CASO Clausole campione

CASO. Il caso trae spunto da un contratto internazionale di appalto concluso da una società con sede in Francia ed una società con sede in Italia. Il contratto aveva ad oggetto la fornitura, da parte della società francese, di un impianto industriale per il riempimento di bombole metalliche con panna, destinato allo stabilimento di Marcianise della società italiana. L’impianto aveva manifestato sin dall’installazione e nelle prime fasi di utilizzo vizi e malfunzionamenti tali da rendere necessari numerosi interventi tecnici con conseguente interruzione della produzione e perdita di prodotti. La società italiana ha, pertanto, convenuto in giudizio la società francese avanti al Giudice italiano per chiedere il risarcimento dei danni conseguenti all’inadempimento delle obbligazioni derivanti dal contratto, quantificati in lire 580.000.000. Ha, inoltre, ritenuto applicabile la legge italiana. La società francese ha eccepito il difetto di giurisdizione del Giudice italiano, oltre all’applicazione della legge francese, stante la presenza di una clausola di scelta del Giudice francese, e della legge francese, contenuta nelle Condizioni generali allegate al contratto. Ha, poi, contestato la domanda anche nel merito. Il contratto, firmato dalle parti, era costituito da un unico documento di 41 pagine contenente una intestazione, un indice analitico (intitolato “Summary” e collocato all’inizio del contratto) contenente la lista dei capitoli costituenti il contratto e il contratto. Uno dei capitoli era rappresentato dalle condizioni generali di contratto della società francese (non firmate), intitolato “General terms and conditions of sale”, ed era riportato, dopo la firma delle parti, all’ultimo capitolo. Nell’ultima pagina di tale ultimo capitolo era riportata la clausola di scelta del foro competente e della legge applicabile, che così recitava: “Any dispute arising from the interpretation or execution of a sales contract or relating thereto, which cannot be settled amicably, shall be submitted of the Court of our Head Office. The agreements are governed by the law of France. The general terms and conditions of sales in French language is the sole authentic text”, ossia “Ogni controversia nascente dall’interpretazione o dall’esecuzione di un contratto di vendita o ad esso connessa che non possa essere composta in via amichevole dalle parti sarà sottoposta al Tribunale della nostra sede legale (vale a dire della società francese). Gli accordi sono regolati dal diritto fr...
CASO. E.E., creditore di una ASL, pignorava le disponibilità della stessa presso l’istituto tesoriere Banco di Napoli s.p.a. (oggi Intesa San Paolo s.p.a.). La banca dichiarava la sussistenza di un saldo attivo sul conto di tesoreria per oltre 17 milioni di Euro, limitandosi però a specificare che detta somma era già integralmente vincolata in virtù di precedenti pignoramenti e che dal momento del pignoramento non si erano verificate ulteriori disponibilità. Su tale dichiarazione sorgeva contestazione circa la completezza della stessa, in quanto la ASL non aveva indicato gli estremi dei precedenti pignoramenti, cosicché il giudice dell’esecuzione invitava espressamente la terza debitrice ad integrare la dichiarazione, fornendo le indicazioni mancanti (ivi inclusa l’esibizione delle scritture contabili) ed avvisandola che, in mancanza, avrebbe considerato verificati gli effetti di cui all’art. 548, co. 2, c.p.c. e, quindi, avrebbe considerato la dichiarazione come implicitamente positiva. La banca non provvedeva ad integrare la dichiarazione e così il giudice dell’esecuzione disponeva l’assegnazione delle somme pignorate. L’istituto tesoriere impugnava l’ordinanza di assegnazione ex art. 617 c.p.c. e l’opposizione era accolta dal Tribunale di Torre Annunziata. Il creditore ricorreva, pertanto, in cassazione sulla base di tre motivi. Prima della data fissata per l’udienza, si costituivano gli eredi di E.E. in seguito al suo decesso dopo la proposizione del ricorso. La ASL intimata non svolgeva attività difensiva.
