DIPARTIMENTO DIECONOMIA MARCO BIAGI Centro Studi Internazionali e Comparati “Marco Biagi”COMMISSIONE DI CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI(decreto direttoriale 22 febbraio 2005del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali) Sede:Via J. Berengario 51...
DIPARTIMENTO DI ECONOMIA XXXXX XXXXX | Centro Studi Internazionali e Comparati “Xxxxx Xxxxx” COMMISSIONE DI CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI (decreto direttoriale 22 febbraio 2005 del Ministero del lavoro e delle Politiche sociali) |
Sede: Xxx X. Xxxxxxxxxx 00 00000 Xxxxxx (XX) tel. 39-059.2056742/5 fax. 39-059.2056743 xxxxxxxxxx@xxxxxxx.xx xxxxxxxx.xxxxxx@xxxxxxx.xx xxxxxx.xxxxxx@xxxxxxx.xx xxx.xxxx.xxxxxxx.xx | AUTONOMIA, SUBORDINAZIONE, PARASUBORDINAZIONE: GUIDA PRATICA ALLA COSTRUZIONE DI UN CONTRATTO DI LAVORO E ALLA SUA CERTIFICAZIONE Xxxxxx Xxxxxxxx, Xxxxxxxx Xxxxxx |
Si ringraziano
l’ ASSOCIAZIONE INDUSTRIALI DELLA PROVINCIA DI VICENZA
per il sostegno alla ricerca
XXXXXX XXXXXXX
per la collaborazione alla redazione dei modelli contrattuali
AUTONOMIA, SUBORDINAZIONE, PARASUBORDINAZIONE: GUIDA PRATICA ALLA COSTRUZIONE
DI UN CONTRATTO DI LAVORO E ALLA SUA CERTIFICAZIONE
Indice
SEZIONE I
Capitolo 1
La certificazione: cosa è e come funziona
1 La certificazione nel d.lgs. n. 276 del 2003 e successive modifiche
1.1 Finalità
1.2 Natura
1.3 Effetti
2 Le novità introdotte dalla l. n. 183 del 2010 (c.d. Collegato Lavoro)
2.1 La più ampia finalità dell’istituto e il modificato ambito oggettivo di applicazione della norma: le modifiche all’art. 75
2.2 La competenza a certificare le rinunzie e le transazioni e i regolamenti interni di cooperativa: le modifiche agli artt. 82 e 83 (rinvio)
2.3 La conciliazione
2.4 L’arbitrato e la riforma della giustizia del lavoro
2.5 Il potenziamento della funzione di assistenza e consulenza
2.6 Il nuovo ruolo della certificazione in giudizio
2.7 Le norme “correttive”
3 Le prospettive della volontà assistita con particolare riferimento al tema della responsabilità sociale
4 La certificazione nel d.lgs. n. 81 del 2008 e successive modifiche
4.1 La certificazione obbligatoria per lo svolgimento di attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati
Capitolo 2
Gli organi certificatori: competenze e procedura
1 Gli attori e le sedi: inquadramento generale
1.1 Gli enti bilaterali
1.2 Le direzioni provinciali del lavoro e le province
1.3 Le università
1.3.1 Il regolamento interno della Commissione di Certificazione istituita presso il Centro Studi Internazionali e Comparati “Xxxxx Xxxxx” del Dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Xxxxxx
1.4 Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
1.5 I consigli provinciali dei consulenti del lavoro
2 La competenza territoriale degli organi certificatori
3 La procedura di certificazione
4 I codici di buone pratiche ed i moduli e formulari
Capitolo 3
La certificazione dei contratti di lavoro e le altre ipotesi di certificazione
1 Inquadramento generale
2 L’estensione delle procedure di certificazione a tutte le tipologie contrattuali in cui viene dedotta direttamente o indirettamente una prestazione di lavoro, alle singole clausole contrattuali ed alle clausole compromissorie
2.1. La certificazione di singole clausole contrattuali e di clausole compromissorie
3 L’appalto
4. La somministrazione
5 Le rinunce e le transazioni
6 Il regolamento interno di cooperativa
7 Il distacco
Capitolo 4
L’efficacia giuridica e la tenuta giudiziaria della certificazione
1 Riferimenti generali
1.1 La direttiva del Ministero del Lavoro del 18 settembre 2008 e il ruolo di “controllo istituzionale” affidato alle commissioni di certificazione
2 La persistenza del tentativo obbligatorio di conciliazione in caso di contenzioso sui contratti certificati: ratio e procedura
3 L’impugnazione presso l’autorità giudiziaria ex art. 413 c.p.c.
3.1 L’erronea qualificazione del contratto
3.2 La difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione
3.3 I vizi del consenso: in particolare sull’errore di diritto indotto dall’erronea qualificazione
4 L’impugnazione presso il Tribunale Amministrativo Regionale
4.1 L’eccesso di potere
4.2 I vizi del procedimento
5 L’arbitrato irrituale dopo il Collegato Lavoro: le camere arbitrali istituite presso gli organi di certificazione
5.1. L’efficacia del lodo secondo l’art. 2113 c.c.
SEZIONE II
Capitolo 1
Modelli contrattuali esplicati
1. Il contratto a progetto: schede di sintesi
1.1. Modello contrattuale
2. Il contratto di “mini xx.xx.xx.”: schede di sintesi
2.1. Modello contrattuale
3. Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa relativo alla vendita di beni e di servizi: schede di sintesi
3.1. Modello contrattuale
4. Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa: schede di sintesi
4.2. Modello contrattuale
5. Il contratto di lavoro autonomo: schede di sintesi
5.1. Modello contrattuale – contratto di lavoro autonomo ex art. 2222 cod. civ.
5.2. Modello contrattuale – contratto di prestazione d’opera intellettuale ex art. 2230 cod. civ.
6. Il contratto di lavoro autonomo occasionale: schede di sintesi
6.1. Modello contrattuale
7. Il contratto di associazione in partecipazione: schede di sintesi
7.1. Modello contrattuale
Capitolo 2
Istruzioni per le parti che intendano attivare la procedura di certificazione
1. Istanza relativa ai contratti di lavoro subordinato, a progetto, di associazione in partecipazione
2. Istanza di certificazione relativa, in particolare, a specifiche clausole
3. Istanza di certificazione di un contratto di appalto
4. Istanza di certificazione di un contratto di appalto o subappalto ex DPR n. 177/2011
5. Istanza di certificazione inerente un contratto di appalto, di trasporto o di subfornitura
6. Istanza di certificazione di un contratto di somministrazione
7. Istanza di certificazione relativa ad un accordo di distacco
8. Istanza di certificazione di un regolamento interno di cooperativa
9. Istanza di certificazione di una rinuncia e/o transazione relativa ad un rapporto di lavoro dipendente, di collaborazione, anche a progetto, o di associazione in partecipazione
10. Istanza di certificazione relativa ad una clausola compromissoria
SEZIONE I
CAPITOLO I
LA CERTIFICAZIONE: COSA È E COME FUNZIONA
1. La certificazione nel d.lgs n. 276 del 2003 e successive modifiche
La certificazione dei contratti inerenti prestazioni di lavoro (latamente considerate, tenuto conto che l’istituto ha un ambito applicativo che concerne non solo i contratti di lavoro ma anche i contratti commerciali, come si vedrà nel seguito della trattazione) è stata prevista all’interno della legge delega n. 30 del 2003 ed ha trovato attuazione all’interno del d.lgs. 10 settembre 2003 n. 276, che ha dedicato all’istituto della certificazione l’articolo 68, in materia di lavoro a progetto, e gli articoli da 75 a 84.
Gli oggetti della attività certificatoria sono molteplici: accanto alla certificazione dei contratti di lavoro di cui all’art. 75 (peraltro ora ampliata, a seguito della entrata in vigore della l. n. 183 del 2010, anche ad altri contratti, quale quello di somministrazione1), a cui sono state fin dal principio abilitate le commissioni costituite presso un qualsiasi ente tra quelli elencati dall’art. 76, il legislatore ha infatti previsto anche:
a) la certificazione (inizialmente da parte delle sole commissioni costituite presso gli enti bilaterali, ora ampliata, dalla l. n. 183 del 20102, a tutte le commissioni costituite presso gli enti elencati dall’art. 76) delle rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 c.c., a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti stesse (art. 82);
b) la certificazione dell’atto di deposito del regolamento interno delle cooperative, riguardante la tipologia dei rapporti di lavoro attuati o che si intendano attuare, in forma alternativa, con i soci lavoratori. Tale attività è stata affidata, nella prima stesura del d.lgs., unicamente alle commissioni costituite presso le Direzioni provinciali del Lavoro o le Province (art. 83)3, ma anche su tale limitazione è intervenuta la l. n. 183 del 20104 nel senso di prevedere tale competenza sostanzialmente in capo a tutte le commissioni costituite presso gli enti elencati dall’art. 76;
c) la certificazione dei contratti di appalto, sia in fase di stipulazione, sia in fase di attuazione, anche al fine di distinguere gli appalti genuini dalle interposizioni illecite (art. 84).
Le commissioni di certificazione possono poi svolgere, oltre alla attività di certificazione in senso stretto, attività di assistenza e consulenza alle parti contrattuali (art. 81); tale attività consente peraltro, ai soggetti che se ne avvalgano, di contare sulla fattiva collaborazione di un soggetto terzo, esperto e competente, oltre che equidistante (a differenza dei consulenti “di parte”) dai rispettivi contrapposti interessi e per questo in grado di meglio rilevare e segnalare gli effettivi rischi di determinate scelte regolatorie.
La l. n. 183 del 2010, introducendo la nuova formulazione dell’art. 75 del d.lgs n. 276/20035, ha poi ampliato a tal punto l’ambito di possibile intervento delle commissioni, da far ritenere che di fatto, d’ora innanzi, le parti, sia in sede di formale istanza, sia in sede di richiesta di una più informale attività di assistenza e consulenza, possano sottoporre ad attenzione le più svariate questioni, sempre che la finalità perseguita sia “ridurre il contenzioso in materia di lavoro”.
Si pensi ad esempio alla richiesta di certificare contratti contenenti tipizzazioni di giusta causa e/o di giustificato motivo di licenziamento. In tali casi, l’interpretazione più corretta parrebbe
1 Cfr. art. 30, comma 4.
2 Cfr. art. 31, co. 14.
3 O meglio, secondo il Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 21 luglio 2004, presso la specifica Commissione da costituirsi presso la Provincia.
4 Cfr. art. 31, co. 15.
5 A mente del quale “al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo”.
essere quella di prevedere che le parti formulino una apposita e circostanziata richiesta in merito alla certificazione delle richiamate clausole, affinché le commissioni possano esplicitamente esprimersi ed adeguatamente argomentare la posizione sostenuta all’interno del provvedimento, in sede di motivazione. Ove le parti, in sede di istanza, non facciano in alcun modo cenno a tale profilo, ma di fatto presentino un contratto contenente tipizzazioni di giusta causa e/o di giustificato motivo di licenziamento, sarà opportuno che le commissioni adite, a titolo cautelativo, specifichino, all’interno del provvedimento, che il medesimo non incide sui profili di cui all’art. 30, comma 3, l. n. 183 del 2010.
1.1. Finalità
L’obiettivo perseguito dall’istituto della certificazione è stato dichiarato nell’incipit dell’art. 75, d.lgs. n. 276 del 2003, così come modificato dalla l. n. 183 del 2010, laddove si statuisce che, come si è visto, la certificazione ha la finalità di ridurre il contenzioso in materia di lavoro.
La certificazione dei contratti di lavoro dovrebbe permettere - nell’intenzione del legislatore - il superamento delle asimmetrie informative spesso insite in tali rapporti, grazie all’accresciuta informazione resa al lavoratore dagli enti certificatori, attenuando altresì la logica di contrapposizione e conflitto tra le parti a vantaggio di una graduale, virtuosa diminuzione del contenzioso sui diversi aspetti regolati.
La funzione dell’ente certificatore è, però, soltanto quella di far chiarezza alle parti sul migliore e più corretto assetto contrattuale da stabilire, in relazione alle rispettive dichiarazioni di volontà, restando al giudice, e solo a lui, il compito di statuire definitivamente sulla qualificazione del rapporto.
Il fine perseguito dal Legislatore con l’introduzione dell’istituto è quello della flessibilità regolata e sostenibile, accompagnata cioè da uno strumento che ne garantisca la genuinità e la trasparenza. Ciò al fine di consentire, al contempo, di ridurre il contenzioso, di impoverire almeno parte del terreno fertile su cui si è sviluppato il lavoro sommerso, di assicurare adeguate informazioni alle parti contrattuali e di scongiurare i rischi ed i costi di evasioni fiscali ed omissioni contributive e retributive, favorendo per tale via la diffusione della cultura della regolarità e la lotta alle irregolarità. Per questo, la certificazione risulta addirittura uno strumento utile alla corretta diffusione delle tipologie contrattuali c.d. flessibili introdotte dal d.lgs. n. 276 del 2003.
Oltre agli aspetti sin qui esaminati, deve poi essere tenuto presente che la certificazione, se opportunamente promossa e attuata con scrupolo ed equilibrio, potrebbe essere in grado di orientare l’attività di indagine della magistratura e degli organismi ispettivi, fungendo da parametro di giudizio per la qualificazione dei rapporti. Se le commissioni di certificazione fossero in grado di raggiungere un adeguato livello di autorevolezza e di imparzialità, e di raccogliere la fiducia degli operatori del diritto e delle parti contrattuali, la forza persuasiva della certificazione potrebbe dare un contributo decisamente di rilievo alla deflazione del contenzioso anticipando, rispetto al vaglio del giudice, in sede amministrativa l’esame degli elementi contrattuali.
Per tale via si scoraggerebbero, in particolare, innanzitutto le parti del contratto dal promuovere azioni giudiziarie temerarie e persino ricattatorie, ma anche i terzi dal promuovere un giudizio volto ad accertare una diversa natura del rapporto. Tuttavia, alcuni commentatori temono che l’autorevolezza della certificazione comprometta l’efficienza delle operazioni giurisprudenziali, inducendo i giudici meno responsabili, aditi per la qualificazione dei rapporti di lavoro, ad appiattirsi sulle conclusioni della certificazione, senza ulteriori approfondimenti.
Altri, temono che il lavoratore tenda a scoraggiarsi, in ragione della sua persistente posizione di debolezza contrattuale, dal far valere i propri diritti contestando la qualificazione data dal provvedimento al proprio contratto di lavoro (qualificazione errata o successivamente smentita dallo svolgimento concreto del rapporto).
In ultimo, un ulteriore possibile elemento di “debolezza” dell’istituto è costituito dal fatto che il dettato legislativo di cui agli artt. 68 e 75-84 d.lgs. n. 276 del 2003, anche a seguito delle modifiche di cui alla l. n. 183 del 2010, non prevede la possibilità che le parti possano modellare
il regolamento contrattuale, in base alle concrete esigenze del rapporto da instaurare, in deroga alle norme imperative, nemmeno ove le stesse si avvalgano dell’assistenza di soggetti terzi.
1.2. Natura
Stabilire la natura dell’atto di certificazione è fondamentale per comprendere la disciplina dettata dal legislatore, gli effetti dell’atto tra le parti e i terzi, nonché la rilevanza dell’atto in sede giurisdizionale. Per questo la dottrina si è lungamente concentrata sul tema. Il dibattito circa la natura dell’atto di certificazione vede la quasi totalità dei commentatori concorde nel ritenere che si tratti di un atto amministrativo. Gli argomenti principali a sostegno di tale tesi sono rinvenibili nel dato normativo: l’art. 80, comma 5, d.lgs. n. 276 del 2003, innanzitutto, prevede la possibilità di adire l’autorità giudiziaria amministrativa contro l’atto di certificazione per violazione del procedimento o per eccesso di potere. L’art. 79, inoltre, indica tra i (pochi) requisiti essenziali del provvedimento la motivazione, l’obbligatoria indicazione dell’autorità a cui rivolgersi per l’impugnazione dell’atto e il termine per tale impugnazione. Gli effetti menzionati dall’art. 78, inoltre, denotano l’autoritarietà dell’atto, che è infatti in grado di produrre effetti anche sulla sfera giuridica di soggetti terzi (e anche di terzi dotati di potestà pubbliche) rispetto alle parti del contratto certificato. Da ciò pare potersi dedurre che l’atto di certificazione ha necessariamente natura amministrativa.
È però più complesso rinvenire una opinione concorde circa l’esatto inquadramento all’interno delle diverse categorie di atto amministrativo. Diffusa è l’opinione secondo la quale si tratterebbe di “certificazione di rapporti tra privati”, cioè di un atto volto a conferire certezza pubblica a fatti (atti o rapporti) già di per sé produttivi di effetti giuridici.
Nondimeno, a differenza di quello di certificazione di rapporti tra privati, l’atto di certificazione in esame è un atto di “certificazione amministrativa” che produce certezze erga omnes poiché è dotato di una peculiare efficacia preclusiva nei confronti dei terzi, tale da impedire loro di mettere in discussione le risultanze dell’atto stesso, fatti salvi i rimedi giurisdizionali, che produce certezze erga omnes.
La certificazione sembra però non potersi ricondurre perfettamente nemmeno a questa categoria. L’atto di certificazione di cui al d.lgs. n. 276 del 2003, infatti, non attribuisce al contratto alcuna qualità giuridica che esso già non abbia, come invece fa la certazione.
In merito poi alla natura discrezionale o vincolata dell’atto di certificazione, secondo alcuni il contenuto dell’atto è espressamente stabilito dalla legge, ed è quindi preclusa ogni libera determinazione, salva la possibilità di scelta per gli enti certificatori circa l’an della certificazione (ovvero circa l’emanazione o il diniego del provvedimento). Secondo altri, pur non avendo il provvedimento un carattere propriamente discrezionale, non può parlarsi di atto vincolato, lasciando infatti la certificazione margini di interpretazione, di apprezzamento e di errore. Si propende, allora, per il riconoscimento di una discrezionalità tecnica, consistente nella valutazione dei contratti effettuata sulla base di precise regole e procedimenti di carattere scientifico.
Si può concludere, in definitiva, che l’atto in questione risulti dotato di qualità peculiari, tali da distinguerlo “da ogni categoria di atti nota al nostro ordinamento”.
Ultima, fondamentale incognita connessa alla natura dell’atto di certificazione riguarda poi l’applicabilità all’istituto della l. n. 241/1990. Tale aspetto risulta di notevole rilevanza, considerate le implicazioni che ne deriverebbero. Si considerino, ad esempio, le questioni (quasi inesplorate, per ciò che concerne la certificazione) relative a diritto di accesso, responsabile del procedimento, termine di conclusione del procedimento. Sebbene vi siano alcuni riferimenti normativi al procedimento amministrativo (come l’obbligo di motivazione del provvedimento e gli altri requisiti imposti dall’art. 78, d.lgs. n. 276 del 2003), e nonostante la maggior parte dei commentatori (ma non il testo normativo) parli di provvedimento di certificazione, pochi riconoscono l’applicabilità della legge sul procedimento amministrativo. Probabilmente, proprio per questo, molte commissioni hanno autonomamente regolato, all’interno del proprio regolamento, i profili sopra richiamati, col che rendendo di fatto applicabili al proprio operato gran parte delle disposizioni di cui alla l. n. 241/1990.
1.3. Effetti
Il d.lgs. n. 276 del 2003, all’art. 79 (intitolato Efficacia giuridica della certificazione), non chiarisce quali siano esattamente gli effetti della certificazione. La disposizione di legge si limita infatti a stabilire che, fatti salvi i provvedimenti cautelari, che costituiscono l’unico caso di sottrazione immediata agli effetti vincolanti della certificazione, tali effetti permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’art. 80. Peraltro, vi è chi ha sostenuto che il ricorso cautelare sarebbe difficilmente esperibile di fronte al giudice ordinario, essendo più giustificato adire in via cautelare il giudice amministrativo, posto che il fumus boni iuris sarebbe rinvenibile, in caso di affermata violazione del procedimento, in re ipsa, mentre nella giurisdizione ordinaria la prova sarebbe maggiormente complicata.
Si può comunque facilmente desumere che la certificazione impedisce a chiunque di contestare la natura giuridica e la qualificazione del contratto stabilite dal provvedimento di certificazione prima di aver esperito con successo una delle azioni in giudizio previste dall’art. 80, d.lgs. n. 276 del 2003.
Particolare rilievo ha poi assunto l’art. 27 del Testo Unico di salute e sicurezza (d.lgs. n. 81 del 2008, come modificato dal d.lgs. n. 106 del 2009), dal quale si può desumere che ogni modello organizzativo concernente l’impiego della manodopera possa essere sottoposto al vaglio delle competenti commissioni di certificazione.
La certificazione, inoltre, non produce certamente tra le parti alcun effetto che già non derivi dal contratto di lavoro il quale ha, naturalmente, di per sé forza di legge tra le parti ex art. 1372 c.c.
La forza giuridica della certificazione si può comunque meglio comprendere considerando gli effetti che essa produce nei confronti dei soggetti terzi al contratto, posto che costoro, in assenza di tale provvedimento, non sarebbero in alcun modo vincolati da quanto statuito dalle parti all’interno del contratto. Ove vi sia invece un provvedimento di certificazione (o, ancor più precisamente, una procedura di certificazione aperta6), a meno che tali terzi (enti ispettivi, previdenziali e fiscali) non ottengano un provvedimento cautelare (essendo questo sottratto agli effetti della certificazione per espressa disposizione del già richiamato art. 79 del d.lgs. n. 276 del 2003), l’accertamento operato dalla commissione impedisce loro di adottare provvedimenti basati su una difforme qualificazione del contratto, e quindi risultano vincolati alle risultanze della certificazione, per lo meno fino a che non sopraggiunga una sentenza di merito che neghi la fondatezza dell’atto.
Non vengono comunque compromessi i poteri di tali organi: rimane infatti la possibilità per gli enti ispettivi, previdenziali e fiscali di svolgere accertamenti ed ispezioni; è invece loro impedita la immediata contestazione di eventuali violazioni riscontrate e l’irrogazione delle relative sanzioni, qualora siano basate su una diversa ricostruzione giuridica del rapporto rispetto a quella affermata dal provvedimento.
Xxxx enti che vogliano recuperare la piena libertà d’azione sarà imposto, in concreto, di ricorrere in giudizio per ottenere, ope judicis, un accertamento che ripristini il loro potere sanzionatorio rimuovendo le inibizioni imposte dalla certificazione.
La c.d. Xxxxxxxxx Xxxxxxx del 18 settembre 2008 ha comunque statuito che il controllo - e la successiva erogazione delle relative sanzioni - degli enti ispettivi sui contratti certificati o in corso di analisi da parte delle commissioni di certificazione potrà in ogni caso avvenire, tra l’altro, qualora si evinca, durante l’ispezione, con evidenza immediata e non controvertibile la palese incongruenza tra il contratto certificato e le modalità concrete di esecuzione del rapporto di lavoro.
A sostegno dell’istituto della certificazione va menzionato poi un ulteriore effetto che l’atto di chiusura della procedura potrebbe avere, peraltro logica conseguenza della propria efficacia “persuasiva”. L’accertamento svolto da un organo competente e imparziale, infatti, potrebbe facilitare la decisione del giudice circa la qualificazione da attribuire al contratto sottoposto al
6 Cfr. la c.d. Xxxxxxxxx Xxxxxxx del 18 settembre 2008, cit.
suo vaglio, soprattutto in caso di risultanze istruttorie contrastanti. Si aggiunga che la l. n. 183 del 2010, all’art. 30, co. 2, statuisce che nella “qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione”. La certificazione, in tale rinnovata ottica, dovrebbe così contribuire all’arricchimento del materiale probatorio – a sostegno della genuinità del contratto o dell’atto di gestione del rapporto – poi eventualmente utile in caso di contestazioni, in quanto valutabile in sede giudiziale (o arbitrale) come materiale non certo meno attendibile rispetto ad altre risultanze.
2. Le novità introdotte dalla l. n. 183 del 2010 (c.d. Collegato Lavoro)
La l. n. 183 del 2010, ha introdotto una serie di novità significative: in particolare ha ampliato l’ambito delle competenze e dei poteri attribuiti alle commissioni di certificazione, ma ha anche incrementato il valore giuridico delle procedure a esse affidate, avvicinandosi sempre più alla originaria idea di volontà assistita e derogabilità, entro limiti predeterminati, della normativa di legge e contratto collettivo.
In questa sede ci si concentrerà, sulle sole disposizioni che vanno a incidere sull’istituto della certificazione, non senza riservare gli opportuni cenni alle materie della conciliazione e dell’arbitrato, entrate, proprio in virtù delle nuove norme, tra le competenze delle commissioni.
2.1. La più ampia finalità dell’istituto e il modificato ambito oggettivo di applicazione della norma: le modifiche all’art. 75
Una tra le modifiche più rilevanti contenuta nella l. n. 183 del 2010 riguarda, come anticipato, l’art. 75, d.lgs. n. 276 del 2003. Quest’ultimo, nella nuova formulazione, precisa che finalità della certificazione è la riduzione del contenzioso in materia “di lavoro”, e non semplicemente “di qualificazione dei contratti di lavoro”. Inoltre, i contratti oggetto di attenzione da parte delle commissioni potranno essere, al di là di ogni dubbio interpretativo precedentemente formulato, tutti quelli “in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro”.
La nuova formulazione ha permesso di chiarire definitivamente la questione circa la possibilità di sottoporre a procedura di certificazione pattuizioni differenti quali, ad esempio, quella tra agenzia di somministrazione ed utilizzatore, che sta alla base del rapporto trilaterale che coinvolge anche il lavoratore (con il quale viene stipulato un “ordinario” contratto di lavoro), o ancora quella, ancor più peculiare, che caratterizza il distacco: queste ultime, infatti, in virtù dell’originario contenuto dell’art. 75, secondo le interpretazioni più restrittive della norma non avrebbero potuto essere sottoposte ad esame da parte delle commissioni di certificazione, pur essendo spesso fonte di contenzioso.
Qualche dubbio sorge in merito alla possibilità di richiedere alle commissioni di pronunciarsi, altresì, sui regimi civili, amministrativi, previdenziali e fiscali in concreto applicabili al caso che di volta in volta sarà sottoposto al loro esame.
Posto che ove le parti non specifichino, all’interno del documento sottoposto alla commissione, quale sia il regime civile, amministrativo, previdenziale e fiscale che ritengono di voler applicare, il provvedimento della commissione non potrà certamente contenere alcun riferimento sul punto. Si ritiene, piuttosto, che ogni determinazione in merito a tali profili dovrebbe più correttamente rientrare nella attività di assistenza e consulenza che viene svolta preliminarmente rispetto alla vera e propria apertura di una procedura di certificazione.
2.2. La competenza a certificare le rinunzie e le transazioni e i regolamenti interni di cooperativa: le modifiche agli artt. 82 e 83 (rinvio)
Oltre a quella relativa all’art. 75, importanti modifiche sono state previste con riferimento alla competenza in materia di certificazione delle rinunzie e transazioni (art. 82, d.lgs. n. 276 del 2003) e dei regolamenti di cooperative (art. 83, d.lgs. n. 276 del 2003), la quale è stata estesa per entrambe le fattispecie a tutte le commissioni, qualunque sia l’ente di appartenenza7, con la sola esclusione delle commissioni istituite presso i Consigli provinciali degli Ordini dei consulenti del lavoro, che, come anticipato, paiono mantenere una competenza circoscritta ai soli contratti di lavoro. Sul punto ci si riservano, ad ogni modo, ulteriori specifiche nel prosieguo.
2.3. La conciliazione
La l. n. 183 del 2010 prevede un apprezzabile potenziamento della funzione conciliativa delle commissioni di certificazione. Il comma 2 dell’art. 31 statuisce, infatti, che “il tentativo di conciliazione di cui all’articolo 80, comma 4, del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, è obbligatorio”. La legge in esame, infatti, all’art. 31, co. 1, novellando l’art. 410 c.p.c. fa venire meno l’obbligatorietà del tentativo di conciliazione precedentemente previsto per tutte le cause di lavoro.
Si deve qui peraltro segnalare che il comma 16, art. 31 della l. n. 183 del 2010 statuisce che “gli articoli 410-bis e 412-bis del codice di procedura civile sono abrogati”. Posto che quest’ultimo articolo prevedeva la sanzione processuale della improcedibilità del ricorso in caso di mancato esperimento del tentativo obbligatorio di conciliazione, allo stato, per effetto di tale abrogazione, rimane senza una esplicita sanzione il mancato esperimento del tentativo di conciliazione nell’unico caso in cui quest’ultimo è rimasto obbligatorio (ossia appunto di fronte alle commissioni di certificazione, ex art. 80, comma 4 del d.lgs. n. 276 del 2003, come previsto dall’art. 31, comma 2 della l. n. 183 del 2010). In verità, è difficile sostenere che l’esperimento preventivo del tentativo di conciliazione di cui all’articolo 80, comma 4, del d.lgs. n. 276 del 2003 non costituisca condizione di proponibilità della domanda: la sua mancanza, pertanto – rilevabile anche d’ufficio – comporterà la definizione della causa con sentenza dichiarativa di improponibilità, al pari di quanto avviene in altri procedimenti ove è imposta la previa fase conciliativa stragiudiziale, come ad esempio per i procedimenti relativi ai contratti agrari8.
Il comma 13 dell’art. 31 della l. n. 183 del 2010 dispone poi che “presso le sedi di certificazione di cui all’articolo 76 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, può altresì essere esperito il tentativo di conciliazione di cui all’articolo 410 del codice di procedura civile”. Rispetto al presente comma, posto che l’abilitazione ad “espletare un tentativo di conciliazione ai sensi dell’articolo 410 del codice di procedura civile” era già stata attribuita alle commissioni di certificazione dall’art. 80 d.lgs. n. 276 del 2003 con riferimento ai contratti dalle medesime certificati, l’elemento di novità sta nel fatto che la conciliazione potrà invece essere effettuata anche in relazione a contratti non precedentemente assoggettati a tale procedura.
Il tentativo di conciliazione, come noto, in relazione ai contratti certificati deve essere svolto avanti la sede che ha provveduto alla certificazione medesima. Negli altri casi, il tentativo può essere invece proposto presso diverse sedi, e cioè, in alternativa: a) presso le Direzioni provinciali del lavoro (art. 410 c.p.c.); b) presso le sedi che saranno individuate dai contratti collettivi sottoscritti dalle associazioni sindacali maggiormente rappresentative (art. 412 ter c.p.c.); c) presso un collegio ad hoc, composto – su iniziativa delle parti stesse – da un rappresentante di ciascuna di esse e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte tra i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione (art. 412 quater c.p.c.).
Mancando nella legge una disciplina transitoria, secondo l’indirizzo ministeriale9, se il ricorso è stato posto prima del 24 novembre 2010, data di entrata in vigore della l. n. 183 del 2010, il giudice, xxx xxxxxx la improcedibilità della domanda per mancata proposizione del tentativo di conciliazione, dovrà sospendere il giudizio e fissare alle parti un termine per la promozione della conciliazione avanti la Direzione provinciale del lavoro. Diversamente, anche se la
7 Cfr., rispettivamente, art. 31, c. 14 e co .15, l. n. 183 del 2010.
8 Cass. civ., sez. III, 15 luglio 2008, n. 19436.
9 Cfr. Circolare del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 25 novembre 2010.
domanda è relativa a fatti antecedenti l’entrata in vigore della l. n. 183 del 2010, ma è stata depositata successivamente al 24 novembre 2010, non è necessario l’esperimento del tentativo di conciliazione.
Sempre secondo il Ministero, in riferimento alle eventuali domande di conciliazione giacenti al 24 novembre 2010, per quanto concerne le controversie del settore privato, le DPL, ove intendano convocare le parti (o le abbiano già convocate per una data successiva al 24 novembre 2010), potranno informare le stesse sulla intervenuta non obbligatorietà del tentativo di conciliazione, salva la possibilità, su richiesta delle parti medesime, di portare a termine la conciliazione per pervenire ad una transazione inoppugnabile.
Quanto alle modalità di svolgimento della conciliazione, esse sono diversificate a seconda della sede adita.
Viene stabilita una procedura specifica per la instaurazione del tentativo di conciliazione avanti le Direzioni provinciali del lavoro, volta a far sì che le parti e lo stesso conciliatore conoscano in anticipo – rispetto alla comparizione avanti il conciliatore – le reciproche posizioni e gli elementi a sostegno.
La richiesta del tentativo di conciliazione – sottoscritta dall’istante, consegnata alla sede di certificazione o spedita mediante raccomandata con avviso di ricevimento, e consegnata o spedita con raccomandata con ricevuta di ritorno a cura della stessa parte istante alla controparte – deve infatti precisare: 1) nome, cognome e residenza dell’istante e del convenuto; se l’istante o il convenuto sono una persona giuridica, un’associazione non riconosciuta o un comitato, l’istanza deve indicare la denominazione o la ditta nonché la sede; 2) il luogo dove è sorto il rapporto ovvero dove si trova l’azienda o sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto; 3) il luogo dove devono essere fatte alla parte istante le comunicazioni inerenti alla procedura; 4) l’esposizione dei fatti e delle ragioni posti a fondamento della pretesa.
La comunicazione della richiesta di espletamento del tentativo di conciliazione ha effetti sostanziali in quanto interrompe la prescrizione e sospende, per la durata del tentativo di conciliazione e per i venti giorni successivi alla sua conclusione, il decorso di ogni termine di decadenza.
Ove la controparte intenda accettare la procedura conciliativa, deve depositare presso la commissione, entro venti giorni dal ricevimento della copia della richiesta, una memoria contenente le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, nonché le eventuali domande in via riconvenzionale.
Se ciò non avviene, il tentativo di conciliazione si ritiene fallito e ciascuna delle parti è libera di adire l’autorità giudiziaria.
Entro i dieci giorni successivi al deposito, la commissione fissa la comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione, che deve essere tenuto entro i successivi trenta giorni.
Davanti alla commissione il lavoratore può farsi assistere anche da una organizzazione cui aderisce o conferisce mandato: non è prevista, invece, la possibilità per il lavoratore di farsi rappresentare e pertanto si ritiene che lo stesso debba comparire personalmente.
La procedura dettata dal novellato articolo 410 del codice di procedura civile deve applicarsi anche al tentativo obbligatorio di conciliazione in relazione ai contratti certificati. Ciò implica che, in caso di istanza di conciliazione, la controparte non dovrà più attendere (come accadeva in passato) la convocazione innanzi all’organo che aveva adottato la certificazione, bensì – dopo aver ricevuto l’istanza – dovrà attivarsi depositando tempestivamente la propria memoria contenente le proprie difese ed eccezioni in fatto e diritto ed eventuali domande riconvenzionali. Viceversa, ove la memoria difensiva non venga depositata dal convenuto nel termine di venti giorni dal ricevimento della istanza di parte attrice, il tentativo (in questi casi obbligatorio) di conciliazione si intenderà comunque esperito e potrà essere depositato il ricorso avanti l’autorità giudiziaria.
Essendo venuto meno anche l’articolo 410 bis del codice di procedura (che stabiliva che il tentativo di conciliazione doveva essere espletato nel termine di 60 giorni dalla presentazione della richiesta e che trascorso inutilmente tale termine il tentativo di conciliazione dovesse comunque considerarsi espletato), si può ritenere che l’istante possa inoltre depositare il ricorso
non solo in caso di inerzia del convenuto (che cioè non depositi nei tempi suddetti la propria memoria) o di espresso rifiuto del tentativo di conciliazione, ma altresì nel caso in cui l’ente che ha certificato il contratto non provveda alla convocazione delle parti entro il termine di dieci giorni dal deposito della memoria difensiva.
Nulla, invece, è previsto in relazione alle conciliazioni avanti le sedi individuate dalla contrattazione collettiva: in questi casi le modalità di espletamento verranno definite dai contratti collettivi medesimi.
Per quanto riguarda i collegi costituiti ad hoc su istanza delle parti e presieduti da professori universitari o da avvocati cassazionisti, il tentativo di conciliazione è delineato come fase preliminare rispetto all’arbitrato che si svolge – sempre su istanza delle parti – avanti questi collegi.
La parte che intenda chiedere la costituzione del collegio deve notificare a controparte un ricorso sottoscritto, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, personalmente o da un suo rappresentante al quale abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. Il ricorso deve contenere: a) la nomina dell’arbitro di parte; b) la indicazione dell’oggetto della domanda, delle ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fonda la domanda stessa, dei mezzi di prova ed eventualmente il valore della controversia entro il quale si intende limitare la domanda; c) il riferimento alle norme invocate dal ricorrente a sostegno della sua pretesa e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento.
A questo punto, la controparte può accettare la procedura di conciliazione e arbitrato nominando il proprio arbitro di parte, il quale entro trenta giorni dalla notifica del ricorso procede, ove possibile, concordemente con l’altro arbitro, alla scelta del presidente e della sede del collegio. Ove ciò non avvenga, la parte che ha presentato ricorso può chiedere che la nomina sia fatta dal presidente del tribunale nel cui circondario è la sede dell’arbitrato.
Se le parti non hanno ancora determinato la sede, il ricorso è presentato al presidente del tribunale del luogo in cui è sorto il rapporto di lavoro o ove si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale è addetto il lavoratore o presso la quale egli prestava la sua opera al momento della fine del rapporto.
In caso di scelta concorde del terzo arbitro e della sede del collegio, la parte convenuta, entro trenta giorni da tale scelta, deve depositare presso la sede del collegio una memoria difensiva sottoscritta, salvo che si tratti di una pubblica amministrazione, da un avvocato cui abbia conferito mandato e presso il quale deve eleggere il domicilio. La memoria deve contenere le difese e le eccezioni in fatto e in diritto, le eventuali domande in via riconvenzionale e l’indicazione dei mezzi di prova.
Entro dieci giorni dal deposito della memoria difensiva il ricorrente può depositare presso la sede del collegio una memoria di replica senza modificare il contenuto del ricorso.
Nei successivi dieci giorni il convenuto può depositare presso la sede del collegio una controreplica senza modificare il contenuto della memoria difensiva.
