di ufficio e perché comunque sanata. In proposito il Collegio rileva che dette argomentazioni non si limitano ad illustrare la censura proposta nel mezzo di ricorso in esame - la quale concerne esclusivamente la pretesa violazione dell’articolo 2909 c.c. in cui la Corte distrettuale sarebbe incorsa trascurando il giudicato interno formatosi, secondo le ricorrenti, sulla invalidità della notifica alla Euromanagement spa della citazione del 1986 - ma propongono censure (concernenti l’errore in cui la Corte di appello sarebbe incorsa ritenendosi di poter rilevare la nullità della suddetta notifica in difetto di tempestiva eccezione e di specifica impugnazione al riguardo da parte della Euromanagement spa in l.c.a.) ulteriori e diverse rispetto a quella dispiegata nel ricorso, non ammissibili perché avanzate dopo la scadenza del termine di impugnazione. Con il secondo motivo di ricorso le ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione dell’articolo 1442 c.c. in cui la corte territoriale sarebbe incorsa affermando che la notifica della citazione del 1986 nei confronti della Euromanagement spa era idonea ad interrompere la prescrizione dell’azione di annullamento contrattuale esercitata dagli attori senza tener conto del fatto che il giudice istruttore del tribunale di Lamezia Terme aveva accertato la nullità di tale notifica, come emerge dal rilievo che, appreso che la Euromanagement spa era stata posta in liquidazione coatta amministrativa, esso giudice non aveva dichiarato l’interruzione del giudizio, ma aveva disposto la rinnovazione della notifica della citazione a Euromanagement spa in l.c.a.. Anche questo motivo va disatteso. Il fatto che il giudice istruttore del tribunale, acquisita contezza dell’intervenuta apertura della liquidazione coatta amministrativa della Euromanagement spa, abbia ordinato il rinnovo della citazione al commissario liquidatore, invece di dichiarare l’interruzione del giudizio, non costituisce di per sé accertamento della declaratoria di nullità della notifica della citazione 1986 alla società in bonis, giacché l’ordine di rinnovo della citazione al commissario liquidatore della società è un provvedimento privo del carattere della decisorietà. Con il terzo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce le ricorrenti propongono tre distinte censure - una riferita alla violazione dell’art. 2439, 1° comma, dell’articolo 2700 c.c., dolendosi che una riferita alla violazione dell’articolo 2722 c.c. e una riferita alla violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. - in cui la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensualeCorte territoriale sarebbe incorsa rigettando l’unico motivo d’appello dalla stessa riconosciuto ammissibile, vale a dire quello con cui le appellanti avevano censurato la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata sentenza di primo grado per effetto avere ritenuto non pagato il corrispettivo della sola manifestazione vendita, nonostante che nel contratto i venditori avessero rilasciato quietanza del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazioneprezzo. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.Le ricorrenti assumono:

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Samples: Contract and Default

Motivi della decisione. Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione dei canoni legali di ermeneutica e degli artt. 1939, 1945 e 1952 cc nonché l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, la ricorrente ha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello violato i canoni di ermeneutica che, se fossero stati correttamente applicati, avrebbero portato a qualificare i patti di riacquisto intercorsi tra le parti come garanzia autonoma. E ciò, senza considerare che aveva omesso qualsiasi motivazione sul perché avesse ritenuto di qualificare il terzo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.c., dolendosi che la corte patto di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi riacquisto come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattualefideiussione anziché come garanzia autonoma. La ratio doglianza in entrambi i profili merita attenzione. A riguardo, corre l'obbligo di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore sottolineare preliminarmente che, come ha intesogià avuto modo di statuire questa Corte con un orientamento, nel caso di aumento del capitalecui questo Collegio intende aderire, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione "l'interpretazione del contratto, ma potrebbe dal punto di vista strutturale, si collega anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio alla sua qualificazione e la immediatezza relativa complessa operazione ermeneutica si articola in tre distinte fasi: a) la prima consiste nella ricerca della comune volontà dei contraenti; b) la seconda risiede nella individuazione del dovere modello della fattispecie legale; c) l'ultima è riconducibile al giudizio di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, rilevanza giuridica qualificante gli elementi di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: artfatto concretamente accertati. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formaliLe ultime due fasi, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altrosono le sole che si risolvono nell'applicazione di norme di diritto, tale dato di concreta esperienza non può possono essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi liberamente censurate in sede di costituzione della societàlegittimità, non mentre la prima - che configura un tipo di accertamento che è riservato al giudice di merito, poiché si vede perchétraduce in un'indagine di fatto a lui affidata in via esclusiva - è normalmente incensurabile nella suddetta sede, in difetto salvo che nelle ipotesi di vincoli letteralimotivazione inadeguata o di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto così come previsti negli artt. 1362 e seguenti cod. civ. (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnataCass.

