Common use of Introduzione Clause in Contracts

Introduzione. La saga dei contratti derivati continua e si arricchisce di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratti.

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Introduzione. La saga dei contratti derivati continua e si arricchisce Il sistema spagnolo offre, senza ombra di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazionedubbio, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto spunti interessanti per lo studioso italiano. Mentre Infatti, sia in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)passato, che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano sia più di recente riscoprire i contratti speculativi recente, autorevole dottrina ha rilevato come la disciplina iberica in materia di arbitrato (come un privatista britannico li definirebbee, verrebbe da dire, di arbitraggio) nella loro essenza e perspicuità. D’altro cantosia stata oggetto di un'evoluzione, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un solo interessante dal punto di vista economicogiuridico, assumono ogni giorno i banchieri ma anche singolare e curiosa, con riguardo in particolare alla “storia” di alcuni fenomeni riconducibili a quegl'istituti che stipulano derivatinel sistema italiano sono l'arbitrato libero (o irrituale) e l'arbitraggio141. In Anche in Spagna, poi, lo studio delle ipotesi d'incarico a soggetti terzi per comporre una lite ovvero integrare un rapporto giuridico ha portato all'emersione del problema concernente l'inquadramento di fattispecie accostabili alla nostra perizia contrattuale, lasciando a disposizione del giurista, in ordine ad esse, contributi - di matrice sia giurisprudenziale, sia dottrinale - di notevole interesse. D'altro canto l'interesse è reciproco. Xxxxxx, in particolare la dottrina spagnola spesso prende spunto da quella italiana, o comunque si può serenamente affermare che nei suoi studi di rado mancano riferimenti a contributi della nostra dottrina. Insomma, a sommesso avviso di chi scrive si tratta di due ordinamenti, per così dire, vicini, sicché conoscere più a fondo, non solo le norme, ma anche le idee e le tesi propugnate in tale scenariocontesto, può consentire di meglio comprendere istituti e discipline vigenti nel nostro sistema. Con il presente contributo cerca di chiarirecapitolo, in primo luogoparticolare, il dictum oggetto ci si propone di controversiafornire, la in poche pagine, una ricostruzione degl'istituti che entrano in gioco e a cui narrativa viene ripercorsa si è 141 SCHIZZEROTTO, Arbitrato improprio e analizzataarbitaggio, nelle sue implicazioni dogmaticheMilano, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo1967, inquadra6 ss.; XXXXXXXXX, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Courtfatto cenno, con sede a Londral'obiettivo, nell’ordinamento giudiziario inglesese possibile, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di dar loro una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattiprecisa collocazione sistematica.

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Samples: iris.luiss.it, core.ac.uk

Introduzione. La saga dei contratti derivati continua e si arricchisce di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, Con il presente contributo cerca documento la Lega Italiana Calcio Professionistico (di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli seguito governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High CourtLega Pro”), con sede a Londrain Firenze, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court via Xxxxxx xx Xxxxxxxx n. 19 (di seguito anche Lega Pro), in conformità alla disciplina predisposta dal decreto legislativo 9 gennaio 2008, n. 9 (di seguito: HCDecreto”1) e nel rispetto delle Linee Guida approvate dall’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni con delibera n. 385/20/CONS del 6 agosto 2020 e dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con provvedimento n. SR36 del 4 agosto 2020 (di seguito: “Linee Guida”), nella controversia offre in esamevia non esclusiva agli operatori della comunicazione interessati il pacchetto di diritti audiovisivi a pagamento denominato “Pacchetto Dirette 21-22”, va ridimensionatacome descritto in dettaglio nell’Allegato 2, a maggior ragione se si considera i cui diritti sono esercitabili nel territorio italiano nel corso della stagione sportiva 2021/2022. Il Pacchetto Dirette 21-22 consente la trasmissione delle Gare oggetto del Pacchetto attraverso le sole modalità A Pagamento e in Pay-per-View, come in seguito descritte, e mediante le piattaforme digitale terrestre, satellitare, piattaforma cavo e, nei limiti di quanto previsto nell’Allegato 2, piattaforma internet. La decisione di confezionare il fatto che Pacchetto nei termini di cui all’Allegato 2 è stata assunta dalla Lega Pro in considerazione delle piattaforme e modalità trasmissive dei pacchetti già offerti al mercato e del canale di proprietà su Internet, nell’ottica di fornire così al mercato un’offerta completa relativamente alle piattaforme trasmissive più diffuse per la distribuzione e fruizione dei contenuti sportivi. Gli operatori della comunicazione interessati possono acquisire il decisum finale non dice nulla Pacchetto Dirette 21-22 purché siano in possesso del titolo abilitativo di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato cui all’art. 7 lett. a) delle Linee Guida. Al fine di ottenere l’assegnazione del common law. Fatta questa precisazionePacchetto Dirette 21-22, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) l’operatore della comunicazione interessato e due istituti di credito italianiin possesso dei requisiti richiesti è tenuto ad inviare alla Lega Pro, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione qualunque momento nel corso della presente Stagione Sportiva 2021/2022, l’Accordo di Licenza (di cui agli Allegati 1 e 2) sottoscritto ad accettazione delle condizioni normative ed economiche previste nello stesso Accordo di Licenza e nei suoi allegati, nonché secondo le previsioni del foro ingleseDecreto e delle Linee Guida. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto L’assegnazione del Pacchetto Dirette 21-22 si perfeziona al momento del successivo riscontro da parte della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattiLega Pro.