Il collegio fissa il giorno dell’udienza, che deve tenersi entro trenta giorni dalla scadenza del termine per la controreplica del convenuto, dandone comunicazione alle parti, nel domicilio eletto, almeno dieci giorni prima.
Alla udienza il collegio esperisce il tentativo di conciliazione.
In caso di fallimento del tentativo di conciliazione, il giudizio prosegue in forma arbitrale avanti il collegio così costituito.
Nel caso di tentativo di conciliazione esperito presso le Direzioni provinciali del lavoro e le sedi equiparate, ove la conciliazione non riesca, la commissione di conciliazione deve formulare una proposta per la bonaria definizione della controversia. Se la proposta non è accettata, i termini di essa sono riassunti nel verbale con indicazione delle valutazioni espresse dalle parti.
Delle risultanze della proposta formulata dalla commissione e non accettata senza adeguata motivazione il giudice eventualmente investito del contenzioso dovrà tenere conto in sede di giudizio: la norma intende che della mancata accettazione della proposta il giudice tenga conto non tanto nella decisione del merito – che evidentemente non può essere condizionata dal comportamento tenuto dalle parti durante il tentativo di conciliazione – quanto, piuttosto, in
sede di condanna alle spese di lite (analoga considerazione il giudice deve fare qualora la parte non abbia accettato una proposta di xxxxxxx definizione formulata dal magistrato nella fase di conciliazione endoprocessuale prevista dall’art. 420 c.p.c.).
Nel caso di fallimento del tentativo di conciliazione presso i collegi costituiti ad hoc il giudizio prosegue, come detto, avanti il medesimo collegio in forma arbitrale.
Se invece la conciliazione riesce, anche solo limitatamente ad una o più delle domande, viene redatto separato processo verbale sottoscritto dalle parti e dai componenti della commissione di conciliazione. Il giudice, su istanza della parte interessata, lo dichiara esecutivo con decreto: questa norma si applica a tutte le conciliazioni, salvo quelle previste dalla contrattazione collettiva che avranno l’efficacia che i contratti collettivi stessi stabiliranno.
2.4. L’arbitrato e la riforma della giustizia del lavoro
Le commissioni di certificazione sono organi abilitati all’arbitrato irrituale di cui all’art. 808-ter
c.p.c.10. Il comma 12 dell’art. 31 della l. n. 183 del 2010 statuisce infatti che “gli organi di certificazione di cui all’articolo 76 del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, possono istituire camere arbitrali per la definizione, ai sensi dell’articolo 808-ter del codice di procedura civile, delle controversie nelle materie di cui all’articolo 409 del medesimo codice e all’articolo 63, comma 1, del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165. Le Commissioni di cui al citato articolo 76 del d.lgs. n. 276 del 2003, e successive modificazioni, possono concludere convenzioni con le quali prevedano la costituzione di camere arbitrali unitarie. Si applica, in quanto compatibile, l’articolo 412, commi terzo e quarto, del codice di procedura civile”. Attendere per anni una decisione, in un rapporto che si regge sul soddisfacimento dei bisogni primari della persona, significa negare alla radice l’effettività delle tutele. I tempi di attesa e l’incertezza delle regole gravano anche sulle decisioni dei datori di lavoro, e frenano pesantemente la forza propulsiva e la competitività delle imprese. Rimanere per un tempo di quasi cinque anni nella incertezza di veder convalidata o meno una decisione organizzativa in materia di assunzione o licenziamento aumenta in modo spropositato l’entità dei risarcimenti e alimenta una imponente fuga nella economia sommersa.
Ecco perché la l. n. 183 del 2010 affida ora alle parti sociali la possibilità di ammettere, mediante appositi accordi collettivi, l’arbitrato di equità, cioè l’arbitrato che cerca la giustizia del caso concreto.
La l. n. 183 del 2010 prevede diverse modalità di accesso all’arbitrato (tramite collegi precostituiti o istituibili ad hoc per volontà delle parti) e, conseguentemente, diverse procedure. L’obiettivo è quello di diffondere ed agevolare il più possibile l’utilizzo dell’istituto in ragione delle diverse situazioni che potranno verificarsi in sede di attuazione e concreta operatività della legge.
Analogamente a quanto avviene per il tentativo di conciliazione facoltativo, l’arbitrato può essere esperito: 1) presso le Direzioni provinciali del lavoro e i collegi arbitrali istituiti presso le sedi abilitate, in base alla legge Biagi, alla certificazione dei contratti di lavoro (enti bilaterali, commissioni universitarie, collegi provinciali dei consulenti del lavoro, Ministero del lavoro – dipartimento attività ispettiva) (art. 412 c.p.c.); 2) presso le sedi eventualmente individuate dalla contrattazione collettiva (art. 412 ter c.p.c.); 3) presso un collegio ad hoc composto, su istanza delle parti, da un rappresentante di ciascuna di esse e da un terzo membro, in funzione di presidente, scelto di comune accordo dagli arbitri di parte. Possono essere nominati arbitri i professori universitari di materie giuridiche e gli avvocati ammessi al patrocinio davanti alla Corte di cassazione (art. 412 quater c.p.c.).
Le procedure sono diverse in base alla scelta sulla sede dell’arbitrato.
Avanti le Direzioni provinciali del lavoro e i collegi arbitrali presso le sedi di certificazione, la procedura arbitrale è prevista come eventuale nell’ambito di un tentativo di conciliazione della controversia. In qualunque fase del tentativo di conciliazione o al suo termine, in caso di mancata riuscita, le parti possono infatti affidare alla commissione ove si è svolto il tentativo di conciliazione il mandato a risolvere in via arbitrale la controversia indicando: 1) il termine per
10 Cfr. art. 31, co. 12, l. n. 183 del 2010.
l’emanazione del lodo, che non può comunque superare i sessanta giorni dal conferimento del mandato, spirato il quale l’incarico deve intendersi revocato; 2) le norme invocate dalle parti a sostegno delle loro pretese e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari.
Xxxxxx le sedi individuate dalla contrattazione collettiva varranno invece le norme che saranno (eventualmente) dettate dai contratti collettivi medesimi, là dove ovviamente le parti sociali intendano regolare la materia in attuazione della l. n. 183 del 2010.
L’arbitrato presso i collegi di cui al nuovo articolo 412 quater del codice di procedura civile si avvia una volta fallito il tentativo di conciliazione esperito avanti il collegio medesimo. In questo caso il collegio provvede, ove occorra, a interrogare le parti e ad ammettere e assumere le prove. Altrimenti – ove non sia necessaria l’assunzione di prove – invita alla immediata discussione orale. Le richieste delle parti, con la indicazione degli elementi a sostegno e l’eventuale richiesta di decidere secondo equità, nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento e dei principi regolatori della materia, anche derivanti da obblighi comunitari, sono già a conoscenza del collegio, in quanto presentate con l’istanza di avvio del tentativo di conciliazione. La controversia è decisa, entro venti giorni dall’udienza di discussione, mediante un lodo.
Per quanto riguarda i costi dell’arbitrato avanti le direzioni provinciali del lavoro e le commissioni di certificazione, la legge nulla prevede sulle spese.
L’arbitrato presso i collegi di cui al nuovo art. 412 quater del codice di procedura civile è invece oneroso: il compenso del presidente del collegio è fissato in misura pari al 2 per cento del valore della controversia dichiarato nel ricorso. Ciascuna parte provvede a compensare l’arbitro da essa nominato. Le spese legali e quelle per il compenso del presidente e dell’arbitro di parte, queste ultime nella misura dell’1 per cento del suddetto valore della controversia, sono liquidate nel lodo. I contratti collettivi nazionali di categoria possono istituire un fondo per il rimborso al lavoratore delle spese per il compenso del presidente del collegio e del proprio arbitro di parte. L’opzione tra la risoluzione arbitrale della controversia e la via giudiziale resta una libera scelta delle parti. All’arbitrato è possibile accedere, infatti, soltanto in forza di un compromesso, cioè di un accordo scritto nel quale sia determinato l’oggetto della controversia già insorta fra le parti (art. 807 c.p.c.).
Viceversa, la clausola compromissoria – cioè il patto nel quale si stabilisca che le eventuali controversie che dovessero insorgere dal rapporto saranno decise da arbitri (art. 808 c.p.c.) – è consentita unicamente nel caso in cui concorrano due requisiti.
In primo luogo, la possibilità di pattuire clausole compromissorie è interamente rimessa agli accordi interconfederali e ai contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale. In assenza degli accordi interconfederali o contratti collettivi, trascorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della l. n. 183 del 2010, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali avrebbe dovuto convocare le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, al fine di promuovere l’accordo, e, in caso di mancata stipula del medesimo, entro i sei mesi successivi alla data di convocazione avrebbe dovuto individuare in via sperimentale, con proprio decreto, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto tra le parti sociali stesse, le modalità di attuazione e di piena operatività delle disposizioni riguardanti la clausola compromissoria, ma ciò non è avvenuto.
In virtù della previsione suddetta, inoltre, la clausola compromissoria, a pena di nullità, deve essere certificata in base alle disposizioni di cui al titolo VIII del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, dagli organi di certificazione a ciò abilitati dal medesimo d.lgs., i quali devono accertare la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie che dovessero insorgere in relazione al rapporto di lavoro; davanti alle commissioni di certificazione le parti possono farsi assistere da un legale di loro fiducia o da un rappresentante dell’organizzazione sindacale o professionale a cui abbiano conferito mandato.
Oltre a questo duplice filtro – intervento a monte della contrattazione collettiva per delimitare ambiti e limiti della clausola compromissoria e successiva certificazione della singola clausola
compromissoria – il Parlamento, a seguito del messaggio alle Camere del Presidente della Repubblica, ha previsto ulteriori garanzie. La clausola compromissoria, infatti, potrà essere pattuita e sottoscritta soltanto una volta concluso il periodo di prova, ove previsto, ovvero trascorsi trenta giorni dalla stipulazione del contratto di lavoro in tutti gli altri casi, ed inoltre non potrà riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro.
2.5. Il potenziamento della funzione di assistenza e consulenza
Anche la funzione di assistenza e consulenza, già attribuita alle commissioni di certificazione dalle legge Biagi, risulta valorizzata dalla riforma. Eventuali tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti individuali di lavoro che siano stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione dovranno ora essere adeguatamente considerate dal giudice competente a valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, il quale dovrà altresì tener conto, nello stabilire le conseguenze da riconnettere al licenziamento ingiustificato, dei parametri fissati dalle parti con l’assistenza delle commissioni medesime11.
Infatti, il comma 3 dell’art. 30 della l. n. 183 del 2010 statuisce che il giudice, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, “tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti (…) nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione”. Pertanto, la norma, oltre a conferire una ulteriore importantissima competenza alle commissioni in materia di tipizzazione di casi di giusta causa e di giustificato motivo, conferma l’importanza del “comportamento delle parti anche prima del licenziamento”, e quindi anche in sede di eventuale certificazione e/o di assistenza e consulenza.
Inoltre, il comma 10 dell’art. 31 della l. n. 183 del 2010 ha statuito che “In relazione alle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, le parti contrattuali possono pattuire clausole compromissorie” che tuttavia devono essere preventivamente, a pena di nullità, certificate dagli organi abilitati.
Per le Commissioni di certificazione si prospetta così il difficile compito di accertare “la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le controversie”. Può essere quindi sostenuta la tesi secondo cui l’arbitrato potrà funzionare solo ove le Commissioni di certificazione impediscano la coartazione di volontà del lavoratore per fargli sottoscrivere la clausola compromissoria e ove i giudici del lavoro venivano investiti ugualmente delle controversie dei lavoratori che hanno sottoscritto la clausola arbitrale, con la richiesta - in via preliminare - di accertare la coartazione della volontà, al momento della firma del contratto, e quindi la nullità della clausola arbitrale.
Il legislatore, in particolare al comma in esame e a quello successivo, mostra chiaramente la propria volontà di legare certificazione e arbitrato al fine di raggiungere quell’effetto deflattivo che ha da sempre caratterizzato il fine ultimo dell’attività di certificazione.
Al di là, comunque, del ruolo che le commissioni di certificazione possono svolgere in merito alle tipizzazioni di licenziamento e all’arbitrato, il principale valore sostanziale della certificazione sta in quella preziosa attività di assistenza e consulenza fornita ad entrambe le parti del rapporto (e non a una sola di esse) che riduce – se non elimina – scelte tecnicamente inadeguate – se non inopportune – nell’ottica di una corretta gestione del personale.
Tale convinzione pare peraltro confermata dalle modalità con cui, fino ad ora, la Commissione di certificazione del Centro Studi Xxxxx Xxxxx dell’Università di Modena e Reggio Xxxxxx ha dato concreta attuazione all’art. 81 del d.lgs. n. 276 del 2003, il quale, non avendo subito modifiche ad opera della l. n. 183 del 2010, potrà continuare ad operare. Si fa riferimento, più in particolare, alle attività svolte nella fase preliminare alla certificazione, grazie alle quali le parti vengono “accompagnate” nella predisposizione e nella stipula di un contratto che sia il più possibile conforme al dato normativo. Ciò avviene, da un lato, attraverso l’attività di analisi informale, nell’ambito della quale la Commissione, su richiesta di una o di entrambe le parti, analizza il contratto (eventualmente unitamente al modello organizzativo che le parti intenderebbero attuare) nell’ottica della sua “certificabilità”, segnalando eventuali profili critici che le parti potranno decidere di correggere e opportunamente modificare ove decidano di dare effettivamente vita al rapporto e, nel caso, anche di sottoporre il contratto così perfezionato alla
11 Cfr. art. 30, co. 3, l. n. 183 del 2010.
Commissione, per la certificazione vera e propria. Dall’altro lato, la Commissione svolge una attività di assistenza e consulenza in senso classico, previa formulazione di appositi quesiti che possono avere il contenuto più vario. Tale attività trova un completamento, nell’ottica di un servizio gratuito ai potenziali interessati, nella pubblicazione, sul sito della Commissione di certificazione del Centro Studi Xxxxx Xxxxx dell’Università di Modena e Reggio Emilia12, di modelli contrattuali ritenuti astrattamente rispondenti al dato normativo, da cui le parti possono trarre spunto per regolare i reciproci impegni (e salva, naturalmente, una successiva attuazione in concreto rispondente a quanto pattuito, ai fini dell’ottenimento di un provvedimento di accoglimento nell’ambito di una procedura di certificazione).
2.6. Il nuovo ruolo della certificazione in giudizio
La l. n. 183 del 2010 ha infine previsto un potenziamento della tenuta in sede giudiziaria della certificazione. I giudici non potranno infatti discostarsi, nella qualificazione del contratto di lavoro e nella interpretazione delle relative clausole, dalle valutazioni espresse dalle parti in sede di certificazione del relativo contratto13.
L’art. 30, comma 2 della l. n. 183 del 2010 si pone l’obiettivo di rafforzare la efficacia giuridica della certificazione, disponendo una vera e propria limitazione del potere di valutazione del giudice. Infatti, oltre a quanto statuito al terzo comma dell’art. 80 del d.lgs. n. 276 del 2003, secondo cui “il comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia davanti alla Commissione di certificazione potrà essere valutato dal giudice del lavoro, ai sensi degli articoli 9, 92 e 96 del codice di procedura civile” (facoltà che, peraltro, andrebbe a incidere sostanzialmente solo sulla ripartizione delle spese di lite), prevede un vero e proprio obbligo da parte del giudice ad attenersi alle “valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro”.
2.7. Le norme “correttive”
Anche il quinto comma dell’art. 30 della l. n. 183 del 2010 interessa la certificazione, andando a modificare la norma del d.lgs. n. 276 del 2003 relativa alla attribuzione della competenza a creare commissioni di certificazione presso i Consigli Provinciali dei Consulenti del Lavoro. Esso, infatti, prevede, modificando l’articolo 76, comma 1, lettera c-ter) del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, che l’Ordine nazione dei consulenti del lavoro svolgo un’attività di coordinamento e vigilanza utile ai fini di un completo monitoraggio dell’utilizzo dell’istituto presso i Consigli provinciali dei Consulenti del Lavoro.
3. Le prospettive della volontà assistita con particolare riferimento al tema della responsabilità sociale
In una ottica più lungimirante, almeno rispetto alla logica formalistica di chi si impunta sulla sola tenuta giudiziaria del provvedimento di certificazione, e in termini maggiormente coerenti con la prassi di alcune commissioni, che mirano a farsi apprezzare per autorevolezza più che per autorità, l’istituto della certificazione può anche essere letto in chiave di responsabilità sociale d’impresa (RSI o CSR).
Esiste infatti oggi, una percezione diffusa e più forte della prassi, reiterata da alcune aziende, del ricorso abusivo ad alcuni contratti di lavoro, e di conseguenza si assiste a una certa resistenza, da parte dei lavoratori, all’accettazione delle nuove forme di lavoro, che vengono ricollegate a un univoco stato di precarietà.
In questa ottica, l’esistenza di un istituto che svolge il ruolo di garante sul rispetto dei diritti del lavoratore produce un effetto positivo per l’accettazione delle nuove formule contrattuali,
12 All’indirizzo xxx.xxxx.xxxxxxx.xx, voce Certificazione.
13 Cfr. art. 30, co. 2, l. n. 183 del 2010.
unitamente alla realizzazione effettiva della flessibilità del mercato, in quanto riduce le asimmetrie informative che spesso risultano sbilanciate a sfavore del lavoratore. Si tratta, per le imprese, per i lavoratori e per il sistema in generale, di un investimento nella creazione di un circolo virtuoso che genera benefici ad ampio raggio.
In definitiva, utilizzare la certificazione – anche nel nuovo ruolo che sembra derivarle alla luce dell’art. 27 del Testo Unico di sicurezza e tutela della salute dei lavoratori, così come modificato dal d.lgs. n. 106 del 2009 – in chiave di responsabilità sociale d’impresa e di valorizzazione del capitale intangibile significa ricevere dai propri dipendenti maggiore commitment e sviluppare il senso di appartenenza e condivisione degli obiettivi e dei risultati della azienda, con un riflesso positivo sul modo di lavorare e sul modo in cui si diffonde all’esterno (nella cerchia parentale, amicale e sociale) il cosiddetto positive word of mouth.
Il comportamento etico si riflette infatti sempre in maniera positiva sull’ambiente, sugli interlocutori della azienda, sui clienti e sui fornitori che la scelgono come partner, ma anche sulle banche e sulle istituzioni, e in particolare su quella parte di “attivisti sociali” che fungono da opinion leader e che sono capaci di influenzare in maniera anche rilevante la percezione che il pubblico ha rispetto a determinati temi.
La comunicazione da parte della azienda verso il proprio ambiente operativo dell’utilizzo della certificazione dei contratti fa poi sì che questi possano essere inseriti nel bilancio sociale, che un numero sempre più rilevante di società redige e pubblica, con una importanza che si avvia a divenire pari a quella del bilancio economico. Ciò, in quanto alla impresa è sempre maggiormente richiesto di divenire un operatore sociale responsabile e attento alle esigenze degli interlocutori con i quali interagisce, oltre che in grado di condividere con la comunità sociale i benefici realizzati, quale chiaro segnale di impegno e di orientamento responsabile.
Scontato appare infine, in relazione in particolare al tema della salute e della sicurezza, il richiamo alla connessione tra poteri organizzativi, titolarità d’impresa e responsabilità ex art. 2087 c.c.: è infatti naturale che l’imprenditore, ogniqualvolta si trovi nella necessità di operare una scelta che gli consenta di migliorare, razionalizzandola, l’organizzazione del lavoro, tenga in debita considerazione anche le positive ripercussioni in termini non solo di riduzione del tasso di infortuni o delle assenze per malattia, ma anche di aumento della produttività. In questo modo, adempiendo l’obbligazione di cui all’art. 2087 c.c., l’imprenditore si riserva, in prospettiva, addirittura maggiori profitti.
In quest’ottica, in definitiva una strada percorribile potrebbe essere quella di affidare a un soggetto esterno terzo, come un ente certificatore, il compito di testare e validare i modelli organizzativi e gestionali adottati.
4. La certificazione nel d.lgs n. 81 del 2008 e successive modifiche
L’esperienza fin qui maturata della certificazione dei contratti di lavoro e di appalto ha dimostrato come questo strumento abbia potenzialità diverse e in qualche misura maggiori rispetto agli obiettivi originari di deflazione del contenzioso a cui si era ispirata l’introduzione dell’istituto stesso. Non solo. La prassi delle commissioni di certificazione ha altresì evidenziato come tali potenzialità derivino e si spieghino proprio a partire dalla natura strettamente volontaria del procedimento.
Ciò, in quanto la sottoposizione del singolo contratto a un organismo terzo e imparziale, che possa verificarne la regolarità – formale e sostanziale – rispetto al dettato normativo vigente in un clima non conflittuale ma collaborativo tra le parti istanti, non solo garantisce l’impresa istante rispetto a possibili incursioni ispettive viziate dalla approssimazione, ma fornisce, altresì, al lavoratore, maggiore certezza con riferimento ai propri diritti ed una informazione più puntuale circa il proprio trattamento complessivo e l’adempimento, da parte del datore di lavoro, di tutte la obbligazioni riconnesse al rapporto. Tale esito, peraltro, non riguarda solo i contratti di lavoro in senso stretto, ma anche i contratti di appalto dove i lavoratori, tanto del committente quanto dell’appaltatore, possono giovarsi della verifica puntuale svolta dalla commissione in merito la genuinità del contratto che, con particolare riferimento ai profili
relativi alla assenza di interposizione, è una attestazione, in primo luogo, dei requisiti di genuina imprenditorialità dell’impresa appaltatrice verificata in astratto (in termini di potenzialità), e in concreto con riferimento alla organizzazione effettiva rappresentata nel contratto come necessaria per la corretta esecuzione dell’incarico.
Al riguardo risulta assolutamente fondamentale l’attività di assistenza e consulenza che il d.lgs.
n. 276 del 2003 attribuisce alle commissioni di certificazione. Tale competenza, che caratterizza l’istituto rispetto a una mera validazione formalistica ovvero a un passaggio di mero controllo assimilabile in qualche modo ad una ispezione programmata, può portare, in un percorso virtuoso sebbene più complesso, a vere e proprie modifiche dei metodi di produzione e organizzazione del lavoro affinché un pieno e consapevole adeguamento alla disciplina del rapporto di lavoro, in tutti i suoi aspetti, si traduca nella diminuzione, in quanto tale, di una molteplicità di fattori di rischio: la percezione di un minore controllo, l’intensificazione del ritmo di lavoro, il rapido mutamento del contenuto delle mansioni.
Un ruolo fondamentale assume, in prospettiva della tutela della salute e sicurezza, la certificazione degli appalti endo-aziendali, dato che, nel loro ambito, a causa dello svolgimento della attività negli ambienti dell’appaltante, diviene più labile la distinzione tra situazioni di evidente illiceità e realtà, al contrario, pienamente genuine.
Per chi persegue politiche di decentramento l’ottenimento della certificazione porta con sé la possibilità di realizzare una effettiva riduzione dei costi e un aumento dell’efficienza, con la garanzia, al contempo, di collaborare con un interlocutore attendibile: la certificazione dota infatti l’appaltatore di un titolo distintivo sul mercato, che segnala la sua “qualità” e orienta i possibili partner grazie alla riduzione del deficit informativo, traducendosi, tra l’altro, in un beneficio complessivo all’economia grazie alla accresciuta capacità di attrarre e mantenere investimenti. Proprio questi ultimi due fattori trasformano il costo sostenuto per la certificazione in redditività futura, e quindi in un investimento.
La procedura attuata costituisce così un fattore essenziale per la competitività, in quanto garantisce la flessibilità organizzativa nel rispetto delle norme giuridiche attraverso un utilizzo strategico delle medesime. Inoltre, comunicando all’esterno la avvenuta certificazione dei propri contratti (di appalto ma anche di lavoro), l’impresa risulterà meno propensa a porre in essere il cosiddetto “azzardo morale”, che al contrario la porterebbe a occultare eventuali irregolarità. Ciò in quanto il costo, in termini di immagine, derivante da un atteggiamento del genere sarebbe nettamente superiore ai benefici ottenuti grazie appunto alle irregolarità.
4.1. La certificazione obbligatoria per lo svolgimento di attività lavorative in ambienti sospetti di inquinamento o confinati
Il 14 settembre 2011 ha visto la luce il DPR n. 177, emanato in prima attuazione di quanto previsto all’interno dell’art. 27 del d.lgs. n. 81/2008, al fine di introdurre un primo Regolamento volto alla qualificazione delle imprese e dei lavoratori autonomi operanti all’interno di ambienti sospetti di inquinamento o confinati.
In particolare, l’art. 2 del summenzionato DPR prevede, tra l’altro, che per lo svolgimento di attività potenzialmente pericolose è necessaria la presenza di personale, in percentuale non inferiore al 30% della forza lavoro, con esperienza almeno triennale relativa a lavori in ambienti sospetti di inquinamento o confinati, assunta con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato ovvero anche secondo altre tipologie contrattuali, a condizione che tali contratti siano stati preventivamente certificati. Pertanto, anzitutto, la norma sembra prevedere la possibilità di svolgere tali lavori unicamente nel caso in cui almeno il 30% dei lavoratori abbiano una esperienza triennale. Nel caso poi in cui l’attività venga posta in essere da lavoratori con contratto diverso da quello standard (in questo caso inteso quale quello subordinato a tempo indeterminato) si dovrà procedere alla certificazione dello stesso. In questo senso, pertanto, è da ritenere debbano essere oggetto di certificazione, a mero titolo esemplificativo, i contratti a tempo determinato, il contratto di apprendistato ma anche il
contratto a progetto14. La medesima norma prevede un obbligo di certificazione del contratto anche in caso di attività svolte in appalto. Sul punto, deve osservarsi come una interpretazione restrittiva delle norme appena richiamate farebbe scattare l’obbligo di certificazione per tutti gli appalti ricollegati allo svolgimento delle summenzionate attività, a prescindere dal superamento da parte dell’impresa appaltatrice del requisito percentuale del 30% di personale esperto e qualificato.
Fuori di dubbio, invece, è l’obbligo di certificazione correlato alle ipotesi di subappalto, che devono essere previamente e specificamente autorizzate dal committente, a prescindere dalla presenza o meno di personale qualificato presso l’azienda subappaltatrice. Tale obbligo è esteso, tra l’altro, anche alle attività subappaltate nei confronti dei lavoratori autonomi15.
In sostanza, il DPR n. 177/2011 introduce per la prima volta nell’ordinamento il concetto di preventiva ed obbligatoria certificazione di taluni contratti, sebbene solamente al fine di permettere lo svolgimento di attività potenzialmente pericolose per la salute e sicurezza dei lavoratori.
14 Cfr. l’art. 2, comma 1, DPR n. 177/2011.
15 In questo senso cfr. l’art. 2, comma 2, DPR n. 177/2011.
CAPITOLO II
GLI ORGANI CERTIFICATORI: COMPETENZE E PROCEDURA
1. Gli attori e le sedi: inquadramento generale
Ai sensi dell’art. 76 del d.lgs. n. 276 del 2003, successive modifiche e integrazioni, sono sedi di certificazione le commissioni istituite presso: 1) gli enti bilaterali (nell’ambito territoriale di riferimento ovvero a livello nazionale); 2) le Direzioni provinciali del lavoro e le Province (nell’ambito territoriale di riferimento); 3) le Università pubbliche e private registrate in un apposito albo (ed esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo); 4) il Ministero del lavoro e delle politiche sociali; 5) i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro (sebbene esclusivamente nell’ambito territoriale di riferimento).
In virtù della formulazione normativa, quelli elencati dall’art. 76 non sono in sé gli enti che possono svolgere l’attività di certificazione, ma soltanto i contesti in cui le commissioni di certificazione possono essere costituite.
Ogni singola sede esprime un significato specifico della certificazione affidato, in via sussidiaria, alla libera scelta delle parti. Così le sedi bilaterali possono risultare espressione di un maturo sistema di relazioni industriali capace di prendersi in carico, anche in sede di singolo regolamento contrattuale, l’implementazione della contrattazione collettiva di riferimento. Le sedi istituite presso le Province, data la loro peculiare composizione (vedi infra) e considerate le competenze affidate alle Province in materia di mercato del lavoro, risultano invece idonee a sviluppare, attraverso la certificazione, un controllo tripartito delle delicate fasi di incontro tra la domanda e offerta di lavoro in un dato territorio. Le sedi Universitarie rappresentano, per contro, il momento strategico della collaborazione tra le sedi della innovazione e della ricerca, anche sui temi del lavoro e dei modelli organizzativi d’impresa, e il mondo produttivo, senza peraltro trascurare le potenzialità dell’utilizzo della certificazione universitaria in chiave di placement dei neo-laureati. Le Direzioni provinciali del lavoro segnano, con la certificazione, una tappa del processo evolutivo degli organi ispettivi e di vigilanza chiamati, ai sensi della legge Biagi e del relativo decreto di attuazione (il n. 124 del 2004), anche a compiti di prevenzione e consulenza alle parti. Analogo processo evolutivo può essere assegnato ai Consigli Provinciali degli ordini dei Consulenti del Lavoro, che da tempo rivendicano una funzione di terzietà nella consulenza attiva del mondo del lavoro che tra l’altro bene viene a integrare le funzioni assegnate ai consulenti in materia di incontro tra domanda e offerta di lavoro.
Quanto alla tendenziale uniformità dei “giudicati”, non ha ancora trovato concreta applicazione la disposizione di cui all’art. 78, comma 4 del d.lgs n. 276 del 2003, in virtù del quale, entro sei mesi dalla entrata in vigore della riforma, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali avrebbe dovuto adottare, con proprio decreto, “codici di buone pratiche per l’individuazione delle clausole indisponibili in sede di certificazione dei rapporti di lavoro, con specifico riferimento ai diritti e ai trattamenti economici e normativi”. Tali codici avrebbero peraltro dovuto recepire, ove esistenti, le indicazioni contenute in “accordi interconfederali stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”.
1.1. Gli enti bilaterali
Gli enti bilaterali sono organismi – privati – costituiti da una o più associazioni rappresentative delle parti sociali, solitamente come associazioni non riconosciute ex artt. 36 ss. cod. civ., che hanno forma paritetica.
Le loro funzioni sono state ampliate, così come anche per le commissioni costituite presso organismi differenti, dalle recenti disposizioni di cui alla l. n. 183 del 2010.
Il d.lgs. n. 276 del 2003 riserva però l’accesso alla funzione di certificazione dei contratti ai soli enti bilaterali costituiti dalle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative, onde garantire una certa autorevolezza delle commissioni e dei provvedimenti di certificazione da esse promananti. La competenza di ciascuna commissione sarà poi territoriale o nazionale, a seconda dell’ambito di riferimento del relativo ente bilaterale, che, in virtù della libertà sindacale, avrà anche un ampio margine di discrezionalità in ordine alla determinazione delle modalità organizzative circa la costituzione ed il funzionamento delle commissioni stesse.
1.2. Le Direzioni provinciali del lavoro e le Province
Ai sensi della originaria formulazione dell’art. 83, d.lgs. n. 276 del 2003, le commissioni costituite presso Province e Direzioni provinciali del lavoro risultavano entrambe competenti a certificare non solo contratti di lavoro e di appalto, al pari delle altre, ma anche i regolamenti interni delle società cooperative. Come si è visto, però, la l. n. 183 del 2010 ha azzerato tale differenziazione, posto che, attualmente, tutte le commissioni di certificazione hanno vista ampliata la propria competenza per materia, sebbene sia rimasta invariata quella territoriale.
Le maggiori perplessità sollevate in ordine alla attribuzione della competenza agli uffici decentrati del Ministero del Lavoro hanno riguardato, innanzitutto, la sostenibilità, per le DPL, del carico di lavoro che comporta questa funzione, che va ad aggiungersi a quello derivante dalle ulteriori funzioni ad esse affidate.
Altro rilievo mosso dalla dottrina ha riguardato il possibile “conflitto di competenze”; le Direzioni provinciali del lavoro, infatti, sono titolari di funzioni ispettive, di vigilanza e di sanzione che difficilmente si conciliano con quella di certificazione, soprattutto in ragione della scarsità di personale che spesso caratterizza la loro organizzazione; la scarsità di organico, infatti, rischia di imporre che uno stesso soggetto svolga entrambe le funzioni.
A questo problema, tuttavia, ha posto un primo rimedio il già richiamato D.M. 21 luglio 2004, che, nello stabilire i criteri di composizione e le modalità operative delle Commissioni presso le DPL, ha precisato che le Commissioni di certificazione devono essere costituite all’interno del Servizio per le politiche del lavoro (e non del Servizio ispettivo). La successiva Circolare ministeriale n. 48/2004 ha poi approfondito i temi trattati dal decreto, offrendo importanti chiarimenti operativi alle Commissioni delle DPL e delle Province.
Ulteriore rilevante aspetto critico dell’attribuzione in esame riguardava l’iniziale dubbio circa la legittimazione attiva in giudizio delle Direzioni provinciali del lavoro, giacché queste sono generalmente rappresentate dall’Avvocatura dello Stato. Il d.lgs. n. 251/2004 ha però risolto l’incertezza, sancendo la possibilità che siano gli stessi dirigenti ed i funzionari delle DPL a rappresentare e difendere in giudizio l’ente di appartenenza.
Da ultimo pare opportuno operare un cenno alla legittimazione conferita dal legislatore alle Direzioni provinciali del lavoro, le quali, sentiti gli organismi preposti e sulla base delle direttive del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, possono individuare criteri per uniformare i comportamenti e le pratiche in uso presso i soggetti abilitati alla certificazione dei rapporti di lavoro (art. 8, comma 4 d.lgs. n. 124/2004).
1.3. Le università
Importanti protagoniste dell’attività di certificazione dei contratti di lavoro e di appalto risultano essere le Università. Commissioni universitarie di certificazione possono infatti essere istituite da qualsiasi Università, pubblica o privata, nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo. Le competenze, perciò, vengono attribuite non direttamente alle Università, ma a docenti di ruolo a tempo pieno che svolgano attività di certificazione in regime di convenzione con soggetti privati, di vera e propria consulenza intra moenia.
Il comma 2 dell’art. 76, d.lgs. n. 276 del 2003, prevede poi che, per ottenere l’abilitazione necessaria alla certificazione, le Università debbano essere registrate in un apposito Albo tenuto presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali. La registrazione è subordinata all’invio di
studi ed elaborati che contengano indici e criteri giurisprudenziali per la qualificazione dei contratti di lavoro che si riferiscano alle tipologie contrattuali indicate dal Ministero stesso. Tali studi, tra l’altro, sono condizione non solo per la registrazione nell’Albo, che avviene mediante decreto ministeriale (cfr. art. 76, comma 2), ma anche per il mantenimento della stessa.
La nota ministeriale del 17 febbraio 2005 ha chiarito che, posto che le Università possono essere abilitate alla certificazione esclusivamente nell’ambito di rapporti di collaborazione e consulenza attivati con docenti di diritto del lavoro di ruolo a tempo pieno ai sensi dell’articolo
66 del DPR n. 382 del 1980, la commissione di certificazione universitaria potrà essere autorizzata solo in presenza di specifiche convenzioni in conto terzi, debitamente firmate dal Rettore di Ateneo, dal Preside di Facoltà, dal Direttore di Dipartimento o Istituto ai sensi della organizzazione interna di ciascun Ateneo. L’articolo 66 del decreto Presidente della Repubblica
n. 382 del 1980, nel disciplinare i contratti di ricerca, di consulenza e convenzioni di ricerca in conto terzi fa sì che, nel promuovere la costituzione di una sede di certificazione universitaria, il docente universitario si impegna ad attirare verso la propria struttura universitaria importanti finanziamenti privati, che potranno poi consentire di trattenere giovani studiosi e di indirizzare la ricerca anche verso quei settori che sempre più raramente beneficiano di adeguati finanziamenti pubblici. Nell’ambio dei regimi convenzionali in conto terzi, infatti, una quota rilevante degli introiti viene trattenuta dagli Atenei, per la copertura di costi generali e anche per finanziare assegni di ricerca e le attività del personale amministrativo. Una opportunità, in ogni caso, affinché i docenti universitari di diritto del lavoro possano svolgere attività di consulenza e assistenza al mondo delle imprese, arricchendo la propria sensibilità ed esperienza, senza dover necessariamente abbandonare le aule e gli istituti universitari per la libera professione. Nulla vieta, peraltro, di integrare la commissione di certificazione universitaria mediante la partecipazione di professionisti ed operatori della materia, irrobustendo ancor di più, in questo modo, il dialogo tra teoria e prassi applicativa.
1.3.1. Il regolamento interno della Commissione di Certificazione istituita presso il Centro Studi Internazionali e Comparati “Xxxxx Xxxxx” del Dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Xxxxxx
Stante la già richiamata assenza, nel panorama normativo, di precise e puntuali indicazioni volte a regolamentare con precisione non solo la procedura di costituzione, ma pure l’attività delle commissioni di certificazione costituite presso le università, la Commissione di Certificazione costituita presso il Centro Studi Internazionali e Comparati “Xxxxx Xxxxx” dell’Università di Modena e Reggio Xxxxxx ha poi ritenuto necessario, nei mesi successivi, elaborare un proprio regolamento interno (adottato, in particolare, in data 30 maggio 2005, e successivamente modificato in data 13 settembre 2005, 18 luglio 2007, 19 dicembre 2007, 5 ottobre 2009, 29
novembre 2010, 7 novembre 2011 e, da ultimo, 15 ottobre 2012), che, pur non imposto dalle norme di legge (a differenza di quanto avviene per le Commissioni presso DPL e Province) si è ritenuto necessario per disciplinare gli aspetti operativi fondamentali per un corretto svolgimento delle attività di certificazione e di assistenza e consulenza alle parti istanti. Non esistendo parametri di riferimento a cui attenersi, la Commissione ha ritenuto opportuno tenere in considerazione, nella predisposizione del proprio regolamento, il modello che il Ministero aveva predisposto per le Direzioni Provinciali del Lavoro, vista anche la sostanziale corrispondenza della attività che sarebbe andata a svolgere con quella attribuita dal legislatore anche (ma non solo) a queste ultime.