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Samples: Leasing Agreement

Motivi della decisione. Con il terzo motivo 1- L’appellante ha anzitutto dedotto che la sentenza oggetto di giudizio è frutto di una errata percezione – da parte del ricorsoprimo giudice – sia delle risultanze della prova testimoniale assunta nella prima fase della lite che degli accertamenti tecnici, compiuti dal CTU nominato nell’ambito del procedimento per ATP, parimenti da esso istante promosso in epoca precedente alla instaurazione del giudizio che ne 9 occupa. §1.2- Ancora l’appellante ha evidenziato che al contratto dedotto in lite deve ritenersi applicabile la disciplina dettata dal Codice del Consumo di cui esame va data precedenza logicaal D.L.vo N. 205/2006 e segnatamente le norme di cui agli artt. 128 – 135 del codice stesso, che riproducono quanto già stabilito dagli artt. 1519-bis – 1519-novies c.c.. E, siccome esso appellante ha fondato la domanda in primo grado proposta sulla non conformità del bene consegnato a quanto ci si sarebbe potuto ragionevolmente aspettare da un prodotto dello stesso tipo, alla luce di quanto accertato dal CTU nominato nell’ambito del procedimento per ATP, il Bulferetti deduce violazione dell’artprimo giudice avrebbe dovuto ritenere fondata la domanda di riduzione del prezzo in quella sede proposta. 2439Esso istante, 1° commainfatti, a fondamento delle richieste oggetto di giudizio, non aveva dedotto l’inidoneità del bene all’uso cui era destinato, bensì che esso non era conforme a quanto richiesto e pattuito e che non aveva le qualità e le prestazioni abituali per un tipo di imbarcazione del tipo prescelto sulla scorta del campione mostrato. §2- La censura è fondata, nei limiti di seguito specificati. Deve evidenziarsi che il primo giudice ha correttamente inquadrato l’azione di cui si controverte secondo il paradigma normativo di cui agli artt. 1490 e 1492 c.c.. Ed infatti, ritiene questo Collegio che alla fattispecie di che trattasi non siano applicabili le disposizioni del Codice del Consumo invocate dalla parte appellante, poiché, sebbene l’art. 128 del predetto testo normativo contenga una nozione ampia di “bene di consumo”, di tal che gli interpreti più accreditati vi fanno rientrare qualsivoglia bene mobile, anche quelli registrati in pubblici registri ed anche le imbarcazioni e gli aeromobili, vale ad escluderne l’applicabilità alla fattispecie concreta in esame la circostanza che l’acquisto di che trattasi sia avvenuto da parte di una società di leasing. Come già innanzi precisato, l’utilizzatore ha legittimazione 10 attiva rispetto a tutte le azioni esperibili dalla società di leasing che per suo nome e conto ha procurato l’acquisto oggetto di censura. Tuttavia, il predetto utilizzatore non può cumulare alla specifica tutela prevista per il contratto di compravendita stipulato dalla società di leasing nel suo interesse anche quella tutela di cui potrebbe beneficiare laddove avesse lui stesso in prima persona proceduto all’acquisto. Altrimenti esplicitato, la scelta di acquistare un bene attraverso la stipula di un contratto di locazione finanziaria ragionevolmente preclude all’utilizzatore del bene la possibilità di esperire le tutele giuridiche previste a tutela del consumatore privato, che si trovi a contrattare e ad acquistare, in nome e conto proprio, da un professionista. E tali considerazioni assumono pregnanza specifica se si considera che la natura del bene oggetto dell’acquisto di cui si controverte è costituito da una imbarcazione di “43 piedi”; bene che per la rilevanza dei costi sia di acquisto che di gestione si presta ad un “consumo” oltremodo limitato ad una fascia di acquirenti particolarmente esperti del settore e, dunque, difficilmente annoverabili fra quelli che il codice del consumo di cui innanzi ha preso in considerazione per apprestare la tutela in esso disciplinata. §2.2- Ciò posto va anche detto che, in ragione di quanto esposto da A. nei suoi scritti difensivi, correttamente il primo giudice ha ritenuto che egli abbia inteso agire per l’accertamento dei vizi e per la