IL XXXX.xx. Il costo in esame può essere variamente concepito dalla banca, andando a costituire, a seconda dei casi, remunerazione di un affidamento in quanto tale, eventualmente al netto dell’utilizzo (c.d. commissione di mancato utilizzo), ovvero remunerazione aggiuntiva sulla parte del fido utilizzata per un certo arco temporale o anche per un solo giorno (c.d. commissione di massimo scoperto intrafido), nonché essere praticata per i soli scoperti in senso tecnico, vale a dire gli utilizzi superiori all’affidamento o gli sconfinamenti su conti non affidati (cfr. sul punto Cass. 18 gennaio 2006, n. 870 e Cass. 6 agosto 2002 n. 11722); Si esige dunque la specifica pattuizione delle modalità applicative della commissione in questione, essendo ciò indispensabile, a fronte della pluralità di fattispecie rientranti in questa definizione nella prassi bancaria, ai fini della determinatezza dell’oggetto e del rispetto delle regole di trasparenza sancite dall’art. 117 TUB (Tribunale di Monza, 12 dicembre 2006; Tribunale di Milano, 4 luglio 2002). Nel caso in esame le condizioni economiche del contratto di conto corrente prevedevano genericamente la dicitura “ commissione di massimo scoperto 0,250 %”, senza specificare né il saldo di periodo su cui la percentuale andava applicata, né la durata dell’esposizione passiva che avrebbe giustificato un siffatto addebito. Va soggiunto che non essendovi prova di affidamenti almeno fino al 20 novembre 2003, l’addebito della commissione doveva ritenersi anche privo di qualsivoglia fondamento causale, non potendo dirsi raggiunta la prova della messa a disposizione di fondi in assenza di formale apertura di credito. Il conto corrente in esame è stato dunque correttamente “depurato” tanto dell’effetto della capitalizzazione, quanto dei costi aggiuntivi determinati dall’applicazione della c.m.s.. Non va invece accolta l’eccezione di nullità del saggio di interesse ultralegale, essendo essa fondata sull’indimostrato presupposto che l’istituto ha fatto applicazione del rinvio agli “usi su piazza”. Per contro è emerso dalla documentazione agli atti non solo la specifica pattuizione delle condizioni economiche iniziali in relazione al saggio di interessi passivi, ma altresì la previsione del c.d. jus variandi e la successiva comunicazione dei tassi modificati mediante invio al cliente degli estratti conto. Analoghe conclusioni vanno tratte con riferimento alle condizioni contrattuali relative alle valute sui versamenti ed i prelevamenti, essend...
IL XXXX.xx. È qui soltanto il caso di osservare che - nel pur differente quadro normativo in cui si inseriva il concordato preventivo in epoca antecedente alle riforme della legge concorsuale - l’art. 160, primo comma, l.fall. prevedeva che l’imprenditore in stato d’insolvenza (non anche, come oggi, in stato di crisi) potesse proporre ai creditori un concordato preventivo “fino a che il suo fallimento non è dichiarato”, con ciò implicitamente prevedendo una condizione d’improcedibilità (magari temporanea) del processo di fallimento. Merita, peraltro, di essere evidenziato che l’art. 168, comma 1, l.fall., stabilisce che, dalla data della presentazione del ricorso per concordato preventivo e fino al momento in cui il decreto di omologazione dello stesso diventa definitivo, i creditori per titolo o causa anteriore al decreto non possono, sotto pena di nullità, iniziare o proseguire azioni esecutive sul patrimonio del debitore. La norma (alla quale fa eco quella dell’art. 182 bis, comma 3, l.fall., secondo la quale, dalla data della pubblicazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti nel registro delle imprese, i creditori per titolo e causa anteriore a tale data non possono iniziare o proseguire azioni cautelari o esecutive sul patrimonio del debitore, ancorché soltanto per il lasso di tempo di sessanta giorni, ritenuto congruo dal legislatore ai fini dell’esaurimento della procedura) si riferisce alle esecuzioni individuali e non contiene il divieto di introdurre o proseguire la domanda per dichiarazione di fallimento ex artt. 6 e 15 l.fall. IL XXXX.xx Perciò, il Tribunale adito ex art. 15 l.fall., pur non potendo - in assenza, nell’attuale testo novellato della legge fallimentare, di una disposizione simile a quella contenuta, prima delle riforme, nell’art. 160, comma 1, l.fall. - ritenere (anche temporaneamente) l’improcedibilità del giudizio di fallimento, potrà egualmente apprezzare la ricorrenza delle ragioni di opportunità per il differimento dell’udienza prefallimentare, valutando (anche sulla base della relazione dell’esperto) il contenuto della domanda di ammissione al concordato preventivo. È da opinarsi, inoltre, che, in siffatte ipotesi, in occasione dell’udienza ex art. 15 l.fall., non possa considerarsi praeter legem (e che, anzi, possa concorrere ad attuare il coordinamento auspicato dalla citata statuizione n. 3059/2011 della Suprema Corte) la prassi di riservare la decisione sulla domanda di fallimento, purché si abbia cura di sciogliere la riser...