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Samples: Accordo Di Licenza – Pacchetto Dirette 21 22

Introduzione. La saga L‟analisi della disciplina positiva della certificazione dei contratti derivati continua di lavoro che ci accingiamo ad affrontare verrà idealmente suddivisa, per comodità di esposizione, in due distinti momenti, cui corrispondono altrettanti capitoli; il primo attinente alla regolamentazione dell‟istituto sul piano sostanziale, il secondo dedicato invece al rapporto fra certificazione e si arricchisce giurisdizione. Si tratta peraltro, è bene avvisare fin da subito, di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazioneuna suddivisione solo tendenziale che - se pur non estemporanea, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesirispondente a ben precise esigenze espositive -, non può tuttavia disconoscere come, in merito virtù dell‟intimo legame sussistente fra i diversi piani di intervento della certificazione, la comprensione degli aspetti legati all‟uno implichi inevitabilmente il frequente rinvio ai profili connessi all‟altro, secondo un intreccio che costringerà, a volte, ad anticipare argomenti approfonditi in un contratto momento successivo, altre volte, invece, a richiamare temi già sviluppati. Svolta questa premessa e iniziando dunque a portare l‟attenzione sul piano dei rapporti sostanziali, riteniamo utile, sempre in via introduttiva, esplicitare lo schema espositivo che si è inteso seguire, per la comprensione del quale è necessario riprendere una notazione metodologica già operata in precedenza. Si tratta, in particolare, della evidenziata1 necessità di diritto italianoenucleare e trattare separatamente le singole rationes dell‟istituto, o meglio, gli strumenti tecnico- giuridici con i quali il legislatore ha inteso perseguire - nel contesto delle più ampie finalità dell‟intera riforma Biagi indicate nell‟art. Mentre 1 - il fine della deflazione del contenzioso in Italia e in una parte materia di qualificazione dei contratti di lavoro, di cui all‟art. 75 del d.lgs. n. 276/2003. A tale scopo, si è ritenuto di poter esaminare separatamente le tre principali funzioni della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)certificazione2, che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionalecosì come emerse nell‟ambito del dibattito dottrinale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionalecorrispondono altrettante diverse modalità di intervento - e relativi strumenti tecnico-giuridici - finalizzate alla deflazione del contenzioso3. Si tratta della funzione “qualificatoria”, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto della funzione di “public policydisponibilità assistita”, dunque i limiti nonché della funzione di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni“derogabilità assistita”, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiariredelle quali si verificherà, in primo luogo, il dictum oggetto l‟effettiva sussistenza, quindi la portata e le modalità operative. Particolare attenzione e, inevitabilmente, maggiore spazio, verranno tuttavia dedicati alla finalità qualificatoria, unanimemente riconosciuta come la finalità che caratterizza l‟istituto - nella sua attuale configurazione positiva - e ne modella la struttura di controversiabase4. L‟esame di questa ci permetterà quindi di prendere in considerazione, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatichedi volta in volta, anche alcune ulteriori funzioni attribuite alla certificazione, fra le quali peculiare rilievo assume l‟attività di assistenza e consulenza prestata dalle commissioni di certificazione alle parti che, come si vedrà, a nostro avviso non può ritenersi disgiunta dall‟attività qualificatoria, ma ne costituisce, al contrario, parte integrante ed essenziale. Quasi a chiusura del cerchio aperto con la menzionata nota metodologica, l‟analisi condotta lungo le tre direttrici indicate avrà, in una prospettiva comparativa. In secondo luogofine, inquadra, da un come punto di vista sistematicoriferimento imprescindibile il costante riscontro dell‟effettiva idoneità dell‟istituto al perseguimento - e prima ancora della compatibilità con - la finalità deflattiva, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratti.ma

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Introduzione. In questo scritto tratto di due temi collegati. Il primo è quello della legge ateniese, in cui era stabilito che, in materia di contratti tra privati, ciò che i soggetti avessero fatto oggetto dell’atto di ὁμολογεῖν (letteralmente “dire la stessa cosa”) doveva essere considerato κύριος. Ci si può riferire1 a questo principio come al principio della “ὁμολογία κυρία,” benché tale sintagma non si trovasse probabilmente nel testo della legge.2 Sull’interpretazione della legge sussistono nella dottrina moderna profonde diversità di vedute, che mi sembra autorizzino un nuovo esame della materia. Preciso che in due fonti, [Dem.] 56.2 e Plato Symp. 196c, si parla di “leggi” sulla ὁμολογία, al plurale. Come tenterò di dimostrare più innanzi,3 è mia opinione che sia stata approvata ad Atene in un primo tempo una legge “generale,”4 che affermò il principio per cui nei contratti tra privati la ὁμολογία era riconosciuta