riduzione del prezzo relativo alla imbarcazione modello “(YYY)”, acquistata per suo conto e su sua indicazione dalla società di leasing B. s.r.l. presso la D. s.r.l., dolendosi che la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, xxxxxx contratti in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto atti allegati dalle parti in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo lite e non libera fatti oggetto di contestazione quanto a contenuto ed efficacia. Il medesimo istante ha, inoltre, chiesto di essere risarcito di tutti i sottoscrittori dall’obbligo danni dedotti sofferti in ragione dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332predetti vizi e difetti, 3° commacosì come già accertati nell’ambito del procedimento per ATP da lui stesso instaurato, c.cprima della lite che ne occupa.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Contratto Di Leasing

Motivi della decisione. Con il terzo motivo del i quattro motivi di ricorso, al cui esame va data precedenza logicache per la loro con- nessione possono essere esaminati congiuntamente, il Bulferetti deduce ricorrente - denunziando vizio di motivazione, nonché violazione e falsa applicazione: a) dell’art. 24396, lett. a, b, c, d, f, h, legge 2 gennaio 1991, n. 1° comma, in relazione, rispetti- vamente agli artt. 1325 e 1418 c.c. e agli artt. 1337, 1338, 1375 e 1418 c.c.; b) del citato art. 6, dolendosi lett. g, in re- lazione alla lett. c, stesso art. 6, nonché agli artt. 1325, 1326, 1343, 1350 n. 13, 1418, 1439 e 1440 - censura la sentenza impugnata per aver escluso la nullità dei con- tratti impugnati, senza considerare: - che la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento stipulazione del contratto stesso “quadro” (retro, Par. 2.1) non escludeva la natura negoziale delle singole operazioni d’investimento successivamente poste in es- sere e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto loro assoggettamento ai principi generali in te- ma di invalidità dei contratti; - che la leggemancata osservanza, almeno da parte della banca, dei doveri di correttezza e degli obblighi d’informazione sanciti dalle lettere “a” - “f” dell’art. 6, l. 1/91, aveva fat- to venir meno le condizioni per i tre decimila manifestazione, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento da parte di esso esponente, di un impegno contrattuale già perfezionatoconsenso “libero e consa- pevole” e, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio quindi, l’esistenza di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto un requisito (l’accordo delle parti), la cui mancanza determina la nullità del contratto; - che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento specie il contratto era stato “concluso” e non poteva essere, quindi, chiesto il risarcimento dei danni subiti a causa del capitale, dotare la società non mancato rispetto del principio di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e giàbuona fede nel corso delle trattative, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sentquanto la c.d. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizioneresponsabilità precontrattuale tutela il solo interes- se “negativo”; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi - che, non avendo dato la banca comunicazione “scrit- ta” del proprio interesse conflittuale nelle singole ope- razioni poste in essere dopo la conclusione del contrat- to “quadro” e non essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimistata, questi siano senza indugio esigibiliconseguentemente, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesata- le situazione accettata preventivamente “per iscritto” da essa esponente, come stabilito dalla lettera “g” del- l’art. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.cdoveva escludersi che i relativi contratti fossero stati stipulati “per iscritto”, così come stabilito dall’art. 6, lett. “c”.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perché, in difetto di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasione, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnata.