Posto poi che alcune Commissioni di Certificazione, tra quelle già istituite presso le Direzioni Provinciali del Lavoro, avevano provveduto ad approvare i propri regolamenti interni, proprio sulla base, oltre che delle fondamentali disposizioni di cui al D.lgs n. 276 del 2003, anche del Decreto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali del 21 luglio 2004 e della citata Circolare del Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali n. 48 del 15 dicembre 2004, la Commissione di Certificazione costituita presso il Centro Studi Internazionali e Comparati
“Xxxxx Xxxxx” ha preso a modello anche tali regolamenti16. Gli aspetti più rilevanti disciplinati da questi ultimi riguardavano l’ambito di competenza delle commissioni, la costituzione e la composizione delle stesse (membri titolari, supplenti, consultivi), la possibilità di costituire sottocommissioni (con compiti istruttori, ma non deliberativi), la validità delle sedute e delle delibere, le cause di astensione relative ai membri della Commissione e la procedura di certificazione (ossia l’istanza di certificazione, il termine del procedimento, le modalità di calendarizzazione dei lavori e di convocazione delle parti, la convocazione della commissione ed il ruolo dei relatori, la registrazione e la conservazione dei documenti ricevuti ed il provvedimento di certificazione). Il regolamento approvato dalla Commissione di Certificazione costituita presso il Centro Studi Internazionali e Comparati “Xxxxx Xxxxx” si è così proposto di regolamentare tutti questi profili, oltre ad altri più specificamente connessi alla sua natura di sede di certificazione operante in ambito universitario.
Tra i diversi profili regolati si segnalano, in particolare a seguito della entrata in vigore della l. n. 183 del 2010, le disposizioni in materia di certificazione delle rinunce e transazioni e dei regolamenti interni di cooperativa, oltre che le specifiche utili all’esercizio della funzione di conciliazione, sia obbligatoria, sia facoltativa. Come già segnalato, infatti, le commissioni di certificazione potranno trovarsi ad operare quali sedi di conciliazione anche al di fuori dei casi di contratti già certificati dalle medesime17.
Il Regolamento non prevede invece, allo stato, alcuna disposizione che definisca i vari passaggi procedurali in materia di arbitrato: un aggiornamento in tal senso sarebbe per certo necessario qualora divenissero operative le recenti disposizioni di cui alla l. n. 183 del 201018.
1.4. Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali
Come sopra anticipato, con la Legge Finanziaria per l’anno 200619 sono state aggiunte due nuove sedi competenti alla costituzione, al proprio interno, di Commissioni di certificazione dei contratti20. In particolare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ed i Consigli Provinciali dei consulenti del lavoro.
In seno al Ministero del lavoro, la Commissione deve essere istituita presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro, e può operare soltanto in due ipotesi: quella in cui il datore istante abbia le proprie sedi di lavoro in almeno due province, anche di regioni diverse, e quella in cui il datore istante abbia una sola sede di lavoro ma sia associato ad organizzazioni imprenditoriali che abbiano predisposto, a livello nazionale, schemi di convenzioni certificati dalla commissione di certificazione istituita presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
Il dettato normativo precisa, tra l’altro, che l’istituzione di dette Commissioni deve avvenire nell’ambito delle risorse umane e strumentali già operanti presso la Direzione generale della tutela delle condizioni di lavoro.
1.5. I consigli provinciali dei consulenti del lavoro
Quanto alle Commissioni istituibili presso i Consigli provinciali dei consulenti del lavoro, deve innanzitutto ricordarsi che esse sono dotate, al pari di quelle costituite presso le DPL e le Province, di competenza a certificare i soli contratti stipulati nell’ambito territoriale di riferimento. La finalità perseguita dal legislatore all’atto della introduzione dei Consigli provinciali dei consulenti del lavoro quale nuova possibile sede costitutiva di commissioni di certificazione deve per certo essere ricondotta alla volontà di dare adeguato sbocco alla professionalità e alla specializzazione in materia di cui tale categoria risulta per certo fornita.
16 Cfr. i regolamenti delle commissioni di certificazione costituite presso le DPL di Milano, di Roma, di Ferrara, di Modena e di Forlì-Cesena, in Boll. Adapt, 2005, n. 13.
17 Cfr. art. 31, comma 13.
18 Cfr. art. 31, comma 12.
19 L. n. 266/2005.
20 Cfr. art. 76, comma 1, lett. c-bis e c-ter.
2. La competenza territoriale degli organi certificatori
Come si ha già avuto modo di rimarcare, mentre per quanto riguarda le Università e gli enti bilaterali le norme vigenti non impongono alcuna limitazione territoriale alla competenza delle relative commissioni di certificazione (se non, per gli enti bilaterali, quella intrinseca all’ambito di applicazione del contratto collettivo di pertinenza), non si può dire altrettanto per le commissioni costituite presso le Direzioni provinciali del lavoro e le Province, oltre che per quelle istituite dai Consigli provinciali dei consulenti del lavoro (per la commissione costituita presso il Ministero del lavoro, come si è visto, devono poi essere svolte considerazioni specifiche).
Le parti che vogliano adire una commissione di certificazione presso la Provincia o la DPL, infatti, devono necessariamente rivolgersi a quella istituita nella circoscrizione in cui si trova l’azienda o una sua dipendenza alla quale sarà addetto il lavoratore.
Quanto agli enti bilaterali, invece, il legislatore ha evitato di limitare la loro competenza territoriale, quanto meno, come sopra rilevato, in maniera diretta, così come ha scelto di non imporre regole attinenti al funzionamento delle relative commissioni, per concedere spazio alle determinazioni dell’autonomia collettiva (che possono così fissare l’ambito territoriale di riferimento di ogni ente bilaterale e, di conseguenza, di ogni commissione).
La diversità dei criteri fissati dal legislatore per stabilire la competenza delle diverse commissioni determina però il rischio di vere e proprie sovrapposizioni tra i procedimenti, o di conflitti tra provvedimenti promananti da diverse commissioni, qualora le parti adiscano contemporaneamente oppure in via successiva più commissioni, se non con riferimento ai medesimi contratti, anche soltanto con riferimento a contratti tra loro del tutto simili, in quanto attivati sulla base del medesimo modello.
Il D.M. 21 luglio 2004 ha imposto, al fine di evitare conflitti tra provvedimenti promananti da diverse commissioni, il divieto di presentare la medesima istanza a diverse sedi di certificazione; inoltre, è fatto divieto alle parti di presentare una istanza identica, nei presupposti e nei motivi, a una precedente che abbia ottenuto un provvedimento di xxxxxxx. Perché queste disposizioni non risultino vuote di significato, molte commissioni hanno di fatto inserito, nei modelli di istanze suggeriti alle parti, appositi campi la cui compilazione mira proprio a specificare tali profili. Inoltre, l’obbligo per ogni commissione di informare la DPL competente ogniqualvolta venga aperta una procedura di certificazione, con la precisa indicazione del contratto da certificare e delle parti istanti, dovrebbe fare sì che tale organismo, incrociando opportunamente le comunicazioni ricevute, possa fungere da “controllore” in merito a questi aspetti.
3. La procedura di certificazione
Il d.lgs. n. 276 del 2003 stabilisce alcuni importanti principi cui le Commissioni dovranno attenersi nel corso del procedimento di certificazione, e delinea i caratteri essenziali del provvedimento finale, ma contemporaneamente rimette alla determinazione delle stesse Commissioni di certificazione gran parte delle scelte operative. Così, in attesa dei codici di buone pratiche, le Commissioni di certificazione in concreto agiscono secondo le procedure stabilite dal proprio regolamento interno (che pare obbligatorio, però, ex art. 78, comma 2, soltanto per le Commissioni istituite presso le DPL e le Province).
Quanto al dato normativo, il primo, fondamentale requisito in ordine alla procedura di certificazione riguarda l’avvio della medesima, che risulta regolato dall’art. 78 e che può avere inizio soltanto per volontà qualificata delle parti: ciò significa che non solo è necessario che siano entrambe le parti a voler adire la Commissione di certificazione, ma che è altresì indispensabile che le stesse presentino una istanza scritta e comune perché da ciò consegua l’obbligo, per l’organo adito, di attivare la procedura.
Il d.lgs. n. 276 del 2003 statuisce poi che l’inizio del procedimento deve essere comunicato alla Direzione provinciale del lavoro, la quale provvede ad inoltrare la comunicazione alle autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti: esse possono quindi presentare eventuali osservazioni alle Commissioni di certificazione procedenti. Tale onere sembra essere imposto alle Commissioni al fine di consentire ai soggetti che subiranno gli effetti preclusivi della certificazione di far presente già in corso di procedura possibili rilievi, e di contribuire così, anche grazie alla particolare esperienza e competenza, all’operazione valutativa degli organi certificatori.
L’art. 78 stabilisce inoltre che il procedimento di certificazione deve concludersi con un atto di diniego o con un provvedimento di certificazione, entro trenta giorni dal ricevimento dell’istanza. Quanto alla natura del termine per la conclusione del procedimento di certificazione, si ritiene debba trattarsi di termine ordinatorio.
L’atto di certificazione deve poi presentare alcuni contenuti fondamentali: la motivazione (in modo da consentirne il vaglio in sede di giudizio), il termine e l’autorità cui è possibile ricorrere, nonché l’esplicita menzione degli effetti (civili, amministrativi, previdenziali o fiscali) in relazione ai quali le parti abbiano richiesto la certificazione, posto che il provvedimento produrrà i soli effetti richiesti appunto dalle parti, tra quelli elencati dall’art. 78.
Una volta certificati, i contratti e la relativa pratica contenente la documentazione presentata devono essere conservati presso le sedi di certificazione, per un periodo di almeno cinque anni a far data dalla loro scadenza, al fine di consentire anche alle autorità pubbliche che ne abbiano la necessità e l’interesse giuridico (e quindi alle autorità interessate dagli effetti della certificazione) di prenderne visione e chiederne copia. Rispetto a quanto già stabilito in generale dalla l. n. 241/1990 sul diritto di accesso nel procedimento amministrativo, la previsione dell’art. 78, comma 3, consente che, in caso di contestazioni circa la qualificazione del contratto, la consultazione della documentazione relativa alla certificazione del contratto risulti agevole a questi enti e al giudice che tra l’altro, in sede di giudizio, potrà tenerne conto.
4. I codici di buone pratiche ed i moduli e formulari
Il legislatore ha previsto che l’azione delle Commissioni di certificazione sia guidata non solo dai criteri-base di cui ai primi tre commi dell’art. 78, d.lgs. n. 276 del 2003, ma anche dal sostegno di alcune elaborazioni del Ministero del lavoro e delle politiche sociali: i già richiamati codici di buone pratiche e i c.d. moduli e formulari (art. 78, commi 4 e 5).
I codici di buone pratiche dovrebbero facilitare l’attività di certificazione individuando, nella considerazione delle indicazioni contenute negli accordi interconfederali stipulati da associazioni dei datori e dei prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale, l’area dei diritti inderogabili e, a contrario, quella dei diritti e dei trattamenti economici e normativi che siano suscettibili di disposizione in sede di certificazione.
Ad oggi, comunque, né i codici di buone pratiche né i moduli e formulari sono ancora intervenuti (a meno che non si vogliano considerare tali gli allegati alla Circolare n. 48 del 2004 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali21):
In verità, più che una vera e propria codificazione delle “buone pratiche”, o di moduli e formulari (destinati, stante il rapido e continuo mutare delle norme in materia di lavoro e non solo, a divenire rapidamente desueti), quello che pare essersi rivelato più utile, nella esperienza della Commissione di Certificazione del Centro Studi “Xxxxx Xxxxx” dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Xxxxxx, è la segnalazione, all’interno dei singoli provvedimenti – di certificazione o di rigetto – ma anche con apposite personalizzate comunicazioni alle parti istanti, degli orientamenti della Commissione e dei relativi mutamenti (in virtù di nuove pronunce della giurisprudenza su singoli temi, o di apposite circolari amministrative di cui si è
21 Rispettivamente inerenti: Istanza di certificazione; Provvedimento di certificazione dei contratti di lavoro; Provvedimento di rigetto della istanza di certificazione dei contratti di lavoro; Regolamento Commissione di certificazione; Linee guida alla certificazione.
ritenuto opportuno tenere conto, ecc.), in modo che risultassero chiari, in caso di successiva riproposizione di istanze inerenti contratti similari a quelli fino a quel momento analizzati, i profili che avrebbero richiesto una revisione e/o una riformulazione più attenta.
CAPITOLO III
LA CERTIFICAZIONE DEI CONTRATTI
E LE ALTRE IPOTESI DI CERTIFICAZIONE
1. Inquadramento generale
La certificazione del contratto di lavoro costituisce per certo la colonna portante della disciplina dettata dagli artt. 75-84, d.lgs. n. 276 del 2003. Su tale impianto si è inserito l’art. 27 del d.lgs. n. 81 del 2008, così come modificato dal d.lgs. n. 106 del 2009, il quale ha mostrato di cogliere l’importanza delle ripercussioni che un dato tipo di organizzazione può avere sul rapporto: aspetto, peraltro, disvelato dalle prassi attuate in questi anni dalle commissioni di certificazione effettivamente operative, certamente innovativo ma di ampia portata quanto a possibili sviluppi futuri dell’istituto.
Oltre a questi aspetti, su cui si tornerà nel prosieguo, pare opportuno concentrare innanzitutto l’attenzione sul fatto che, in virtù di una certa lettura che ne viene data, la formulazione dell’art. 75 parrebbe significare che la certificazione possa fare riferimento al solo momento genetico del rapporto, non potendo invece considerare le modalità di concreto svolgimento dello stesso. Numerosi dubbi sono così sorti su quale sia il momento in cui le parti possano richiedere la certificazione: se sia possibile, cioè, presentare l’istanza anche in corso di esecuzione del rapporto, oppure se ciò sia consentito soltanto ex ante, cioè prima che il contratto riceva esecuzione.
Il dato normativo non risulta decisivo per la soluzione del quesito, ponendosi, accanto alla disposizione appena menzionata, altre disposizioni che lasciano intendere la possibilità di ricorrere alla certificazione anche durante l’esecuzione del contratto (l’attività di assistenza e consulenza di cui all’art. 81, ad esempio, può essere svolta anche con riguardo alle modifiche del programma negoziale).
Il perseguimento dell’intento deflattivo del contenzioso e della creazione di una virtuosa collaborazione tra gli operatori del diritto volta alla promozione della legalità impongono di ritenere – anche a prescindere dalle inequivocabili innovazioni del quadro legale scaturite dalla l.
n. 183 del 2010 – che la certificazione possa svolgersi anche durante la fase attuativa del contratto, nella quale è consentito alla commissione un esame concreto delle reali dinamiche del rapporto. Il contenzioso in materia di qualificazione, in particolare, sorge il più delle volte in un momento successivo alla conclusione dell’accordo, quando cioè le parti si trovano ad attuare ciò che hanno concordemente stabilito. È nella fase di esecuzione del contratto che, in altre parole, si presentano i problemi di più difficile soluzione e le parti entrano in conflitto.
L’attenzione deve pertanto spostarsi sulla delicata questione degli strumenti di indagine a disposizione delle commissioni di certificazione. I poteri istruttori degli enti certificatori paiono infatti limitati all’analisi dei documenti allegati all’istanza e all’audizione delle parti, il che complica l’esame circa l’effettiva volontà di queste ultime.
Proprio per questo sono stati in molti a ritenere che la forza deflattiva del contenzioso propria dell’istituto sia significativamente compromessa in ragione del suo più grande limite intrinseco, costituito dalla impossibilità di cogliere la concreta evoluzione del rapporto attraverso, ad esempio, la raccolta di testimonianze di soggetti terzi. In verità, in sede di applicazione dell’istituto si ha avuto modo di verificare che spesso è possibile, per le commissioni, raccogliere in corso di istruttoria anche informazioni ulteriori rispetto a quelle – limitate per propria natura – che potrebbero derivare dalla documentazione presentata (o richiesta quale integrazione) o dalle audizioni delle parti contrattuali. Ciò in quanto non è rara l’eventualità che le aziende istanti presentino contemporaneamente, alla commissione adita, un numero anche rilevante di contratti da esaminare: questo consente una sorta di “controllo incrociato” delle differenti dichiarazioni rese in sede di audizione da parte dei lavoratori, controllo che mina fortemente la possibilità, per l’azienda, di celare modelli di organizzazione del lavoro incompatibili, in concreto, con le tipologie contrattuali prescelte.
Le audizioni dei prestatori di lavoro (effettuate tramite questionari che il commissario istruttore fa compilare per verificare le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa) si svolgono poi in assenza di preposti e/o responsabili aziendali, e le relative risultanze non sono allegate al provvedimento di rigetto/certificazione che viene inviato, al termine della procedura, alla azienda ed al prestatore di lavoro. Questo permette a quest’ultimo di rispondere liberamente, in quanto i verbali di audizione, anche alla luce della giurisprudenza del Consiglio di Stato, potranno essere richiesti dalle parti solo nel caso insorga una controversia tra le medesime.
Nella sua versione originaria, l’art. 75, d.lgs. n. 276 del 2003, prevedeva che la certificazione dei contratti di lavoro potesse riguardare soltanto le tipologie contrattuali nello stesso art. 75 elencate: lavoro intermittente, lavoro ripartito, lavoro a tempo parziale, lavoro a progetto, contratti di associazione in partecipazione (con apporto di attività lavorativa). L’art. 84 aggiungeva poi i contratti di appalto. Il legislatore si era quindi inizialmente concentrato, nel delimitare il campo operativo entro cui sperimentare l’istituto, sui tipi contrattuali interessati dal d.lgs. n. 276 del 2003 (in quanto da quest’ultimo creati o significativamente modificati). Era attorno a queste novità legislative che si era infatti previsto il moltiplicarsi del contenzioso. L’ambito di operatività della certificazione ha subito tuttavia un primo ampliamento a poco più di un anno dalla propria introduzione nell’ordinamento. L’art. 18, d.lgs. n. 251/2004, sostituendo l’art. 75 d.lgs. n. 276/2003, ha infatti previsto che potessero essere oggetto di certificazione tutti i contratti di lavoro, purché ciò fosse finalizzato a ridurre il contenzioso in materia di qualificazione.
2. L’estensione delle procedure di certificazione a tutte le tipologie contrattuali in cui viene dedotta direttamente o indirettamente una prestazione di lavoro, alle singole clausole contrattuali ed alle clausole compromissorie
A fronte dei dubbi interpretativi che la generica formulazione dell’art. 75 d.lgs. n. 276/2003, così come introdotto dall’art. 18, d.lgs. n. 251/2004, aveva posto relativamente a quali fossero i contratti da ritenersi «di lavoro», e perciò certificabili, il Legislatore è intervenuto sostituendo nuovamente l’articolo. La nuova versione dell’art. 75, così come prevista dall’art. 30, comma 4,
l. n. 183/2010, ha infatti esteso la facoltà di ricorrere alla certificazione per tutti quei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro. Ancora una volta è stata utilizzata una locuzione generica che estende i confini di applicazione della certificazione. Non esiste più il limite di applicazione ai contratti di lavoro o all’appalto e si possono così certificare anche contratti commerciali purché venga dedotta almeno indirettamente una prestazione di lavoro. Posto che l’espressione «dedotta indirettamente» non ha però un significato particolarmente chiaro, si possono ritenere potenzialmente certificabili anche contratti largamente utilizzati nelle prassi commerciali quali ad esempio la subfornitura industriale, il trasporto, il franchising, l’engineering e il marketing. L’unico limite rimane il fine a cui deve tendere la certificazione, che deve sempre essere identificato nella riduzione del
«contenzioso in materia di lavoro». Viene quindi rafforzata la funzione di prevenzione del contenzioso lavoristico propria della certificazione, non rilevando quale fattispecie contrattuale lo generi.
Anche riguardo ai contratti in cui viene dedotta almeno indirettamente una prestazione di lavoro, le commissioni potranno allora essere adite non solo ai fini della attivazione di una procedura di certificazione, ma anche per le attività di consulenza e assistenza di cui all’art. 81, d.lgs. n. 276/2003. Nella fase di stipula del contratto le commissioni potrebbero inoltre attestare l’effettiva volontà congiunta delle parti di adottare determinate pattuizioni.
Come già ricordato, all’attività di certificazione in senso stretto dei contratti inerenti prestazioni lavorative, la l. n. 183/2010 (ed in particolare l’art. 31, comma 10) affianca la possibilità, in relazione alle materie di cui all’articolo 409 del codice di procedura civile, di pattuire clausole compromissorie ex art. 808 del codice di procedura civile, le quali, a pena di nullità, devono essere certificate da uno degli organi di certificazione il quale è tenuto ad accertare, all’atto della sottoscrizione della clausola, la effettiva volontà delle parti di devolvere ad arbitri le eventuali
controversie nascenti dal rapporto di lavoro. La stipula di tali clausole avanti le commissioni di certificazione è ulteriormente subordinata alla loro previsione all’interno di accordi interconfederali o contratti collettivi di lavoro stipulati dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale (o, in caso di inerzia da parte di queste, le ipotesi sono definite da parte del Ministero del Lavoro per mezzo di un proprio decreto22) e, comunque, la clausola compromissoria non può essere pattuita e sottoscritta prima della conclusione del periodo di prova, ove previsto, ovvero se non siano trascorsi almeno trenta giorni dalla data di stipulazione del contratto di lavoro, in tutti gli altri casi e, infine, non può riguardare controversie relative alla risoluzione del contratto di lavoro.
A ciò si aggiunge il comma 3 dell’art. 30 della l. n. 183 del 2010, il quale prevede che il giudice, nel valutare le motivazioni poste alla base del licenziamento, debba tenere conto “delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti (…) nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l’assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione”. In tal caso, la norma non parla specificatamente di certificazione delle clausole. D’altra parte, non può fare a meno di rilevarsi come l’assistenza e consulenza delle commissioni di certificazione in tema sia volta, nella sostanza, a certificare la clausola che stabilisce le ipotesi di giusta causa e di giustificato motivo.
3. L’appalto
Altra importante competenza attribuita alle commissioni di certificazione previste dall’art. 76 è quella che concerne la certificazione dei contratti di appalto.
Gli appalti, in virtù dell’ultima versione dell’art. 75 d.lgs. n. 276/2003, possono essere oggetto di certificazione sia in quanto contratti in cui viene dedotta indirettamente una prestazione di lavoro, sia in quanto contratti espressamente richiamati dall’art. 84, d.lgs. n. 276 del 2003, il quale infatti dispone che le procedure di certificazione possano essere utilizzate anche in relazione ai contratti di appalto, sia in sede di stipulazione degli stessi, sia nelle fasi di attuazione del relativo programma negoziale, ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e – appunto – appalto.
Tale distinzione ha un sostanziale rilievo dal punto di vista pratico, in quanto la competenza assegnata alle commissioni dall’art. 75 permetterà alle medesime di occuparsi di una serie di aspetti che vanno oltre alla concreta distinzione tra il contratto di appalto e la somministrazione di lavoro. Potrà quindi essere sottoposta alla attenzione della commissione di certificazione ogni questione inerente l’appalto finalizzata a ridurre il contenzioso in materia di lavoro.
Tradizionalmente, comunque, la previsione in materia di certificazione dei contratti di appalto deve essere interpretata in maniera funzionale al quadro delle rilevanti modifiche apportate dal d.lgs. n. 276 del 2003 alla disciplina del relativo contratto. Il decreto ha infatti rovesciato l’impostazione tradizionale secondo cui l’interposizione di manodopera era vietata, se non in casi eccezionali.
Tale lettura era indotta dallo schema per lungo tempo condiviso secondo cui il datore di lavoro si appropria della prestazione di lavoro del lavoratore in cambio di una remunerazione e del riconoscimento di diritti e tutele. Storicamente, infatti, uno dei principi cardine del nostro ordinamento è stato quello della necessaria coincidenza tra titolare formale del contratto di lavoro ed effettivo utilizzatore della prestazione lavorativa. L’esigenza di impedire l’elusione delle tutele inderogabili del diritto del lavoro e la vanificazione dell’azione collettiva ha infatti indotto il Legislatore a improntare gli assetti del diritto del lavoro al principio secondo cui colui
22 Cfr., in questo senso il comma 11 dell’art. 31 che prevede che “In assenza degli accordi interconfederali o contratti collettivi (…), trascorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali convoca le organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative, al fine di promuovere l’accordo. In caso di mancata stipulazione dell’accordo di cui al periodo precedente, entro i sei mesi successivi alla data di convocazione, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, con proprio decreto, tenuto conto delle risultanze istruttorie del confronto tra le parti sociali, individua in via sperimentale, fatta salva la possibilità di integrazioni e deroghe derivanti da eventuali successivi accordi interconfederali o contratti collettivi, le modalità di attuazione e di piena operatività delle disposizioni di cui al comma 10”.
che utilizza nel proprio interesse le prestazioni di un lavoratore deve, in linea di principio, anche assumersene i relativi costi e responsabilità.
Ove ciò non accada si assiste ad un rapporto interpositorio in cui un imprenditore si avvale di forza lavoro con la quale non ha alcun rapporto diretto e che fa capo ad un altro imprenditore. Tale rapporto interpositorio può essere diretto, nel caso della somministrazione, o indiretto, nel caso delle esternalizzazioni come ad esempio l’appalto. Nel primo caso, infatti, il lavoratore presterà la propria attività direttamente a favore dell’utilizzatore anche se il proprio rapporto di lavoro sarà con il somministratore, mentre nel secondo caso l’appaltante fruirà solo della prestazione finale, non avendo nessun contatto con il lavoratore dell’appaltatore. La mancanza di rapporto diretto tra chi beneficia della prestazione e chi la effettua, che si riscontra ogni volta in cui si differisca dallo schema tradizionale, ha portato il Legislatore a temere il proliferare di forme di sfruttamento dei lavoratori. Per evitare tale eventualità ha così introdotto la legge n. 1369/1960 che prevedeva un regime di assoluta rigidità volto a scoraggiare ogni tipo di dissociazione imprenditoriale e a indurre le imprese ad organizzarsi utilizzando rapporti di lavoro stabile e a tempo pieno.
Un tale quadro normativo difficilmente avrebbe potuto conciliarsi con la globalizzazione dell’economia e l’evoluzione dei modelli organizzativi: così, il d.lgs. n. 276/2003 ha abrogato la legge n. 1369/1960 attenuando le rigidità caratteristiche del precedente regime e cercando di discernere i casi in cui il rapporto interpositorio risponda a legittime esigenze aziendali, rispetto a quelli in cui il ricorso a soggetti che si interpongono tra datore di lavoro e utilizzatore sia meramente strumentale ad un aggiramento delle tutele di legge e di contratto collettivo o, comunque, ad una deresponsabilizzazione del beneficiario della prestazione di lavoro.
Il d.lgs. n. 276/2003 ha dovuto poi fronteggiare anche il mutamento dei processi produttivi e la diffusione di nuove realtà ed esigenze nel mercato del lavoro che comportano un sempre più ampio ricorso ad appalti c.d. leggeri, in cui l’apporto dell’appaltatore è di natura essenzialmente immateriale (competenza, esperienza, know-how, organizzazione), ed è scarso l’impiego di beni materiali (casi che difficilmente si concilierebbero con la definizione di appalto presente nell’art. 1655 c.c. così come tradizionalmente intesa in dottrina e giurisprudenza).
L’art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003, aggiornando il contenuto della definizione codicistica, ha così stabilito che l’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell’appaltatore (caratteristica essenziale del contratto di appalto) può risultare anche dall’esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell’appalto, nonché dall’assunzione del rischio d’impresa, in relazione alle esigenze dell’opera o del servizio dedotti in contratto.
La circolare del Ministero del lavoro e delle politiche sociali n. 5/2011 spiega in maniera esauriente la portata dell’articolo 29 d.lgs. n. 276/2003, dichiarando che «anche il nostro ordinamento giuridico, seppure in ritardo rispetto a quanto avvenuto in altri Paesi, ha avviato un processo di modernizzazione del quadro normativo di riferimento in materia, fermo restando il rispetto di determinati obblighi finalizzati, in via generale, a salvaguardare i diritti dei prestatori di lavoro coinvolti nei processi di esternalizzazione. L’inadeguatezza e l’inattualità del precedente quadro normativo, a fronte del mutato contesto produttivo imprenditoriale e della evoluzione dei modelli di organizzazione del lavoro, sono state superate con l’intervento della riforma del mercato del lavoro operata dal decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, che ha permesso di valutare come opportunità e non più come una strategia rischiosa, sul piano organizzativo, la traslazione all’esterno, in capo all’appaltatore, sia pure solo in parte, del risultato produttivo e delle responsabilità connesse all’utilizzo della forza-lavoro».
Con la diversa apertura all’istituto sancita dal d.lgs. n. 276 del 2003 è emersa tuttavia anche la necessità di creare uno strumento di garanzia contro ogni abuso e contro le interposizioni illecite, che scongiurasse i maggiori rischi connessi alla “impalpabilità” della definizione di appalto (quali ad esempio la proliferazione di “imprese fantasma” e la diffusione di pratiche elusive e simulatorie). Per questo, il legislatore ha attribuito alle commissioni di certificazione il potere di verificare la genuinità dei contratti di appalto, anticipando ed alleggerendo gli oneri delle verifiche ispettive e dando al contempo alle imprese l’occasione per accreditarsi sul mercato attraverso la certificazione, possibile patente di credibilità ed affidabilità per gli appaltatori che vi facciano ricorso.
Con il mutamento del quadro normativo sono così emersi dalla giurisprudenza e dalla prassi amministrativa alcuni indici utili a individuare le caratteristiche necessarie per attestare la genuinità dell’appalto. Tali indici costituiscono evidentemente anche il punto di riferimento su cui le commissioni di certificazione fondano le proprie analisi e quindi i provvedimenti di certificazione o di rigetto.
La procedura di certificazione prende le mosse da una istanza che le parti del contratto di appalto inviano, debitamente compilata e sottoscritta, ad una delle commissioni di certificazione individuate dall’art. 76 d.lgs. n. 276/2003. Le parti sono poi tenute ad inviare alla commissione, innanzitutto, i documenti di identità delle parti, il contratto di appalto ed i relativi allegati, al fine di consentire alla commissione lo svolgimento dell’istruttoria documentale di base. Tale analisi sarà basata sui predetti indici per verificare se sin dal dato contrattuale emerga la genuinità dell’appalto.
Più precisamente, nella già richiamata circolare n. 05/2011 vengono ripresi vari orientamenti espressi dal Ministero del lavoro, così che può essere individuata una serie di aspetti che dovranno essere oggetto dell’analisi sulla genuinità dell’appalto:
– Esercizio del potere organizzativo e direttivo
Contratti di appalto per attività che non richiedono un rilevante impiego di beni strumentali e in cui la consistenza organizzativa dell’appaltatore è esigua non avrebbero superato il vaglio di legittimità previsto dalla legge n. 1369/1960. Posto che una tale chiusura sarebbe stata dannosa in una economia moderna, il Legislatore del 2003 ha interpretato l’organizzazione dei mezzi in senso ampio, allargando il campo di indagine sulla genuinità dell’appalto non solo in relazione ai beni materiali, ma anche all’accertamento su chi concretamente esercita il potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati. Si supera quindi la presunzione legale dell’art. 1, comma 3, l. n. 1369/1960, secondo cui costituiva appalto illecito la sola circostanza che l’appaltatore impiegasse capitali, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante. Sul punto il Ministero del lavoro si era pronunciato anche con l’interpello n. 77/200923 in cui Confindustria poneva il problema degli appalti effettuati da imprese che svolgono attività di particolare complessità e specializzazione, fortemente orientate alla qualità e alla innovazione tecnologica, e in cui i soggetti appaltatori possono, per motivi oggettivi, non disporre immediatamente delle dotazioni necessarie per l’esecuzione dei lavori. Il Ministero del lavoro analizza il dettato del primo comma dell’articolo 29 decreto legislativo n. 276/2003 da un punto di vista spiccatamente pratico proprio per adeguare la fonte normativa alle esigenze delle imprese che si trovano ad operare in ambiti in cui l’apporto di forza lavoro prevale sui mezzi. Viene quindi ritenuto superato il riferimento al dato formale della proprietà dei mezzi diversi dalla forza lavoro e viene preferita un’analisi dell’assetto organizzativo complessivo dell’appalto. Il fattore decisivo viene visto almeno nella presenza di una c.d. soglia minima di imprenditorialità che la struttura imprenditoriale deve presentare. Viene infatti rilevato come l’articolo 29 decreto legislativo n. 276/2003 non affronti l’argomento del titolo giuridico che permette l’utilizzo dei mezzi necessari per l’esecuzione del contratto, e pertanto è ritenuto possibile che tali mezzi siano di proprietà del committente. Pare invece necessario che vi sia una corretta regolazione economica dell’utilizzo dei medesimi, oltre che una corretta divisione del costo della somministrazione di energia elettrica, gas e forza motrice eventualmente erogate da un impianto unico centralizzato. A tal proposito, occorre evidenziare che l’impiego di beni di proprietà dell’appaltatore avviene prevalentemente, ma non esclusivamente, nell’ambito di appalti endoaziendali e cioè di quelli svolti all’interno dell’impresa committente, la quale affida ad una impresa esterna (appaltatrice) lo svolgimento di determinate attività «inerenti al complessivo ciclo produttivo del committente»24.
Sul punto si è espressa anche la giurisprudenza, secondo cui in base all’art. 29 del d.lgs. n. 276 del 2003, “gli elementi necessari perché vi sia appalto di lavoro sono (...) l’organizzazione dei mezzi e l’assunzione del rischio di impresa. L’organizzazione dei mezzi non coincide con il diretto e personale conferimento delle attrezzature destinate al servizio ma principalmente con l’assunzione e la direzione degli
23 Consultabile in xxx.xxxxx.xx, A-Z index, voce Appalto e subappalto.
24 Cfr. Cass. n. 17049/2008.
operatori impiegati. I mezzi materiali possono essere perciò forniti anche dal soggetto che riceve il servizio, purché la responsabilità del loro utilizzo rimanga in capo all’appaltatore e purché attraverso la fornitura di tali mezzi non sia invertito il rischio di impresa, che deve in ogni caso gravare sull’appaltatore”25.
Altri precedenti giurisprudenziali paiono coerenti con l’orientamento ora riportato, tanto da statuire che “in tema di distinzione tra appalto e somministrazione di manodopera, ricorre la prima fattispecie qualora l’appaltatore-somministratore non si sia limitato a fornire il proprio personale qualificato, mettendolo a disposizione del committente-utilizzatore, ma abbia erogato il servizio con propria organizzazione e gestione autonoma, assumendosi il rischio d’impresa e senza diretti interventi dispositivi e di controllo del committente”26; più recentemente, è stato affermato che “ai sensi dell’art. 29 d.lgs. 276/2003 (…) è illecito l’appalto svolto a mezzo di una prestazione di lavoro subordinato ove sia del tutto assente il tratto qualificante della direzione tecnica ed organizzativa della prestazione da parte dell’appaltatore”27.
Il rapporto fra conferimento di mezzi materiali per l’esecuzione del servizio appaltato ed organizzazione del lavoro pare ben inquadrato in altre pronunce, secondo cui “ai sensi dell’art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003, l’organizzazione dei mezzi ben può consistere nella sola organizzazione del lavoro senza l’impiego di rilevanti capitali e attrezzature, ma ciò soltanto quando il tipo di opera o di servizio da realizzare siano tali per cui debba ritenersi principale o prevalente l’organizzazione del lavoro rispetto all’impiego di macchinari e attrezzature”28.
Sulla stessa linea è stato ribadito che “a norma dell’art. 29 d.lgs. n. 276 del 2003, elemento sufficiente perché possa configurarsi un genuino appalto di servizi è (insieme all’assunzione del rischio d’impresa) l’organizzazione dei mezzi da parte dell’appaltatore, la quale, in relazione agli appalti labour intensive, è suscettibile di concretarsi nel solo esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori. Ne consegue che l’utilizzo di strumenti di proprietà del committente non costituisce, di per sé, elemento decisivo per la qualificazione del rapporto in termini di appalto o interposizione vietata”29.
Proprio perché gli appalti interni, benché giuridicamente leciti, presentano rischi maggiori di dissimulazione di un fenomeno interpositorio (che si realizza quando le prestazioni lavorative vengono utilizzate dal committente a fronte di un’imputazione formale del rapporto di lavoro in capo allo pseudo appaltatore), è stato precisato30 che possono costituire oggetto di un appalto lecito endoaziendale tutte le attività strettamente inerenti il ciclo produttivo del committente, alla condizione che siano in grado di fornire un autonomo risultato produttivo, in quanto risulti individuabile una organizzazione e una gestione autonoma dell’appaltatore, con l’assunzione dei correlativi rischi economici e della responsabilità del risultato pattuito31.
Infatti, ai fini della legittimità degli appalti endoaziendali assume carattere decisivo
«l’individuazione del soggetto che esercita effettivamente il potere direttivo sui lavoratori impiegati assumendone il relativo rischio, senza limitare il proprio intervento alla mera gestione amministrativa del rapporto di lavoro»32.
Coerentemente, il fenomeno dell’interposizione illecita sussiste tutte le volte in cui l’appaltatore mette a disposizione del committente una mera prestazione lavorativa, rimanendo in capo all’appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto (retribuzione, oneri contributivi, pianificazione delle ferie e delle turnazioni), ma senza che da parte sua vi sia un effettivo esercizio dei poteri direttivi nei confronti dei lavoratori e una reale organizzazione dell’intera prestazione o del servizio, finalizzata ad un risultato produttivo autonomo33.