come κυρία. Successivamente, un’altra legge probabilmente precisò e limitò la portata di tale norma. La saga dei legge “generale” sarà quella cui d’ora innanzi farò esclusivo riferimento, salvo che non specifichi diversamente. La legge sulla ὁμολογία κυρία deve essere a mio avviso studiata in connessione con il tema che nei sistemi di civil law è indicato con l’espressione di “vizi della volontà” nei contratti derivati continua (errore, violenza, dolo, cui si deve aggiungere l’incapacità di intendere e si arricchisce di volere di un nuovo episodio: soggetto al momento dell’atto). Alcuni studiosi moderni ∗ Il testo che qui pubblico è una versione italiana ampliata della relazione da me presentata in inglese al Symposion 2013 presso la Harvard Law School. Ringrazio tutti i derivati con colleghi che parteciparono alla intensa discussione che seguì la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito mia esposizione. Ringrazio anche i colleghi che mi hanno messo a un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)disposizione loro lavori non ancora pubblicati, che a chi scrive, dalla terra appaiono in bibliografia come “in corso di Albione, appaiono oscure, circa stampa” e il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una bancamio respondent Xxxxxx Xxxxxxx, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, tempo che ha reso più ardua giuridicamente dedicato a discutere con me su numerosi punti della mia trattazione e per i preziosi consigli che mi ha dato. È prevedibile che la possibilità per un ente pubblico ὁμολογία ateniese non mancherà di stipulare tali contratticontinuare ad attirare nel futuro l’attenzione degli storici del diritto greco.

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Introduzione. Lo “Smart Working”, o come definito nella nostra legislazione, il “Lavoro agile”, è una modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato stabilita mediante accordo tra le parti senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, pensata allo scopo di incrementare la produttività e agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Nel nostro paese è stata finora una modalità di lavoro poco utilizzata, mentre in altri paesi lo è stata molto di più. Tra le cause citiamo l’arretratezza tecnologica ma anche quella culturale. Trattasi di una modalità richiesta in particolare dai cosiddetti millenials. La saga dei contratti derivati continua pandemia dovuta al Covid19 ha prepotentemente fatto sì che questa modalità di lavoro, sconosciuta ai più, divenisse la condizione di lavoro che permetteva di salvaguardare la salute, grazie al distacco dal luogo di lavoro abituale. Le statistiche riportano i seguenti dati: situazione pre-covid 570.000 ca smart workers; in-covid 6/mln ca di Smart Workers: 10 volte tanto!!! In realtà, se andiamo a vedere come esattamente è stata fornita la prestazione di lavoro da casa di questi milioni di lavoratori/lavoratrici agili, risulta evidente che quello che è stato adottato NON è stato uno Smart Working (e si arricchisce di nemmeno un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theoriestelelavoro), che bensì un trasferimento a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una bancacasa, per quanto possibile e attuabile stante le risorse e le strumentazioni disponibili, del lavoro d’ufficio o in taluni casi della formazione. Di fatto si è trattato di una forma di lavoro a distanza deregolamentata, o meglio in deroga alla normativa esistente (vedi DPCM emanati in fase emergenziale). Si può anche affermare che il lavoro da casa in tempo di pandemia, sia stato più un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici elemento di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico protezione che non conosce di conciliazione. Non si tratta di una mera velleità linguistica il distinguere lo S.W. dal telelavoro e dal lavoro da casa: non sono la causa stessa cosa, né sono tipologie di lavoro; sono modalità diverse di esecuzione del contrattolavoro che hanno un riferimento normativo distinto, ma tra le quali lo SW è solo la più recente ed è su questa che comunque conosce concentriamo il concetto nostro lavoro. L’Osservatorio del Politecnico di Milano definisce lo S.W. come public policyuna nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati. Come FISAC CGIL pensiamo che lo Smart Working in questa fase straordinaria abbia consentito di salvare molte vite nel nostro Paese. Né secondarie sono apparse le ricadute positive sull’ambiente, dunque dovute alla minore mobilità, ed i limiti miglioramenti nella conciliazione dei tempi di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizionivita-lavoro delle persone. Xxxx abbiamo fatto a spingere affinché si arrivasse al maggior numero possibile di postazioni di lavoro non in ufficio durante la recente emergenza e questo, parlare nella prima fase emergenziale e di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce paura del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglesecontagio, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque stato apprezzato dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) gran parte delle lavoratrici e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattidei lavoratori.