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Samples: Violazione Di Norme Imperative

Motivi della decisione. Con il terzo primo motivo di ricor- so si denuncia violazione ed errata applicazione della L. n. 604 del ricorso1966, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.c., dolendosi che la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 17663, 1803alla luce dell’orienta- mento giurisprudenziale che con- sidera la nozione di licenziamento per giustificato motivo oggettivo come extrema ratio, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che esso sarebbe giustificabile solo da una reale crisi di impresa, esistente al momento del recesso, non fronteg- giabile con altri rimedi se non con la sottoscrizione re perficitursoppressione del posto di lavoro non finalizzato ad un incremento del profitto. Sempre con il primo motivo e poi con il secondo si denuncia vio- lazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., ovverosia in quanto dall’istruttoria svolta non viene ad esistenza indipendentemente era desumibile né la chiusura dei cantieri né l’assenza di nuove commesse al momento del licenziamento, in quanto tali eventi si sarebbero verificati nel corso dell’anno successivo. I due motivi, da quel versamento)valutare con- giuntamente per connessione, oppure se essa più semplicemente implichi sono infondati. Con la sentenza n. 25201 del 7 dicembre 2016 questa Corte, conso- lidando un precedente orientamento, ha statuito che, essendo imposta l’immediatezza “ai fini della legitti- mità del versamento dei tre decimilicenziamento individuale intimato per giustificato motivo oggettivo ai sensi della L. n. 604 del 1966, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.)3, e l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che la risposta nel senso della consensualità è servita invece il datore di lavoro debba necessariamente provare ed il giudice accertare”, sì da assurgere “a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza requisito di sicuri indici formalilegitti- mità intrinseco” al recesso “ai fini 14178, che attestino la scelta 14872, 14873, 18190, 19655 del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.2017). Intanto va rilevato cheQuanto poi all’esistenza in fatto delle ragioni che hanno condotto alla soppressione del posto di la- voro si tratta evidentemente di un accertamento demandato al giudice di merito, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi sindacabile in sede di costituzione legittimità, anche laddove proposto, come nella specie, nella veste solo formale della società, non si vede perché, in difetto violazione di vincoli letterali, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumento, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasionelegge, essendo semmai più forte il bisogno di garantire certamente sufficiente che la serietà dell’operazione, ristrutturazione aziendale fosse “imminente” e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche “protratta per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnatacirca un anno” così come acclarato dalla Corte territoriale.

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Samples: Licenziamento Per Giustificato Motivo Oggettivo

Motivi della decisione. Con on l’unico motivo di ricorso si denunzia, in rife- rimento all’art. 360 nn. 3 e 5, Codice di proce- dura civile, violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in tema di corrispondenza tra il terzo motivo chiesto e il pronunciato, di simulazione del ricorsocontratto e di elementi caratterizzanti dell’interposizione fittizia di persona, al cui esame va data precedenza logicadi forma scritta «ad substantiam» e di impossibi- lità di surrogarne gli effetti a mezzo di confessione o di dichiarazione ricognitiva di diritti reali, di ambito di operatività del negozio di accertamento, con conseguen- te omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. Osserva il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439ricorrente: La Corte barese, 1° commafondando la soluzione del caso prospet- tatole sul riferimento ad una interposizione fittizia, c.c., dolendosi senza che la corte fattispecie della simulazione fosse stata indicata da nessuno dei contraddittori, si era arrogato un compito che non le apparteneva, interferendo nel potere disposi- tivo delle parti, alterando gli elementi obiettivi di appello abbia attribuito iden- tificazione dell’azione, in sostanza introducendo nel pro- cesso un titolo nuovo e diverso da quello enunciato da- gli interessati (come desumibile dallo stesso testo della gravata pronunzia le tesi che si erano contrapposte, ad iniziativa dei diversi contraddittori, erano state - a parte quella del ricorrente evidenziata in una esplicita conclu- sione, riferita alla diretta realtà dell’intestazione in capo agli