Si supera, così, la passata distinzione tra appalti leciti e illeciti, basata sulla circostanza che, nelle forme lecite di appalto, il committente si rivolge, per l’esecuzione di un’opera o un servizio, ad
25 Cfr., fra le più recenti, T.a.r. Brescia 13 novembre 2008, n. 1627.
26 Cfr. Trib. Novara, 13 marzo 2007.
27 Cfr. Trib. Pisa 10 luglio 2009 n. 268.
28 Cfr. Trib. Roma 7 marzo 2007, n. 6263.
29 Cfr. Trib. Milano 5 febbraio 2007.
30 Cfr. anche interpello n. 37/2011.
31 Cfr. Cass. n. 15337/2002; Cass. n. 14302/2002.
32 Cfr. Cass. n. 8643/2001; Cass. n. 16788/2006; Cass. n. 17049/2008; Cass. n. 3861/2008; Cass. n. 4721/2009; Cass. n. 24625/2009.
33 Cfr. Trib. Monza 10 marzo 2009.
altro soggetto (appaltatore) in possesso di una propria e reale organizzazione di uomini e di mezzi.
In tal modo non assume più rilevanza il criterio della sussistenza della componente materiale nella gestione dell’appalto, rappresentata essenzialmente dall’effettivo apporto da parte dell’appaltatore di capitali, macchine e attrezzature34.
In tal modo cade ogni preclusione nei confronti degli appalti in cui l’appaltatore risulti mero organizzatore di beni immateriali.
– Rischio di impresa
Oltre al profilo attinente l’esercizio del potere organizzativo e direttivo, il primo comma dell’articolo 29 decreto legislativo n. 276/2003 menziona anche l’assunzione da parte dell’appaltatore del rischio di impresa. Tale concetto viene definito in maniera più precisa dal Ministero del lavoro nelle “Linee guida alla certificazione” allegate alla circolare n. 48/200435 e successivamente nella circolare n. 5/2011. Vengono indicati a mero titolo esemplificativo e senza pretese di esaustività alcuni indici rivelatori della sussistenza del rischio di impresa:
l’appaltatore ha già in essere una attività imprenditoriale che viene esercitata abitualmente;
l’appaltatore svolge una propria attività produttiva in maniera evidente e comprovata;
l’appaltatore opera per conto di differenti imprese da più tempo o nel medesimo arco temporale considerato.
L’assunzione del rischio di impresa espone, così, l’appaltatore all’eventuale risultato negativo della sua attività, qualora l’opera o il servizio non vengano portati a compimento ovvero si manifesti un rapporto negativo tra costi e benefici dell’attività stessa.
– Contratti di appalto concernenti lavori specialistici
Il Ministero del lavoro, nelle “Linee guida alla certificazione” allegate alla circolare n. 48/2004 ha inoltre individuato criteri aggiuntivi da utilizzare nel caso di contratti d’appalto concernenti lavori specialistici per i quali non risulta rilevante l’utilizzo di attrezzatura o di beni strumentali, specificando che in tal caso «devono essere acquisite notizie in ordine al know how aziendale o alle elevate professionalità possedute dal personale impiegato nell’ambito dell’appalto, nonché indicazioni sulle modalità di esercizio del potere organizzativo e direttivo dei lavoratori».
– Principali elementi del contratto
Il Ministero del lavoro, nella circolare n. 05/2011, richiama le Linee guida alla certificazione allegate alla circolare n. 48/2004 in cui veniva evidenziata l’esigenza di esaminare attentamente i principali elementi del contratto: «attività appaltata, durata presumibile del contratto, dettagli in ordine all’apporto dell’appaltatore ed in particolare precisazioni circa l’organizzazione dei mezzi necessari per la realizzazione dell’opera o del servizio dedotto in contratto».
Nella circolare del 2011 il Ministero estende poi la verifica anche ad altri aspetti, quali:
l’iscrizione nel registro delle imprese, con particolare riguardo alla data, all’oggetto sociale, nonché al capitale sociale;
il libro giornale ed il libro degli inventari;
il Libro unico del lavoro per le scritturazioni afferenti alla data di assunzione, nonché alle qualifiche e mansioni dei lavoratori impiegati nell’appalto;
il Documento unico di regolarità contributiva (c.d. DURC).
Il documento contrattuale può essere decisivo per far comprendere all’interprete la genuinità dell’appalto, pertanto è opportuno redigerlo con particolare attenzione36.
Dalle premesse deve emergere la peculiarità dell’apporto dell’appaltatore, in termini di utilità produttiva, rispetto alle specifiche esigenze del committente. Tale apporto deve trovare riscontro nella indicazione delle caratteristiche di specializzazione e professionalità proprie dell’appaltatore. La specializzazione dell’appaltatore può altresì essere testimoniata dalla
34 Cfr. Cass. n. 5087/1998; Cass. n. 3196/2000; Cass. n. 8643/2001; Cass. n. 12546/2003; Cass. n. 167672005; Cass. n. 15693/2009.
35 Consultabile in xxx.xxxxx.xx, A-Z index, voce Certificazione.
36 Per un approfondimento sui profili contrattuali dell’appalto si veda X. Xxxxxxxxxx, Formulario dei rapporti di lavoro, Xxxxxxx, Milano, 2011.
presenza sul mercato risalente nel tempo, ovvero dalla dichiarazione relativa ai soggetti per i quali l’appaltatore già opera, trovandosi dunque in una situazione diversa dalla monocommittenza. Una corretta, puntuale e circostanziata redazione delle premesse costituisce quindi uno strumento importante per poter verificare già sul piano della rappresentazione contrattuale la genuinità dell’appalto e costituisce altresì, sul piano delle risultanze documentali e sul piano logico della progettazione contrattuale, il parametro rispetto a cui collocare l’organizzazione dell’appalto coerentemente con l’autonomia di impresa dell’appaltatore incaricato.
L’oggetto del contratto deve essere individuato e quindi indicato nel contratto in modo da rappresentare la complessità dell’opera o dei servizi affidati e la loro articolazione interna, così da evidenziare chiaramente l’utilità produttiva perseguita dal committente con il contratto e la professionalità propria dell’imprenditore incaricato per il raggiungimento del risultato atteso. In particolare, l’utilità produttiva perseguita deve essere suscettibile di autonoma valutazione, sia sotto il profilo dell’autonomia della fase del ciclo produttivo che è oggetto dell’esternalizzazione, sia sotto il profilo della materiale possibilità per il committente di acquisire, immediatamente e con efficienza, il risultato produttivo realizzato dall’appaltatore con la propria organizzazione d’impresa.
Il corrispettivo non deve essere individuato con riferimento diretto, o anche solo indiretto, alla quantificazione del personale utilizzato per l’esecuzione dell’opera o del servizio o alle ore di lavoro necessarie per l’esecuzione del contratto. In caso contrario, infatti, risulterebbe compromesso il requisito dell’assunzione del rischio d’impresa da parte dell’appaltatore.
Il testo del regolamento contrattuale, poi, nella disciplina degli obblighi reciproci delle parti in fase di esecuzione del contratto, deve essere adeguatamente rappresentativo di un modello di organizzazione della prestazione oggetto del contratto. La descrizione del modello organizzativo, dunque, è preordinata a escludere che vi possano essere occasioni di indebita ingerenza dell’organizzazione committente su quella appaltatrice, il cui assetto generale di obblighi deve essere coerente con la imprenditorialità presupposta dalla specifica articolazione dell’oggetto del contratto, secondo gli standard qualitativi espressi nel testo contrattuale stesso, ovvero eventualmente in un capitolato ad esso allegato facente parte integrante del contratto.
La netta demarcazione tra organizzazione produttiva del committente e organizzazione produttiva dell’appaltatore è particolarmente importante nel caso di appalto endoaziendale, dove l’esecuzione dell’appalto avviene in locali che si trovano nella disponibilità giuridica del committente. In particolare, l’individuazione di una figura di coordinamento nell’ambito dell’organizzazione dell’appaltatore è necessaria, da un lato, per escludere ogni forma di ingerenza da parte del committente sull’esecuzione dell’appalto, e dall’altro per rendere possibile e coerente, con l’istituto contrattuale prescelto, i necessari flussi di comunicazione tra le due diverse organizzazioni d’impresa. La figura del referente dell’appaltatore, inoltre, rappresenta anche lo strumento utilizzato da quest’ultimo per l’esercizio del potere organizzativo e direttivo richiesto dalla legge.
In funzione dell’oggetto del contratto devono essere individuati i mezzi necessari e organizzati dall’appaltatore nella piena disponibilità di quest’ultimo durante l’esecuzione dell’incarico. Rispetto ai medesimi deve risultare chiara la coerenza tra l’oggetto del contratto e i mezzi di cui l’appaltatore dispone per l’esecuzione del medesimo contratto, siano essi risorse umane, mezzi strumentali, materiali e/o risorse finanziarie.
In particolare, poi, deve essere evidenziato nel contratto se l’attività in appalto si svolga in locali che si trovano nella disponibilità giuridica del committente, vale a dire se si tratti di appalto endoaziendale, ovvero se essa si svolga in un luogo sottratto alla disponibilità del committente. Soprattutto nel primo caso sarà opportuno prevedere clausole di tipo organizzativo che tendano a rimarcare l’autonomia organizzativa dell’appaltatore, proprio in una situazione in cui sono fisicamente presenti nel medesimo luogo sia l’organizzazione aziendale del committente, sia quella dell’appaltatore. Particolare attenzione deve poi essere prestata, da un lato, a esplicitare i punti di contatto tra le due organizzazioni aziendali coesistenti nel medesimo luogo lavorativo, evidenziandone l’autonomia nella gestione delle fasi produttive di rispettiva competenza, e dall’altro a individuare un adeguato sistema di coordinamento tra le medesime.
Inoltre, sempre nell’ottica di rendere riconoscibile l’esistenza di una autonoma organizzazione dell’appaltatore rispetto a quella del committente, assai utile può essere allegare al contratto un modello organizzativo del tipo “input-trasformazione-output” che evidenzi sia le attività facenti parte della fase produttiva oggetto del contratto di appalto, sia gli spazi fisici all’interno del medesimo luogo di lavoro in cui autonomamente opera l’organizzazione dell’appaltatore rispetto a quella del committente.
– Distinzione tra ambiti di competenza di appaltante ed appaltatore
Come visto, gli appalti endoaziendali sono quelli che integrano un potenziale di criticità più elevato, in quanto appaltante e appaltatore sono chiamati a lavorare nella medesima struttura. In tal caso diviene quindi essenziale riuscire a tenere differenziati gli ambiti di competenza e a far sì che l’appaltatore operi in completa autonomia negli spazi a lui affidati dall’appaltante. L’unico caso in cui l’appaltante può legittimamente controllare l’attività dell’appaltatore è previsto dall’articolo 1662 c.c., che assegna all’appaltante la facoltà di verifica nel corso di esecuzione dell’opera. In tal caso l’autonomia dell’appaltatore viene subordinata al diritto dell’appaltante di controllare, durante l’esecuzione, il corretto svolgimento delle attività dedotte in contratto per poter porre rimedio ad eventuali irregolarità. Non viene posto un limite a tale facoltà, ma si ritiene che debba sempre essere giustificata e non possa essere tale da danneggiare o rallentare il processo produttivo dell’appaltatore.
Al di là di tale eventualità, vi deve essere una netta distinzione tra i due imprenditori. Anche il Ministero del lavoro, nell’interpello n. 77/2009, afferma che nell’indagine volta a verificare la genuinità dell’appalto verranno valutate anche «le particolari modalità di coordinamento tra le imprese interessate per escludere commistione/sovrapposizione tra le due realtà organizzative, la specifica e rigorosa attenzione alla disciplina in tema di interferenze, il pieno rispetto degli standard di sicurezza previsti per attrezzature e dotazione, la previsione – nel caso in cui l’appaltatore operi in cantieri già esistenti del committente – di adeguati strumenti per rendere del tutto evidente, anche sul piano logistico, la separazione tra le due imprese e le rispettive fasi della produzione».
Al fine di avere la cognizione più completa sulla effettiva natura del contratto,, la Commissione di certificazione istituita presso il Centro Studi Internazionali e Comparati “Xxxxx Xxxxx” del Dipartimento di Economia aziendale dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Xxxxxx ha ad esempio adottato una buona prassi consistente nella richiesta, avanzata in corso di procedura di certificazione ad appaltante ed appaltatore, di consentire la visita dei locali aziendali o comunque del luogo in cui l’appalto ha o avrà esecuzione. In questo modo la Commissione può realmente rendersi conto del concreto atteggiarsi dei rapporti tra le parti istanti, allo stesso tempo traendo le debite conclusioni in caso di rifiuto di queste ultime a consentire la verifica.
Peraltro, sulla base delle medesime considerazioni che hanno motivato le richieste di accessi istruttori nell’ambito della procedura di certificazione dei contratti di appalto, la Commissione ha poi da tempo ragionato sulla possibilità/opportunità di redigere anche un verbale istruttorio in tutti i casi in cui una prestazione di lavoro – autonoma o inquadrabile nell’ampio novero delle collaborazioni coordinate e continuative – venga svolta nei luoghi di disponibilità di parte committente. Questo in quanto un esame dei luoghi e delle modalità organizzative-gestionali prescelte (anche sotto il profilo della comprensione dei programmi informatici adottati) si è rivelata fondamentale per comprendere il funzionamento della organizzazione nel suo complesso e la sua compatibilità con i requisiti di autonomia che dovrebbero caratterizzare i rapporti di lavoro instaurati.
Ulteriori profili di scrutinio possono infine essere quelli attinenti alla responsabilità del committente sia con riguardo ai crediti dei lavoratori e degli enti previdenziali per i profili connessi agli adempimenti obbligatori, sia in materia di salute e sicurezza.
Con specifico riferimento poi, ai servizi svolti in appalto o subappalto in ambienti sospetti di inquinamento o confinanti si rimanda a quanto già scritto al capitolo I, paragrafo 4.1.
4. La somministrazione
Sulla possibilità di ricorrere alla certificazione del rapporto di somministrazione di lavoro, o meglio – visto che il contratto di lavoro tra lavoratore e somministratore è stato dai più ritenuto certificabile fin dalle prime formulazioni normative a riguardo – del contratto commerciale di somministrazione, ai sensi degli artt. 75 e ss. del d.lgs. n. 276 del 2003, è intervenuto l’Interpello 22 dicembre 2009, n. 81, che, su iniziativa dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Xxxxxx, ha chiarito che “la somministrazione di lavoro si realizza, di fatto, attraverso un evidente “collegamento negoziale” tra i due contratti (contratto di lavoro e contratto commerciale fra agenzia e utilizzatore) singolarmente considerati. Conseguentemente, trattandosi di una unica fattispecie relativa a un contratto di lavoro a formazione progressiva e struttura complessa (…), sembra potersi argomentare che anche per la somministrazione di lavoro, complessivamente intesa, si versi in una delle ipotesi che rientrano nell’ambito di applicazione dell’istituto secondo quanto previsto dall’art. 75 del D. Lgs. n. 276 del 2003 in virtù del quale “[a]l fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione del contratto”.”
Su tale posizione sono poi intervenute, come noto, le disposizioni di cui alla l. n. 183 del 2010, che, aggiornando l’art. 75, hanno reso evidente che possono essere sottoposti alla procedura di certificazione anche i contratti commerciali di somministrazione, posto che risultano ora certificabili tutti i contratti “in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro”.
5. Le rinunce e le transazioni
L’attività delle commissioni di certificazione non si limita, come già visto, alla qualificazione dei contratti di lavoro. Nonostante questa costituisca chiaramente l’impegno caratterizzante per le commissioni, il d.lgs. n. 276 del 2003 prevede altre importanti competenze per gli enti certificatori.
L’art. 82 stabiliva, nella sua originaria formulazione, che le commissioni costituite presso gli enti bilaterali – e soltanto queste – sarebbero state competenti a certificare le rinunzie e transazioni di cui all’art. 2113 c.c., a conferma della volontà abdicativa o transattiva delle parti; in seguito, la legge n. 183/2010 ha attribuito tale competenza anche a tutte le altre sedi certificatorie.
Le rinunzie e transazioni, secondo quanto espressamente previsto dall’art. 2113 c.c., sono generalmente invalide, ad eccezione di quelle che avvengono dinanzi alle sedi indicate dall’ultimo comma dell’art. 2113 c.c., in cui le parti sono assistite da soggetti terzi e competenti. Per tale motivo, le commissioni di certificazione, quali organi terzi, imparziali e competenti, sono state abilitate a certificare le rinunzie e transazioni, nel caso in cui le parti volontariamente decidessero di disporre di diritti già entrati a far parte del loro patrimonio giuridico.
Non si tratta – pare – di un’ipotesi di derogabilità assistita, nonostante una parte della dottrina ravvisi in essa un meccanismo con cui le parti possano determinare la sorte di diritti futuri attraverso la formazione o modificazione nel regolamento contrattuale nel suo divenire. La norma non fa che allargare la sfera dei soggetti abilitati ad assistere le parti nel compimento degli atti dispositivi: ecco perché si è parlato di “disponibilità assistita”.
Quanto alla efficacia giuridica delle rinunzie e transazioni effettuate presso le commissioni di certificazione, pare che possa essere quella prevista dall’art. 2113 c.c., 4 comma.
6. Il regolamento interno di cooperativa
L’art. 6, l. n. 142/2001, impone alle cooperative di definire un regolamento interno che indichi le tipologie di rapporti che esse intendano attuare con i soci lavoratori e le modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative di tali soci.
L’art. 83, d.lgs. n. 276 del 2003, estende la procedura di certificazione anche all’atto di deposito di tale regolamento.
La particolarità di tale funzione risiede nel fatto che in questo caso, a poter essere certificato, non è un contratto di lavoro, né in senso più ampio un accordo in cui sia dedotta, in maniera
diretta o indiretta, una prestazione di lavoro, ma un atto unilaterale di natura societaria. I rapporti di lavoro instaurati tra la cooperativa ed i soci lavoratori, seppur necessariamente conformi a quanto generalmente previsto dal regolamento interno, nascono infatti da successivi singoli contratti di lavoro.
Il fine di tale attività, dunque, non è quello di qualificare un contratto.
In assenza di chiarimenti da parte del legislatore, sembra inoltre improbabile che l’art. 83, d.lgs.
n. 276 del 2003, si inserisca nel generale disegno di deflazione del contenzioso, in ragione dell’essere il regolamento un prius rispetto al contratto di lavoro, e sembra ancor più difficile ipotizzare che questo tipo di certificazione possa produrre nei confronti degli enti amministrativi “terzi” quegli stessi effetti che invece la certificazione dei contratti di lavoro produce.
Sembra allora potersi affermare che la maggiore utilità della certificazione dei regolamenti interni delle cooperative risieda nel contributo reso dalle commissioni alla verifica di una più complessiva “regolarità” nelle realtà cooperative, spesso teatro di elusioni e simulazioni – anche
– con riferimento ai contratti di lavoro attivati. Nel regolamento interno, infatti, come sopra sottolineato devono essere disciplinate, tra l’altro, l’organizzazione interna della cooperativa e le modalità di svolgimento delle attività lavorative da parte dei soci lavoratori. Le Commissioni di certificazione, allora, potrebbero verificare la compatibilità tra le tipologie contrattuali prescelte per le diverse posizioni nell’organigramma e l’organizzazione aziendale, in modo da suggerire eventuali incongruità e creare il presupposto perché i successivi, singoli rapporti contrattuali sorgano e procedano in maniera genuina.
7. Il distacco
In merito alla possibilità di certificare il distacco, premessa necessaria ad alcune considerazioni essenziali risulta essere una brevissima descrizione dell’istituto giuridico, conosciuto dall’ordinamento quale ipotesi di mobilità della forza lavoro. Si tratta, in particolare, della ipotesi in cui un lavoratore venga temporaneamente inviato dal proprio datore di lavoro a svolgere la prestazione lavorativa alle dipendenze di un soggetto terzo.
Come noto, il nostro ordinamento ha conosciuto il divieto di interposizione nei rapporti di lavoro. Il d.lgs. n. 276 del 2003 ha innovato, rispetto al divieto in esame legittimando, il contratto di somministrazione di lavoro, ma solo a condizione che il somministratore sia un soggetto autorizzato e iscritto ad un apposito albo istituito presso il Ministero del lavoro.
Il distacco, tuttavia, non integra una violazione del divieto in esame se risponde a un interesse del datore di lavoro, ferma la temporaneità del ricorso all’istituto.
L’art. 30 del d.lgs. n. 276 del 2003, infatti, prevede che il distacco si verifica quando il datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l’esecuzione di una determinata attività lavorativa.
L’art. 30, tuttavia, non disciplina l’accordo che dà origine al distacco. Piuttosto, prende in considerazione la posizione del lavoratore e specifica alcuni profili di regolamentazione del rapporto di lavoro (in particolare individua espressamente il titolare degli obblighi derivanti dal contratto di lavoro, e nello specifico del trattamento economico e normativo) e alcuni vincoli sussistenti in capo al datore di lavoro con riferimento a particolari ipotesi (distacco che comporti un mutamento di mansioni e distacco che comporti il mutamento della sede di lavoro ad una distanza superiore a 50 km rispetto alla sede cui il distaccato era precedentemente addetto).
Con riferimento al rapporto di lavoro, è in particolare necessario il consenso del lavoratore in caso di mutamento di mansioni. Con riferimento al rapporto tra distaccante e distaccatario, la delega dei poteri presuppone un accordo tra distaccante e distaccatario, e i due soggetti ben possono esplicitare questo accordo e regolamentarne i diversi profili.
Per ragionare sulla possibilità, per le commissioni di certificazione, di applicare la procedura di certificazione ad una operazione di distacco, si deve partire ancora una volta dall’articolo 75, d.lgs. n. 276 del 2003, il quale prevedeva, nella sua formulazione originaria, che “al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro intermittente, ripartito, a tempo parziale e a
progetto di cui al presente decreto, nonché dei contratti di associazione in partecipazione di cui agli articoli 2549- 2554 del c.c., le parti possono ottenere la certificazione del contratto secondo la procedura volontaria stabilita” nel medesimo decreto.
Lo stesso articolo è stato, come già ricordato, successivamente modificato dall’art. 18, d.lgs. n. 251/2004 (con decorrenza 26 ottobre 2004): la “seconda” formulazione della disposizione in esame, in particolare, ha disposto che “al fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione del contratto”. E’ stato sottolineato come il mutamento di formulazione dell’articolo 75 abbia voluto con tutta probabilità indicare una diversa tecnica di individuazione dell’ambito di applicazione della procedura di certificazione: non più definito con riferimento a singole tipologie contrattuali espressamente individuate, bensì per relationem rispetto al fine che le parti – si noti, senza ulteriori specificazioni, di modo che si deve intendere l’espressione come relativa alle parti contrattuali e non con riferimento ad uno specifico tipo di contratto, come avrebbe potuto essere se i termini usati fossero stati lavoratore e datore di lavoro – perseguono con la procedura, il fine di ridurre il contenzioso in materia di qualificazione dei contratti di lavoro.
Tale mutamento è parso indicativo di una finalità di promozione della esigenza di certezza giuridica delle scelte imprenditoriali nel rispetto all’istanza di tutela degli interessi di tutti i soggetti coinvolti e, segnatamente, dei lavoratori. Ratio questa che trova riscontro nella natura volontaria della procedura e nella conseguente inidoneità della stessa a pregiudicare i diritti di soggetti che non sono stati in essa coinvolti.
In questo senso la formulazione appena richiamata è risultata altresì del tutto coerente con quanto previsto dall’81, d.lgs. n. 276 del 2003, in base al quale “le sedi di certificazione svolgono anche funzioni di consulenza e assistenza effettiva alle parti contrattuali, sia in relazione alla stipulazione del contratto di lavoro e del relativo programma negoziale sia in relazione alle modifiche del programma negoziale medesimo concordate in sede di attuazione del rapporto di lavoro, con particolare riferimento alla disponibilità dei diritti e alla esatta qualificazione dei contratti di lavoro”.
Dalla stessa prospettiva si osserva che la procedura di certificazione è espressamente prevista anche per il contratto di appalto e per il regolamento interno delle società cooperative.
Inoltre si rileva come la generale esigenza di promozione della certezza delle scelte imprenditoriali e di tutela delle posizioni giuridiche dei lavori sia espressamente considerata con particolare riferimento ai fenomeni interpositori, attesa la previsione di cui all’articolo 84, d.lgs. n. 276 del 2003, secondo cui la certificazione del contratto di appalto è prevista “anche ai fini della distinzione concreta tra somministrazione di lavoro e appalto ai sensi delle disposizioni di cui al Titolo III del d.lgs. n. 276 del 2003” (e al riguardo sembra opportuno segnalare che il titolo III del decreto ivi richiamato riguarda, oltre all’appalto, anche la somministrazione e il distacco).
Sul punto va poi ancora una volta sottolineato che l’ultima – ed attualmente vigente – formulazione dell’art. 75, d.lgs. n. 276 del 2003, prevede che possono essere sottoposti alla procedura di certificazione tutti i contratti “in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro”: per certo questo porta a riconoscere senza dubbio alcuno la possibilità di certificare un accordo di distacco.
Ancor prima della entrata in vigore della l. n. 183 del 2010, comunque, tenuto conto della natura volontaria della procedura di certificazione, dell’inidoneità della stessa a pregiudicare gli interessi di soggetti ad essa estranei e, segnatamente, nel caso in esame, dei lavoratori, della ratio sottesa alla introduzione dell’istituto e della constatazione che il ricorso alla procedura è stato fin dalla emanazione del d.lgs. n. 276 del 2003 espressamente previsto in caso di appalto e di regolamento di società cooperative, era possibile statuire che la procedura di certificazione poteva essere legittimamente attivata anche con riferimento all’accordo con cui distaccante e distaccatario decidono di attivare un distacco di manodopera, esplicitando i presupposti di legittimità dell’operazione e la disciplina dei rapporti tra loro intercorrenti per il periodo di distacco con riferimento alla prestazione del lavoratore distaccato.
In concreto, nel corso della certificazione di un accordo di distacco si tratta di valutare una legittima ipotesi di esercizio dei poteri datoriali che, tuttavia, potrebbe dar luogo a contenzioso, per gli evidenti riflessi sul contratto di lavoro e sulla titolarità dello stesso.
Con riferimento all’accordo tra lavoratore e distaccante, si osserva che, come ogni altro patto afferente al contratto di lavoro, il patto tra datore e di lavoro e lavoratore, necessario secondo la legge in caso di mutamento di mansioni, può a sua volta essere oggetto di certificazione.
Non si esclude, inoltre, che, al fine di compiutamente realizzare le finalità che presiedono all’istituto della certificazione, la procedura possa avere ad oggetto anche un accordo trilaterale che veda contemporaneamente coinvolti datore di lavoro, lavoratore e distaccatario.
Alcune riflessioni peculiari devono poi essere riservate al distacco intragruppo, in quanto, effettivamente, la prassi conosce il ricorso all’istituto del distacco prevalentemente all’interno di gruppi di impresa. La stessa Circ. Min. lav. n. 1/2004 ha tenuto conto di tale fenomeno (peraltro noto e considerato sia a livello giurisprudenziale che di elaborazione dottrinale) e ha chiarito che “la formulazione della novella legislativa legittima le prassi di distacco all’interno dei gruppi di impresa, le quali corrispondono a una reale esigenza di imprenditorialità, volta a razionalizzare, equilibrandole, le forme di sviluppo per tutte le aziende che fanno parte del gruppo”.
La prassi del distacco intragruppo è stata poi presa in considerazione anche da una successiva circolare ministeriale, la Circ. Min. lav. n. 28/2005, relativa alla specifica ipotesi di ricorso al distacco intragruppo come alternativa alla cassa integrazione. Al riguardo la circolare, rifacendosi alla elaborazione della giurisprudenza di legittimità, ha chiarito che “non si può ritenere automaticamente sussistente l’interesse del datore di lavoro al distacco per il solo fatto che esso viene disposto tra imprese appartenenti al medesimo gruppo” e che “il rapporto di gruppo che lega distaccante e distaccatario non legittima per sé solo il distacco ma costituisce un presupposto di fatto da considerare ai fini della valutazione circa la sussistenza, nel caso concreto, dell’interesse del datore di lavoro distaccante (Xxxx. 18 agosto 2004 n. 16165 e Cass. 16 febbraio 2000 n. 1733)”.
Pertanto occorrerà, anche nelle ipotesi di distacco intragruppo, valutare la sussistenza tanto del requisito dell’interesse del distaccante, quanto quello della temporaneità del distacco.
Con riferimento poi alla specifica ipotesi di ricorso al distacco in alternativa al ricorso alla cassa integrazione – che può essere qui richiamata come ipotesi esemplificativa di valutazione circa la sussistenza di un interesse legittimo al distacco - la medesima circolare ha altresì aggiunto che “deve escludersi la legittimità di un distacco fondato su una ragione meramente economica, che può essere tanto l’interesse ad un corrispettivo quanto il solo interesse al risparmio del costo del lavoro” e che “avrebbe natura meramente economica un distacco che non si limitasse ad avere come effetto solo indiretto il rimborso del costo del lavoro, che costituisce prassi ricorrente e irrilevante ai fini della legittimità del distacco (Cass., Sez. Un., 13 aprile 1989, n. 1751 già richiamata dalla Circolare n. 3/2004), ma trovasse in tale esito la sua propria giustificazione”.
Applicando tali principi, la Circolare ha pertanto concluso che il dato della temporaneità, caratteristica della crisi, per la quale è consentito il ricorso alla cassa integrazione, consente di ritenere sussistente un autonomo e rilevante interesse al distacco ove il ricorso all’istituto, proprio perché interviene all’interno di società appartenenti al medesimo gruppo imprenditoriale, consenta di preservare in forza (e nella propria disponibilità) i lavoratori che sarebbero altrimenti temporaneamente sospesi e che, in tale situazione, da un lato potrebbero essere indotti a cercare una diversa occupazione (a fronte della diminuita retribuzione e di qualifiche professionali elevate o altamente specializzate) e, dall’altro, potrebbero vedere, per la riduzione o totale sospensione dell’attività, pregiudicato il proprio percorso di crescita professionale. Un legittimo interesse al distacco, pertanto, è configurato nella esigenza di preservare il patrimonio professionale dell’impresa attraverso le opportunità di scambio tra i lavoratori alle dipendenze di imprese appartenenti al medesimo gruppo.
L’accordo di distacco che può essere certificato può riguardare singole operazioni di distacco ovvero gruppi di operazioni specificatamente considerate.
Esso, poi, può essere certificato anche ai fini di escludere la diversa qualificazione dello stesso come somministrazione di lavoro (vale a dire come interposizione illecita), ove risulti esplicitato l’interesse specifico dell’impresa distaccante a ricorrere all’istituto. L’esplicitazione dell’interesse, infatti, consentirà di valutarlo rispetto alla sua oggettività, concretezza, specificità, coerenza con l’attività per la quale il distacco è disposto, e temporaneità. L’accordo, pertanto, dovrà espressamente descrivere l’interesse che mediante il distacco la società distaccante mira a soddisfare.
Ad esempio, con riferimento all’esigenza di garantire la formazione continua ai dipendenti delle singole società e, dal punto di vista del gruppo, di garantire standard di crescita e qualitativi omogenei, occorrerà esplicitare i lavoratori coinvolti, le relative professionalità, le attività che saranno svolte durante il distacco, le opportunità di accrescimento delle competenze e così via. Si dovrà al riguardo sempre tenere presente che l’interesse fondamentale da considerare (pur valutato alla luce del contesto di gruppo) sarà quello dell’impresa distaccante, e che tale interesse dovrà di volta in volta essere esplicitato nei singoli accordi in modo che se ne possa valutare concretezza e rilevanza (intesa come giustificazione razionale) rispetto alle attività per l’esecuzione delle quali viene deciso il provvedimento di distacco. Inoltre dovrà sempre tenersi conto della esigenza di verificare che il rimborso non sia superiore al costo effettivamente sostenuto dalla distaccante per il lavoratore in distacco. Infine, in caso di mutamento di mansioni occorrerà coinvolgere anche i lavoratori destinatari del provvedimento di distacco.
Sempre con riferimento alla posizione dei lavoratori, si rileva, come sopra anticipato, che benché il provvedimento di distacco costituisca, rispetto al rapporto di lavoro, una ipotesi di esercizio del potere direttivo del datore di lavoro, il coinvolgimento del lavoratore nella procedura – atteso il fatto che la certificazione può riguardare ogni clausola afferente al rapporto di lavoro – appare comunque auspicabile per valorizzarne il significato quale strumento di certezza delle relazioni giuridiche disciplinate dagli accordi oggetto di certificazione.
CAPITOLO IV
L’ EFFICACIA GIURIDICA E
LA TENUTA GIUDIZIARIA DELLA CERTIFICAZIONE
1. Riferimenti generali
Il controllo svolto dalle commissioni di certificazione stabilisce una presunzione di conformità alla fattispecie legale di cui al nomen juris che le parti hanno allo stesso conferito. Gli effetti della certificazione, pertanto, non sono definitivi, e possono essere superati da una sentenza del giudice ordinario o del giudice amministrativo, secondo le disposizioni di cui all’art. 80, d.lgs. n. 276 del 2003.
Prima della entrata in vigore della l. n. 183 del 2010, l’art. 79, d.lgs. n. 276/2003, stabiliva unicamente che: “gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro permangono, anche verso i terzi, fino al momento in cui sia stato accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili ai sensi dell’articolo 80, fatti salvi i provvedimenti cautelari”.
Il “collegato lavoro”, pur non innovando sul punto, ha però fornito una precisazione in merito agli effetti dell’accertamento delle commissioni per il periodo antecedente l’intervento di una eventuale sentenza di merito, statuendo (cfr. art. 31, co. 15, che ha introdotto il co. 2 all’art. 79, d.lgs. n. 276/2003) che “gli effetti dell’accertamento dell’organo preposto alla certificazione del contratto di lavoro, nel caso di contratti in corso di esecuzione, si producono dal momento di inizio del contratto, ove la commissione abbia appurato che l’attuazione del medesimo è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in tale sede. In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, gli effetti si producono soltanto ove e nel momento in cui queste ultime provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla commissione adita”.
La valutazione tecnica espressa dagli organi preposti alla certificazione può essere posta in discussione da qualunque interessato solo attraverso il ricorso alla autorità giudiziaria: d’altra parte, è stata questa una scelta obbligata per il legislatore, in virtù di due fondamentali considerazioni.
La prima riguarda il fatto che la certificazione “attiene ad un programma negoziale la cui concreta dinamica potrebbe smentire la qualificazione originaria, rendendo in ogni caso indispensabile” la correzione della difformità verificatasi. È in questo caso che dovrebbe essere apprezzata la mancata incontrovertibilità del provvedimento di certificazione, in quanto, diversamente, ci si troverebbe dinnanzi ad un atto certamente più autorevole dal punto di vista dell’efficacia giuridica, ma al contempo potenzialmente più lesivo per il lavoratore. Si deve infatti notare come, nel caso di certezza legale attribuita ad una qualificazione non giurisdizionale, si potrebbe addirittura ipotizzare una illegittimità costituzionale per violazione delle disposizioni dell’art. 24 Cost., in virtù del quale “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”, e dell’art. 102 Cost., secondo cui “la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario”.
La seconda considerazione riguarda il monito chiaramente espresso dalla Corte Costituzionale circa il principio dell’indisponibilità del tipo negoziale. Si legge infatti in Xxxxx Xxxx. 00 marzo 1993, n. 121, - ma anche in Xxxxx Xxxx. 00 marzo 1994, n. 115 - che “non sarebbe comunque consentito al legislatore negare la qualificazione giuridica di rapporti di lavoro subordinato a rapporti che oggettivamente abbiano tale natura, ove da ciò derivi l’inapplicabilità delle norme inderogabili previste dall’ordinamento (…) e, a maggior ragione, non sarebbe consentito al legislatore di autorizzare le parti ad escludere, direttamente o indirettamente, con la loro dichiarazione contrattuale, l’applicabilità della disciplina inderogabile prevista a tutela dei lavoratori a rapporti che abbiano contenuto e modalità di esecuzione propri del rapporto di lavoro subordinato”, tenendo conto che questa disciplina deve trovare applicazione “ogni qual volta vi sia, nei fatti, quel rapporto economico-sociale al quale la Costituzione riferisce tali principi, tali garanzie e tali diritti”. Applicando il dettato della Corte al tema qui in esame appare “evidente che, in base alla logica della Corte, la legge non può neanche autorizzare organismi sindacali o amministrativi ad
emettere provvedimenti che qualifichino in modo irrevocabile come rapporti di lavoro autonomo quelli che nei fatti hanno le caratteristiche proprie della subordinazione”.
L’art. 30 della legge n. 183/2010 ha poi statuito che, nella qualificazione del contratto di lavoro e nella interpretazione delle rispettive clausole, il giudice non può discostarsi dalle “valutazioni espresse dalle parti in sede di certificazione del contratto”, le quali coinciderebbero non solo con la volontà manifestata all’interno del documento contrattuale, ma soprattutto con la volontà manifestata all’interno dei verbali di audizione attraverso i quali i commissari svolgono l’istruttoria, seppure limitata e certamente non paragonabile all’attività istruttoria che può compiersi nel corso di un giudizio.
Pare che l’intento del legislatore sia stato quello di valorizzare la certificazione rafforzandone l’efficacia giuridica, e ciò non equivale a limitare il potere di valutazione dei giudici, piuttosto a rendere il contratto certificato - oggetto di una procedura ah hoc che comprende una fase istruttoria, per quanto come detto limitata - un punto di partenza su cui il giudice potrà fondare la propria decisione.
Il legislatore ha aggiunto ulteriori ipotesi di impugnazione rispetto a quelle che si rendevano necessarie in ragione delle summenzionate considerazioni. È possibile, infatti, che la certificazione del contratto possa essere messa in discussione di fronte al giudice ordinario non solo per difformità tra il tipo negoziale certificato e la sua successiva attuazione e per erronea qualificazione del contratto, ma anche per vizi del consenso.
Inoltre l’art. 80, comma 5, prevede la possibilità che il provvedimento di certificazione sia oggetto – considerando la natura dello stesso - del vaglio del giudice amministrativo per la verifica di eventuali vizi di legittimità, ovvero per violazione del procedimento o per eccesso di potere.