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Introduzione. La saga dei Nel sistema giuridico di Common Law, le varie tipologie di contratti derivati continua e assunsero una loro connotazione autonoma prima ancora che si arricchisce ren - desse necessaria la costruzione di un nuovo episodio: i derivati una teoria generale. Tale considera- zione ci induce a ravvisare alcuni punti di convergenza con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesiil sistema di Civil Law, in particolare con il diritto italiano che, seppur condizio- nato dalle affascinanti costruzioni teoriche della pandettistica tedesca del XIX secolo in materia di negozio giuridico, ha sempre concentrato la sua attenzione sui principi che sono alla base del contratto. Pertanto è in questa direzione che è possibile identificare un relativo punto in comune tra il nostro sistema e quello di Common Law in merito a all’am- bito dei contratti. Infatti, un contratto ulteriore rilievo che dal punto di diritto vista sto- rico permette una sorta di parallelismo riguarda il tema della standardiz- zazione di alcune figure tipiche contrattuali che contraddistinguono sia il sistema inglese che quello italiano. Mentre A tal proposito va rilevato che dal XIV secolo in Italia e poi, quando nasce il sistema di Equity, con le corti del Chancellorci si è orientati verso una puntuale valutazione degli interes- si in una parte gioco: attraverso il remedy della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa specific performance1 è stato possi- bile incidere sensibilmente sull’esecuzione del contratto, ma che comunque conosce il concetto apportando alcune modifiche in materia di “public policy”, dunque i limiti clausole penali e di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da vizi della volontà. Da un punto di vista economicoterminologico, assumono ogni giorno i banchieri vale la pena di concentrare l’at - tenzione su alcune definizioni, in particolare il concetto di contract va tenuto distinto sia da quello di promise, che stipulano derivatirisulta essere una dichia- razione di voler assumere un obbligo, che da quello di agreement, che va identificato con l’accordo inteso come elemento fondamentale ma che non può coincidere tout court con il concetto di contract. In Altre riflessioni riguardano il concetto di bargain, che è un tale scenarioaccordo tra due parti in base al quale entrambe offrono una reciproca prestazione, ed ancora il covenant, che equivale ad un patto contraddistinto da un certo grado di solennità a cui può seguire, nella presente disamina, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, termine deed che è un atto pubblico caratterizzato anch’esso da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratti.alto

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Introduzione. Nel trattare i temi oggetto di questo elaborato è indubbiamente necessario, al fine di renderlo agevolmente comprensibile, definire il termine “concertazione” e farlo appare congruo partendo dalla treccani che la definisce perfettamente rispetto al significato che assumerà, o, per meglio dire, darò al termine nel corso dei capitoli che seguiranno: La saga concertazione, dunque, appare come un elemento di spicco dal momento che a partire dal primo capitolo della tesi tenderò a concentrarmi sulla libertà di stabilimento, che il TFUE garantisce attribuendole addirittura funzione di prim’ordine tra le libertà fondamentali tutelate dallo stesso Trattato, per proseguire, nel secondo capitolo della tesi, con una trattazione approfondita della libera prestazione di servizi, disciplinata anche in questo caso dal TFUE, ed alla stregua delle altre libertà fondamentali che il Trattato concretamente istituisce seppur concede a questa un valore meramente residuale poiché, appunto, almeno secondo il legislatore europeo, diretta conseguenza delle altre, che, per chiarezza, sono la libertà di stabilimento, la libera circolazione delle merci, la libera circolazione dei capitali e, come detto poco sopra, la libera prestazione di servizi. Infine, per tornare alla centralità della concertazione e, forse più in generale dei contratti derivati continua di lavoro subordinato, il terzo capitolo è dedicato alla causa che ha visto protagonista la compagnia area Ryanair Ltd. ed alcuni suoi dipendenti, per la precisione personale della compagni che abitualmente ha svolto la sua professione in Belgio e