CASO. Il caso in esame è estremamente specifico ed il principio di diritto affermato dalla Suprema Corte va circoscritto, nella sua applicazione, all’ambito che viene, di seguito, enunciato. Un allevatore proponeva, nei confronti di una ASL, domanda di risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’illegittimo ordine di abbattimento di alcuni capi di bestiame.Le sue pretese venivano accolte dal Tribunale, nonostante le contestazioni della convenuta, che si era costituita a ministero di un avvocato interno, domiciliato, ai fini del giudizio, presso la sede dell’Ente. La sentenza di primo grado veniva notificata all’ASL in quella stessa sede, senza che fosse indicato il nominativo del difensore che aveva rappresentato l’ente in primo grado. In particolare, la relazione di notificazione dichiarava che la sentenza veniva notificata all’ASL soccombente, domiciliata in … (luogo nel contempo sede istituzionale della P.A. e domicilio eletto dal suo difensore nel precedente grado di giudizio). Poiché era già decorso il termine breve (di 30 giorni), l’appello dell’ASL veniva dichiarato inammissibile, in quanto tardivo. La Corte d’Appello riteneva, infatti, che la notifica della sentenza, eseguita con le modalità descritte, fosse pienamente valida e che l’ASL avrebbe dovuto impugnarla nel termine breve previsto dall’art. 325 c.p.c. Il mancato rispetto di tale termine determinava la tardività del gravame e, quindi, la sua inammissibilità. L’Ente pubblico ricorreva in cassazione, la quale si è pronunciata a Sezioni Unite, risolvendo il contrasto giurisprudenziale sulle due seguenti questioni:
CASO. Il provvedimento in esame è stato pronunciato all’interno di un contenzioso tributario che ha visto l’Agenzia delle Entrate soccombente sia avanti alla Commissione Tributaria Provinciale che Regionale. Tale controversia è stata introdotta mediante ricorso avverso avvisi di accertamento IVA ed IRES proposto da un soggetto responsabile in solido con la società Alfa per il pagamento di dette imposte. In particolare, nel proporre ricorso, il contribuente ha sostenuto che nulla era da lui dovuto, avendo egli beneficiato degli effetti esdebitatori derivanti dal concordato fallimentare concluso, ex artt. 124 s. L.fall., dalla Società Alfa con i suoi creditori e omologato dal Giudice. Il ricorso è stato accolto dalla Commissione Tributaria Provinciale. L’Agenzia delle Entrate ha successivamente deciso di appellare la pronuncia di primo grado avanti alla Commissione Tributaria Regionale. Anche quest’ultima, però, con pronuncia favorevole al ricorrente, ha rigettato l’appello promosso dall’Agenzia delle Entrate sostenendo che: i) l’appellante avesse fondato la sua impugnazione sull’art. 184 L.fall., norma operante in materia di concordato preventivo. La sentenza di primo grado della Commissione Tributaria Provinciale era invece incentrata sul fatto che tra la società fallita ed i suoi creditori era intercorso un concordato fallimentare ex artt. 124 s. L.fall., ipotesi distinta, pertanto, dal contesto di applicabilità dell’invocato art. 184 L.fall.; inoltre ii) il concordato fallimentare, stipulato tra le parti ed omologato dal Giudice, avrebbe determinato una remissione parziale dei debiti d’imposta per gli importi oggetto di falcidia concordataria, liberando così non solo la società debitrice, ma anche i relativi coobbligati. A fronte della pronuncia di secondo grado, l’Agenzia delle Entrate si è vista costretta a proporre ricorso avanti alla Corte di Cassazione sulla base di due diversi motivi di impugnazione. Con il primo motivo l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto di aver invocato solo erroneamente in sede d’appello la norma di cui all’art. 184 L.fall., essendo evidente dal tenore dell’atto di gravame il reale riferimento all’art. 135 L.fall., norma che pone in ambito di concordato fallimentare una disciplina analoga e sovrapponibile a quella dettata dall’art. 184 L.fall. in materia di concordato preventivo. Inoltre, con il secondo motivo di impugnazione, l’Agenzia delle Entrate ha affermato che, proprio in ragione della disciplina dettata dall’art. 135 L.fall.,...
CASO. Il caso in oggetto ha origine da un’intimazione di sfratto per morosità nei confronti del conduttore di immobile adibito ad uso abitativo derivante dal mancato pagamento di una mensilità (agosto 2012) il quale inizialmente si oppone all’intimazione, deducendo difetto di legittimazione passiva, nullità e inefficacia del contratto per il periodo anteriore alla sua registrazione, in particolare la morosità indicata; tuttavia in seguito al rinvio dell’udienza per pendenza di trattative e con salvezza di ogni diritto, rinuncia all’opposizione, invoca termine di grazia, che poi non rispetta e quindi rimane soggetto alla convalida. Il conduttore interpone appello alla convalida di sfratto ed anche il giudice del secondo grado, conferma l’ordinanza-intervenuta risoluzione del contratto e rigetta l’impugnazione.
CASO. A seguito della morte del de cuius, la moglie pagava le rate di un finanziamento (del quale erano condebitori entrambi i coniugi) mediante la provvista ricavata dal denaro presente su un conto corrente bancario cointestato tra loro, fino ad azzerarne la giacenza. I creditori del de cuius, riscontrando l’insufficienza del patrimonio del debitore defunto per soddisfare le loro ragioni, aggrediscono i beni della moglie, procedendo ad una esecuzione forzata immobiliare. In particolare una società creditrice ha chiesto al tribunale di prime cure di far dichiarare l’intervenuta accettazione tacita dell’eredità, al fine di poter tutelare i propri diritti in sede di esecuzione immobiliare; la moglie, chiamata all’eredità, ha chiesto il rigetto della domanda. Il tribunale di Varese, aderendo alla prospettazione difensiva, ha rigettato la domanda, e in tal senso si è pronunciata, in seconde cure, anche la Corte d’Appello di Milano. Avverso tale ultima decisione la società attrice ha proposto ricorso in Cassazione. Il ricorso era fondato sul presunto “omesso esame di un fatto decisivo del giudizio” e cioè la mancata considerazione del fatto che i prelievi della moglie avevano di fatto azzerato il conto corrente, così attingendo anche alla quota del 50% del denaro che si doveva presumere di spettanza del de cuius.