1.1. La direttiva del Ministero del Lavoro del 18 settembre 2008 e il ruolo di “controllo istituzionale” affidato alle commissioni di certificazione
Prima di analizzare in concreto le vie attraverso le quali può essere presentato ricorso contro l’atto certificatorio, è opportuno ricordare che, con la direttiva del 18 settembre 2008, il Ministero del lavoro, intervenendo sul tema delle attività ispettive e di vigilanza, ha toccato anche l’istituto della certificazione dei contratti, riconoscendo alle Commissioni di certificazione un ruolo di “controllo istituzionale” parallelo e, per certi versi, alternativo agli organi ispettivi.
Ai fini di una ottimizzazione delle risorse e dei controlli il Ministero del lavoro ha invero sancito che l’azione di vigilanza degli enti ispettivi, in riferimento ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, ed a quelli di associazione in partecipazione, si debba concentrare esclusivamente sui contratti che non siano già stati sottoposti al vaglio di una delle commissioni di certificazione, intendendosi con ciò tanto i contratti positivamente certificati quanto quelli ancora in fase di valutazione.
Il controllo degli enti ispettivi su tali contratti potrà allora avvenire soltanto qualora: a) si evinca con evidenza immediata e non controvertibile la palese incongruenza tra il contratto certificato e le modalità concrete di esecuzione del rapporto di lavoro; b) sia stata fatta richiesta di intervento da parte del lavoratore interessato, e sempreché sia fallito il preventivo tentativo di conciliazione monocratica ex art. 11, d.lgs. n. 124/2004.
La direttiva ha preso inoltre – sebbene sinteticamente – posizione sui “rapporti di lavoro flessibile” (facendo con tale locuzione riferimento a quelli a tempo determinato, a tempo parziale, di lavoro intermittente e occasionale) e sui contratti di appalto e subappalto: con riferimento ai primi, ha statuito che l’attenzione degli ispettori si dovrà concentrare soltanto sui contratti non certificati, e con riferimento ai secondi ha del tutto similmente disposto che dovranno sì essere oggetto di specifico e attento esame da parte degli ispettori, ma che l’attenzione dovrà concentrarsi sui contratti che non sono già stati oggetto di certificazione.
Tali indicazioni ministeriali, oltre a perseguire la finalità di ridurre la duplicazione degli interventi da parte di organismi amministrativi che, sebbene con poteri e competenze differenti, si occupano di fatto di indagare sui medesimi profili, costituiscono certamente un valido
incentivo per la diffusione della certificazione e dei positivi riflessi che da questa derivano in termini di deflazione del contenzioso, ma anche per la promozione della regolarità in senso più ampio, riconoscendo a tale istituto un ruolo attivo ed autorevole nella lotta alle simulazioni.
È naturale poi – ed è del resto la prassi che sin qui ha seguito la Commissione di Certificazione del Centro Studi “Xxxxx Xxxxx” dell’Università di Modena e Reggio Xxxxxx – che la attività istruttoria delle commissioni dovrà essere sospesa ogniqualvolta sul contratto o sull’atto oggetto di procedura sia in corso una ispezione da parte degli organismi ispettivi, anche afferenti ad enti previdenziali. La circostanza, tra l’altro, appare di agevole e incontrovertibile verifica, posto che, ove anche non si riscontri la presenza di una espressa indicazione in tal senso operata delle parti in sede di istanza, le autorità pubbliche nei confronti delle quali l’atto di certificazione è destinato a produrre effetti, avuta notizia di apertura della procedura di certificazione ex art. 78, co. 2, lett. a) del d.lgs. n. 276 del 2003, non potranno astenersi da una successiva segnalazione in merito ad un eventuale precedente accesso. Una interpretazione differente delle disposizioni – anche ministeriali – vigenti risulterebbe, oltre che asistematica, pure in contrasto con la ratio dalle medesime perseguita e in particolare con l’obiettivo – che pare porsi anche la sopra richiamata direttiva – di promuovere la collaborazione e la condivisione delle informazioni tra i differenti centri istituzionali di verifica e controllo.
2. La persistenza del tentativo obbligatorio di conciliazione in caso di contenzioso sui contratti certificati: ratio e procedura.
Il tentativo di conciliazione in materia di lavoro, in controtendenza rispetto a quanto previsto nel processo ordinario con la legge n. 28/2010, è ritornato ad essere facoltativo, salve le ipotesi particolari dei contratti certificati e di licenziamento per giustificato motivo oggettivo e purché il datore di lavoro abbia i requisiti dimensionali di cui all’art. 18, comma 8, Legge n. 300/7037.
Come generalmente accadeva prima della entrata in vigore della l. n. 183 del 201038 per ogni controversia di lavoro, anche per quelle inerenti la certificazione, l’art. 80, comma 4, del d.lgs. n. 276 del 2003 ha fin dal principio imposto che il ricorso giurisdizionale fosse preceduto da un tentativo di conciliazione; tale tentativo deve essere esperito davanti alla stessa commissione che ha provveduto alla certificazione.
La funzione di tale disposizione non è tanto quella di porre un filtro che snellisca il carico gravante sui Tribunali del lavoro, posto che in tutti gli altri casi l’obbligo di conciliazione viene meno, quanto piuttosto di dare completezza alla idea della “volontà assistita”, ragione per cui pare naturale che le parti in contenzioso “illustrino” alla commissione che, su base volontaria, ha certificato il loro contratto le ragioni del dissidio, anche eventualmente su elementi del programma negoziale concordemente confermati in sede di certificazione. In questo senso non può non rilevarsi la funzione “deterrente” svolta da tale previsione, finalizzata a sostenere il rispetto dei patti. Ed in effetti, chiunque contesti il contenuto dell’atto della Commissione è infatti chiamato a presentarsi nuovamente di fronte alla stessa Commissione che quell’atto ha emanato (si presume, dopo attenta istruttoria, ossia dopo aver esaminato la documentazione presentata e preso in considerazione le dichiarazioni rese dalle parti in sede di audizione), il che dovrebbe inevitabilmente scoraggiare le azioni opportunistiche quanto liti temerarie.
Altro scopo perseguito dalla norma può essere poi rinvenuto nella volontà di valorizzare il ruolo e l’autorità delle commissioni di certificazione, nonché nel concedere loro una sorta di “potere di autotutela”, che permetta di vagliare i vizi contestati agli atti da esse emanati in via preventiva rispetto al momento in cui questi vengano esaminati dal giudice, in modo da poter effettuare eventuali interventi correttivi.
37 In questo senso la nuova formulazione dell’art. 7, comma 1, Legge n. 604/1966 a seguito della modifica operata con la legge n. 92/2012.
38 Il quale, come noto, ha reso facoltativo il tentativo di conciliazione con riguardo al contenzioso del lavoro, lasciandone invariata l’obbligatorietà soltanto per le controversie da instaurarsi con riferimento ad un contratto certificato, in merito alle quali ci si dovrà obbligatoriamente rivolgere alla Commissione che aveva appunto certificato precedentemente il contratto (cfr. art. 31, co. 2).
Per ciò che concerne la procedura adottata per l’espletamento del tentativo di conciliazione dinanzi alle suddette commissioni (le quali possono svolgere tale funzione anche per i contratti non certificati), dovrà applicarsi la procedura dettata per l’espletamento del tentativo di conciliazione dinnanzi alle Direzioni Provinciali del Lavoro. Quest’ultima è modellata sul tentativo di conciliazione facoltativo, infatti ciò crea, nel caso concreto, alcuni problemi procedurali: nel caso in cui la parte resistente non depositi la memoria prevista nei termini indicati dall’art. 410 c.p.c., così come modificato dall’art. 31 della n. 183/2010, “il tentativo di conciliazione s’intenderà comunque esperito e potrà essere depositato il ricorso dinnanzi l’autorità giudiziaria”.
È chiaro che ciò non può accadere se il tentativo di conciliazione è obbligatorio, in quanto si presuppone che le parti debbano essere comunque convocate innanzi la commissione. A titolo esemplificativo, la Commissione di Certificazione del Centro Studi Xxxxx Xxxxx istituita presso l’università di Modena e Reggio Xxxxxx, nel caso in cui la memoria difensiva non venga depositata dal convenuto entro il termine di 20 giorni, fissa comunque, nei 10 giorni successivi, la comparizione delle parti innanzi a sé, e qualora le parti non compaiano, oppure compaia solo una di loro, ne dà atto nel verbale di “mancata conciliazione” di cui il giudice dovrà tener conto in giudizio.
3. L’impugnazione presso l’autorità giudiziaria ex art. 413 c.p.c.
L’art. 80, d.lgs. n. 276 del 2003, esordisce stabilendo che le “parti e i terzi nella cui sfera giuridica l’atto stesso è destinato a produrre effetti, possono proporre ricorso, presso l’autorità giudiziaria di cui all’art. 413 del codice di procedura civile, per erronea qualificazione del contratto oppure difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione”.
Con riferimento a tali due motivi, legittimati all’azione di fronte al giudice del lavoro, competente in base ai criteri di cui all’art. 413 c.p.c., sono quindi sia le parti del contratto, sia gli enti ispettivi e gli istituti previdenziali e fiscali (e quindi Inps, Enpals, Inail, Ministero delle Finanze e le altre autorità pubbliche interessate alla natura del rapporto di lavoro: la legittimazione di questi ultimi deriverebbe dal fatto che “fintanto che, a seguito di apposito giudizio, non si fosse accertata una diversa natura del rapporto rispetto al tipo contrattuale invocato in sede di certificazione sarebbero stati nell’impossibilità di adottare legittimamente atti amministrativi”).
Altro motivo di ricorso al giudice del lavoro è quello attinente ai vizi del consenso, per il quale, tuttavia, la legittimazione attiva è da ritenersi esclusiva delle parti contraenti (cfr. art. 80, d.lgs.
n. 276 del 2003, ultima parte).
In ogni caso, in sede di giudizio l’autorità procedente non pareva essere espressamente e rigidamente tenuta39, in virtù dell’originario impianto normativo, a considerare i comportamenti tenuti e le dichiarazioni espresse dalle parti in sede di certificazione, di modo che la certificazione stessa si vedeva in concreto assegnato un peso relativo – con conseguente scarsa efficacia probatoria – nel successivo procedimento giurisdizionale, se non con riferimento alla facoltà del giudice di valutare quegli elementi al fine della decisione circa le spese di lite. A ben vedere, tuttavia, un giudice attento e scrupoloso avrebbe ben potuto avvalersi dei dati emergenti da quanto accaduto in sede di certificazione per formare il proprio convincimento, arricchendo ulteriormente e utilmente gli elementi probatori a propria disposizione stante l’inequivocabile disposto di cui all’articolo 1362 in materia di interpretazione del contatto e ricostruzione della comune intenzione delle parti40. Ciò, però, a condizione che la commissione
39 Se si esclude la alquanto debole disposizione di cui all’art. 80, comma 3, in virtù della quale “Il comportamento complessivo tenuto dalle parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro e di definizione della controversia davanti alla commissione di certificazione potrà essere valutato dal giudice del lavoro, ai sensi degli articoli 9, 92 e 96 del codice di procedura civile”.
40 A questo riguardo non pare conoscere i basilari canoni ermeneutici del contratto il Trib. Bergamo, rispettivamente nelle decisioni 20.05.2010, n. 416 e 12.10.2010, n. 1718, chiaramente incentrate (e ideologicamente orientate) su una concezione del lavoratore come “contraente debole” e dunque quale “oggetto” e non soggetto consapevole del relativo contratto di lavoro che lo lega volontariamente ad un datore di lavoro.
che avesse proceduto alla certificazione fosse stata in grado di assicurarsi, nella audizione delle parti e nella valutazione dei materiali istruttori, la fiducia necessaria attraverso un’istruttoria approfondita ed una motivazione del provvedimento “di qualità”.
L’art. 30, co. 2 della l. n. 183 del 2010, ha, peraltro, recentemente istituzionalizzato tale eventualità, statuendo che “nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole il giudice non può discostarsi dalle valutazioni delle parti, espresse in sede di certificazione dei contratti di lavoro di cui al titolo VIII del d.lgs. 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, salvo il caso di erronea qualificazione del contratto, di vizi del consenso o di difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione”41.
Quanto agli effetti dell’eventuale accoglimento del ricorso che attenga alla erroneità della qualificazione del contratto, essi continueranno a prodursi fin dal momento della conclusione dell’accordo. L’efficacia della pronuncia giudiziale che accerti un errore commesso dalla commissione che ha certificato il negozio è perciò retroattiva, e cancella ogni effetto prodotto dalla certificazione.
Se l’accoglimento riguarda invece un ricorso per difformità tra il programma negoziale e quanto effettivamente realizzato, gli effetti della sentenza retroagiranno, come è naturale, unicamente al momento in cui ha avuto inizio tale difformità.
3.1. L’erronea qualificazione del contratto
Più nello specifico, l’impugnazione per erronea qualificazione del contratto si differenzia dalle altre impugnazioni in quanto risulta indipendente dalle parti e dai loro comportamenti, ed afferente invece alla valutazione effettuata dalla Commissione di certificazione (sebbene quest’ultima possa essere stata indirizzata in un senso, piuttosto che nell’altro, proprio dai comportamenti tenuti dalle parti, in particolare in sede di audizione).
La qualificazione può essere errata a causa di un errore di fatto, circa le dichiarazioni delle parti o le caratteristiche del rapporto, oppure a causa di un errore di diritto42, inerente l’interpretazione delle norme di legge sulla qualificazione del contratto: l’accertamento del giudice dovrà allora probabilmente svolgersi secondo i criteri di cui all’art. 1428 c.c., riguardante l’errore come ipotesi di vizio del consenso, anche se, nel caso in questione, paiono non rilevare i requisiti di essenzialità e riconoscibilità, e, naturalmente, non si è di fronte ad un vizio del consenso di una parte rispetto ad un contratto, ma ad un errore di un soggetto terzo su un atto esterno al contratto, che può avere conseguenze, però, proprio su quest’ultimo. Il fatto che gli effetti della certificazione vengano a cadere a causa di un errore da imputare alla commissione di certificazione si ripercuote, infatti, senza dubbio sulle parti del contratto che su quella qualificazione avevano fatto affidamento. A seguito della nuova corretta qualificazione del contratto, in particolare, il datore di lavoro/committente/associante sarà tenuto a nuovi e diversi adempimenti contributivi e fiscali non solo pro futuro, ma anche per le differenze dovute rispetto a quanto corrisposto in passato, giacché gli effetti dell’accertamento retroagiscono al momento della stipulazione del regolamento tra le parti.
È allora ipotizzabile una responsabilità della commissione di certificazione nel caso di accertato errore nella qualificazione del contratto? E l’incolpevole affidamento del datore di lavoro committente/associante può rilevare tanto da esentarlo dalle sanzioni per il tardivo
41 Tra l’altro, l’attenzione deve essere qui incidentalmente portata anche sul successivo co. 3 del medesimo art. 30, a mente del quale “nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, il giudice tiene conto delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti (…) nei contratti individuali di lavoro ove stipulati con l'assistenza e la consulenza delle commissioni di certificazione (…). Nel definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento ai sensi dell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni, il giudice tiene ugualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti e comunque considera (…) il comportamento delle parti anche prima del licenziamento”. Con tale norma, infatti, il legislatore pare confermare l’intenzione di conferire maggiore peso – oltre che precise conseguenze giuridiche – a quanto avvenuto di fronte alle commissioni di certificazione, in considerazione del controllo da queste ultime operato in corso di procedura.
42 Che si identifica nella “falsa rappresentazione circa l’esistenza, l’applicazione e la portata di una norma giuridica”: cfr. tra tante, Xxxx. 1° marzo 1995, n. 2340, e Cass. 29 aprile 1982, n. 2688.
adempimento degli oneri fiscali e previdenziali connessi alla corretta qualificazione del contratto? Certamente è possibile riconoscere una qualche forma di responsabilità della commissione in caso di erronea qualificazione del contratto, e quindi nell’ammettere un’azione di risarcimento delle parti nei suoi confronti. Difformi sono però le posizioni in ordine alla natura di tale responsabilità (contrattuale od aquiliana), e conseguentemente al regime probatorio ad essa correlato. La distinzione non risulta tra l’altro di scarso rilievo, posto che il variare del tipo di responsabilità comporta notevoli differenze sia sul piano sostanziale, sia sul piano processuale. Tali differenze, come noto, sorgono in relazione al termine della prescrizione, alla ripartizione dell’onere della prova, al novero delle conseguenze pregiudizievoli suscettibili di risarcimento e al regime delle clausole di esonero della responsabilità. Xxxx è, peraltro, che l’erronea qualificazione del contratto pare un caso di scuola, visto che il punto critico della certificazione si rinviene nella difformità tra programma negoziale e comportamento concreto delle parte in sede di esecuzione del medesimo. Così come non pare possa essere messa in discussione la circostanza che l’entità del risarcimento dipenderà – in modo proporzionale – anche dall’eventuale costo della certificazione, posto che un affidamento delle parti può essere ragionevolmente ricondotto ad attività svolte dietro congruo compenso e, in ogni caso, al di fuori di attività istituzionali o senza fini di lucro dell’ente certificatore che nulla hanno a che vedere con consulenze professionali.
Sta di fatto che il tema dell’eventuale risarcimento per erronea qualificazione del contratto, sollevato non di rado in modo pretestuoso dagli oppositori dell’istituto, si pone su un terreno scivoloso e, a nostro avviso, per nulla pacifico, stante il principio costituzionale, confermato dalla legge Biagi e dal “collegato lavoro”, che la qualificazione del contratto spetta unicamente al giudice, con ciò confermando che l’affidamento delle parti sulla tenuta e validità del contratto certificato è, già in partenza, relativo e parziale, del valore prioritariamente “presuntivo”, per le parti e non solo per il giudice, del provvedimento di certificazione.
A titolo esemplificativo, deve essere ricordato che, sulla erronea qualificazione di contratti di lavoro a progetto certificati, vi sono state due pronunce del Tribunale di Bergamo ed una della Corte di Appello di Brescia (relativa, quest’ultima, ad uno dei due casi già analizzati dal predetto Tribunale)43. In particolare, la Corte d’Appello di Brescia non ha dato valore alla volontà negoziale del lavoratore, sollevando dubbi sulla spontaneità delle dichiarazioni rese e sulla comprensione del significato della procedura di certificazione da parte di un cittadino ghanese. In una nota a tale sentenza44, è stata sottolineata la sostanziale inutilità della certificazione nel sistema giuridico, condividendo la pronuncia del Collegio, secondo cui la volontà delle parti in sede di certificazione deve essere valutata come mero oggetto di prova e non come elemento fondante della decisione resa in giudizio. Sul punto si ritiene vi sia un’incomprensione di base: come già sottolineato, infatti, gli effetti della certificazione dei contratti non sono definitivi, e nessuno dubita che possano essere superati da una sentenza del giudice di merito, ma l’attività delle commissioni di certificazione dovrebbe contribuire ad arricchire, in sede di giudizio, il materiale probatorio, soprattutto alla luce delle novità introdotte dall’art. 30, comma 2, della legge 183/2010.
È dunque possibile ipotizzare che, ove le stesse controversie fossero state decise in vigenza della legge 183/2010, in corso di causa si sarebbe dovuto tenere conto delle valutazioni espresse dalle parti in sede di certificazione dei contratti e del lavoro svolto dalla commissione di certificazione in sede istruttoria.
3.2. La difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione
Il rimedio utilizzato più di frequente nei confronti della certificazione sarà, verosimilmente, quello del ricorso per difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva
43 Trib. Bergamo n. 416 e n. 1718 del 2010; App. Brescia n. 70 del 2011.
44 Cfr. X. Xxxx, Xxxx’efficacia deflattiva della certificazione nel contenzioso sulla qualificazione del rapporto di lavoro, in RIDL, 2011, II, 1164.
attuazione. La certificazione, infatti, collocandosi di regola o in una fase anteriore allo svolgimento del rapporto di lavoro, o in un momento successivo al concreto avvio del medesimo, ma quasi mai a rapporto ormai terminato, è per propria natura impossibilitata a cogliere le effettive modalità di attuazione dell’intero contratto di lavoro. La competenza e l’esperienza delle Commissioni non potranno così in alcun modo impedire comportamenti irregolari e vere e proprie violazioni di legge che si verifichino a certificazione avvenuta, quando il rispetto delle regole sarà affidato soltanto alle parti.
Proprio in ragione di tale considerazione, è stata sospettata l’illegittimità costituzionale dell’art. 80, d.lgs. n. 276 del 2003, nella parte in cui preclude ad enti previdenziali e fiscali di esercitare i loro poteri in presenza di un fatto (la difformità tra il programma contrattuale iniziale e la sua attuazione) che non poteva in alcun modo essere stato vagliato in sede di certificazione del contratto. A ciò pare aver esplicitato un correttivo la c.d. Xxxxxxxxx Xxxxxxx del 18 settembre 2008, la quale, come già ricordato, ha statuito che il controllo degli enti ispettivi sui contratti certificati o in corso di analisi da parte delle Commissioni di certificazione potrà avvenire, tra l’altro, qualora si evinca con evidenza immediata e non controvertibile la palese incongruenza tra il contratto certificato e le modalità concrete di esecuzione del rapporto di lavoro.
Le ragioni della difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione possono poi essere di tipo differente.
Vi sono, innanzitutto, le ipotesi patologiche: quelle di modifica unilaterale delle effettive condizioni del rapporto, ad opera di un datore di lavoro/committente/associante che con i propri precedenti comportamenti e dichiarazioni (rese in corso di istruttoria) abbia voluto ottenere la qualificazione più conveniente di un contratto di lavoro, e quelle di simulazione, che si verificheranno ogniqualvolta, sin dall’inizio del rapporto, vi sia stato tra le parti un accordo più o meno genuino in ordine alle regole da inserire in contratto, con l’intesa che il rapporto realmente instaurato avrebbe poi avuto una diversa natura rispetto a quanto dichiarato.
Oltre a queste ipotesi, però, può verificarsi che la modifica delle modalità di svolgimento del rapporto del contratto sia avvenuta, consensualmente, in itinere, attraverso la novazione oggettiva di un contratto la cui esecuzione era inizialmente coerente con il nomen iuris dichiarato e certificato.
In ognuno di questi casi, comunque, la qualificazione del contratto viene contraddetta dai fatti, e la certificazione potrà cogliere tali modifiche unicamente ove siano le parti medesime ad esplicitarle alla commissione. Salvo quest’ultima ipotesi, che nella realtà deve presupporsi piuttosto rara, in cui potrebbe anche essere ipotizzabile una nuova istanza di certificazione volta a qualificare il rapporto così come venuto a mutare (e naturalmente con efficacia del provvedimento unicamente dal momento della diversa concreta attuazione), nemmeno i fatti nuovi che emergano dall’esecuzione del rapporto possono scalfire la certezza sancita dall’iniziale provvedimento di certificazione: l’unico intervento che potrà avere tale effetto sarà, come già ricordato, una contraria pronuncia giurisdizionale.
Da qui la proposta, certamente condivisibile, dell’ideazione di “sistemi di verifica”, a cadenza periodica, dell’andamento del rapporto.
3.3. I vizi del consenso: in particolare sull’errore di diritto indotto dall’erronea qualificazione
Una delle disposizioni più dibattute in tema di certificazione dei contratti è quella di cui al comma 1, ultima parte, dell’art. 80 del d.lgs. n. 276 del 2003, in base alla quale è concesso alle parti del contratto certificato di impugnare l’atto di certificazione, davanti al giudice del lavoro, anche per vizi del consenso.
Il consenso viziato che legittima il ricorso all’autorità giudiziaria pare essere in questo caso quello delle parti (e nello specifico, o quanto meno con maggiore frequenza, quello del lavoratore), ma riguardante, più che l’atto di certificazione, l’istanza che ha dato origine al procedimento di certificazione e le dichiarazioni rese nel corso del medesimo. Di conseguenza, sarebbe possibile ricorrere al giudice del lavoro ove l’atto di certificazione sia basato su un
3consenso condizionato e su dichiarazioni coartate, mancando pertanto un presupposto essenziale della certificazione stessa.
4. L’impugnazione presso il Tribunale Amministrativo Regionale
Accanto alle ipotesi di ricorso alla tutela del giudice ordinario, l’art. 80, d.lgs. n. 276 del 2003, riconosce agli interessati la possibilità di adire il Tribunale amministrativo regionale impugnando il provvedimento di certificazione per violazione del procedimento o eccesso di potere. Attraverso tale previsione, il legislatore delegato pare avere indirettamente confermato che quello di certificazione deve ritenersi un provvedimento amministrativo.
4.1. L’eccesso di potere
Secondo l’interpretazione che appare più corretta, quello di certificazione non può essere propriamente inquadrato come un atto discrezionale, non avendo le Commissioni alcun margine di scelta in ordine al proprio operato; l’attività delle Commissioni sarebbe allora limitata alla valutazione dei fatti, e le conseguenze di tali valutazioni sarebbero già predeterminate dalla legge, e non dipenderebbero dalla considerazione del pubblico interesse (si tratterebbe, insomma, di un potere vincolato).
L’eccesso di potere, però, può configurarsi anche nel caso in cui l’organo procedente sia dotato di una mera discrezionalità tecnica, ovvero del potere di qualificare fatti suscettibili di varia valutazione attraverso parametri di tipo scientifico. Per questa ragione sembra che anche nel provvedimento di certificazione siano astrattamente ravvisabili alcuni vizi di logicità-congruità che legittimerebbero il ricorso al giudice amministrativo per eccesso di potere.
4.2. I vizi del procedimento
Quanto al vizio di violazione del procedimento, non si pongono particolari problemi interpretativi: è piuttosto l’esiguità delle regole procedimentali poste dal d.lgs. n. 276 del 2003 ad essere potenzialmente causa di contestazioni a riguardo.
Se, infatti, potranno essere fatti valere di fronte al TAR tutti i vizi che attengono alla procedura di certificazione così come sinteticamente disciplinata dalla legge (come la mancata comunicazione dell’avvio del procedimento alla Direzione provinciale del lavoro, l’assenza di motivazione nel provvedimento, ecc.), non è altrettanto ovvio che la violazione o il leggero discostamento da regole che le singole commissioni si siano date tramite apposito regolamento interno possano subire la medesima sorte.
Tra l’altro, il recente ampliamento delle competenze attribuite alle commissioni di certificazione in virtù del novellato art. 75, d.lgs. n. 276 del 200345, non essendo stato accompagnato da un parallelo “appesantimento” procedurale (che in questo caso sarebbe stato auspicabile), non fa che aumentare il rischio che l’attività delle singole commissioni – non potendo essere adeguatamente disciplinata dai singoli regolamenti interni nei mille possibili rivoli in cui potrebbe estrinsecarsi a seconda della specifica istanza analizzata – venga di volta in volta posta sotto la lente di ingrandimento proprio per la – asserita – violazione di regole più o meno implicite nel sistema.
5. L’arbitrato irrituale dopo il Collegato Lavoro: le camere arbitrali istituite presso gli organi di certificazione
45 In virtù del quale “al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo”.
Il c.d. Collegato Xxxxxx (legge n. 183/2010) ha introdotto nuove forme di arbitrato in materia di lavoro, accomunate da un medesimo esito, in quanto “il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato produce gli stessi effetti degli art. 1372 e 2113, comma 4, del codice civile” (un lodo, quindi, con efficacia contrattuale e come tale impugnabile ex art. 808 ter c.p.c.).
L’arbitrato descritto dall’attuale art. 412 c.p.c. può essere esperito dinnanzi alle Direzioni provinciali del lavoro e alle sedi abilitate alla certificazione dei contratti di lavoro e costituisce l’eventuale prosecuzione del tentativo di conciliazione; in quest’ultima ipotesi, presso gli organi di certificazione vengono istituite camere arbitrali. In qualsiasi fase del tentativo di conciliazione le parti possono scegliere la via arbitrale per la risoluzione della controversia insorta tra le medesime. Il nuovo arbitrato irrituale del lavoro è poi caratterizzato da una stretta connessione con la conciliazione, in controtendenza rispetto a quanto disposto da dalla legge-quadro sulla mediazione (d.lgs. n. 28/2010), nella quale si tende a separare l’attività del soggetto chiamato a tentare la conciliazione dall’attività di altro diverso soggetto chiamato a risolvere la lite.
5.1. L’efficacia del lodo secondo l’art. 2113 c.c.
L’art art. 412, comma 3, richiama espressamente gli artt. 1372 e 2113, comma 4 c.c., con l’intento di sottolineare come la caratteristica principale dell’arbitrato irrituale è quella di definire la controversia “mediante determinazione contrattuale”, e di evidenziare la inoppugnabilità del lodo negoziale al pari delle rinunzie e transazioni stipulate dai lavoratori in sede giudiziale, sindacale o amministrativa.
L’inoppugnabilità del lodo evidenzia un cambiamento di rotta nell’ordinamento legislativo, anche se non si tratta di inoppugnabilità assoluta, in quanto l’art. 2113, comma 4, c.c., lascia scoperta l’area della vera e propria nullità ex art. 1418 c.c., che, conseguentemente, può essere fatta valere con l’impugnazione appositamente prevista per il lodo irrituale.
Se l’arbitro si limita a pronunciarsi sulla rinuncia da parte del lavoratore di un diritto disponibile già entrato a far parte del suo patrimonio nulla quaestio; le criticità emergono invece quando l’arbitrato fa riferimento ad una lite ancora aperta. Il problema riguarda quelle determinazioni che, incidendo sul momento genetico del diritto e disponendo per il futuro, finiscono per definire una regolamentazione del rapporto diversa da quella prevista dalla legge. Per esempio, dovrebbero considerarsi nulle le pattuizioni che modifichino, con effetti che si riverberano nel futuro, la materia di ferie e riposi o la proroga del periodo di prova. In tali casi, la determinazione arbitrale non conforme alla legge sarebbe radicalmente nulla (sottratta quindi al regime dell’art. 2113, comma 4, c.c.), e da ciò deriva che il lodo irrituale, pur non essendo impugnabile per violazione di legge, potrà essere impugnato quando la violazione incida non su diritti già maturati, ma su diritti non ancora entrati a far parte del patrimonio del soggetto.
SEZIONE II
CAPITOLO I
MODELLI CONTRATTUALI ESPLICATI
1. Il contratto a progetto: schede di sintesi
RIFERIMENTI NORMATIVI
- legge n. 30/2003, art. 4, co. 1, lett. c), in particolare n. 3
- d.lgs. n. 276/2003, art. 61 e ss.
- d.lgs. n. 251/2004, art. 15
- legge n. 296/2006
- legge n. 183/2010, art. 32
- legge n. 92/2012
- D.M. 12 luglio 2007 (Applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 17 e 22 del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, a tutela e sostegno della maternità e paternità nei confronti delle lavoratrici iscritte alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26, della legge 8 agosto 1995, n. 335)
CIRCOLARI
Circolari emanate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali successivamente alla Riforma Fornero:
- Circolare n 29/2012: Collaborazione coordinata e continuativa a progetto – indicazioni operative per il personale ispettivo
Circolari emanate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e precedenti alla Riforma Fornero:
- Circolare n. 1/2004: Disciplina delle collaborazioni coordinate e continuative nella modalità c.d. a progetto.
- Circolare n. 17/2006: Collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto di cui agli artt. 61 e ss. d.lgs. n. 276/2003. Call center. Attività di vigilanza. Indicazioni operative.
- Circolare n. 4/2008: Collaborazioni coordinate e continuative nella modalità a progetto di cui agli artt. 61 e ss. d.lgs. n. 276/2003. Attività di vigilanza. Indicazioni operative.
NOZIONE DI LAVORO A PROGETTO
Il contratto di lavoro a progetto è un contratto di collaborazione coordinata e continuativa caratterizzato dalla sua riconducibilità ad uno o più progetti specifici che:
siano determinati dal committente
siano gestiti autonomamente dal collaboratore in funzione del risultato
siano funzionalmente collegati ad un determinato risultato finale
non costituiscano mera riproposizione dell’oggetto sociale
non comportino lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi (anche per come individuati dai contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale)
siano svolti nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente
siano svolti indipendentemente dal tempo impiegato per l’esecuzione della attività
lavorativa
Approfondimenti Riconducibilità al progetto:
requisito relativo alle modalità di svolgimento della prestazione di lavoro del collaboratore ai
fini della qualificazione del rapporto (si aggiunge a quelli della continuità e della coordinazione), fermo restando lo svolgimento della prestazione del collaboratore in regime di autonomia. La legge n. 92/2012 ha abrogato i riferimenti ai concetti di programma di lavoro o fase di esso. Conseguentemente, si potrà unicamente fare riferimento al progetto di lavoro, avendo cura di verificare che lo stesso non costituisca mera riproposizione dell’oggetto sociale, non comporti lo svolgimento di attività di carattere elementare o ripetitivo e sia orientato alla realizzazione di un determinato risultato finale
FINALITA'
(anche per effetto delle modifiche operate dalla legge n. 92/2012)
prevenire l’utilizzo fraudolento e comunque improprio delle collaborazioni
coordinate e continuative
-
-
-
incrementare le tutele esistenti per la categoria dei collaboratori con particolare riguardo a:
i canoni di determinazione del compenso;
l’ipotesi di invenzioni poste in essere dal collaboratore nell’esecuzione del contratto;
la tutela in caso di malattia, infortunio e gravidanza quanto alla sospensione e alla proroga del rapporto;
- la tutela della salute e sicurezza per il periodo in cui la attività viene svolta nei luoghi di lavoro del committente;
- la tendenziale stabilità del rapporto sino al termine del contratto.
Approfondimenti
Anche il committente risulta più tutelato, grazie a:
obbligo di riservatezza imposto al collaboratore,
più specifica determinazione dei requisiti necessari per la legittima stipulazione del
contratto,
possibilità di ricorrere a procedure di certificazione (strumento utile a diminuire l’alea del contenzioso in materia di qualificazione del rapporto)
AMBITO SOGGETTIVO DI APPLICAZIONE
(artt. 1, co. 2, e 61, co.1 e 3, d.lgs. n. 276/2003; art. 2222 c. c.; Circolare Ministeriale n.
1/2004)
Sono esclusi dalla disciplina del lavoro a progetto:
gli agenti e i rappresentanti di commercio nonché le attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center “outbound” per le quali il ricorso ai contratti
di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento;
coloro che esercitano professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, già esistenti al momento dell’entrata in vigore
del d.lgs. n. 276/2003, relativamente alle attività poste in essere compatibili con la suddetta iscrizione;
i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società;
i partecipanti a collegi e commissioni (inclusi gli organismi aventi natura tecnica); i percettori di pensione di vecchiaia (al raggiungimento del 65° anno di età anche se originariamente percettori di pensione di anzianità o invalidità);
gli atleti che svolgono prestazioni sportive in regime di autonomia, anche in forma di collaborazione coordinata e continuativa, ai sensi dell’art. 3 della legge n. 91/1981.
AMBITO OGGETTIVO DI APPLICAZIONE
(art. 1, co. 2, d.lgs. n. 276/2003; art. 61, co. 2 e 3 d.lgs. n. 276/2003; art. 4, co. 1, lett. c), nn. 1, 2 e 3, L. n. 30/2003; Circolari Ministeriali n. 1/2004, n. 17/2006, n. 4/2008)
Sono esclusi dalla disciplina del lavoro a progetto:
rapporti di lavoro occasionale (prestazione di durata non superiore a 30 gg. con un unico committente o alle 240 ore nell’ambito dei servizi di cura ed assistenza alla persona e per un compenso non superiore a 5000 euro con lo stesso committente);
rapporti di collaborazione con la Pubblica Amministrazione;
rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive
dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I.
Approfondimenti
Le collaborazioni a progetto non esauriscono le possibili forme del rapporto di
collaborazione coordinata e continuativa, ma aggiungono un requisito relativo alla modalità di esecuzione della prestazione.
La collaborazione coordinata e continuativa non esaurisce la categoria del
contratto d’opera, che troverà applicazione nell’ipotesi in cui il rapporto di lavoro autonomo non sia svolto in maniera coordinata e continuativa.
I RAPPORTI DI LAVORO A PROGETTO SECONDO LA CIRCOLARE MINISTERIALE N. 29/2012
1) I requisiti del progetto
- il contenuto del progetto deve necessariamente indicare l’attività prestata dal collaboratore in relazione alla quale si attende il raggiungimento di un risultato obiettivamente verificabile;
- il progetto, pur potendo rientrare all’interno del ciclo produttivo dell’impresa e concernere attività che rappresentano il core business aziendale, deve essere caratterizzato da una autonomia di contenuti ed obiettivi, anche qualora questi si traducano in attività rientranti all’interno dell’oggetto sociale di parte committente.
2) I compiti meramente esecutivi e ripetitivi
- i compiti meramente esecutivi sono caratterizzati dalla mera attuazione di quanto impartito da parte del committente, senza alcun margine di autonomia, mentre i compiti ripetitivi concernono attività elementari e tali da non richiedere, per la loro natura, specifiche e continue indicazioni da parte del committente.
3) Attività per le quali l’ispettore DEVE procedere a ricondurre il rapporto nell’alveo della subordinazione, adottando i conseguenti provvedimenti sul
piano lavoristico e previdenziale:
addetti alla distribuzione di bollette o alla consegna di giornali, riviste ed elenchi telefonici; addetti alle agenzie ippiche; addetti alle pulizie; autisti e autotrasportatori; baristi e camerieri; commessi e addetti alle vendite; custodi e portieri; xxxxxxxxx e parrucchieri; facchini; istruttori di autoscuola; letturisti di contatori; magazzinieri; manutentori; xxxxxxxx e qualifiche operaie dell’edilizia; piloti e assistenti di volo; prestatori di manodopera nel settore agricolo; addetti alle attività di segreteria e terminalisti; addetti alla somministrazione di cibi e bevande; prestazioni rese nell’ambito di call center per servizi cosiddetti in bound.