nello specifico presso l’aeroporto di Charleroi, contrattualizzati secondo le norme di diritto del lavoro vigenti in Irlanda e compressivi dei diritti che invece sarebbero spettati loro se, come poi confermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, fossero stati contrattualizzati secondo la normativa vigente nel luogo dove hanno abitualmente svolto la loro attività ossia, come detto, in Belgio. Dunque la concertazione, l’efficacia dei contratti collettivi e, più in generale della contrattazione in materia di Diritto del Lavoro assumono un valore di primo piano all’interno dell’elaborato dal momento che l’intrecciarsi della disciplina di diritto del lavoro e le libertà fondamentali istituite dalle norme in vigore hanno spinto negli anni, ed attraverso numerose modifiche apportate tramite direttive e regolamenti, tra i quali cito ora, per rilevanza e perché spesso si arricchisce di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazioneincontreranno nel coso della trattazione, il Regolamento CE 38/2004 e la causa Direttiva CE 71/1996, hanno spinto il legislatore europeo a trovare soluzioni che potessero integrare e rendere il più omogenei possibili, non i mercati del lavoro dei derivati analizzata dai giudici inglesisingoli Stati membri e la disciplina che il legislatore nazionale, al quale viene quindi limitata la sovranità, detta al fine di disciplinarli, ma i singoli individui, garantendo loro uniformità di trattamento non in quanto lavoratori subordinati ed ai quali viene regolato il rapporto in essere in base ad un contratto e ad una disciplina che il legislatore ha pensato e regolato, ma per il semplice fatto di essere cittadini di uno degli Stati membri. Il legislatore, prima comunitario ed ora dell’Unione, ha dunque ragionato ad una serie di norme, come poco sopra accennato, idonee a rendere ogni cittadino di ogni Paese membro dell’Unione Europea cittadino dell’Unione. Gli sforzi che sono stati fatti in merito sono risultati evidenti e la disciplina attualmente in vigore ne è la testimonianza, sebbene tutto ciò appaia evidente, un vero e proprio tentativo di instituire una cittadinanza europea è stato fatto, senza che tuttavia giungesse, il progetto, a termine ed i successivi tentativi di disciplina abbiano, in merito a ultimo, condotto ad una disciplina unanime e condivisa, tanto da far ritenere un contratto passaggio successivo, o almeno un progetto momentaneamente accantonato, quello di diritto italianoinstituire una vera e propria cittadinanza europea. Mentre Nonostante gli intoppi susseguitisi nel corso del tempo e che hanno reso impraticabile la soluzione sopra e che ho ritenuto opportuno analizzare con più attenzione nel primo capitolo, ha dapprima, lo stesso legislatore europeo, fornito, tramite appunto la stesura di Regolamenti e Direttive, una serie di strumenti volti alla garanzia di alcuni diritti che, come anticipato e come più approfonditamente si vedrà nei capitoli successivi, semplificano ai cittadini degli Stati Membri la possibilità di stabilirsi acquisendo, al raggiungimento di determinati requisiti, la cittadinanza degli Stati Membri nei quali si svolge la propria attività lavorativa purché, chiaramente vengano rispettati i requisiti o i presupposti che pocanzi ho citato e che sono riferiti per la maggior parte al periodo di permanenza e di carattere economico, e, più precisamente un’indipendenza di carattere economico e previdenziale per se e la propria famiglia, nella misura in Italia e in una parte cui, ovviamente, dovesse seguire il prestatore di lavoro nello svolgimento della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)professione in uno Stato membro e terzo rispetto a quello di origine al fine talvolta di acquisirne persino la cittadinanza. Nel secondo capitolo della tesi il tema centrale e sul quale concentro la mia attenzione riguarda invece la libera prestazione di servizi, che a chi scrivela quale, dalla terra come accennato nelle righe precedenti, risulta avere un’importanza di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contrattoassoluto valore, ma viene regolata da una normativa che comunque conosce il concetto viene considerata residuale, poiché, come accennato anche nel caso di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematicospecie, la disciplina in tema questione non è da considerarsi autonoma ed indipendente in quanto frutto delle norme che il legislatore europeo