CASO. Il ricorrente, già dipendente di Alfa s.r.l., otteneva dal Tribunale del Lavoro di Oristano decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo ex art. 642 c.p.c. per il pagamento delle competenze vantate nei confronti della società. Il decreto ingiuntivo era stato opposto dalla società, ma la causa di opposizione era stata cancellata dal ruolo per inattività delle parti. Il ricorrente pertanto chiedeva, con il predetto titolo monitorio, al Tribunale di Oristano l’ammissione in via privilegiata al fallimento di Alfa s.r.l., proponendo opposizione allo stato passivo avverso il decreto di rigetto emesso dal giudice delegato del fallimento. Il Tribunale aveva infatti ritenuto che la mancanza di un’espressa dichiarazione di estinzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sarebbe stata impeditiva del giudicato, con conseguente difetto di un valido titolo per l’insinuazione al passivo fallimentare, in mancanza di altre prove del credito vantato verso la società fallita. Infatti e nel merito il Tribunale aveva ritenuto mancante la prova del credito vantato dal ricorrente, che aveva allegato unicamente le scritture contabili della società fallita, esplicanti i loro effetti, ai sensi dell’art. 2709 c.c., solo inter partes, ma non anche nei confronti dei terzi, tra cui rientrava il curatore fallimentare, quale rappresentante della massa dei creditori, pur subentrato nella gestione del patrimonio della fallita. Il creditore impugnava il decreto di rigetto dell’opposizione allo stato passivo.
CASO. Il debitore nei cui confronti era stata avviata l’esecuzione forzata di obblighi di fare interponeva opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso a favore del creditore procedente ai sensi dell’art. 614 c.p.c. per il rimborso delle spese sostenute fino a quel momento. Tra i motivi di opposizione, veniva addotto anche quello che faceva leva sul fatto che, dapprima, l’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado in forza della quale era stata promossa l’esecuzione era stata sospesa in sede di appello e che, xxxxxx, il titolo esecutivo era venuto definitivamente meno, essendo stata l’originaria domanda rigettata all’esito del giudizio di rinvio disposto a seguito della cassazione della pronuncia di appello. L’opposizione al decreto ingiuntivo veniva, tuttavia, respinta tanto in primo quanto in secondo grado, assumendosi che le vicende del titolo esecutivo non influivano sulla sussistenza del credito per spese di esecuzione già sostenute dal procedente. Il debitore, quindi, proponeva ricorso per cassazione, sostenendo che l’effetto espansivo attribuibile alla sentenza che aveva determinato la caducazione del titolo esecutivo era idoneo a travolgere anche il decreto ingiuntivo che aveva per oggetto le spese sostenute nell’esecuzione promossa in forza di detto titolo esecutivo.
CASO. [1, 2] Una società per azioni proponeva al Tribunale di Xxxxxx domanda di concordato in bianco ai sensi dell’art. 161, comma 4, l. fall. cui faceva seguito il decreto di accoglimento. Prima della scadenza del termine fissato dal giudice per la presentazione della proposta, del piano e della documentazione prescritta dai commi secondo e terzo dell’art. 161 l. fall., la società ammessa alla procedura concorsuale formulava istanza di sospensione di alcuni contratti pendenti. A sostegno della istanza la ricorrente deduceva l’antieconomicità e l’assenza di funzionalità dei contratti rispetto al piano concordatario e, sotto il profilo del periculum in mora, prospettava la maturazione di cospicui debiti in prededuzione nell’ipotesi di mancata sospensione durante la pendenza del termine di cui all’art. 161, comma 4, l.fall. Poiché il pericolo si prospettava anche in relazione ai tempi di celebrazione dell’udienza di comparizione delle parti, l’istante chiedeva che la sospensione fosse autorizzata con provvedimento inaudita altera parte .
CASO. Nel 2006 e nel 2011 Tizia stipula con la società Alfa due contratti di assicurazione sulla vita a favore di terzi, rispettivamente dell’importo di 15.000 euro e di 60.000 euro, indicando come beneficiari «gli eredi legittimi dell’assicurato in parti uguali». Al momento del decesso, avvenuto nel 2012, Xxxxx non lascia ascendenti, discendenti diretti, né germa- ni viventi. Xxxxxx, un fratello era deceduto nel 1977, lasciando una figlia, e un altro fratello era trapassato nel 2006, senza prole; una sorella era deceduta nel 2012, lasciando cinque figli, e un’altra nel 2002, la- sciando due figlie, Xxxx e Xxxxxxxxx, l’ultima delle quali era poi deceduta un anno più tardi, lasciando a sua volta un’unica figlia, Xxxxx (1). Al tempo del de- cesso, Xxxxx aveva perciò sette nipoti (tra loro primi cugini in quanto figli di fratelli e sorelle premorti alla stipulante e dunque suoi parenti in linea collaterale * Contributo pubblicato all’esito di valutazione. ** Professore associato di Diritto privato, Università di Padova, xxxxxxxx.xxxxxxxxx@xxxxx.xx.