LA FORMA
(art. 62, co. 1, d.lgs. n. 276/2003; art. 4, co. 1, lett. c), n. 1, l. n. 30/2003; Circolari Ministeriali n. 1/2004 e n. 4/2008)
La forma è scritta e richiesta unicamente, a norma di legge, ai fini della prova.
Il contratto deve inoltre contenere i seguenti elementi:
- indicazione della durata, determinata o determinabile, della prestazione di lavoro;
- descrizione del progetto, con individuazione del suo contenuto caratterizzante e del risultato finale che si intende conseguire;
- indicazione del corrispettivo e dei criteri per la sua determinazione, nonché dei tempi e delle modalità di pagamento e della disciplina dei rimborsi spese;
- indicazione delle forme di coordinamento del lavoratore a progetto al committente sulla esecuzione, anche temporale, della prestazione lavorativa, che in ogni caso non possono essere tali da pregiudicarne l'autonomia nella esecuzione dell'obbligazione;
- indicazione delle eventuali misure per la tutela della salute e sicurezza del collaboratore a progetto (oltre a quelle previste in applicazione delle norme relative all’igiene e sicurezza del lavoratore sul luogo di lavoro).
LA DURATA
(art. 62, co. 1, d.lgs. n. 276/2003)
Il contratto deve avere una durata determinata o determinabile.
La durata è funzionale all’esecuzione del risultato (infatti è espressamente previsto che il contratto si estingua al momento della realizzazione del progetto).
Approfondimenti
(art. 67, d.lgs. n. 276/2003; Circolare Ministeriale n. 1/2004)
Si differenzia dal contratto di lavoro subordinato a tempo determinato, laddove il termine indica esclusivamente il periodo in cui il lavoratore è a disposizione del datore per lo svolgimento delle mansioni contrattualmente previste.
IL TRATTAMENTO ECONOMICO
(artt. 61, co. 4, e 63, d.lgs. n. 276/2003; art. 4, co. 1, lett. c), n. 1, legge n. 30/2003; Circolare Ministeriale n. 1/2004)
I compensi corrisposti ai lavoratori a progetto devono:
essere proporzionati alla quantità e qualità del lavoro eseguito
non essere inferiori ai minimi stabiliti in modo specifico per ciascun settore di attività ed in ogni caso non essere inferiori ai minimi salariali applicati nel medesimo settore alle mansioni equiparabili svolte dai lavoratori subordinati e determinati dal contratto
collettivo sottoscritto dalle organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale a livello interconfederale o di categoria o, su delega, ai livelli decentrati;
in assenza di contrattazione collettiva specifica, non essere inferiori, a parità di estensione temporale della prestazione, alla retribuzione minima prevista dai contratti
collettivi nazionali di categoria applicati a figure professionali il cui profilo di competenza sia analogo a quello del collaboratore.
Vista la modifica operata dalla legge n. 92/2012, che ha sostituito l’art. 63, d.lgs. n. 276/2003, la disposizione di cui all’art. 1, comma 711, legge n. 296/2006 (che prevede che il corrispettivo deve essere erogato sulla base dei compensi normalmente corrisposti per prestazioni di analoga professionalità nella area geografica della sede di lavoro, anche sulla base dei contratti collettivi nazionali di riferimento) deve intendersi implicitamente abrogata. In questo senso si esprime la Circolare Ministero del Lavoro n. 29/2012, la quale specifica, altresì, che tenuto conto della nuova formulazione dell’art. 63 d.lgs. n. 276/2003, il compenso minimo del collaboratore a progetto va individuato, dalla contrattazione collettiva e sulla falsariga di quanto avviene per i rapporti di lavoro subordinato, in applicazione dei principi di cui all’art. 36 Cost.
IL TRATTAMENTO NORMATIVO
(artt. 61, co. 4, 66 e 68, d.lgs. n. 276/2003; legge n. 533/1973; d.lgs. n. 81/2008; art. 4, co. 1, lett. c), nn. 4 e 6, legge n. 30/2003; art. 2113 c. c.; art. 15 d.lgs n. 251/2004; D.M. 12 luglio 2007)
A) MALATIA ED INFORTUNIO
La malattia e l’infortunio del lavoratore comportano solo la sospensione del rapporto (che però non è prorogato e si estingue alla scadenza).
Il committente può comunque recedere:
1) se la sospensione si protrae per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa sia determinata;
2) se la sospensione si protrae per un periodo superiore a 30 gg. per i contratti di
durata determinabile.
A decorrere dal 1º gennaio 2007, ai lavoratori a progetto e categorie assimilate iscritti alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26, della legge n. 335/1995, non titolari di pensione e non iscritti ad altre forme previdenziali obbligatorie
è corrisposta una indennità giornaliera di malattia
a carico dell’INPS
entro il limite massimo di giorni pari a un sesto della durata complessiva del rapporto di lavoro e comunque non inferiore a venti giorni nell’arco dell’anno
solare,
con esclusione degli eventi morbosi di durata inferiore a quattro giorni.
La misura della predetta prestazione è pari al 50 per cento dell’importo corrisposto a titolo di indennità per degenza ospedaliera previsto dalla normativa vigente per tale categoria di lavoratori.
B) GRAVIDANZA
Comporta la sospensione del rapporto e la proroga dello stesso per 180 gg.
Quanto previsto dalla disciplina legale può essere derogato dalle parti con una pattuizione più favorevole al lavoratore contenuta nel contratto individuale.
Il D.M. 12 luglio 2007 ha esteso alle collaborazioni a progetto il divieto di adibire al lavoro le donne in gravidanza così come disciplinato dal d.lgs. n. 151 del 2001, agli articoli 16, 17 e 20.
Conseguentemente è vietato adibire le lavoratrici a progetto al lavoro nei seguenti casi:
durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e, ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
durante i 3 mesi successivi al parto;
durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta.
E' facoltà della lavoratrice far “slittare” il periodo di sospensione di un mese, potendosi pertanto assentare sempre per complessivi 5 mesi, diversamente distribuiti.
Alle lavoratrici a progetto, che abbiano titolo all’indennità di maternità, è corrisposto per gli eventi di parto verificatisi a decorrere dal 1º gennaio 2007 un trattamento economico. L’indennità è calcolata nella misura giornaliera dell’80% di 1/365 del reddito di collaborazione utile ai fini contributivi, relativo ai 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile.
Il trattamento economico è subordinato al versamento, nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo indennizzabile, di almeno 3 mesi di mensilità di contribuzione calcolata secondo la nuova aliquota stabilita nel D.M. 12 luglio 2007.
Il padre lavoratore ha diritto di usufruire del congedo di paternità (art. 28 d.lgs. n. 151/2001) per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, nei seguenti casi:
- morte o grave infermità della madre;
- abbandono da parte della madre;
- affidamento esclusivo del bambino al padre.
In tal caso il lavoratore beneficia dell’indennità di paternità di cui all’art. 3 del D. Ministero del Lavoro e Politiche sociali 04.04.2002, come chiarito dalla Circ. Inps n. 137/2007.
- si applica la disciplina prevista in materia di collaborazioni coordinate e continuative ed in particolare quella relativa al rito del lavoro.
- si applica la disciplina in materia di igiene e sicurezza sul lavoro quando la prestazione lavorativa si svolga nei luoghi di lavoro del committente.
- nella riconduzione a un progetto dei contratti di cui all’articolo 61, comma 1, i diritti derivanti da un rapporto di lavoro già in essere possono essere oggetto di rinunzie o transazioni tra le
parti in sede di certificazione del rapporto di lavoro di cui al Titolo VIII del D.lgs 276/2003 secondo lo schema dell’articolo 2113 del codice civile.
I DIRITTI DEL COLLABORATORE
(art. 64, co. 1, e 65, co. 1, d.lgs. n. 276/2003; art. 12 bis, legge n. 633/1941, art.1, comma 277, legge 296/2006, D.M. 12 luglio 2007)
diritto ad un compenso proporzionato alla quantità e qualità del lavoro eseguito e non inferiore ai parametri stabiliti dalla contrattazione collettiva;
facoltà di svolgere la propria attività per più committenti (salvo diversa previsione del contratto individuale);
diritto ad essere riconosciuto autore dell’invenzione fatta nello svolgimento del rapporto: si applica la disciplina sul diritto d’autore ed in particolare la previsione
secondo cui il datore di lavoro (in questo caso il committente) è titolare del diritto esclusivo di utilizzazione economica del programma per elaboratore o della banca dati creati dal lavoratore (in questo caso collaboratore) nell'esecuzione delle sue mansioni o su istruzioni impartite dallo stesso datore di lavoro (in questo caso del progetto);
diritti in caso di malattia, infortunio, maternità (v. schema precedente)
I DIRITTI DEL COMMITTENTE
(Art. 66, co. 2, d.lgs. n. 276/2003)
Diritto di recedere dal contratto in caso di infortunio o malattia del lavoratore se la sospensione si protrae:
per un periodo superiore a un sesto della durata stabilita nel contratto, quando essa
sia determinata,
per un periodo superiore a 30 gg. per i contratti di durata determinabile.
I DOVERI DEL COLLABORATORE
(artt. 61, co. 1 e 64, co. 2, d.lgs. n. 276/2003)
- Deve svolgere la propria attività in autonomia ma nel rispetto del coordinamento con la organizzazione del committente.
- Non può svolgere attività in concorrenza con i committenti.
- Non può diffondere notizie e apprezzamenti attinenti ai programmi e all’organizzazione dei committenti.
- Non può compiere in nessun modo atti in pregiudizio all’attività dei committenti.
I DOVERI DEL COMMITTENTE
(art. 9 bis, l. n. 608/1996 quale risulta a seguito dell’art. 1, comma 1180, legge n.
296/2006; d.lgs. n. 81/2008)
- Entro il giorno antecedente l’inizio del rapporto deve effettuare la relativa comunicazione al servizio per l’impiego competente.
- Deve provvedere alla tutela della salute e sicurezza del collaboratore sul luogo di lavoro.
CRITERI DI COMPUTO
Questa tipologia di contratto integra un’ipotesi di lavoro autonomo, quindi i collaboratori non si computano nell’organico del committente.
ESTINZIONE DEL RAPPORTO
(art. 67, d.lgs. n. 276/2003)
Il rapporto si estingue al momento della realizzazione del progetto.
Salva l’ipotesi di giusta causa, prima della scadenza:
parte committente può recedere unicamente nel caso emergano “oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto”;
il collaboratore può recedere unicamente, previo preavviso, nel caso in cui la facoltà di
recesso sia espressamente prevista all’interno del contratto.
Ne consegue che, al di fuori delle ipotesi di recesso previste dalla legge, il recesso prima del termine sarà considerato illegittimo e la parte che recede può essere tenuta al risarcimento del danno (tenuto conto del caso specifico, delle modalità concrete di esercizio del recesso, della professionalità del lavoratore, della forza contrattuale delle parti, della fungibilità della prestazione ecc.).
Approfondimenti
Se la realizzazione del progetto interviene anteriormente al termine fissato dalle parti, essendo lo stesso funzionale al raggiungimento del risultato, sarà ugualmente dovuto l’intero compenso pattuito.
L’IMPUGNAZIONE DEL CONTRATTO A PROGETTO
(art. 32, Legge n. 183/2010)
Il recesso del committente nei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, deve essere effettuato tenuto conto della disciplina contenuta nell’art. 6, commi 1 e 2,
legge n. 604/1966, riformulata dall’art. 32 della Legge n. 183/2010 (c.d. Collegato Lavoro).
In particolare:
- il recesso deve essere impugnato, a pena di decadenza, entro giorni 60 dalla ricezione della sua comunicazione in forma scritta;
- l’impugnazione, se effettuata nei termini, è comunque inefficace se non è seguita entro il successivo termine di 270 giorni, dal deposito del ricorso presso la cancelleria del tribunale.
Pertanto, decorso uno dei due termini indicati, il collaboratore a progetto (come tutti i collaboratori coordinati e continuativi) non potrà più instaurare un contenzioso inerente la qualificazione del rapporto.
LE SANZIONI
(art. 69, d.lgs. n. 276/2003 come modificato ed interpretato dall’art. 1, commi 23, lett. g) e 24, legge n. 92/2012; art. 4, co. 1, lett. c), n. 5, legge n. 30/2003; Circolare Ministeriale n. 1/2004)
1) art. 69, comma 1
La mancata individuazione del progetto al quale il rapporto deve essere riconducibile comporta, in assenza di prova contraria, che il rapporto di lavoro sia considerato subordinato ed a tempo indeterminato dalla data di costituzione del medesimo.
Si tratta di una presunzione assoluta di subordinazione. Il che significa che la parte committente
non potrà provare la natura autonoma del rapporto.
La valutazione giurisdizionale sull’esistenza del progetto non comporta che siano sindacate nel merito le scelte tecniche, organizzative o produttive operate dal committente.
2) art. 69, comma 2
Nell’ipotesi in cui sia accertato in giudizio che il rapporto di lavoro a progetto sia venuto a configurare, in fase di esecuzione, un rapporto di lavoro subordinato, esso si trasforma in un rapporto di lavoro subordinato corrispondente alla tipologia negoziale di fatto realizzatasi tra le parti.
Nel caso in cui il collaboratore svolga l’attività con modalità analoghe a quella svolta dai
lavoratori dipendenti dell’impresa committente, si applica la presunzione relativa di subordinazione. Ciò significa che in tali casi la parte committente potrà comunque provare che il rapporto è effettivamente riconducibile all’alveo della collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto.
La presunzione non si applica nel caso di prestazioni di elevata professionalità. Tali prestazioni possono essere individuate all’interno dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale.
Sul punto, la Circolare del Ministero n. 29/2012 si è limitata semplicemente a ribadire che la disposizione di cui all’art. 69, comma 2, d.lgs. n. 276/2003 non preclude quindi la possibilità che un collaboratore svolga le medesime attività del lavoratore subordinato, purché l’attività venga svolta “con modalità organizzative radicalmente diverse”.
LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE
(Art. 64, d.lgs. n. 151/2001; art. 51, co. 1, L. n. 488/1999; Decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 12 gennaio 2001; art. 4, co. 1, lett. c), n. 4, L. n. 30/2003)
Si applica la disciplina previdenziale e la tutela assicurativa in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali dettata in materia di collaborazioni coordinate e continuative.
In particolare:
- il collaboratore deve essere iscritto (o deve iscriversi) alla Gestione Separata Inps. Il carico contributivo è ripartito nella misura di 1/3 a carico del collaboratore e 2/3 a carico della committente. L’aliquota contributiva è per l’anno 2013 pari al 28,72% (incluso il contributo di maternità) ed aumenterà di un punto percentuale per anno sino al 2018;
- ove ne ricorrano i presupposti, parte committente dovrà versare i relativi contributi Inail (a suo esclusivo carico).
RINVII ALLA CONTRATTAZIONE
(artt. 61, co. 1 e 4 e 86, co. 1, d.lgs. n. 276/2003, art. 1, comma 1202-1210, legge n.
296/2006)
Gli accordi collettivi possono prevedere:
quali compiti sono meramente esecutivi o ripetitivi (e, conseguentemente, non possono
essere resi a progetto)
un trattamento più favorevole di quello legale per il collaboratore a progetto
quali prestazioni sono da considerarsi di “elevata professionalità” (con la conseguenza della non operatività della presunzione relativa di subordinazione prevista all’art. 69, comma 2,
d.lgs n. 276/2003)
E’ possibile che il datore di lavoro e le istanze aziendali dei sindacati comparativamente più rappresentativi sul piano nazionale stipulino accordi aziendali di transizione.
Accordi sindacali possono promuovere la trasformazione dei rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, mediante la stipula di contratti di lavoro subordinato. In questo senso, l’art. 8 d.l. n. 138/2011 prevede espressamente la possibilità di stipulare accordi in ordine alle modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, comprese le collaborazioni coordinate e continuative a progetto, nonché la trasformazione e conversione dei contratti di lavoro. Tali accordi, che hanno efficacia nei confronti di tutti i lavoratori (c.d. efficacia erga omnes), devono essere sottoscritti a livello aziendale o territoriale da associazioni dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale ovvero dalle rappresentanze sindacali operanti in azienda.
A seguito dell’accordo i lavoratori interessati alla trasformazione sottoscrivono atti di conciliazione individuale conformi alla disciplina di cui agli articoli 410 e 411 del codice di procedura civile. I contratti di lavoro stipulati a tempo indeterminato godono dei benefici previsti dalla legislazione vigente.
Per i lavoratori che continuano ad essere titolari di rapporti di collaborazione coordinata a progetto, le parti sociali, ai sensi del comma 4 dell’art. 61 e dell’art. 63 del d.lgs. n. 276/2003, possono stabilire, anche attraverso accordi interconfederali, misure atte a contribuire al corretto utilizzo delle predette tipologie di lavoro nonché stabilire condizioni più favorevoli per i collaboratori.
PROVVEDIMENTI DI ATTUAZIONE
Non sono previsti provvedimenti amministrativi di attuazione della legge n. 92/2012 che ha riformulato la disciplina del lavoro a progetto.
LA TRANSIZIONE dopo la Riforma Fornero (art. 1, comma 25, legge n. 92/2012)
La nuova disciplina relativa al lavoro a progetto si applica alle collaborazioni coordinate e continuative stipulate dopo l’entrata in vigore della norma (18 luglio 2012). Pertanto, per i contratti precedentemente sottoscritti seguitano a trovare applicazione le norme ante Riforma (riconducibilità del rapporto ad un programma di lavoro o una fase di esso; disciplina contrattuale sul recesso; differenti parametri per la valutazione del corrispettivo; diversa disciplina sanzionatoria).
1.1. Modello contrattuale
CONTRATTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA A PROGETTO EX ARTT. 61 E SS. D.LGS. 10 SETTEMBRE 2003 N. 276
La …………………..., in persona del suo legale rappresentante, sig. , nato a
………….. (……) il …/…/…, con sede legale in ……………. (…), Via ,
C.F. e P.IVA: , di seguito denominata anche “COMMITTENTE”;
e
Il/La Sig. …………………… nato/a a ………………………… (…) il …/…/…, residente a …………………………… (………), via
……………………………………………. n. ……… C.F.
…………………………………......, di seguito denominato/a anche
“COLLABORATORE”
premesso che:
a. La Committente ha come oggetto sociale l’esercizio di (inserire l’oggetto sociale)
Le attività della Committente comprendono, in particolare:
...........;
...........;
...........;
(nei punti precedenti descrivere in maniera più dettagliata l’oggetto sociale, specificando le attività in cui si estrinseca)
b. Per la realizzazione della propria attività di ......................... (inserire descrizione articolata della specifica attività all’interno della quale sarà costruito il progetto), che costituisce solo una parte della più ampia attività che la Committente realizza per la propria clientela, la Committente intende avvalersi della prestazione continuativa fornita da un Collaboratore in regime di autonomia, nei limiti del solo rispetto delle necessità di coordinamento con le esigenze organizzative aziendali.
c. Il/La sig. ……………………………………., in virtù della comprovata esperienza nel settore/del percorso formativo fin qui seguito (se possibile allegare curriculum vitae), è in possesso dei requisiti necessari alla realizzazione di quanto costituisce oggetto del progetto che la Committente intende attuare.
convengono quanto segue:
Art. 1 – Premesse
Le premesse costituiscono parte integrante e sostanziale del presente accordo.
Art. 2 – Oggetto – Descrizione del progetto
La Committente conferisce incarico al Collaboratore di svolgere – con gestione pienamente autonoma, salve le esigenze di coordinamento con la Committente – le attività necessarie al perseguimento del seguente progetto (o “dei seguenti progetti”): “…………………………………….”. (inserire il progetto specificandone il suo contenuto caratterizzante)
L’attività del Collaboratore consisterà, quindi, nella
…………………………………………………., nonché nella
…………………………………………... (descrivere dettagliatamente ed in maniera articolata i CONTENUTI del progetto). Essa sarà inoltre finalizzata al conseguimento dei seguenti risultati (o “del seguente risultato finale”):
- …………………………………….;
- ……………………………………;
- ……………………………………..;
- ……………………………………;
(descrivere dettagliatamente ed in maniera articolata gli OBIETTIVI del progetto. In caso di più progetti contenuti nel medesimo contratto, descriverli in maniera differenziata per ognuno)
Il progetto così come delineato non consiste in una mera riproposizione dell’oggetto sociale e non comporta lo svolgimento di compiti meramente esecutivi o ripetitivi (nel caso in cui sia intervenuta la contrattazione collettiva in tema si può aggiungere: “anche per come individuati all’interno dei contratti collettivi stipulati dalle organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale”).
Art. 3 – Durata del contratto
Il presente contratto ha durata di mesi, e decorre dal al , data in cui si prevede avrà termine il progetto, in quanto
. Il presente contratto potrà comunque cessare, oltre che alla scadenza prefissata, anche precedentemente, ove il collaboratore sia pervenuto con anticipo alla realizzazione del progetto concordato.
Art. 4 – Forme di coordinamento alla Committente ed autonomia del Collaboratore
Il presente rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è disciplinato dagli articoli 61 e seguenti del D.lgs 10.09.2003, n. 276 e sarà pertanto svolto in piena autonomia dal Collaboratore, senza alcun assoggettamento al potere direttivo, gerarchico o disciplinare della Committente o di preposti di quest’ultima, fatte salve unicamente le esigenze di coordinamento con la Committente di seguito specificate. Sarà inoltre unicamente finalizzato alla realizzazione del progetto sopra indicato.
Si prevede fin d’ora che, ai fini del migliore coordinamento tra le parti, la Committente ed il Collaboratore si incontrino, con cadenza ……………………….. o con cadenze diverse di volta in volta concordate, per monitorare l’andamento del progetto, ciò anche al fine di evidenziare e risolvere concordemente in corso d’opera eventuali criticità che il medesimo dovesse presentare. Resta fatta salva, in ogni caso, la necessità che il Collaboratore, pur nella propria autonomia, operi in generale in coordinazione con la Committente, anche in ragione della necessità di un monitoraggio costante dei risultati raggiunti. A tal fine, il Collaboratore potrà predisporre, ove lo ritenga necessario ai fini della migliore organizzazione del lavoro, report periodici da scambiare direttamente, sempre nell’ottica del necessario coordinamento, con il/la sig. , responsabile, per la Committente, del suddetto coordinamento.
Ferma restando la possibilità di eseguire la propria prestazione nel luogo ritenuto più appropriato al fine del raggiungimento degli obiettivi concordati, resta poi inteso che il Collaboratore potrà determinare il contenuto, la durata, il numero ed il calendario delle proprie attività da svolgere nella sede della Committente, alla quale è autorizzato fin d’ora ad accedere, tenendo conto del necessario coordinamento con l’attività della Committente medesima, ed in particolare del normale arco orario di apertura dell’azienda e rispettando le necessità organizzative di coordinamento con le ordinarie attività aziendali con cui le attività progettuali ed i relativi risultati anche parziali interagiscono.
Per l’esecuzione dell’incarico il Collaboratore potrà avvalersi di mezzi e strumenti propri, così come anche dei mezzi e degli strumenti di proprietà della Committente (e di seguito elencati:
…………………………), nonché, nella misura in cui lo riterrà opportuno, dei locali e delle attrezzature aziendali della stessa, con le limitazioni e nell’ambito del coordinamento sopra specificato.
Art. 5 – Corrispettivo e rimborsi spese
Per l’esecuzione del progetto le parti pattuiscono in favore del Collaboratore un compenso
complessivo pari ad euro Tale importo è corrisposto a cadenza
(specificare il periodo e le modalità di pagamento, evitando, se possibile, corresponsioni mensili), e sarà dovuto per intero anche nel caso in cui il contratto cessi prima della scadenza prefissata, a causa della anticipata realizzazione da parte del Collaboratore del progetto concordato.
Il Collaboratore avrà inoltre diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del progetto, che siano debitamente documentate e comunque preventivamente concordate con la Committente secondo le modalità esecutive da definire di volta in volta.
Le parti dichiarano che il compenso erogato rispetta i parametri stabiliti dall’art. 63 d.lgs. n. 276/2003, come modificato dalla legge n. 92 del 2012. In particolare, le parti individuano il parametro di riferimento per la valutazione della congruità del corrispettivo, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, nel … livello del CCNL … (da completare)
[in alternativa, in mancanza di contrattazione specifica di settore: “In assenza di contrattazione collettiva specifica, il parametro di riferimento, a parità di estensione temporale dell’attività oggetto della prestazione, è costituito dalle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi nazionali di categoria applicati alle figure professionali il cui profilo di competenza e di esperienza sia analogo a quello del Collaboratore a progetto, che si individua nel … livello del CCNL …]
Art. 6 – Sicurezza sul lavoro
Il Collaboratore è tenuto al pieno rispetto di tutte le norme da qualunque fonte derivanti e attinenti alle attività oggetto del presente contratto.
Ai sensi dell’art. 3, comma 7, del Decreto Legislativo n. 81/2008, ed in particolare per l’attività che comporti la presenza del Collaboratore presso la sede della Committente, quest’ultima si impegna a consegnare al Collaboratore copia del documento di valutazione del rischio, e a svolgere nei suoi confronti le necessarie attività di informazione e formazione. Il Collaboratore, a sua volta, si impegna a osservare scrupolosamente tutte le norme in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro e quanto disposto nel documento di valutazione del rischio della Committente.
La Committente declina ogni e qualsiasi responsabilità, in caso di eventuali danni che dovessero occorrere al Collaboratore, nel caso in cui risulti che tali danni non si sarebbero prodotti senza l’inosservanza, da parte dello stesso, delle norme al cui rispetto è tenuto dal presente contratto.
Art. 7 – Obbligo di riservatezza
Salvo il diritto del Collaboratore a svolgere la sua attività per diversi committenti, il Collaboratore assume l’obbligo d’attenersi alla più rigorosa riservatezza circa i dati, le notizie e qualsiasi altra informazione di cui verrà a conoscenza, anche occasionalmente, nel corso del periodo di validità del presente accordo.
Art. 8 – Divieto di concorrenza
In corso di rapporto al Collaboratore è fatto divieto di svolgimento di attività lavorativa sia autonoma, in qualunque forma (lavoro autonomo - anche diverso dalla collaborazione coordinata e continuativa ex art. 61 e segg. d.lgs. 276/2003 -, impresa individuale o collettiva - anche in qualità di socio non amministratore di società di persone o di capitali -), in concorrenza con quella della Committente, sia subordinata alle dipendenze di impresa concorrente con quella della Committente.
[ove le parti intendano poi prevedere un ulteriore comma che contempli, per il collaboratore, un divieto di concorrenza esteso anche al momento successivo alla scadenza del contratto, si segnala come negli ultimi tempi diverse sentenze abbiano ritenuto applicabile, in luogo dell’art. 2596 c.c. (che prevede, ai fini della validità del patto, che le parti provvedano a specificarne la durata – che deve essere coerente con l’attività concretamente svolta dal collaboratore per il committente, e non potrà in ogni caso essere superiore ai 5 anni nelle ipotesi di
elevatissima professionalità della prestazione del collaboratore –), per analogia l’art. 2125 c.c. che disciplina il patto di non concorrenza per i lavoratori subordinati (prevedendo a pena di nullità, la forma scritta, la pattuizione di un corrispettivo – congruo – ed un contenimento del vincolo in termini di oggetto, tempo e luogo. In ogni caso, la durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi e, se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata].
Il collaboratore è invece libero di espletare attività non concorrenziale.
In caso di inottemperanza al divieto di concorrenza come sopra descritto il collaboratore è tenuto alla corresponsione di una penale (dalle parti espressamente pattuita come irriducibile) nella misura di ……………………….., salvo il maggior danno in concreto subito dalla Committente. (tale ultimo comma è naturalmente facoltativo)
Art. 9 – Malattia, infortunio (e maternità) (questo articolo ripropone, nei fatti, la disciplina di legge. Si può pertanto decidere se rendere edotto il collaboratore dei propri diritti oppure se omettere tale elemento dal documento contrattuale)
Gli eventi malattia ed infortunio del Collaboratore, risultanti da idonea certificazione medica, non comportano lo scioglimento né la proroga della durata del contratto. Il Collaboratore, inoltre, al solo fine della corresponsione dell’indennità di malattia da parte dell’Inps, invierà alla Committente il relativo certificato medico, secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 778, Legge n. 296/2006.
Per effetto di malattia ed infortunio il rapporto rimane sospeso (in assenza di corrispettivo) e la Committente ha diritto di recedere in caso di assenza prolungata in base a quanto disposto dall’articolo 66 d.lgs. n. 276/2003.
(solo per le collaboratrici: In caso di maternità della Collaboratrice, il contratto rimane sospeso senza erogazione del compenso per un periodo massimo di 180 giorni, compreso tra i due mesi precedenti la data presunta del parto e i cinque mesi successivi la data effettiva. La durata del rapporto è da intendersi automaticamente prorogata per un periodo corrispondente alla sospensione del contratto. In virtù del decreto ministeriale 12 luglio 2007 è poi vietato far eseguire alla Collaboratrice eseguire la propria prestazione nei seguenti casi:
o durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e, ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
o durante i 3 mesi successivi al parto;
o durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta.
Rimane in ogni caso ferma la facoltà della Collaboratrice di far slittare il periodo di sospensione di un mese in avanti, potendosi pertanto assentare sempre per complessivi 5 mesi, ma diversamente distribuiti.)
(solo per i collaboratori: Ai sensi dell’art. 28 del d.lgs n. 151/2001, il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.)
In virtù della L. 296/2006, comma 788, al Collaboratore è poi riconosciuto il Congedo Parentale, ossia il diritto di assentarsi, senza erogazione del compenso, per un periodo massimo di 3 mesi da poter usufruire entro il 1° anno di vita del figlio. Entrambe le prestazioni verranno corrisposte direttamente dall’Inps a fronte di apposita richiesta del Collaboratore.
Art. 10 – Inquadramento fiscale e previdenziale - Norme applicabili
Sulle somme indicate all’art. 5, la Committente applicherà quanto stabilito dalla normativa vigente in materia previdenziale, fiscale e assicurativa a carico del Collaboratore ai sensi e per gli effetti del T.U.I.R. e della legge 335/95 e successive modifiche e integrazioni.
Il Collaboratore provvederà a sua volta ad inoltrare alla competente sede Inps domanda di iscrizione alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335 e comunicherà tempestivamente alla Committente qualunque variazione di tale stato di fatto. A seguito di quanto dichiarato dal Collaboratore, la Committente si obbliga a versare il contributo
di cui alla legge n. 335/1995 e a rilasciare, nei termini previsti dalla legge, le relative certificazioni.
La Committente provvederà alla iscrizione del Collaboratore all’Inail, ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. Resta sin da ora inteso che il premio dovuto sarà a carico del Collaboratore per un terzo e per due terzi a carico della Committente, con la precisazione che, in caso di risoluzione anticipata del contratto, la Committente calcolerà il premio al momento dovuto, trattenendo la quota a carico del Collaboratore.
Art. 11 – Estinzione del contratto
Le parti concordano sulle seguenti clausole di estinzione del contratto:
a) Il presente contratto cessa alla scadenza prefissata, ovvero alla realizzazione del progetto.
b) Il presente contratto potrà altresì cessare senza preavviso:
(i) per recesso per giusta causa, così come previsto dall’art. 67 comma 2 del D.lgs. n. 276/2003;
(ii) per accordo espresso delle Parti;
(iii) per risoluzione dovuta all’impossibilità del Collaboratore di ottemperare agli impegni previsti.
In particolare, le parti concordano che integrino ipotesi di recesso per giusta causa da parte della Committente, senza alcun termine di preavviso, con elencazione a titolo esemplificativo e non esaustivo, le seguenti casistiche:
- comportamenti del Collaboratore gravemente lesivi dell’immagine della Committente;
- danneggiamento o perdita di prodotti/attrezzature della Committente;
- appropriazione indebita o utilizzo non autorizzato dei beni della Committente;
- imputazione del Collaboratore da parte dell’Autorità giudiziaria di reati la cui condanna risulti ostativa all’ottenimento e/o al mantenimento dei requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento delle attività connesse al presente incarico;
- elevazione di protesti di qualsiasi genere, esecuzioni, procedure esecutive e/o concorsuali a nome del Collaboratore, specialmente nel caso in cui quest’ultimo versi in stato di insolvenza, ovvero si renda responsabile di emissione di assegni a vuoto.
Il Collaboratore può liberamente recedere dal contratto prima della scadenza del termine, rispettando un preavviso minimo di giorni trenta (30) di calendario da comunicarsi per iscritto alla Committente. (tale comma, prevedendo una disciplina contrattuale di miglior favore per il collaboratore, è eventuale, posto che consente allo stesso di poter recedere anticipatamente rispetto alla scadenza prevista)
Parte Committente potrà recedere nel caso siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. A tali fini, le parti di seguito esemplificano alcune ipotesi di inidoneità:
…
…
…
I rapporti economici tra le parti saranno liquidati con riferimento alla data di efficacia del recesso, con esclusione di qualsivoglia indennizzo, risarcimento o ulteriore compenso, neppure ai sensi dell’art. 1671 del Codice civile. I rapporti economici tra le parti saranno liquidati con riferimento alla data di efficacia del recesso, con esclusione di qualsivoglia indennizzo, risarcimento o ulteriore compenso, neppure ai sensi dell’art. 1671 del Codice civile.
ART. 12 – Comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro
La instaurazione del presente rapporto di collaborazione verrà comunicata dalla Committente al Servizio competente in base all’articolo 9-bis del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni nella legge 28 novembre 1996, n. 608, come modificato dalla legge n. 296/2006.
Art. 13 – Clausole finali
Per tutto quanto non espressamente previsto nel presente contratto, si rinvia alle disposizioni di cui agli articoli 2222 e ss. c.c., e agli artt. 61 e ss. d.lgs. 276/2003.
Art. 14 - Certificazione obbligatoria del contratto ex art. 2, lett. c) DPR n. 177/2011 (articolo eventuale nel caso di svolgimento dell’opera all’interno di ambienti sospetti di inquinamento o confinati) Tenuto conto del fatto che il Collaboratore si troverà ad operare, concretamente e tenuto conto del documento di valutazione dei rischi, all’interno di ambienti sospetti di inquinamento o confinati, le parti si impegnano a sottoporre il contratto, preventivamente alla sua esecuzione, al vaglio di una delle sedi competenti alla certificazione secondo la procedura stabilita agli artt. 75 e ss. d.lgs. n. 276/2003, in ossequio al disposto dell’art. 2, lett. c) DPR n. 177/2011, e ad ottemperare alle eventuali richiesta istruttoria al fine di una chiusura della procedura compatibilmente con l’inizio dei lavori affidati.
Xxxxx, approvato e sottoscritto
, li
La Committente Il Collaboratore
Tutela della privacy Consenso al trattamento dei dati personali | |
Preso atto dell’informativa resami ai sensi dell’art. 13, D.lgs. n. 196/2003 e noti i diritti a me riconosciuti ex art. 7, stesso decreto: | |
acconsento | non acconsento |
al trattamento dei miei dati comuni, per le finalità e nei limiti indicati dalla menzionata informativa. NOME E COGNOME FIRMA ……….……………………………………. …………..………………….. | |
acconsento | non acconsento |
al trattamento dei miei dati sensibili, per le finalità e nei limiti indicati dalla menzionata informativa. (*) NOME E COGNOME FIRMA ……….………………………………… …………..………………….. |
(*) tale riquadro va adottato ove le operazioni ivi richiamate siano previste nell’informativa
2. Il contratto di “mini xx.xx.xx.”: schede di sintesi
RIFERIMENTI NORMATIVI
- d.lgs n. 276/2003, art. 61, comma 2
- Circolare Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali n. 1/2004
NOZIONE
(sono escluse dall’ambito di applicazione dei rapporti di lavoro a progetto)
LE PRESTAZIONI OCCASIONALI, integrate da ipotesi di rapporti lavorativi
di durata non superiore a 30 giorni nel corso dell’anno solare oppure, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore
con lo stesso committente
il cui compenso complessivo per lo svolgimento della prestazione sia inferiore a
5.000 euro Approfondimenti
La prestazione di lavoro occasionale non necessita di essere ricondotta nell’alveo di un progetto. Questo non significa che l’attività lavorativa, in quanto fonte di obbligazione ad adempiere da parte del collaboratore, non debba essere indicata, seppure sommariamente.
FINALITA'
Il legislatore ha ritenuto che per alcuni rapporti di natura coordinata e continuativa, vista la limitata portata (per importo e durata del rapporto) non fosse necessario il riferimento al
progetto, sottraendoli, così, all’ambito di applicazione della nuova normativa
AMBITO SOGGETTIVO DI APPLICAZIONE
Non sussistono soggetti ai quali è preclusa la possibilità di attivare i rapporti di lavoro in oggetto.
AMBITO OGGETTIVO DI APPLICAZIONE
(Art. 61, comma 2, d.lgs n. 276/2003)
I parametri oggettivi (quantitativi) sono due, uno di carattere temporale ed uno di carattere economico:
PARAMETRO TEMPORALE
- svolgimento della prestazione entro il limite temporale di giorni 30 (da riferire al singolo committente).
Date le incertezze interpretative sembra coerente con la ratio sottesa all’art. 61, co. 2, che l’arco dei 30 giorni sia da riferire ai giorni effettivi della prestazione lavorativa.
oppure
- svolgimento di prestazioni nell’ambito di servizi di cura e assistenza alla persona nella misura non superiore a 240 ore.
PARAMETRO ECONOMICO
- svolgimento della prestazione entro un limite di reddito di euro 5.000 per anno solare. Sembra coerente che il parametro dell’anno solare coincida con l’anno di calendario (ossia 1 gennaio - 31 dicembre).
FORMA
Libertà di forma.
Il contratto può essere concluso per iscritto, oralmente o anche tacitamente.
CONTROLLO GIUDIZIALE
Anche il rapporto di lavoro occasionale non è esente da controlli da parte di autorità giudiziaria ed organi ispettivi.
Infatti, anche laddove questo si svolga entro i suddetti limiti dovrà, comunque, estrinsecarsi con le modalità proprie del lavoro autonomo o, in altri termini, l’attività lavorativa dovrà pur sempre essere prestata senza vincolo di subordinazione.