acquirenti - o quella di una «intestazione arbitraria» da parte di M. e A. - ipotesi che ovviamente contraddi- ceva alla fattispecie della simulazione, la quale invece suppone una intestazione concordata ovvero quella di una «intestazione fiduciaria» dovesse o meno questa es- sere accostata allo schema del mandato senza rappresen- tanza ad acquistare immobili). L’assunto della Corte territoriale contraddiceva inoltre con il costante indirizzo giurisprudenziale e dottrinale, che ha sempre riconosciuto che l’interposizione fittizia presuppone un accordo simulatorio trilatero al quale partecipano contraente apparente (interposto), con- traente effettivo (interponente) e controparte, laddove nel caso di specie, per ammissione dello stesso giudican- te, «non era provato che i venditori, di cui al contratto di sottoscrizione compravendita del 18 novembre 1972, avente ad og- getto il fondo de quo fossero consapevoli dell’accordo fra compratore e terzi». Ove anche fosse stato possibile immaginare l’esistenza di un accordo trilatero, necessario a caratterizzare una in- terposizione fittizia, avendo il contratto in questione ad oggetto il trasferimento di un bene immobile, il relativo accordo simulatorio avrebbe comunque dovuto essere documentato per iscritto. Sulla base di tale premessa, confortata da consolidata giurisprudenza di legittimità, nessuno degli elementi che, sia pur in altra parte della motivazione, il giudice d’appello aveva addotto a sostegno della sua conclusio- ne, poteva essere ritenuto plausibile. a) Non quello derivante da un ipotizzato riconoscimen- to giudiziale (della titolarità congiunta in capo a tutti i fratelli) da parte di M. e A., non essendo la confessione, da parte dell’interposto, sufficiente a surrogare la manca- ta dichiarazione scritta delle azioni due altre parti dell’accordo, l’interponente e il terzo. b) Non quella che la sentenza chiamava «documenta- zione fiscale», non potendo di nuova emissione natura consensualecerto la convenienza di tutti i soggetti interessati a tenere un determinato com- portamento nei confronti del fisco incidere sulla effetti- va titolarità dei rapporti «inter partes». c) Non quella che la impugnata sentenza definiva «la prova documentale, vale a dire rappresentata dalla scrittura privata 16 ottobre 1983» in quanto, laddove l’interposizione fit- tizia abbia ad oggetto il trasferimento di un bene immo- bile, la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata prova dell’accordo simulatorio può essere data so- lo attraverso un documento contenente la controdichia- razione che sia sottoscritto da tutte le parti», compreso «anche il terzo contraente». In ogni caso non poteva ritenersi plausibile il ragiona- mento in base al quale la Corte barese aveva ritenuto di poter trarre da un documento «ricognitivo del patrimo- nio sociale» - secondo la definizione che ne aveva dato la stessa gravata sentenza - un effetto attributivo di xxxx- larità di contro alle risultanze di un atto pubblico di ac- quisto. Non poteva essere utilizzato, per effetto della sola manifestazione conseguire simile risul- tato, lo schema concettuale del consensonegozio di accertamento in quanto l’atto ricognitivo di una situazione giuridica preesistente, non può essere, di per sé, attributivo di di- ritti, essendo riconducibile la fonte della titolarità esclu- sivamente al rapporto giuridico accertato, fermo restan- do che la previsione di cui all’art. 1988 Codice civile, co- me emerge dalla sua collocazione e dal suo contesto, è dettata per i diritti di obbligazione e non riguarda i dirit- ti reali che, per la diversa rilevanza assunta nel nostro or- dinamento, sono soggetti a disciplina più rigorosa, ed es- sendo comunque radicato il versamento principio che un accerta- mento legato al contenuto di un precedente contratto, non possa che essere compiuto da tutti gli originari con- traenti. Il ricorso è fondato per le ragioni che qui di seguito van- no ad esporsi. Va innanzi tutto esclusa, per le considerazioni svolte dal ricorrente e sostanzialmente condivise dagli stessi con- troricorrenti (mancanza della prova che i venditori di cui al contratto di compravendita del controvalore 19 novembre 1972, avente ad oggetto il fondo de quo, fossero consape- voli dell’accordo simulatorio tra i compratori - A. e M. S. - e i terzi - gli altri sette fratelli S.; (ivi compresa mancanza di qualsia- si forma scritta dell’accordo simulatorio medesimo), la quota dei tre decimi) adempimento configurabilità nel caso di specie, ravvisata dalla Corte barese, della simulazione del contratto stesso suindicato per in- terposizione fittizia di persona (v. tra le tante Xxxx. n. 7187/97, n. 4911/98, n. 5317/98, n. 6451/2000, n. 6480/2002). Né potrebbe rivivere in questa sede come ipotizzato e quindi ri- chiesto dai controricorrenti, l’ipotesi, già