ha posto in essere in relazione alle altre libertà fondamentali, può, quindi, la disciplina in questione essere considerata solo residuale. Nonostante, almeno a livello formale, la libera prestazione dei servizi è disciplinata solo sommariamente, il legislatore della Comunità prima, e dell’Unione poi hanno dedicato a questo principio una copiosa normativa, regolata peraltro da Regolamenti e Direttive e quindi da fonti primarie e dotate di derivaticonsiderevole valore, inclusi volte per lo più ad equilibrare e, soprattutto equiparare, la figura del lavoratore subordinato cittadino dello Stato presso il quale abitualmente svolge la propria professione a quella del cittadino di uno Stato membro dell’Unione ma terzo rispetto a quello, appunto, nel quale abitualmente svolge la propria professione, tale tentativo ha avuto nel corso del tempo lo scopo, senza dubbio, di porre i lavoratori dei Paesi membri ma terzi ad avere gli stessi diritti e doveri dei cittadini dello stato in cui effettivamente svolgono abitualmente la loro professione. La libera prestazione di servizi tra i Paesi Membri dell’Unione Europea ha, peraltro, subito delle modifiche, seppur lievi, tra gli stessi Paesi degli Stati Membri ed il Regno Unito a seguito del referendum sulla “Brexit” ed il successivo trattato negoziato tra le parti al fine di regolare i rapporti commerciali e di scambio, tema, questo, che verrà più approfonditamente analizzato nel corso del secondo capitolo. Per finire, il terzo capitolo del presente elaborato, si concentra per lo più sulla contrattazione e sulla concreta applicazione che le direttive e i regolamenti e le direttive dell’Unione sono preposte a rappresentare in applicazione di quelli controversi con che sono i principi, come il caso della libertà di stabilimento e libera prestazione dei servizi, e si occupa di relazionare, in modo particolare il caso dei dipendenti di Ryanair e come nei loro confronti la pubblica amministrazioneCorte Di Giustizia dell’Unione Europea si sia pronunciata favorevolmente rispetto la loro richiesta di ottenere maggiori diritti, quella italianatutele e garanzie. Da Lo scopo dell’elaborato è quindi, prevalentemente, quello di fornire un quadro generale rispetto i principi forniti innanzitutto dal TFUE ed in secondo luogo di analizzare criticamente come il legislatore europeo abbia posto in essere le basi, per poi svilupparle, al fine, appunto, di applicare i principi dei trattati ed in ultimo, evidenzia, alla luce ma non in ordine di importanza analizzare all’interno dello stesso elaborato dei casi concreti idonei a chiarire e spiegare le scelte del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattilegislatore stesso.

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Introduzione. La saga dei contratti derivati continua Il contratto di apprendistato, da sempre collegato al mondo giovanile, è un istituto giuridico che affonda le radici nell'antichità ed ha attraversato diversi periodi storici fino ai nostri giorni, trasformandosi radicalmente. Dal semplice e familiare rapporto all'interno della bottega artigiana, la sorte dell'apprendista si arricchisce è legata sempre più alle fabbriche ed agli “esperti” lavoratori qualificati. Uno spostamento del luogo di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesilavoro che, in merito realtà, cela una modifica radicale della causa del contratto. Interrogarsi sul futuro delle nuove generazioni è oggi improcrastinabile, vista la profonda crisi economico finanziaria che ne offusca l'avvenire. Dietro ad un semplice numero, come può essere quello dell'ISTAT sulla disoccupazione giovanile nel mese di agosto 2013 (40,1 per cento), si nasconde la responsabilità di tutti coloro che interagendo con il mondo del lavoro, ne hanno riscritto le regole in maniera erronea oppure non le hanno adattate per i tempi a venire. Nel nostro Paese si è persa di vista una disposizione intangibile del sistema giuridico: l'art. 4 della Costituzione, il diritto al lavoro. Nella definizione del Testo Unico del 2011 (“l'apprendistato è un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia lavoro a tempo indeterminato finalizzato alla formazione e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)occupazione dei giovani”) sono contenuti i due principali obiettivi, occupazione e formazione, che a devono ogni giorno trovare riscontro nella realtà. Il contratto di apprendistato può diventare per