In caso di superamento di uno dei limiti (svolgimento di attività lavorativa oltre i 30 giorni o le 240 ore per i servizi di cura ed assistenza) (superamento della soglia di euro
5.000 euro) nei confronti di un unico committente: il rapporto viene ricondotto alla disciplina generale e sarà considerato a progetto.
Anche per tale tipo di rapporto si deve ritenere applicabile, per effetto dell’art. 32 legge n. 183/2010, la disciplina in tema di impugnazioni prevista dall’art. 6, commi 1 e 2, legge n. 604/1966 (v. scheda sul lavoro a progetto).
APPROFONDIMENTI
In mancanza di chiarimenti ministeriali e pronunce giurisprudenziali sembra da escludere la possibilità di una doppia conversione, ossia da rapporto ai sensi dell’articolo 61, comma 2, in quello di lavoro a progetto e da questi, mancando il progetto medesimo (non essendo obbligati né alla forma scritta né ad indicarlo nel contratto medesimo), in rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato.
Sarebbe eccessivo ricondurre a rapporto subordinato a tempo indeterminato un rapporto solamente perché si sono superati i tetti di legge prefissati in mancanza di un progetto che, sulla base del tipo contrattuale scelto, non si era obbligati a redigere.
Sembra sostenibile, pertanto, la tesi che prevede l’applicazione delle disposizioni del Capo VII con riferimento alle regole relative al lavoro a progetto (ad esempio, le norme sul corrispettivo e sull’obbligo di riservatezza).
DOVERI DEL COMMITTENTE
- Entro il giorno antecedente l’inizio del rapporto deve effettuare la relativa comunicazione al servizio per l’impiego competente.
- Deve provvedere alla tutela della salute e sicurezza del collaboratore sul luogo di lavoro.
ESTINZIONE DEL RAPPORTO E RECESSO ANTICIPATO
E’ una ipotesi marginale dato che il rapporto si svolge per un tempo comunque limitato.
Tuttavia è da ritenersi possibile per:
giusta causa
altre causali stabilite nel contratto
CRITERI DI COMPUTO
Tale tipologia di contratto integra un’ipotesi di lavoro autonomo, quindi i collaboratori non si computano nell’organico del committente.
LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE
(Art. 64, d.lgs. n. 151/2001; art. 51, co. 1, L. n. 488/1999; Decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 12 gennaio 2001; art. 4, co. 1, lett. c), n. 4, L. n. 30/2003)
Si applica la disciplina previdenziale e la tutela assicurativa in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali dettata in materia di collaborazioni coordinate e continuative.
In particolare:
- il collaboratore deve essere iscritto (o deve iscriversi) alla Gestione Separata Inps. Il carico contributivo è ripartito nella misura di 1/3 a carico del collaboratore e 2/3 a carico della committente. L’aliquota contributiva è per l’anno 2013 pari al 28,72% (incluso il contributo di maternità) ed aumenterà di un punto percentuale per anno sino al 2018;
- ove ne ricorrano i presupposti, parte committente dovrà versare i relativi contributi Inail (a suo esclusivo carico).
2.1. Modello contrattuale
CONTRATTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
ex art. 409, n. 3, c.p.c. ed ex articolo 61, comma 2, decreto legislativo n. 276/2003
La …………………..., in persona del suo legale rappresentante, sig. , nato a
………….. (……) il …/…/…, con sede legale in ……………. (…), Via ,
C.F. e P.IVA: , di seguito denominata anche “COMMITTENTE”;
e
Il/La Sig. …………………… nato/a a ………………………… (…) il …/…/…, residente a …………………………… (………), via
……………………………………………. n. ……… C.F.
…………………………………......, di seguito denominato/a anche
“COLLABORATORE”
premesso che
a. La Committente ha come oggetto sociale l’esercizio di (inserire l’oggetto sociale)
Le attività della Committente comprendono, in particolare: i. ;
ii. ;
iii. ............
(nei punti precedenti descrivere in maniera più dettagliata l’oggetto sociale, specificando le attività in cui si estrinseca)
b. Nel periodo dal al la Committente intende organizzare le seguenti attività:
.
c. Per l’espletamento delle incombenze relative alle sopra menzionate attività, la Committente ha constatato la necessità di avvalersi di prestazioni lavorative in regime di collaborazione coordinata e continuativa, finalizzata in particolare al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
;
;
.
d. il Collaboratore ha manifestato la volontà di collaborare con la Committente, in forma coordinata e continuativa, senza vincoli di dipendenza con la Committente e per il limitato periodo di tempo di cui al successivo art. 4 e per il compenso di cui al successivo art. 5.
e. il Collaboratore dichiara di non essere iscritto ad alcun albo professionale. Dichiara inoltre che le attività oggetto del presente contratto non rientrano nella propria arte o professione, intendendosi per tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo in base all’articolo 53 d.p.r. 22 dicembre 1986
n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi).
f. Per espressa disposizione dell’art. 61, comma 2, D.lgs n. 276/2003, sono escluse dal campo di applicazione del Capo I del medesimo decreto (recante la disciplina in materia di lavoro a progetto e lavoro occasionale) “le prestazioni occasionali, intendendosi per
tali i rapporti di durata complessiva non superiore a trenta giorni nel corso dell’anno solare ovvero, nell’ambito dei servizi di cura e assistenza alla persona, non superiore a 240 ore, con lo stesso committente, salvo che il compenso complessivamente percepito nel medesimo anno solare sia superiore a 5 mila euro”.
g. Il presente rapporto è il primo tra le parti nell’anno solare [in alternativa: Il presente rapporto, anche cumulato con gli altri precedenti tra le parti, non supera i limiti temporali ed economici previsti dal summenzionato comma 2 dell’art. 61 D.lgs. n. 276/2003].
convengono quanto segue:
ART. 1 - Premessa
Le premesse costituiscono parte integrante ed essenziale del presente accordo, e formano con esso pattuizione espressa.
ART. 2 – Oggetto e descrizione dell’attività del Collaboratore
Nell’ambito delle attività indicate in premessa nel periodo sopra indicato, la Committente attribuisce al Collaboratore, che accetta, l’incarico di gestire ed organizzare l’attività specificata in premessa. In particolare, al Collaboratore sono conferiti i seguenti specifici incarichi:
- ;
- ;
- ;
- .
(La prestazione di lavoro occasionale non necessita di essere ricondotta nell’alveo di un progetto. Pur tuttavia, ciò non significa che l’attività lavorativa, in quanto fonte di obbligazione ad adempiere da parte del collaboratore, non debba essere indicata, seppure sommariamente)
Le parti inoltre si danno reciprocamente atto della circostanza che il contratto in esame, pur concretizzando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, n. 3, c.p.c., non è soggetto alla disciplina relativa alle collaborazioni a progetto, dettata dal capo I, titolo VII, del d.lgs. n. 276/2003, in virtù di quanto disposto dal secondo comma dell’articolo 61 del medesimo decreto legislativo, già richiamato in premessa.
ART. 3 – Forme di coordinamento
Il presente rapporto si concreta in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, a carattere non subordinato e sarà pertanto svolto in piena autonomia dal Collaboratore, salve le esigenze di coordinamento con la Committente di seguito specificate.
a) salvo l’obbligazione di portare a termine gli incarichi oggetto del presente accordo, il Collaboratore non è soggetto a vincoli di orario imposti dalla Committente.
b) il Collaboratore, in particolare, è libero di effettuare la propria prestazione determinando liberamente pause, riposi ed in generale i tempi ed i luoghi di lavoro, salvo la necessità di coordinamento delle prestazioni dedotte nel presente contratto con l’ordinaria attività della Committente e con il normale orario di apertura aziendale della Committente medesima, nella cui sede di il Collaboratore è autorizzato fin d’ora ad accedere liberamente.
c) per l’espletamento degli incarichi di cui al presente contratto il Collaboratore potrà utilizzare mezzi e strumenti propri o, in alternativa, i mezzi e gli strumenti che la Committente metterà a disposizione, coordinandosi con essa al fine di determinare le modalità di utilizzo, ivi comprese le relative fasce orarie di disponibilità dei mezzi e degli strumenti stessi.
Al di fuori del coordinamento così delineato, la Committente non avrà alcun potere di ingerenza circa le modalità di esecuzione della prestazione.
Il Collaboratore potrà delegare ad altri lo svolgimento delle attività oggetto del presente contratto, in tutto o in parte, solo previo accordo con la Committente; in tal caso egli resterà comunque responsabile del loro operato di fronte alla Committente.
ART. 4 – Durata
Il presente rapporto decorre dal al (indicare un periodo compreso tra il 1° gennaio ed il 31 dicembre del medesimo anno, o comunque un periodo complessivamente non superiore a 365 giorni) per complessivi giorni lavorativi effettivi (indicare un numero di giorni non superiore a 30).
(In alternativa, per i servizi di cura ed assistenza alla persona:)
Il presente rapporto decorre dal al per un numero complessivo di ore pari a . (indicare un numero di ore non superiore a 240)
Alla scadenza il contratto dovrà intendersi risolto di diritto, senza necessità di disdetta alcuna ovvero obbligo di preavviso e senza possibilità di proroga tacita.
ART. 5 – Compenso per il Collaboratore
Per lo svolgimento dell’incarico di cui al presente contratto, la Committente corrisponderà al Collaboratore un compenso forfetariamente determinato in euro , che sarà versato secondo le seguenti modalità: quanto ad euro in data , e quanto al residuo a scadenza (la somma indicata non deve superare, complessivamente, i 5.000 euro, anche tenuto conto dei pregressi rapporti tra le parti nel medesimo anno solare).
Il compenso sarà dovuto per intero anche nel caso in cui il contratto cessi prima della scadenza prefissata, a causa dell’anticipato espletamento degli incarichi sopra individuati, da parte del Collaboratore.
Il Collaboratore dovrà sostenere autonomamente ogni spesa necessaria al corretto svolgimento del rapporto che non sia stata posta, dal presente contratto ovvero in accordi successivi fra le parti anche verbali, a carico dalla Committente.
Art. 6 – Sicurezza sul lavoro
Il Collaboratore è tenuto al pieno rispetto di tutte le norme da qualunque fonte derivanti e attinenti alle attività oggetto del presente contratto.
Ai sensi dell’art. 3, comma 7, del Decreto Legislativo n. 81/2008, ed in particolare per l’attività che comporti la presenza del Collaboratore presso la sede della Committente, quest’ultima si impegna a consegnare al Collaboratore copia del documento di valutazione del rischio, e a svolgere nei suoi confronti le necessarie attività di informazione e formazione. Il Collaboratore, a sua volta, si impegna a osservare scrupolosamente tutte le norme in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro e quanto disposto nel documento di valutazione del rischio della Committente.
La Committente declina ogni e qualsiasi responsabilità, in caso di eventuali danni che dovessero occorrere al Collaboratore, nel caso in cui risulti che tali danni non si sarebbero prodotti senza l’inosservanza, da parte dello stesso, delle norme al cui rispetto è tenuto dal presente contratto.
ART. 7 – Risoluzione anticipata
Prima della scadenza del termine, le parti hanno diritto di risolvere senza preavviso il presente rapporto mediante comunicazione scritta inoltrata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento unicamente per giusta causa; ovvero mediante preavviso di giorni
sempre a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.
ART. 8 – Inquadramento fiscale e previdenziale - Norme applicabili
Sulle somme indicate all’art. 5, la Committente applicherà quanto stabilito dalla normativa vigente in materia previdenziale, fiscale e assicurativa a carico del Collaboratore ai sensi e per gli effetti del T.U.I.R. e della legge 335/95 e successive modifiche e integrazioni.
Il Collaboratore provvederà a inoltrare alla competente sede Inps domanda di iscrizione alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335 e comunicherà tempestivamente alla Committente qualunque variazione di tale stato di fatto. A seguito di quanto dichiarato dal Collaboratore, la Committente si obbliga a versare il contributo di cui alla Legge n. 335/1995 e a rilasciare, nei termini previsti dalla legge, le relative certificazioni.
La Committente provvederà alla iscrizione del Collaboratore all’Inail, ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. Resta sin da ora inteso che il premio dovuto sarà a carico del Collaboratore per un terzo e per due terzi a carico della Committente, con la precisazione che, in caso di risoluzione anticipata del contratto, la Committente calcolerà il premio al momento dovuto, trattenendo la quota a carico del Collaboratore.
ART. 9 – Comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro
La instaurazione del presente rapporto di collaborazione verrà comunicata dalla Committente al Servizio competente in base all’articolo 9-bis del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni nella legge 28 novembre 1996, n. 608, come modificato dalla legge n. 296/2006.
Xxxxx, approvato e sottoscritto
, li
La Committente Il Collaboratore
Tutela della privacy Consenso al trattamento dei dati personali | |
Preso atto dell’informativa resami ai sensi dell’art. 13, D.lgs. n. 196/2003 e noti i diritti a me riconosciuti ex art. 7, stesso decreto: | |
acconsento | non acconsento |
al trattamento dei miei dati comuni, per le finalità e nei limiti indicati dalla menzionata informativa. NOME E COGNOME FIRMA ……….……………………………………. …………..………………….. | |
acconsento | non acconsento |
al trattamento dei miei dati sensibili, per le finalità e nei limiti indicati dalla menzionata informativa. (*) NOME E COGNOME FIRMA ……….………………………………… …………..………………….. |
(*) tale riquadro va adottato ove le operazioni ivi richiamate siano previste nell’informativa
3. Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa relativo alla vendita di beni e di servizi: schede di sintesi
RIFERIMENTI NORMATIVI
- art. 61, comma 1, d.lgs n. 276/2003, come modificato dall’art. 7, comma 24 bis del d.l. 83/2012 (c.d. Decreto Sviluppo), convertito con modificazioni dalla legge n. 134/2012
NOZIONE
Il nuovo testo del comma 1, art. 61, d.lgs. n. 276/2003, prevede che “resta ferma”, tra l’altro ed oltre alla disciplina degli agenti e rappresentanti, quella “delle attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center outbound per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento”.
FINALITA'
Il legislatore, in occasione della approvazione con modifiche del c.d. Decreto Sviluppo 2012, ha ritenuto di “salvaguardare” un settore (o meglio una parte di esso), che ricorre frequentemente all’utilizzo del contratto a progetto, cercando di evitare ipotesi di esternalizzazioni all’estero di tali servizi. Infatti, il comma che si occupa della disciplina del contratto a progetto nei call
center è l’ultimo dell’articolo 24 bis, denominato “Misure a sostegno della tutela dei dati personali, della sicurezza nazionale, della concorrenza e dell'occupazione nelle attività svolte da call center”, nel quale si prevedono oneri di comunicazioni e sanzioni economiche per i call center che vengono spostati al di fuori del territorio nazionale.
AMBITO SOGGETTIVO DI APPLICAZIONE
Non sussistono soggetti ai quali è preclusa la possibilità di attivare i rapporti di lavoro in oggetto.
AMBITO OGGETTIVO DI APPLICAZIONE
(art. 61, comma 1, d.lgs n. 276/2003)
La norma fa salvi solamente i contratti sottoscritti aventi ad oggetto le attività di vendita diretta di beni e di servizi realizzate attraverso call center outbound.
Qualche dubbio sorge, inoltre, in conseguenza del fatto che il comma 1 afferma che “Le misure del presente articolo si applicano alle attività svolte da call center con almeno venti dipendenti”, anche se tale comma fa riferimento ai dipendenti e, verosimilmente, intende riferirsi solamente alla disciplina relativa agli oneri di comunicazione ed alla disciplina del blocco degli incentivi percepiti per le attività spostate al di fuori del territorio nazionale.
FORMA
L’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 afferma che “resta ferma” la disciplina già in essere. In realtà, in tema, l’unica disciplina precedente era quella appena sostituita, ossia quella relativa al “vecchio” contratto a progetto. Pertanto, nel dubbio, si ritiene necessaria comunque la forma scritta del contratto, ai fini della prova.
CONTROLLO GIUDIZIALE
La formulazione dell’eccezione non appare di agevole comprensione. Da un punto di vista
concreto, sembra di potersi affermare, in prima interpretazione, che l’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 legittimi, in astratto ed ex lege, l’utilizzo di tale contratto nel caso di vendita diretta di beni e di servizi. In tali casi, dunque, è presumibile che venga limitato il controllo sulla formale al rispetto del corrispettivo definitivo dalla contrattazione collettiva di riferimento.
In ogni caso, si deve rilevare come il rapporto potrà comunque essere ricondotto nell’ambito di quello subordinato laddove in concreto siano emersi gli elementi propri di tale rapporto (potere direttivo, di controllo, disciplinare da parte del committente/datore).
Anche per tale tipologia contrattuale è applicabile, per effetto dell’art. 32, legge n. 183/2010, la disciplina in tema di impugnazioni prevista dall’art. 6, commi 1 e 2, legge n. 604/1966 (v. scheda sul lavoro a progetto).
Disciplina applicabile
Posta la non chiara formulazione legislativa, appare consigliabile applicare comunque tutta la nuova disciplina in tema di diritti del collaboratore (per malattia, infortunio, maternità, invenzioni) nonché quella relativa alla durata del rapporto ed il recesso.
L’unica eccezione sembrerebbe concernere la disciplina sul corrispettivo posto che l’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003 fa riferimento a quanto stabilito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento (presumibilmente relativa ai collaboratori a progetto).
Per quanto concerne, invece, la gestione amministrativa del rapporto, questo è soggetto agli ordinari adempimenti di un contratto a progetto.
LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE
(Art. 64, d.lgs. n. 151/2001; art. 51, co. 1, L. n. 488/1999; Decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 12 gennaio 2001; art. 4, co. 1, lett. c), n. 4, L. n. 30/2003)
Si applica la disciplina previdenziale e la tutela assicurativa in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali dettata in materia di collaborazioni coordinate e continuative.
In particolare:
- il collaboratore deve essere iscritto (o deve iscriversi) alla Gestione Separata Inps. Il carico contributivo è ripartito nella misura di 1/3 a carico del collaboratore e 2/3 a carico della committente. L’aliquota contributiva è per l’anno 2013 pari al 28,72% (incluso il contributo di maternità) ed aumenterà di un punto percentuale per anno sino al 2018;
- ove ne ricorrano i presupposti, parte committente dovrà versare i relativi contributi Inail (a suo esclusivo carico).
3.1. Modello contrattuale
CONTRATTO DI
COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA RICOLLEGATA ALL’ATTIVITÀ DIRETTA DI VENDITA DI BENI E DI SERVIZI EX ART. 61, COMMA 1, D.LGS. 10 SETTEMBRE 2003 N. 276
La …………………..., in persona del suo legale rappresentante, sig. , nato a
………….. (……) il …/…/…, con sede legale in ……………. (…), Via ,
C.F. e P.IVA: , di seguito denominata anche “COMMITTENTE”;
e
Il/La Sig. …………………… nato/a a ………………………… (…) il …/…/…, residente a …………………………… (………), via
……………………………………………. n. ……… C.F.
…………………………………......, di seguito denominato/a anche
“COLLABORATORE”
premesso che:
d. La Committente ha come oggetto sociale l’esercizio di (inserire l’oggetto sociale)
Le attività della Committente comprendono, in particolare:
...........;
...........;
...........;
(nei punti precedenti descrivere in maniera più dettagliata l’oggetto sociale, specificando le attività in cui si estrinseca)
e. Per la realizzazione della propria attività di ......................... (inserire descrizione articolata della specifica attività all’interno della quale sarà costruito il progetto), che costituisce solo una parte della più ampia attività che la Committente realizza per la propria clientela, la Committente intende avvalersi della prestazione continuativa fornita da un Collaboratore in regime di autonomia, nei limiti del solo rispetto delle necessità di coordinamento con le esigenze organizzative aziendali.
f. Il/La sig. ……………………………………., in virtù della comprovata esperienza nel settore/del percorso formativo fin qui seguito (se possibile allegare curriculum vitae), è in possesso dei requisiti necessari alla realizzazione di quanto costituisce oggetto del progetto che la Committente intende attuare.
g. Il progetto concerne attività di vendita diretta di (completare con beni e/o servizi)
realizzate attraverso call center outbound per le quali il ricorso ai contratti di collaborazione a progetto è consentito sulla base del corrispettivo definito dalla contrattazione collettiva nazionale di riferimento, secondo la definizione fornita dall’art. 61, comma 1, d.lgs. n. 276/2003;
convengono quanto segue:
Art. 1 – Premesse
Le premesse costituiscono parte integrante e sostanziale del presente accordo.
Art. 2 – Oggetto – Descrizione dell’attività del collaboratore
La Committente conferisce incarico al Collaboratore di svolgere – con gestione pienamente autonoma, salve le esigenze di coordinamento con la Committente – le attività necessarie al
perseguimento del seguente progetto volto alla vendita diretta di ………….. (completare con “beni” o “servizi”): …………………………………..
L’attività del Collaboratore consisterà, quindi, nella
…………………………………………………., nonché nella
…………………………………………... (descrivere dettagliatamente ed in maniera articolata i CONTENUTI dell’attività che deve porre in essere il collaboratore) Essa sarà inoltre finalizzata al conseguimento dei seguenti risultati (o “del seguente risultato finale”):
- …………………………………….;
- ……………………………………;
- ……………………………………..;
- ……………………………………
(descrivere dettagliatamente ed in maniera articolata gli OBIETTIVI)
Art. 3 – Durata del contratto
Il presente contratto ha durata di mesi, e decorre dal al , data in cui si prevede avrà termine il progetto delineato dalla Committente, in quanto Il
presente contratto potrà comunque cessare, oltre che alla scadenza prefissata, anche precedentemente, ove il collaboratore sia pervenuto con anticipo alla realizzazione del progetto concordato.
Art. 4 – Forme di coordinamento alla Committente ed autonomia del Collaboratore
Il presente rapporto di collaborazione coordinata e continuativa è disciplinato dagli articoli 61 e seguenti del D.lgs 10.09.2003, n. 276 e sarà pertanto svolto in piena autonomia dal Collaboratore, senza alcun assoggettamento al potere direttivo, gerarchico o disciplinare della Committente o di preposti di quest’ultima, fatte salve unicamente le esigenze di coordinamento con la Committente di seguito specificate. Sarà inoltre unicamente finalizzato alla realizzazione del progetto sopra indicato.
Si prevede fin d’ora che, ai fini del migliore coordinamento tra le parti, la Committente ed il Collaboratore si incontrino, con cadenza ……………………….. o con cadenze diverse di volta in volta concordate, per monitorare l’andamento del progetto, ciò anche al fine di evidenziare e risolvere concordemente in corso d’opera eventuali criticità che il medesimo dovesse presentare. Resta fatta salva, in ogni caso, la necessità che il Collaboratore, pur nella propria autonomia, operi in generale in coordinazione con la Committente, anche in ragione della necessità di un monitoraggio costante dei risultati raggiunti. A tal fine, il Collaboratore potrà predisporre, ove lo ritenga necessario ai fini della migliore organizzazione del lavoro, report periodici da scambiare direttamente, sempre nell’ottica del necessario coordinamento, con il/la sig. , responsabile, per la Committente, del suddetto coordinamento.
Tenuto conto che per la realizzazione del progetto si rende necessario l’utilizzo del sistema software installato su hardware presenti all’interno della sede aziendale della Committente, da un lato e, dall’altro, della riservatezza dei dati trattati, il Collaboratore svolgerà l’attività oggetto del presente contratto presso la sede della Committente di ………..…, Via ovvero
presso eventuali altre sedi distaccate che verranno comunicate con separata corrispondenza, avvalendosi di una delle postazioni attrezzate, con possibilità per il Collaboratore di accedervi dal … al … dalle ore … alle ore … ed il … dalle ore … alle ore …. Nell’ambito della fascia oraria concordata (all’inizio del rapporto – e per come eventualmente successivamente modificata –), il Collaboratore avrà la c.d. postazione di lavoro a sua esclusiva disposizione, ma presterà la propria opera unicamente per il tempo, eventualmente anche più breve, che riterrà più opportuno per la realizzazione dei propri obiettivi, potendo auto-determinare i propri ritmi di lavoro.
Art. 5 – Corrispettivo e rimborsi spese
Per l’esecuzione del progetto le parti pattuiscono in favore del Collaboratore un compenso
complessivo pari ad euro Tale importo è corrisposto a cadenza
. (specificare il periodo e le modalità di pagamento, evitando, se possibile, corresponsioni mensili), e sarà dovuto per intero anche nel caso in cui il contratto cessi prima della scadenza prefissata, a causa della anticipata realizzazione da parte del Collaboratore del progetto concordato.
Il Collaboratore avrà inoltre diritto al rimborso delle spese sostenute per l’esecuzione del progetto, che siano debitamente documentate e comunque preventivamente concordate con la Committente secondo le modalità esecutive da definire di volta in volta.
Le parti dichiarano che il compenso erogato rispetta il parametro normativo per come definito dal (indicare la contrattazione collettiva nazionale di riferimento), da qui intendersi
espressamente richiamato.
Art. 6 – Sicurezza sul lavoro
Il Collaboratore è tenuto al pieno rispetto di tutte le norme da qualunque fonte derivanti e attinenti alle attività oggetto del presente contratto.
Ai sensi dell’art. 3, comma 7, del Decreto Legislativo n. 81/2008, ed in particolare per l’attività che comporti la presenza del Collaboratore presso la sede della Committente, quest’ultima si impegna a consegnare al Collaboratore copia del documento di valutazione del rischio, e a svolgere nei suoi confronti le necessarie attività di informazione e formazione. Il Collaboratore, a sua volta, si impegna a osservare scrupolosamente tutte le norme in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro e quanto disposto nel documento di valutazione del rischio della Committente.
La Committente declina ogni e qualsiasi responsabilità, in caso di eventuali danni che dovessero occorrere al Collaboratore, nel caso in cui risulti che tali danni non si sarebbero prodotti senza l’inosservanza, da parte dello stesso, delle norme al cui rispetto è tenuto dal presente contratto.
Art. 7 – Obbligo di riservatezza
Salvo il diritto del Collaboratore a svolgere la sua attività per diversi committenti, il Collaboratore assume l’obbligo d’attenersi alla più rigorosa riservatezza circa i dati, le notizie e qualsiasi altra informazione di cui verrà a conoscenza, anche occasionalmente, nel corso del periodo di validità del presente accordo.
Art. 8 – Divieto di concorrenza
In corso di rapporto al Collaboratore è fatto divieto di svolgimento di attività lavorativa sia autonoma, in qualunque forma (lavoro autonomo - anche diverso dalla collaborazione coordinata e continuativa ex art. 61 e segg. d.lgs. 276/2003 -, impresa individuale o collettiva - anche in qualità di socio non amministratore di società di persone o di capitali -), in concorrenza con quella della Committente, sia subordinata alle dipendenze di impresa concorrente con quella della Committente.
[ove le parti intendano poi prevedere un ulteriore comma che contempli, per il collaboratore, un divieto di concorrenza esteso anche al momento successivo alla scadenza del contratto, si segnala come negli ultimi tempi diverse sentenze abbiano ritenuto applicabile, in luogo dell’art. 2596 c.c. (che prevede, ai fini della validità del patto, che le parti provvedano a specificarne la durata – che deve essere coerente con l’attività concretamente svolta dal collaboratore per il committente, e non potrà in ogni caso essere superiore ai 5 anni nelle ipotesi di elevatissima professionalità della prestazione del collaboratore –), per analogia l’art. 2125 c.c. che disciplina il patto di non concorrenza per i lavoratori subordinati (prevedendo a pena di nullità, la forma scritta, la pattuizione di un corrispettivo – congruo – ed un contenimento del vincolo in termini di oggetto, tempo e luogo. In ogni caso, la durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi e, se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata].
Il collaboratore è invece libero di espletare attività non concorrenziale.
In caso di inottemperanza al divieto di concorrenza come sopra descritto il collaboratore è tenuto alla corresponsione di una penale (dalle parti espressamente pattuita come irriducibile)
nella misura di ……………………….., salvo il maggior danno in concreto subito dalla Committente. (tale ultimo comma è naturalmente facoltativo)
Art. 9 – Malattia, infortunio (e maternità) (questo articolo ripropone, nei fatti, la disciplina di legge. Si può pertanto decidere se rendere edotto il collaboratore dei propri diritti oppure se omettere tale elemento dal documento contrattuale)
Gli eventi malattia ed infortunio del Collaboratore, risultanti da idonea certificazione medica, non comportano lo scioglimento né la proroga della durata del contratto. Il Collaboratore, inoltre, al solo fine della corresponsione dell’indennità di malattia da parte dell’Inps, invierà alla Committente il relativo certificato medico, secondo quanto disposto dall’art. 1, comma 778, Legge n. 296/2006.
Per effetto di malattia ed infortunio il rapporto rimane sospeso (in assenza di corrispettivo) e la Committente ha diritto di recedere in caso di assenza prolungata in base a quanto disposto dall’articolo 66 d.lgs. n. 276/2003.
(solo per le collaboratrici: In caso di maternità della Collaboratrice, il contratto rimane sospeso senza erogazione del compenso per un periodo massimo di 180 giorni, compreso tra i due mesi precedenti la data presunta del parto e i cinque mesi successivi la data effettiva. La durata del rapporto è da intendersi automaticamente prorogata per un periodo corrispondente alla sospensione del contratto. In virtù del decreto ministeriale 12 luglio 2007 è poi vietato far eseguire alla Collaboratrice eseguire la propria prestazione nei seguenti casi:
o durante i 2 mesi precedenti la data presunta del parto e, ove il parto avvenga oltre tale data, per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
o durante i 3 mesi successivi al parto;
o durante gli ulteriori giorni non goduti prima del parto, qualora il parto avvenga in data anticipata rispetto a quella presunta.
Rimane in ogni caso ferma la facoltà della Collaboratrice di far slittare il periodo di sospensione di un mese in avanti, potendosi pertanto assentare sempre per complessivi 5 mesi, ma diversamente distribuiti.
(solo per i collaboratori: Ai sensi dell’art. 28 del d.lgs n. 151/2001, il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di mote o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo del bambino al padre.)
In virtù della L. 296/2006, comma 788, al Collaboratore è poi riconosciuto il Congedo Parentale, ossia il diritto di assentarsi, senza erogazione del compenso, per un periodo massimo di 3 mesi da poter usufruire entro il 1° anno di vita del figlio. Entrambe le prestazioni verranno corrisposte direttamente dall’Inps a fronte di apposita richiesta del Collaboratore.
Art. 10 – Inquadramento fiscale e previdenziale - Norme applicabili
Sulle somme indicate all’art. 5, la Committente applicherà quanto stabilito dalla normativa vigente in materia previdenziale, fiscale e assicurativa a carico del Collaboratore ai sensi e per gli effetti del T.U.I.R. e della legge 335/95 e successive modifiche e integrazioni.
Il Collaboratore provvederà a sua volta ad inoltrare alla competente sede Inps domanda di iscrizione alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335 e comunicherà tempestivamente alla Committente qualunque variazione di tale stato di fatto. A seguito di quanto dichiarato dal Collaboratore, la Committente si obbliga a versare il contributo di cui alla legge n. 335/1995 e a rilasciare, nei termini previsti dalla legge, le relative certificazioni.
La Committente provvederà alla iscrizione del Collaboratore all’Inail, ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. Resta sin da ora inteso che il premio dovuto sarà a carico del Collaboratore per un terzo e per due terzi a carico della Committente, con la precisazione che, in caso di risoluzione anticipata del contratto, la Committente calcolerà il premio al momento dovuto, trattenendo la quota a carico del Collaboratore.
Art. 11 – Estinzione del contratto
Le parti concordano sulle seguenti clausole di estinzione del contratto:
3.2. Il presente contratto cessa alla scadenza prefissata, ovvero alla realizzazione del progetto.
3.3. Il presente contratto potrà altresì cessare senza preavviso:
(iv) per recesso per giusta causa, così come previsto dall’art. 67 comma 2 del D.lgs. n. 276/2003;
(v) per accordo espresso delle Parti;
(vi) per risoluzione dovuta all’impossibilità del Collaboratore di ottemperare agli impegni previsti.
In particolare, le parti concordano che integrino ipotesi di recesso per giusta causa da parte della Committente, senza alcun termine di preavviso, con elencazione a titolo esemplificativo e non esaustivo, le seguenti casistiche:
- comportamenti del Collaboratore gravemente lesivi dell’immagine della Committente;
- danneggiamento o perdita di prodotti/attrezzature della Committente;
- appropriazione indebita o utilizzo non autorizzato dei beni della Committente;
- imputazione del Collaboratore da parte dell’Autorità giudiziaria di reati la cui condanna risulti ostativa all’ottenimento e/o al mantenimento dei requisiti previsti dalla legge per lo svolgimento delle attività connesse al presente incarico;
- elevazione di protesti di qualsiasi genere, esecuzioni, procedure esecutive e/o concorsuali a nome del Collaboratore, specialmente nel caso in cui quest’ultimo versi in stato di insolvenza, ovvero si renda responsabile di emissione di assegni a vuoto.
Il Collaboratore può liberamente recedere dal contratto prima della scadenza del termine, rispettando un preavviso minimo di giorni trenta (30) di calendario da comunicarsi per iscritto alla Committente. (tale comma, prevedendo una disciplina contrattuale di miglior favore per il collaboratore, è eventuale, posto che consente allo stesso di poter recedere anticipatamente rispetto alla scadenza prevista)
Parte Committente potrà recedere nel caso siano emersi oggettivi profili di inidoneità professionale del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto. A tali fini, le parti di seguito esemplificano alcune ipotesi di inidoneità:
…
…
…
I rapporti economici tra le parti saranno liquidati con riferimento alla data di efficacia del recesso, con esclusione di qualsivoglia indennizzo, risarcimento o ulteriore compenso, neppure ai sensi dell’art. 1671 del Codice civile. I rapporti economici tra le parti saranno liquidati con riferimento alla data di efficacia del recesso, con esclusione di qualsivoglia indennizzo, risarcimento o ulteriore compenso, neppure ai sensi dell’art. 1671 del Codice civile.
ART. 12 – Comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro
La instaurazione del presente rapporto di collaborazione verrà comunicata dalla Committente al Servizio competente in base all’articolo 9-bis del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni nella legge 28 novembre 1996, n. 608, come modificato dalla legge n. 296/2006.
Art. 13 – Clausole finali
Per tutto quanto non espressamente previsto nel presente contratto, si rinvia alle disposizioni di cui agli articoli 2222 e ss. c.c., e agli artt. 61 e ss. d.lgs. 276/2003.
Xxxxx, approvato e sottoscritto
, li
La Committente Il Collaboratore
Tutela della privacy Consenso al trattamento dei dati personali | |
Preso atto dell’informativa resami ai sensi dell’art. 13, D.lgs. n. 196/2003 e noti i diritti a me riconosciuti ex art. 7, stesso decreto: | |
acconsento | non acconsento |
al trattamento dei miei dati comuni, per le finalità e nei limiti indicati dalla menzionata informativa. NOME E COGNOME FIRMA ……….……………………………………. …………..………………….. | |
acconsento | non acconsento |
al trattamento dei miei dati sensibili, per le finalità e nei limiti indicati dalla menzionata informativa. (*) NOME E COGNOME FIRMA ……….………………………………… …………..………………….. |
(*) tale riquadro va adottato ove le operazioni ivi richiamate siano previste nell’informativa
4. Il contratto di collaborazione coordinata e continuativa: schede di sintesi
RIFERIMENTI NORMATIVI
- art. 409 c.p.c.;
- art. 61, comma 3, d.lgs. n. 276/2003;
- art. 1, comma 27, legge n. 92/20012.
Approfondimenti
Tenuto conto anche della riformulazione dell’art. 69 d.lgs. n. 276/2003 in tema di sanzioni per il caso di mancanza (formale o sostanziale) del progetto, risulterà possibile porre in essere una collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409 c.p.c. solamente nelle ipotesi previste dall’art. 61, comma 3, d.lgs. n. 276/2003.
Infatti, sono escluse dal campo di applicazione dell’interno capo sul lavoro a progetto:
- le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali: l’esenzione concerne le sole collaborazioni il cui contenuto concreto sia riconducibile alle attività professionali intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali (diversamente, l’iscrizione del collaboratore ad albi professionali non è circostanza idonea di per sé a determinare l’esclusione di applicazione del capo sul lavoro a progetto);
- i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;
- i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni;
- coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia.
NORMATIVA APPLICABILE
Non applicandosi il capo sul lavoro a progetto, deve ritenersi che per tali rapporti:
- non sia necessaria l’individuazione di un progetto: è comunque opportuno che venga circoscritto l’ambito di attività del collaboratore;
- il contratto possa essere concluso anche oralmente, sebbene risulti consigliabile la forma scritta;
- il contratto possa essere stipulato a tempo determinato o indeterminato;
- le parti possano pattuire ipotesi di recesso prima del termine;
- non trovi applicazione la disciplina di cui all’art. 63 in tema di congruità del corrispettivo.
Per tali rapporti, invece, vale la medesima disciplina delle collaborazioni a progetto per quanto concerne:
- la tutela della salute e sicurezza del collaboratore;
- la competenza del Tribunale, sezione lavoro, per le controversie insorte tra le parti.
CONTROLLO GIUDIZIALE
Anche per tale tipo di rapporto si deve ritenere applicabile, per effetto dell’art. 32 legge n. 183/2010, la disciplina in tema di impugnazioni prevista dall’art. 6, commi 1 e 2, legge n. 604/1966 (v. scheda sul lavoro a progetto).
LA DISCIPLINA PREVIDENZIALE
(Art. 64, d.lgs. n. 151/2001; art. 51, co. 1, L. n. 488/1999; Decreto del Ministero del lavoro e della previdenza sociale 12 gennaio 2001; art. 4, co. 1, lett. c), n. 4, L. n. 30/2003)
Si applica la disciplina previdenziale e la tutela assicurativa in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali dettata in materia di collaborazioni coordinate e continuative.