IL XXXX.xx. In altri termini, l’ammissione alla procedura di concordato preventivo apre una fase giudiziale in cui - nell’attesa che il ceto creditorio si esprima sulla proposta di concordato - il debitore, che pur continua nel frattempo l’esercizio dell’impresa, è posto sotto la sorveglianza del commissario xxxxxxxxxx e del Tribunale, affinché la gestione da lui svolta non leda l’integrità del patrimonio posto a garanzia dei creditori. Tali previsioni inducono implicitamente a ritenere che, a seguito del provvedimento di ammissione al concordato preventivo ex art. 163 l.fall., il giudizio d’istruttoria prefallimentare diventi, in concreto, (temporaneamente) improcedibile, dovendosi sperimentare in linea prioritaria la procedura pattizia già ammessa, e potendosi soltanto successivamente (e su domanda dei soggetti legittimati) dichiarare il fallimento (ad esempio, oltre che nel citato caso della revoca ex art. 173, anche nell’ipotesi in cui il Tribunale, ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 180 l.fall., respinga il concordato). Ed ad eguale conclusione si deve, a maggior forza, pervenire allorché il concordato preventivo sia stato omologato dal Tribunale, fermo restando che la risoluzione del concordato per inadempimento, ovvero il suo annullamento, ai sensi dell’art. 186 l.fall., potrebbero aprire la strada - ma pur sempre su richiesta dei soggetti legittimati - ad un nuovo giudizio prefallimentare. La fattispecie oggi all’esame di questo Collegio, però, è caratterizzata dagli ulteriori, e senza dubbio peculiari, aspetti:
IL XXXX.xx. Né si dica che, ai sensi dell’art. 175, comma 2, l.fall. il debitore può modificare la proposta di concordato prima dell’inizio delle operazioni di voto. La replica, difatti, è fin troppo agevole: la proposta di concordato non può più essere modificata dopo l’inizio delle operazioni di voto sempre che la procedura di concordato sia in corso. Se vuole dire, cioè, che prima dell’inizio delle operazioni di voto la proposta concordataria può essere modificata sempre che non sia stato in precedenza (come nella specie) attivato il procedimento di revoca ex art. 173 l.fall. Ed invero, una volta attivato il procedimento ex art. 173 l.fall. la procedura di concordato entra in una fase di “limbo” durante la quale non possono essere invocate le norme che quella procedura caratterizzano. Del resto all’udienza del 24.10.2012, fissata per l’inizio delle operazioni di voto, il giudice delegato non ha aperto quelle operazioni proprio per consentire al debitore di (eventualmente) modificare la proposta nel senso auspicato dai commissari con la relazione ex art. 172 l.fall. del 20.10.2012. E sempre per consentire l’utile modifica della proposta concordataria, il decreto con cui il tribunale ha attivato la procedura ex art. 173 l.fall. è stato emesso ben sei giorni dopo l’udienza del 24.10.2012. Se, dunque, la “Farmacia Xxxxx Xxxxxx di Xxxxxxx Xxxxxxx s.a.s.” non ha modificato in tempo utile la proposta di concordato imputet sibi.
IL XXXX.xx. In tale evenienza, si registrerebbe la violazione di obblighi di informazione veridica del ceto creditorio che la legge pone in capo al proponente e ai professionisti che con lui collaborano nella stesura del piano. Detta violazione dovrebbe, pertanto, essere sanzionata con l’inammissibilità ex art. 162 l.fall., ovvero (come nella specie) con la revoca ex art. 173 l.fall. ovvero ancora con la risoluzione ex art. 186 l.fall., a seconda delle fasi della procedura. Tutto ciò premesso, osserva il tribunale che con il decreto del 30.10.2012 si è dato atto che i commissari non hanno potuto verificare l’attendibilità della stima dell’azienda farmacia “poiché non sono state consegnate ai Commissari le dichiarazioni dei redditi della società relative agli anni 2008, 2009 e 2010 e le scritture contabili relative agli anni precedenti, seppur richieste come da verbale redatto il 11/10/2012” (v. relazione depositata dai commissari il 25.10.2012)”. L’estimatore incaricato dalla debitrice ha allegato alle note autorizzate depositate il 21.11.2012 una integrazione di stima al fine di giustificare la disparità dei valori dell’azienda farmacia tra l’anno 2005 determinata in € 5.100.000,00 (come emerge dall’atto di cessione della quota dell’azienda pari ad 1/3 del valore di € 1.700.000,00 stipulato in data 09.07.2005) ed il valore attribuito alla medesima azienda alla data del 29.02.2012 per € 2.134.246,00.