i giovani il principale canale di accesso al mondo del lavoro, inoltre un uso corretto dello stesso negozio permetterebbe anche l'elevazione professionale dell'apprendista, migliorandone la competitività nel mercato del lavoro. Il presente elaborato ripercorre, per sommi capi, l'evoluzione dell'istituto dal periodo medioevale sino al Testo Unico del 2011, mettendo in evidenza gli interventi che, ad avviso di chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa hanno modificato profondamente il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi contratto. La questione della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato è analizzata ponendo a confronto le varie tesi dottrinali e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile considerando i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicantediversi filoni giurisprudenziali. La High Courtriforma del 2011 è dettagliatamente riportata e commentata, con sede a Londraparticolare attenzione alla disamina delle tre principali tipologie di apprendistato. Molte questioni marginali sono trattate en passant. La disciplina italiana, nell’ordinamento giudiziario ingleseinoltre, sull'apprendistato è soltanto un giudice confrontata con quella di primo gradoaltri Paesi europei al fine di mutuarne i pregi. Malgrado La parte finale dell'elaborato è dedicata alla crisi occupazionale giovanile nella Provincia di Massa Carrara: come il nome (Alta Corte) sia evocativo contratto di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera apprendistato interagisce negativamente con il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato mercato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattilavoro.

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Introduzione. La saga dei contratti derivati continua Acquista qui xxxxxx, alla divergenza di vedute che tuttora sussiste in merito alla nozione di corrispettività quale presupposto che li accomuna e ne determina l’ambito di applicazione. A complicare ulteriormente le cose contribuisce il riferimento di parte della dottrina ad un’ulteriore no- zione — quella di interdipendenza — « che, già considerata quale sinonimo di corrispettività, si arricchisce vorrebbe invece a questa contrapporre allo scopo di allargare il campo di applicazione dell’eccezione di inadempimento ». Al problema del senso da attribuire al concetto di corrispettività si aggiunge, dunque, « quello del significato di un’inter- dipendenza, cui si tenta di attribuire la funzione di chiave di lettura “espansiva” di un nuovo episodioriferimento normativo (art. 1460: i derivati “Nei contratti con prestazioni corrispettive” ecc.) altrimenti implicante una sorta di deli- mitazione aprioristica di ordine tassativo in ordine all’ambito di ope- ratività dell’exceptio, tale da provocare — una volta identificata la pubblica amministrazionecategoria logico-dommatica della corrispettività — l’esclusione delle ipotesi nelle quali tale schema non ricorra » (3). Quanto ai contratti reali, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, è sufficiente porre mente alla diatriba sorta nel secolo scorso in merito a un contratto di diritto italianotale categoria. Mentre Con riferimento alla quale, in Italia e in una parte della sua dottrina estrema sintesi, si alimentano teorie (o conspiracy theories), può ricordare che a chi scrivenega la stessa configurabilità e autonomia concettuale dei contratti reali rispetto a quelli consensuali (4) si contrappone chi si colloca quale suo convinto assertore, dalla terra facendo notare come in tali fattispecie la « datio rei non parrebbe rappresentare (come nei contratti consensuali ad efficacia obbligatoria, tra i quali, altrimenti, esse andrebbero ricondotte) il momento esecutivo di Albioneun’obbligazione (di consegnare) derivante dal puro e semplice scambio dei consensi quale elemento necessario (ma anche sufficiente) ai fini della conclusione del contratto e fonte di tale obbligazione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito bensì un quid attinente alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionalestruttura stessa dell’atto, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una bancadal mutuo, per un derivato stipulato ultra virespassare, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i poi, all’estimatorio e, infine, ai restanti contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattireali menzio- nati.