enunciata dal primo giudice, del negozio fiduciario che sarebbe stato concluso tra i germani S., che non presero parte al con- tratto del 1972, e M. e A. S., che sottoscrissero tale con- tratto e acquistarono, quindi, a loro nome la proprietà dell’immobile, giacché, a parte la considerazione che una tale impostazione richiederebbe come correttamen- te osservato dal ricorrente nella memoria depositata ex art. 378 Codice di procedura civile, un rivalutazione dei fatti della causa, inammissibile in sede di legittimità (x. Xxxx. n. 4939/98, n. 17221/2002), essa non potrebbe in nessun caso condurre alla conclusioni invocate nel con- troricorso. Ciò perché la scrittura del 16 ottobre 1983, come atto di accertamento, dovrebbe avere come suo momento esecutivooggetto, non già elemento solo il contratto di compravendita del 1972, cui esso risulta riferirsi, ma anche il pactum fiduciae che, invece, dovrebbe esser provato con un atto scritto avendo come oggetto un bene immobile (x. Xxxx. n. 6024/93, n. 1086/95, n. 9849/2000). A tale scrittura, in assenza di qualsivoglia forma di re- vindica di uno o più beni in essa enucleati, da parte di terzi estranei alla società di fatto costituita tra i nove fra- telli S. e in difetto, soprattutto di qualsivoglia forma del pur minimo disconoscimento della sua formazionestessa, da parte di uno qualsiasi dei sottoscrittori, il giudice d’appello ha at- tribuito una valenza autonoma, fra le parti, tale da non richiedere alcun sostegno, con riferimento a titoli e ne- gozi pregressi, per esprimere ed affermare la propria pie- na ed autonoma efficacia, sì da giustificare una declara- toria giudiziale negli stessi termini operati dal Tribunale, che a tutti e nove i germani S. aveva attribuito la pro- prietà del fondo rustico de quo, con gli entrostanti ca- pannoni e pensilina. In realtàSenonché, come evidenziato dallo stesso M. S. in ricor- so, è principio giuridico costantemente affermato da questa Suprema Xxxxx (x. xx xxxxxx, xx xxxxxxxx x. 000/00, n. 2611/96, n. 8365/2000) quello secondo il quale la possibilità di attribuire efficacia costitutiva ad una dichiarazione ricognitiva dell’altrui diritto domini- cale su un bene immobile, presuppone che anche la causa della dichiarazione risulti dall’atto, atteso che, trattandosi di un bene immobile per il cui trasferimento è necessaria la forma scritta «ad substantiam», tutti gli elementi essenziali del negozio debbono risultare per iscritto. È certo, infatti, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità sistema del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formalidiritto privato, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato l’atto ricognitivo di concreta esperienza diritti reali non può essere trascurato dall’interprete. Non mancanoricompre- so tra i mezzi legali di acquisto della proprietà, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato configu- randosi invece come semplice atto dichiarativo che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea)in quanto tale, è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, il mancato versamento dei tre decimi dà luogo, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologato, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per effetto del contratto, e non già presuppone che il contratto si forma solo se essi siano versati. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della societàdiritto stesso effettiva- mente esista secondo un titolo, non si vede perchéonde, in difetto di vincoli letteralitale ti- tolo, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumentoche ne attesti e provi, posto che quest’ultima soluzione secondo le forme ed i mezzi previsti dall’ordinamento, l’esistenza, esso non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasionepuò crearlo e nemmeno rappresentarlo se non a quest’ultimo effetto, essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, attraverso l’esplicito richiamo e la dotazione dell’ente menzione del titolo stesso. Nel riconoscimento in capo a tutti e nove i fratelli S. della comproprietà dell’immobile, acquistato in via esclusiva da A. e M. S. con il rogito Berloco del 18 no- vembre 1972, la qui gravata sentenza è dunque erronea in diritto e, in relazione a tale accertamento dev’essere cassata con rinvio, per nuovo esame, ad altra sezione del- la Corte d’appello di mezzi effettiviBari, quando è che provvederà altresì in gioco addirittura ordi- ne alle spese del giudizio di legittimità. La Corte, accoglie il suo sorgere ricorso, cassa l’impugnata sentenza e non semplicemente rinvia la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunquecausa, anche per l’art. 2439le spese di questo giudizio, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, ad altra Sezione della sentenza impugnataCorte d’appello di Bari.