IL XXXX.xx. La domanda di scioglimento appare accoglibile in quanto funzionale alla miglior regolazione della crisi, dovendo valutarsi prevalente rispetto all’interesse del promittente acquirente alla conclusione del contratto definitivo di compravendita, l’interesse dei creditori a che la società possa disporre in sede di liquidazione del bene oggetto del contratto indicato. L’interesse del promittente acquirente è sicuramente sacrificato, ma risulta pregiudicato dal concordato preventivo in misura comunque inferiore rispetto a quanto lo sarebbe dal fallimento in ragione dell’indennizzo che qui gli viene riconosciuto. Da ultimo, con riguardo all’indennizzo, va osservato che il medesimo è stato quantificato dalla società in €140.000 (centoquarantamila), corrispondente agli acconti complessivamente versati dal promittente acquirente, oltre ad un importo determinato in via equitativa pari a euro 30.000,00 (trentamila), somma già appostata nel piano di concordato tra le passività da soddisfare in via chirografaria. L’art.169 bis non prevede, diversamente da quanto disposto ad esempio dagli artt.79 e 80 l.f., che l’indennizzo sia determinato dal giudice quando autorizza lo scioglimento, per cui in questa sede viene unicamente riscontrato che l’indennizzo sia stato inserito nel piano e che il creditore sia stato qualificato tale, al pari degli altri creditori chirografari. Se permarrà contrasto in ordine al quantum dell’indennizzo ciascuna parte potrà chiederne la determinazione nell’ambito di un ordinario giudizio di cognizione.
IL XXXX.xx. I motivi vanno esaminati contestualmente in quanto tra loro connessi, avuto riguardo alle ragioni della decisione impugnata e, soprattutto, alla questione devoluta in secondo grado dagli appellanti, riguardante l'aleatorietà del contratto di mantenimento e non anche quella dell'obbligo assunto dai convenuti, in base alla donazione, di prestare assistenza alla de cuius. Va precisato sul punto che il giudice di prime cure aveva escluso che la vendita dissimulasse un contratto di mantenimento caratterizzato dall'elemento dell'alcatorietà, per difetto di causa, difettando, nei cessionari del bene, l'intenzione di adempiere la prestazione a loro carico e ravvisava, quindi, in una donazione il negozio dissimulato, inficiato da nullità perché privo dei requisiti formali di cui all'art. 782 c.c.. Orbene, la Corte territoriale, riformando tale statuizione, ha dato conto della sussistenza del requisito dell'aleatorietà, quale elemento essenziale del contratto di mantenimento, evidenziando che "mentre la necessità di assistenza in capo alla de cuius era già presente al momento della stipulazione del contratto di compravendita, la durata delle prestazioni a carico dei B. era sconosciuta (essendo legata alla durata della vita della F. )", né rilevava che, dopo due anni dall'evento lesivo del 1989, la F. avesse riacquistato le proprie funzionalità, in quanto tale recupero non era prevedibile al momento della stipulazione del contratto di mantenimento.
IL XXXX.xx. Ai sensi della disciplina così individuata (art. 2, comma 3 del citato d.m.) rientrano nel calcolo del TAEG “d) le spese per le assicurazioni o garanzie, imposte dal creditore, intese ad assicurargli il rimborso totale o parziale del credito in caso di morte, invalidità, infermità o disoccupazione del consumatore”. Sono invece esclude da tale calcolo “le spese per le assicurazioni o garanzie diverse da quelle di cui alla lettera d) del comma precedente.”
IL XXXX.xx. Nessuna evidenza, infatti, è stata fornita circa segnalazioni effettuate nelle centrali rischi private. La richiesta di esibizione del contratto sottoscritto dal cliente, invece, è stata soddisfatta dall’intermediario mediante la documentazione allegata alle controdeduzioni (ivi all. 1). Il Collegio, in parziale accoglimento del ricorso, accerta l’illegittimità della determinazione del TAEG nella parte in cui non considera il costo della polizza assicurativa “vita e infortuni” e per l’effetto dispone che l’intermediario restituisca al ricorrente l’eventuale eccedenza rispetto a quanto già pagato, previa rideterminazione degli importi dovuti. Rigetta nel resto. Dispone, inoltre, ai sensi della vigente normativa, che l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di Euro 200,00 (duecento/00) quale contributo alle spese della procedura e al ricorrente quella di Euro 20,00 (venti/00) quale rimborso della somma versata alla presentazione del ricorso.
IL XXXX.xx. La versione originaria del decreto indicava il 1° gennaio 2013 quale data a decorrere dalla quale scattava la riduzione imperativa dei canoni; nel corso dell’esame al Senato la scadenza è stata posticipata al 1 gennaio 2015 ed è stata inserita la disposizione volta ad anticipare alla data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto la riduzione imperativa dei canoni di locazione passiva nel caso di contratti scaduti o rinnovati dopo tale data. Firmato Da: XXXXX XXXXX Xxxxxx Da: Postecom CA2 Serial#: f0510 L’art. 24, comma quarto, del d.l. 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, recante Misure urgenti per la competitività e la giustizia sociale, al fine di razionalizzare il patrimonio pubblico e di ridurre i costi per le locazioni passive, ha poi anticipato alla data del 1 luglio 2014 la data di decorrenza della riduzione del canone nella misura del 15%. La disposizione in esame non specifica le modalità con le quali può essere esercitato il diritto di recesso né disciplina la decorrenza degli effetti della comunicazione. Vengono di seguito analizzate le differenti tesi proposte dalle parti in causa.