In particolare:
- il collaboratore deve essere iscritto (o deve iscriversi) alla Gestione Separata Inps. Il carico contributivo è ripartito nella misura di 1/3 a carico del collaboratore e 2/3 a carico della committente. L’aliquota contributiva è per l’anno 2013 pari al 28,72% (incluso il contributo di maternità) ed aumenterà di un punto percentuale per anno sino al 2018;
- ove ne ricorrano i presupposti, parte committente dovrà versare i relativi contributi Inail (a suo esclusivo carico).
4.1. Modello contrattuale
CONTRATTO DI COLLABORAZIONE COORDINATA E CONTINUATIVA
ex art 409, n. 3, c.p.c.
La …………………..., in persona del suo legale rappresentante, sig. , nato a
………….. (……) il …/…/…, con sede legale in ……………. (…), Via ,
C.F. e P.IVA: , di seguito denominata anche “COMMITTENTE”;
e
Il/La Sig. …………………… nato/a a ………………………… (…) il …/…/…, residente a …………………………… (… ), via
……………………………………………. n. C.F.
…………………………………......, di seguito denominato/a anche
“COLLABORATORE”
premesso che
h. La Committente ha come oggetto sociale l’esercizio di ................. (inserire oggetto sociale)
Le attività della Committente comprendono, in particolare: i. ;
ii. ;
iii. ............
(nei punti precedenti descrivere in maniera più dettagliata l’oggetto sociale, specificando le attività in cui si estrinseca)
i. Nel periodo dal al la Committente intende organizzare le seguenti attività:
.
j. Per l’espletamento delle incombenze relative alle sopra menzionate attività, la Committente ha constatato la necessità di avvalersi di prestazioni lavorative in regime di collaborazione coordinata e continuativa, finalizzata in particolare al raggiungimento dei seguenti obiettivi:
;
;
.
k. Il Collaboratore ha manifestato la volontà di collaborare con la Committente, in forma coordinata e continuativa, senza vincoli di dipendenza con la Committente e per il limitato periodo di tempo sopra indicato.
l. Il Collaboratore dichiara di non essere iscritto ad alcun albo professionale. Dichiara inoltre che le attività oggetto del presente contratto non rientrano nella propria arte o professione, intendendosi per tale l’esercizio per professione abituale, ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo in base all’articolo 53 d.p.r. 22 dicembre 1986
n. 917 (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi).
m. Per espressa disposizione dell’art. 61, comma 3, D.lgs n. 276/2003, “Sono escluse dal campo di applicazione” del Capo I del medesimo decreto (recante la disciplina in materia di lavoro a progetto e lavoro occasionale) “le professioni intellettuali per l’esercizio delle quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali, esistenti alla data di entrata in vigore del presente
decreto legislativo, nonché i rapporti e le attività di collaborazione coordinata e continuativa comunque rese e utilizzate a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche affiliate alle federazioni sportive nazionali, alle discipline sportive associate e agli enti di promozione sportiva riconosciute dal C.O.N.I., come individuate e disciplinate dall’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289. Sono altresì esclusi (…) i componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e i partecipanti a collegi e commissioni, nonché coloro che percepiscono la pensione di vecchiaia”.
convengono quanto segue:
ART. 1 - Premessa
Le premesse costituiscono parte integrante ed essenziale del presente accordo, e formano con esso pattuizione espressa.
ART. 2 – Oggetto e descrizione dell’attività del Collaboratore
Nell’ambito delle attività indicate in premessa nel periodo sopra indicato, la Committente attribuisce al Collaboratore, che accetta, l’incarico di gestire ed organizzare l’attività specificata in premessa. In particolare, al Collaboratore sono conferiti i seguenti specifici incarichi:
- ;
- ;
- .
Le parti inoltre si danno reciprocamente atto della circostanza che il contratto in esame, pur concretizzando un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 409, n. 3, c.p.c., non è soggetto alla disciplina relativa alle collaborazioni a progetto, dettata dal capo I, titolo VII, del d.lgs. n. 276/2003, in virtù di quanto disposto dal terzo comma dell’articolo 61 del medesimo decreto legislativo, già richiamato in premessa, ed in particolare in considerazione del fatto che (precisare l’ipotesi di cui alla norma citata che giustifica il fatto che non si applica la modalità a progetto).
ART. 3 – Forme di coordinamento
Il presente rapporto si concreta in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, a carattere non subordinato e sarà pertanto svolto in piena autonomia dal Collaboratore, salve le esigenze di coordinamento con la Committente di seguito specificate.
d) salvo l’obbligazione di portare a termine gli incarichi oggetto del presente accordo, il Collaboratore non è soggetto a vincoli di orario imposti dalla Committente.
e) il Collaboratore, in particolare, è libero di effettuare la propria prestazione determinando liberamente pause, riposi ed in generale i tempi ed i luoghi di lavoro, salvo la necessità di coordinamento delle prestazioni dedotte nel presente contratto con l’ordinaria attività della Committente e con il normale orario di apertura aziendale della Committente medesima, nella cui sede di
il Collaboratore è autorizzato fin d’ora ad accedere liberamente. Si prevede inoltre che, ai fini del migliore coordinamento tra le parti, la Committente ed il Collaboratore si incontrino, con cadenza
o con cadenze diverse di volta in volta concordate, per monitorare l’andamento della collaborazione, ciò anche al fine di evidenziare e risolvere concordemente in corso d’opera eventuali criticità che la medesima dovesse presentare.
f) per l’espletamento degli incarichi di cui al presente contratto il Collaboratore potrà utilizzare mezzi e strumenti propri o, in alternativa, i mezzi e gli strumenti che la Committente metterà a disposizione, coordinandosi con essa al fine di determinare le modalità di utilizzo, ivi comprese le relative fasce orarie di disponibilità dei mezzi e degli strumenti stessi.
Al di fuori del coordinamento così delineato, la Committente non avrà alcun potere di ingerenza circa le modalità di esecuzione della prestazione.
Il Collaboratore potrà delegare ad altri lo svolgimento delle attività oggetto del presente contratto, in tutto o in parte, solo previo accordo con la Committente; in tal caso egli resterà comunque responsabile del loro operato di fronte alla Committente.
ART. 4 – Divieto di concorrenza
Il Collaboratore può svolgere la propria attività in favore di più committenti.
In corso di rapporto al Collaboratore è fatto però divieto di svolgimento di attività lavorativa sia autonoma, in qualunque forma (lavoro autonomo - anche diverso dalla collaborazione coordinata e continuativa ex art. 61 e segg. d.lgs. 276/2003 -, impresa individuale o collettiva - anche in qualità di socio non amministratore di società di persone o di capitali -), in concorrenza con quella della Committente, sia subordinata alle dipendenze di impresa concorrente con quella della Committente.
[ove le parti intendano poi prevedere un ulteriore comma che contempli, per il collaboratore, un divieto di concorrenza esteso anche al momento successivo alla scadenza del contratto, si segnala come negli ultimi tempi diverse sentenze abbiano ritenuto applicabile, in luogo dell’art. 2596 c.c. (che prevede, ai fini della validità del patto, che le parti provvedano a specificarne la durata – che deve essere coerente con l’attività concretamente svolta dal collaboratore per il committente, e non potrà in ogni caso essere superiore ai 5 anni nelle ipotesi di elevatissima professionalità della prestazione del collaboratore –), per analogia l’art. 2125 c.c. che disciplina il patto di non concorrenza per i lavoratori subordinati (prevedendo a pena di nullità, la forma scritta, la pattuizione di un corrispettivo – congruo – ed un contenimento del vincolo in termini di oggetto, tempo e luogo. In ogni caso, la durata del vincolo non può essere superiore a cinque anni, se si tratta di dirigenti, e a tre anni negli altri casi e, se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata].
(tale articolo è comunque da considerarsi facoltativo)
ART. 5 – Obbligo di riservatezza
Il Collaboratore non deve diffondere notizie o apprezzamenti attinenti ai programmi ed alla organizzazione di essi, né compiere, in qualsiasi modo, atti in pregiudizio della attività della Committente. Il Collaboratore si obbliga pertanto a:
a. mantenere la riservatezza circa le informazioni raccolte ed utilizzate, ed i metodi seguiti nello svolgimento dell’incarico affidatogli;
b. non divulgare notizie relative alla Committente, che abbiano natura confidenziale o riservata, di cui sia comunque venuto a conoscenza.
ART. 6 – Durata
Il presente rapporto decorre dal fino al completo espletamento degli incarichi sopra individuati, e comunque non oltre la data del .
Alla scadenza il contratto dovrà intendersi risolto di diritto, senza necessità di disdetta alcuna ovvero obbligo di preavviso e senza possibilità di proroga tacita.
ART. 7 – Compenso per il Collaboratore
Per lo svolgimento dell’incarico di cui al presente contratto, la Committente corrisponderà al Collaboratore un compenso forfetariamente determinato in euro , che sarà versato a cadenza . (specificare il periodo e le modalità di pagamento, evitando, se possibile, corresponsioni mensili).
Il compenso sarà dovuto per intero anche nel caso in cui il contratto cessi prima della scadenza prefissata, a causa dell’anticipato espletamento degli incarichi sopra individuati, da parte del Collaboratore.
Il Collaboratore dovrà sostenere autonomamente ogni spesa necessaria al corretto svolgimento del rapporto che non sia stata posta, dal presente contratto ovvero in accordi successivi fra le parti anche verbali, a carico dalla Committente.
Art. 8 – Sicurezza sul lavoro
Il Collaboratore è tenuto al pieno rispetto di tutte le norme da qualunque fonte derivanti e attinenti alle attività oggetto del presente contratto.
Ai sensi dell’art. 3, comma 7, del Decreto Legislativo n. 81/2008, ed in particolare per l’attività che comporti la presenza del Collaboratore presso la sede della Committente, quest’ultima si impegna a consegnare al Collaboratore copia del documento di valutazione del rischio, e a svolgere nei suoi confronti le necessarie attività di informazione e formazione. Il Collaboratore, a sua volta, si impegna a osservare scrupolosamente tutte le norme in materia di sicurezza ed igiene sul lavoro e quanto disposto nel documento di valutazione del rischio della Committente.
La Committente declina ogni e qualsiasi responsabilità, in caso di eventuali danni che dovessero occorrere al Collaboratore, nel caso in cui risulti che tali danni non si sarebbero prodotti senza l’inosservanza, da parte dello stesso, delle norme al cui rispetto è tenuto dal presente contratto.
ART. 9 – Risoluzione anticipata
Prima della scadenza del termine, le parti hanno diritto di risolvere senza preavviso il presente rapporto mediante comunicazione scritta inoltrata a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento unicamente per giusta causa; ovvero mediante preavviso di giorni
sempre a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento.
ART. 10 – Inquadramento fiscale e previdenziale - Norme applicabili
Sulle somme indicate all’art. 5, la Committente applicherà quanto stabilito dalla normativa vigente in materia previdenziale, fiscale e assicurativa a carico del Collaboratore ai sensi e per gli effetti del T.U.I.R. e della legge 335/95 e successive modifiche e integrazioni.
Il Collaboratore provvederà a inoltrare alla competente sede Inps domanda di iscrizione alla gestione separata di cui all’art. 2, comma 26 della legge 8 agosto 1995, n. 335 e comunicherà tempestivamente alla Committente qualunque variazione di tale stato di fatto. A seguito di quanto dichiarato dal Collaboratore, la Committente si obbliga a versare il contributo di cui alla Legge n. 335/1995 e a rilasciare, nei termini previsti dalla legge, le relative certificazioni.
La Committente provvederà alla iscrizione del Collaboratore all’Inail, ai sensi dell’art. 5 del D.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38. Resta sin da ora inteso che il premio dovuto sarà a carico del Collaboratore per un terzo e per due terzi a carico della Committente, con la precisazione che, in caso di risoluzione anticipata del contratto, la Committente calcolerà il premio al momento dovuto, trattenendo la quota a carico del Collaboratore.
ART. 11 – Comunicazione di instaurazione del rapporto di lavoro
2La instaurazione del presente rapporto di collaborazione verrà comunicata dalla Committente al Servizio competente in base all’articolo 9-bis del D.L. 1° ottobre 1996, n. 510, convertito con modificazioni nella legge 28 novembre 1996, n. 608, come modificato dalla legge n. 296/2006.
Xxxxx, approvato e sottoscritto
, li
La Committente Il Collaboratore
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Preso atto dell’informativa resami ai sensi dell’art. 13, D.lgs. n. 196/2003 e noti i diritti a me riconosciuti ex art. 7, stesso decreto: | |
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(*) tale riquadro va adottato ove le operazioni ivi richiamate siano previste nell’informativa
5. Il contratto di lavoro autonomo: schede di sintesi
RIFERIMENTI NORMATIVI
art. 2222 e segg. x.x. xxx. 00 xxx x.xxx. x. 000/0000
NOZIONE
Un soggetto si obbliga a compiere, verso un corrispettivo, un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente.
Chiarimenti
la differenza rispetto alla vendita sta nel fatto che:
- nel contratto d'opera rileva maggiormente l'attività del soggetto (es. abito sartoriale);
- nella vendita è preminente la materia (es. caffè al bar)
LA FORMA
Libertà di forma.
Il contratto può essere concluso oralmente o anche tacitamente.
LE OBBLIGAZIONI PRINCIPALI DELLE PARTI
- del prestatore:
eseguire l'opera o il servizio (=risultato) a regola d'arte
- del committente:
pagare il corrispettivo
In mancanza di specifica nel contratto la legge stabilisce un riferimento alle tariffe professionali o agli usi e, in ultima istanza, l’intervento del giudice, che determina il corrispettivo in relazione al risultato ottenuto ed al lavoro normalmente necessario per ottenerlo (è irrilevante il tempo effettivamente occorso essendo una obbligazione di risultati e non di mezzi)
ACCETTAZIONE DELL'OPERA
L'accettazione dell'opera o del servizio libera il prestatore d'opera (salvo che per i vizi dolosamente occultati).
Nel caso di vizi il committente può stabilire un termine congruo per la loro eliminazione.
LE NUOVE PRESUNZIONI INTRODOTTE PER CONTRASTARE L’UTLIZZO DI PARTITE IVA “FITTIZIE”
(art. 69 bis d.lgs n. 276/2003 introdotto dall’art. 1, comma 26, legge n. 92/2012 e come
oggetto di modifiche per effetto del c.d. Decreto Sviluppo 2012)
Le prestazioni lavorative rese da persona titolare di partiva IVA si presumono, salva prova contraria da parte del committente, collaborazioni coordinate e continuative se ricorrono almeno 2 dei seguenti 3 presupposti:
la collaborazione con il medesimo committente è di durata complessiva superiore a 8 mesi annui per 2 anni consecutivi;
il fatturato derivante da tale collaborazione o dalla fatturazione a più soggetti riconducibili al medesimo centro di imputazione di interessi è maggiore dell’80% dei corrispettivi annui complessivamente percepiti dal collaboratore nell’arco di 2 anni solari consecutivi;
presso una delle sedi del committente vi è una postazione fissa di lavoro a disposizione del collaboratore.
NON OPERATIVITA’ DELLA PRESUNZIONE
La presunzione non opera se:
la prestazione lavorativa è connotata da competenze teoriche di grado elevato acquisite attraverso significativi percorsi formativi OVVERO da capacità tecnico-pratiche acquisite attraverso rilevanti esperienze maturate nell’esercizio concreto di attività
E
è svolta da soggetto titolare di reddito di lavoro autonomo non inferiore a 1,25 volte il livello minimo imponibile ai fini del versamento dei contributi previdenziali
oppure se
le prestazioni lavorative sono svolte nell’esercizio di attività professionali per le quali l’ordinamento richiede l’iscrizione ad un ordine professionale, ovvero ad appositi registri, albi ruoli o elenchi professionali qualificati, oggetto di specifica ricognizione da parte del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali con apposito decreto (emanato in data 20.12.12).
CONSEGUENZE CONTRIBUTIVE NEL CASO DI OPERATIVITA’ DELLA PRESUNZIONE
Gli oneri contributivi derivanti dall’obbligo di iscrizione alle gestione separata INPS sono a carico di parte committente per 2/3 e per 1/3 a carico del collaboratore.
Se il collaboratore, per legge, è tenuto all’assolvimento dei relativi obblighi di pagamento, ha diritto di rivalsa nei confronti del committente.
CONSEGUENZE SULLA QUALIFICAZIONE DEL CONTRATTO NEL CASO DI OPERATIVITA’ DELLA PRESUNZIONE
Se trova applicazione la presunzione si applica tutta la disciplina del lavoro a progetto, inclusa quella relativa alle sanzioni (art. 69). Il che significa pertanto che il rapporto è a rischio di conversione in quello subordinato a tempo indeterminato per mancanza di progetto.
APPLICAZIONE E PERIODO TRANSITORIO
La presunzione si applica ai rapporti instaurati a partire dal 18 luglio 2012.
E’ previsto un periodo transitorio di 12 mesi (ossia fino al 17 luglio 2013) per i rapporti già in corso al 18 luglio 2012.
CRITERI DI COMPUTO
Tale tipologia di contratto integra un’ipotesi di lavoro autonomo, quindi il prestatore d'opera non si computa nell’organico del committente.
DISCIPLINA PREVIDENZIALE / ASSISTENZIALE
Se il soggetto non è tenuto ad iscriversi ad una apposita cassa (es. Avvocati) deve iscriversi alla gestione separata Inps.
LA DISCIPLINA DELLA MATERNITA' DELLE LIBERE PROFESSIONISTE PRIVE DI CASSA DI PREVIDENZA PROFESSIONALE ED OBBLIGATORIAMENTE ISCRITTE ALL'INPS
art. 2, D.M. 12 luglio 2007:
il diritto di accesso all’indennità di maternità è subordinato all’astensione effettiva dall’attività lavorativa per un periodo pari al congedo ordinario di maternità (ai fini del riconoscimento dell’indennità, le professioniste dovranno attestare attraverso una dichiarazione sostitutiva di atto notorio l’effettiva astensione dal lavoro).
per effetto della summenzionata disposizione è applicabile anche l’art. 17, comma 2, lettera a), d.lgs n. 151/2001: è vietata alle lavoratrici autonome la esecuzione della propria prestazione nel caso di gravi complicanze della gravidanza o di preesistenti forme morbose che si presume possano essere aggravate dallo stato di gravidanza.
LA COMPETENZA IN CASO DI CONTROVERSIE
La competenza per eventuali controversie è del Tribunale Ordinario o del Giudice di Pace (nel caso di domande di modico valore), non, invece, quella speciale in virtù della quale verrebbe applicato il rito del lavoro.
La competenza è del Tribunale – sezione Lavoro solamente nel caso in cui la causa concerna la qualificazione del rapporto (ad esempio: il lavoratore con partita IVA deduce di essere in realtà un lavoratore subordinato).
CARATTERISTICHE DEL CONTRATTO D'OPERA INTELLETTUALE
- se l’esercizio della professione è condizionato all’iscrizione in albi o elenchi:
1. la mancanza di tale iscrizione determina la carenza di titolarità relativamente alla azione
per il pagamento del compenso;
2. l’eventuale cancellazione dall’albo o elenco è causa di risoluzione ex lege del contratto ed il prestatore ha diritto al solo rimborso delle spese e ad un compenso adeguato rispetto
alla attività eseguita;
- la prestazione deve essere eseguita personalmente
- il professionista è tenuto a presentare un preventivo che deve essere accettato dal cliente. Tale nuova disciplina deve poi essere contemperata con il principio secondo il quale il compenso, se non convenuto dalle parti, deve comunque essere adeguato alla importanza dell’opera e al decoro della professione ed è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale di riferimento (in questo senso l’art. 2233 cod. civ.);
- la responsabilità del prestatore d’opera, nei casi di problemi di difficile risoluzione, risulta limitata, nel senso che il prestatore risponde solamente per dolo o colpa grave.
ONERI A CARICO DI PARTE COMMITTENTE
Sul committente NON incombe l’obbligo assicurativo Inail.
NON vi è un onere di iscrizione nei libri obbligatori né un obbligo di comunicazione dell’inizio del rapporto al Centro per l’impiego (mancando il coordinamento con il Committente).
5.1. Modello contrattuale
CONTRATTO DI PRESTAZIONE D’OPERA EX ARTT. 2222 E SS. C.C.
La …………………..., in persona del suo legale rappresentante, sig. , nato a
………….. (……) il …/…/…, con sede legale in ……………. (…), Via ,
C.F. e P.IVA: , di seguito denominata anche “COMMITTENTE”;
e
Il/La Sig. …………………… nato/a a ………………………… (…) il …/…/…, residente a …………………………… (………), via
……………………………………………. n. ……… C.F.
…………………………………......, di seguito denominato/a anche “PRESTATORE D’OPERA”
premesso che:
la Committente ha come oggetto sociale l’esercizio di…………… (inserire l’oggetto sociale). Le attività della Committente comprendono, in particolare:
a) ;
b) ;
c) ;
la Committente, nell’ambito delle proprie attività aziendali, ha necessità di avvalersi della prestazione d’opera per l’esecuzione di
;
il Prestatore d’opera è titolare di Partita Iva;
il Prestatore d’opera si dichiara titolare delle qualità ed attitudini tecnico- professionali per le quali offre la propria prestazione d’opera. In particolare, egli opera nel settore sin dal occupandosi di Si ritiene, pertanto, integrata l’ipotesi prevista dall’art. 69 bis, comma 2, lett. a);
il Prestatore d’opera dichiara, altresì, di operare in favore di una pluralità di clienti e di aver superato, negli anni precedenti, la soglia minima prevista dall’art. 69 bis, comma 2, lett. b);
Convengono quanto segue
Art. 1 – Premesse
Le premesse costituiscono parte integrante e sostanziale del presente accordo.
Art. 2 – Oggetto del contratto
Il Prestatore d’opera, nell’ambito delle attività di cui alla premessa, si impegna a prestare la
propria attività relativa da svolgere presso
Art. 3 – Modalità di esecuzione
1. Il Prestatore d’opera si impegna a fornire con diligenza ed adeguatezza le proprie prestazioni professionali nell’espletamento dei servizi (o delle opere) suddetti sino a compimento degli incarichi e degli adempimenti previsti nel presente contratto, fino al raggiungimento del risultato specificato all’interno dell’art. 2.
2. Il Prestatore d’opera svolgerà la propria opera con lavoro proprio, senza assoggettamento dello stesso ad alcun vincolo di subordinazione verso il Committente, potendo autodeterminare i propri ritmi di lavoro, ferma restando la disponibilità a concordare con parte Committente ed in corso di rapporto, eventuali momenti di confronto sullo svolgimento dell’attività.
3. Nell’espletamento dell’incarico il Prestatore d’opera si impegna ad attenersi alle indicazioni di massima fornitegli dal Committente.
4. Il Prestatore d’opera utilizzerà, per la realizzazione dell’oggetto di cui al presente contratto, attrezzatura e materiali di sua proprietà e non avrà a disposizione alcuna posizione fissa presso la sede di parte Committente.
Art. 4 – Durata
Il presente incarico ha efficacia dalla data del fino al completamento delle attività di cui al precedente articolo del presente contratto, e comunque non oltre il
, restando esclusa ogni proroga tacita; ogni ulteriore accordo concernente l’eventuale differimento del termine finale dovrà risultare da atto sottoscritto dalle parti.
Art. 5 – Compenso e rimborsi spese
1. Il compenso lordo omnicomprensivo per le attività di cui alla presente scrittura viene pattuito in € + IVA.
2. Il Prestatore d’opera emetterà fattura alla scadenza del presente contratto. (a seconda del tipo di attività è possibile anche prevedere pagamenti scaglionati nel tempo: ad esempio, “La fatturazione della prestazione oggetto del presente contratto verrà effettuata l’ultimo giorno del mese/bimestre/trimestre/semestre”).
3. Il pagamento verrà effettuato a 30 (trenta) giorni fattura a mezzo di bonifico bancario alle seguenti coordinate .
4. Il Prestatore d’opera si impegna a comunicare a parte Committente l’eventuale presenza dei requisiti previsti dalla vigente normativa in merito alla non applicabilità della ritenuta d’acconto da parte del sostituto d’imposta. In mancanza di apposita comunicazione, pertanto, parte Committente provvederà ad erogare al Prestatore d’opera l’importo al netto della ritenuta d’acconto come da legge, che verrà versata da parte della Committente nei termini e nelle modalità previste dalla legge.
5. Le spese sostenute e documentate dal Prestatore d’opera (per viaggio, vitto ed alloggio, comunque relative a prestazioni rese fuori dal Comune della sede di lavoro della Committente) verranno rimborsate solo se le trasferte siano state preventivamente autorizzate per iscritto dalla Committente e previa consegna alla Committente dei documenti giustificativi. Dette spese saranno rimborsate al Collaboratore unitamente alla corresponsione della rata del compenso successiva al periodo in cui le spese stesse sono state sostenute e dovranno essere inserite in fattura.
Art. 6 – Responsabilità derivanti dall’esecuzione del contratto
Il Prestatore d’opera, nell’ambito delle proprie funzioni e attività di competenza, sarà considerato responsabile nel caso di ritardo e anomalie nella realizzazione delle attività di cui al presente contratto, fatto salvo il caso in cui tale ritardo sia riconducibile a cause di forza maggiore. Il Prestatore d’opera esonera e comunque tiene indenne la Committente da qualsiasi impegno e responsabilità che, a qualsiasi titolo, possa ad essa derivare, nei confronti di terze parti, dall’esecuzione delle attività di cui al presente incarico.
Art. 7 – Riservatezza
Ciascuna Parte è tenuta, anche in corso di rapporto, al riserbo sulle informazioni riservate e confidenziali ricevute e a conservarle con misure di sicurezza e un grado di attenzione non inferiori a quelli applicati alle proprie informazioni riservate, garantendo una adeguata protezione contro la diffusione, la riproduzione o l’utilizzo non autorizzati. La Committente, in particolare, è l’esclusiva titolare delle proprie informazioni riservate e confidenziali divulgate e
delle tecnologie e dei diritti di cui al presente incarico, quali tutte le informazioni che la Committente stessa comunica al ricevente sotto forma di documenti o altro materiale anche che non siano chiaramente contrassegnate con la dicitura: “RISERVATO”. In alcun modo, pertanto, il Prestatore d’opera sarà autorizzato a dare diffusione e/o divulgazione delle informazioni riservate e confidenziali della Committente, vincolandosi alla massima riservatezza e sicurezza nel trattamento di dati, informazioni, documenti, procedure e/o qualsivoglia altra informazione riservata e confidenziale inerente la Committente e/o all’attività della predetta società inerente il presente incarico, divulgate e/o messe a disposizione per la fornitura delle attività commissionate al Prestatore d’opera medesimo.
Art. 8 – Divieto di concorrenza
1. In corso di rapporto al Prestatore d’opera è fatto divieto di svolgimento di attività lavorativa sia autonoma, in qualunque forma (lavoro autonomo, collaborazione a progetto, impresa individuale o collettiva - anche in qualità di socio non amministratore di società di persone o di capitali -), in concorrenza con quella della Committente, sia subordinata alle dipendenze di impresa concorrente con quella della Committente.
2. Il Prestatore d’opera è libero di espletare attività non concorrenziale e di intrattenere contemporaneamente più rapporti di prestazione d’opera ex artt. 2222 e ss. c.c. con altri soggetti diversi dalla Committente.
Art. 9 – Sicurezza sul lavoro
Il Prestatore d’opera si impegna nell’esecuzione del presente contratto, con particolare riferimento l’attività che comporti la presenza del Consulente presso la sede della Committente, a rispettare quanto previsto dall’art. 21 del Decreto Legislativo n. 81/2008. La Committente declina ogni e qualsiasi responsabilità, in caso di eventuali danni che dovessero occorrere al Prestatore d’opera, nel caso in cui risulti che tali danni non si sarebbero prodotti senza l’inosservanza, da parte dello stesso, delle norme al cui rispetto è tenuto dal presente contratto.
Art. 10 – Estinzione del contratto
1. Il presente contratto cessa alla scadenza prefissata.
2. Parte Committente può recedere dal contratto in qualsiasi momento, dandone preavviso al Prestatore d’xxxxx xxxxxx 00 (xxxxxx) giorni prima.
3. Parte Committente può recedere in qualsiasi momento e senza preavviso dal contratto:
a) se il Prestatore d’opera non procede all’esecuzione dell’incarico affidato secondo quanto stabilito dal presente contratto e a regola d’arte, salvo il diritto al risarcimento del danno subito dalla Committente.
b) quando l’esecuzione dell’incarico diventi impossibile per causa non imputabile ad alcuna delle parti. In tale ipotesi il Prestatore d’opera avrà diritto esclusivamente al compenso maturato per il lavoro prestato, in deroga a quanto previsto all’articolo 2227 c.c.
c) in presenza di atti e/o comportamenti comunque lesivi dell’interesse della Committente, tali da non consentire la prosecuzione del rapporto in condizioni di reciproca fiducia, ovvero in presenza di accertate violazioni degli obblighi di riservatezza e segretezza posti a carico del Prestatore d’opera nel presente contratto. In questa ipotesi il Prestatore d’opera avrà diritto esclusivamente al compenso maturato per il lavoro prestato, in deroga a quanto previsto all’articolo 2227 c.c., salvo il diritto della Committente al risarcimento dei danni.
4. E’ concesso altresì al Prestatore d’opera il diritto di recesso unilaterale previo avviso scritto mediante , almeno giorni prima della data in cui il recesso deve avere esecuzione. In tal caso al Prestatore d’opera spetterà esclusivamente il compenso maturato per il lavoro prestato in deroga a quanto previsto all’articolo 2227 c.c.
5. L’estinzione del contratto, per qualsivoglia causa, comporta altresì l’obbligo da parte del Prestatore d’opera di consegnare la documentazione, incluso indici, procedure, tracciati di cui il medesimo possa essere venuto in possesso in conseguenza dell’attività affidata.
Art. 11 –Trattamento dei dati personali
Ai sensi dell’art. 13 del D.lgs 196/2003, la Committente informa il Prestatore d’opera che: a) i suoi dati saranno oggetto di trattamento nel rispetto della predetta normativa e di tutti gli obblighi previsti da leggi o regolamenti e saranno conservati in archivi di tipo magnetico e cartaceo; b) Titolare del Trattamento è il sig. , nella sua qualità di ; c) il Consulente può esercitare, in merito al trattamento, i diritti di cui all’art. 7 del D.lgs 196/2003, allegato al presente incarico.
Art. 12 – Foro competente e clausole finali
Ogni controversia relativa al presente contratto sarà di esclusiva competenza del Foro di
.
Per tutto quanto non espressamente previsto nel presente contratto, si rinvia alle disposizioni di cui agli articoli 2222 e ss. c.c..
Art. 13 - Certificazione obbligatoria del contratto ex art. 2, lett. c) DPR n. 177/2011 (articolo eventuale nel caso di svolgimento dell’opera all’interno di ambienti sospetti di inquinamento o confinati) Tenuto conto del fatto che il Prestatore d’opera si troverà ad operare, concretamente e tenuto conto del documento di valutazione dei rischi, all’interno di ambienti sospetti di inquinamento o confinati, le parti si impegnano a sottoporre il contratto, preventivamente alla sua esecuzione, al vaglio di una delle sedi competenti alla certificazione secondo la procedura stabilita agli artt. 75 e ss. d.lgs. n. 276/2003, in ossequio al disposto dell’art. 2, lett. c) DPR n. 177/2011, e ad ottemperare alle eventuali richiesta istruttoria al fine di una chiusura della procedura compatibilmente con l’inizio dei lavori affidati.
Xxxxx, approvato e sottoscritto
, li
La Committente Il Prestatore d’opera
Per quanto occorrer possa, si approvano specificamente – ai sensi e per gli effetti di cui agli art. 1341, comma 2°, e 1342, c.c. – i seguenti articoli: 7 (riservatezza), 8 (divieto di concorrenza), 10 (estinzione del contratto) e 12 (Foro competente e clausole finali).
La Committente Il Prestatore d’opera
Tutela della privacy Consenso al trattamento dei dati personali | |
Preso atto dell’informativa resami ai sensi dell’art. 13, D.lgs. n. 196/2003 e noti i diritti a me riconosciuti ex art. 7, stesso decreto: | |
acconsento | non acconsento |
al trattamento dei miei dati comuni, per le finalità e nei limiti indicati dalla menzionata informativa. NOME E COGNOME FIRMA ……….……………………………………. …………..………………….. |
acconsento | non acconsento |
al trattamento dei miei dati sensibili, per le finalità e nei limiti indicati dalla menzionata informativa. (*) NOME E COGNOME FIRMA ……….………………………………… …………..………………….. |
(*) tale riquadro va adottato ove le operazioni ivi richiamate siano previste nell’informativa
5.2. Modello contrattuale
CONTRATTO DI PRESTAZIONE D’OPERA INTELLETTUALE EX ART. 2230 C.C.
La …………………..., in persona del suo legale rappresentante, sig. , nato a
………….. (……) il …/…/…, con sede legale in ……………. (…), Via ,
C.F. e P.IVA: , di seguito denominata anche “COMMITTENTE”;
e
Il/La Sig. …………………… nato/a a ………………………… (…) il …/…/…, residente a …………………………… (… ), via
……………………………………………. n. C.F.
…………………………………......, di seguito denominato/a anche “CONSULENTE”
premesso che:
la Committente ha come oggetto sociale l’esercizio di…………… (inserire l’oggetto sociale). Le attività della Committente comprendono, in particolare:
d) ;
e) ;
f) ;
la Committente, nell’ambito delle proprie attività aziendali, ha necessità di avvalersi della prestazione d’opera intellettuale di un consulente per l’esecuzione di
;
la Committente ritiene imprescindibile che il prestatore d’opera intellettuale abbia:
1) una conoscenza specialistica e professionale di
;
2) l’iscrizione all’albo , con la conseguente operatività dell’art. 69 bis, comma 3, d. lgs. n 276/2003 (lasciare questa indicazione solo se l’attività eseguita dal consulente è soggetta all’obbligo di iscrizione ad un albo professionale ex art. 2231 c.c.);
3) la disponibilità allo svolgimento di brevi periodi di trasferta presso Clienti della Committente; (in alternativa o congiuntamente, e comunque se richiesto) un profilo altamente internazionalizzato e la disponibilità allo svolgimento di lunghi periodi di trasferta presso clienti esteri della Committente o presso sedi estere della stessa Committente; (lasciare questa indicazione solo se interessa)
4) una buona conoscenza della lingua ; (lasciare questa indicazione solo se interessa)
che la Committente non ha la disponibilità, nel proprio organico, di una risorsa con tale tipo e grado di specializzazione;
che, in relazione alle esigenze della Committente e nell’ambito di quanto descritto nei punti precedenti, si ritiene utile l’opera del Consulente, che ha dichiarato di possedere i requisiti e l’esperienza richiesta (eventualmente) come da cv allegato), di essere disponibile a fornire la consulenza di cui sopra e di poter contribuire con la propria opera al raggiungimento degli obiettivi indicati;
tenuto conto dell’esperienza del Consulente e del tipo di attività da questi svolta, si ritiene integrata l’ipotesi prevista dall’art. 69 bis, comma 2, lett. a), d. lgs. n 276/2003;
il Consulente dichiara, altresì, di operare in favore di una pluralità di clienti e di aver superato, negli anni precedenti, la soglia minima prevista dall’art. 69 bis, comma 2, lett. b), d. lgs. n 276/2003;
(clausole eventuali ma comunque opportune soprattutto nel caso di mancata iscrizione ad un albo)
Convengono quanto segue
Art. 1 – Premesse
Le premesse costituiscono parte integrante e sostanziale del presente accordo.
Art. 2 – Oggetto del contratto e modalità di esecuzione
1. Il Consulente, nell’ambito delle attività di cui alla premessa, si impegna a prestare la propria attività in forma di prestazione d’opera intellettuale, con lavoro proprio e senza alcun vincolo di subordinazione, né di orario nei confronti della Committente, secondo le modalità e le richieste concordate con la Committente, nei limiti del presente incarico, ed in particolare, svolgendo attività di
(descrivere l’oggetto della prestazione dedotta in contratto). (eventualmente, se di interesse, inserire la seguente specificazione)
2. Data la peculiarità delle attività descritte e ai fini del raggiungimento degli obiettivi commissionati, il Consulente viene autorizzato a far parte di gruppi di lavoro, che verranno nel corso del contratto costituiti e che saranno formati da altri consulenti e/o da dipendenti della Committente. La partecipazione ed il coordinamento con tali gruppi di lavoro sono esclusivamente richiesti ai fini della ottimizzazione dei risultati che il Consulente si impegna comunque a garantire in piena autonomia.
(nel caso si voglia impedire o comunque controllare il ricorso all’ausilio di terzi da parte del consulente, inserire la seguente clausola)
3. In ragione dell’oggetto della concordata prestazione, che è da intendersi personale, fatta salva espressa autorizzazione scritta rilasciata dalla Committente, il Consulente non può avvalersi di terzi, anche solo in parte e sotto qualsiasi forma giuridica, per l’esecuzione dell’incarico oggetto del presente contratto.
4. Il Consulente, per l’organizzazione della propria attività, utilizzerà mezzi e strumenti personali, quali: . La Committente fornirà, peraltro, laddove ritenuto necessario, i protocolli e le procedure di sicurezza implementate per regolamentare l’accesso sicuro e controllato ai propri locali e ai propri sistemi informativi.
Art. 3 - Durata
Il presente incarico ha efficacia dalla data del fino al completamento delle attività di cui al precedente articolo del presente contratto, e comunque non oltre il
, restando esclusa ogni proroga tacita; ogni ulteriore accordo concernente l’eventuale differimento del termine finale dovrà risultare da atto sottoscritto dalle parti.
Art. 4 – Compenso e rimborsi spese
1. Il compenso lordo per le attività di cui alla presente scrittura, omnicomprensivo anche dell’utilizzo, da parte del Consulente, di propri mezzi, viene pattuito in €
+IVA.
Il pagamento del compenso complessivo avverrà , dietro presentazione di nota pro forma da parte del Consulente, entro 30 (trenta) giorni fine mese