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Samples: Diritti Reali

Motivi della decisione. Con il terzo motivo La questione di diritto posta dall'ordinanza di rimessione. La Terza Sezione civile della Corte di Cassazione, chiamata a decidere l'impugnazione proposta dalla societa' (OMISSIS) srl, ha rimesso gli atti al primo presidente per l'eventuale assegnazione alle sezioni unite della Corte per la composizione del ricorsocontrasto, al sottoponendo la seguente questione di diritto: Se, in caso di pignoramento dell'immobile e di successivo fallimento del locatore, operi, quale effetto ex lege, la rinnovazione tacita di cui esame va data precedenza logicaalla Legge n. 392 del 1978, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439articoli 28 e 29, 1° commae se poi la stessa rinnovazione tacita necessiti, c.co meno, dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione ex articolo 560 c.p.c., dolendosi comma 2. Sottolinea l'ordinanza interlocutoria che la corte giurisprudenza della Corte di appello abbia attribuito al contratto cassazione si era espressa in senso favorevole alla necessita' dell'autorizzazione, con orientamento costante da Cass. 2576/1970 a Cass. 1639/1999, fino alla pronuncia della stessa terza sezione civile n. 10498 del 2009, che aveva affermato l'opposto principio secondo cui, in tema di sottoscrizione delle azioni locazione di nuova emissione natura consensualeimmobili urbani adibiti ad uso non abitativo, vale a dire disciplinata dalla legge sull'equo canone, la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento rinnovazione tacita del contratto stesso e quindi suo momento esecutivoalla prima scadenza contrattuale, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della società che dei terzi. Ciò, tuttavia, ancora non dice se tale finalità debba intendersi soddisfatta attraverso il modello del contratto reale (nel senso che la sottoscrizione re perficitur, ovverosia non viene ad esistenza indipendentemente da quel versamento), oppure se essa più semplicemente implichi che, essendo imposta l’immediatezza del versamento dei tre decimi, questi siano senza indugio esigibili, restando esclusa ogni discrezionalità degli amministratori quanto al tempo in cui la solutio deve essere pretesa. La prima ipotesi è in apparenza più forte e potrebbe, pertanto, sembrare preferibile. La giurisprudenza di merito ci dice però che la tesi della realità è stata dai sottoscrittori tipicamente utilizzata per respingere, sul presupposto del non avvenuto versamento dei tre decimi e quindi della mancata formazione del contratto, le richieste di versamenti avanzate dagli amministratori o, più spesso, da curatori fallimentari (art. 150 l. fall.), e che la risposta nel senso della consensualità è servita invece a far salvo e a rendere operante l’impegno. In mancanza di sicuri indici formali, che attestino la scelta del legislatore in un senso o nell’altro, tale dato di concreta esperienza non può essere trascurato dall’interprete. Non mancano, d’altra parte, nello stesso sistema positivo, fattori di ragionevole orientamento verso l’interpretazione consensualistica dell’art. 2439, ricavabili dall’ipotesi non identica, e nondimeno per molti aspetti parallela, del versamento dei tre decimi al momento della costituzione della società (art. 2329, n. 2, c.c.). Intanto va rilevato che, allorquando la fase di sottoscrizione delle azioni assume più marcata autonomia di subprocedimento (c.d. costituzione non simultanea), è ipotizzata una vera e propria mora nel versamento dei tre decimi (art. 2334, 2° comma, c.c.) il che rimanda a un negozio di sottoscrizione di natura ovviamente non reale. Più in generale, poi, pe0r il mancato versamento dei tre decimi dà luogoesercizio da parte del locatore, se l’atto costitutivo venga ugualmente omologatodella facolta' di diniego della rinnovazione stessa, alla c.d. nullità della società (art. 2332, n. 6, c.c.), che è in realtà causa di scioglimento dell’ente collettivo e non libera i sottoscrittori dall’obbligo dei conferimenti fino a quando non sono soddisfatti i creditori sociali (art. 2332, 3° comma, c.c.): tale obbligo ricomprende anche i tre decimi, se non ancora versati, il che conferma che essi sono in obligatione per costituisce un effetto del contrattoautomatico scaturente direttamente dalla legge, e non già che il contratto si forma solo se essi siano versatida una manifestazione di volonta' negoziale. Se questa è la situazione positivamente esistente per i tre decimi in sede di costituzione della società, non si vede perchéA quest'ultima impostazione conseguirebbe che, in difetto caso di vincoli letteralipignoramento dell'immobile e di successivo fallimento del locatore, dovrebbe essere scelta una lettura di segno opposto (cioè nel senso della realità) nel caso dei tre decimi in sede di aumentola rinnovazione non necessiterebbe dell'autorizzazione del giudice dell'esecuzione, posto che quest’ultima soluzione non trova conforto né in una sicura esegesi né in un’esigenza di maggior severità in tale occasioneprevista dall'articolo 560 c.p.c., essendo semmai più forte il bisogno di garantire la serietà dell’operazione, e la dotazione dell’ente di mezzi effettivi, quando è in gioco addirittura il suo sorgere e non semplicemente la sua espansione. Tali considerazioni confermano dunque, anche per l’art. 2439, l’interpretazione consensualistica, dimostrando esatte le conclusioni, sul punto, della sentenza impugnatacomma 2.

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Samples: Contratto Di Locazione