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Introduzione. La saga dei contratti derivati continua Il presente lavoro si colloca in un’area idealmente definita dall’intersezione di filosofia del diritto, filosofia della mente e si arricchisce filosofia del linguaggio: la sua finalità complessiva è la rivisitazione e approfondimento della teoria istituzionalistica del diritto, il suo rapporto con le principali correnti giusfilosofiche e, segnatamente, il ruolo che in essa assumono le dimensioni della discorsività, dell’argomentazione e della giustificazione. Le tesi istituzionalistiche vengono fatte oggetto di rilettura all’interno di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)quadro teorico per molti versi eclettico, che a chi scrivetrae nutrimento, appunto, dalla terra filosofia del diritto, dalla filosofia del linguaggio e della mente, con diversi punti di Albionecontatto con le teorie di matrice sociologica sul proprium dell’organizzazione umana. Il fulcro, appaiono oscuretuttavia, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi è nella esplorazione delle possibilità di una ricostruzione del fenomeno giuridico nei termini della causa razionaleteoria dell’interpretazione intenzionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionaledell’azione intenzionale e dei sistemi intenzionali, in realtà pare nonché della teoria del linguaggio sviluppata da Xxxxxx Xxxxxxx, tenendo fermo, come postulato fondamentale imprescindibile, un quadro ontologico che, nelle nel rifiuto di strategie riduzionistiche, conferisca piena dignità alla sfera del normativo, colto sia nella dimensione discorsiva della prassi linguistica sia nella realtà delle istituzioni – complesso intreccio di fatto, norma, azione e tempo, ossia storia. Ed è attraverso questo percorso, che ci si è sforzati di rendere il più recenti elaborazionipossibile lineare e verificabile, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato che potrà proporsi una analisi dei rapporti tra diritto e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra morale che tenga conto dei modi in cui la capacity. Più di cinque lustri or sonorazionalità, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivatiattraverso i meccanismi dell’intenzionalità, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; si esplica in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversiarapporto agli enti sociali, la cui narrativa viene ripercorsa possibilità di esistenza dipende dal discorso e analizzatadalla responsabilità, nelle sue implicazioni dogmatichein senso lato normativa, dei partecipanti al game of giving and asking for reasons, ed, ancora prima, dalla intenzionalità originaria localizzata nella comunità, che sembrerebbe rinviare ad una forma di hegelismo. Quanto alla struttura della tesi, essa è suddivisa in due macrosezioni, articolate in quattro e cinque capitoli rispettivamente, oltre ad un epilogo in cui saranno rassegnate le conclusioni. Nella prima parte, “Linguaggio, Intenzionalità E Diritto: Materiali Concettuali E Prospettive di Analisi”, vengono poste le premesse di metodo e teoriche per poter procedere alla rilettura della teoria istituzionalistica del diritto, oggetto della seconda parte, “Ripensare Il Neoistituzionalismo”. Il primo capitolo affronta questioni di portata generale concernenti i rapporti tra diritto e linguaggio, traendo spunto dai contributi più recenti sul tema ed esponendo sinteticamente i capisaldi dell’approccio analitico, ermeneutico e pragmatista, nonché, più diffusamente, della teoria del discorso, con lo scopo non solo di effettuare una utile ricognizione delle opzioni in campo, ma anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogodi acquisire strumenti, inquadratesi e argomenti, da un punto di vista sistematicoutilizzare nel corso del lavoro, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi affinché questo possa svolgersi con la pubblica amministrazione, quella italianamaggiore consapevolezza teorica. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratti.Il capitolo prosegue

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Introduzione. “Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima… Al di sopra di questa folla, vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro sorti. Provvede alla loro sicurezza, ai loro bisogni, facilita i loro piaceri, dirige gli affari, le industrie, regola le successioni, divide le eredità: non toglierebbe forse loro anche la forza di vivere e di pensare?" (A. de Toqueville1). La saga dinamica dei contratti derivati continua rapporti pubblico/privato si spiega oggi in tutta la sua complessità e trova riscontro in ogni ambito del diritto. La Suprema Corte di Cassazione ha recentemente osservato che oggi “pubblico e privato si arricchisce di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesiintrecciano secondo sequenze non consuete”2. Allo studioso del diritto privato, in merito particolare, non può sfuggire come la sorte del contratto e di altri istituti ontologicamente e sociologicamente privatistici (dalla concorrenza sleale alla tutela dei segni distintivi e delle privative industriali) si trovi oggi a dover fare i conti con un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia ruolo sempre più crescente e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionaleincisivo del potere pubblico ed, in realtà pare cheparticolare, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacitycd. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, authorities. Che sia in corso una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto sorta di “public policy”ritorno al pubblico” o comunque un processo di “amministrativizzazione” di alcune parti sostanziali del diritto privato, dunque pare dato innegabile. Sono sempre più numerosi infatti i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizionisettori dell’attività economica, parlare di causa razionale 1 X. XX XXXXXXXXXX, Scritti, note e causa non razionale appare un azzardodiscorsi politici 1839-1852. Bollati Xxxxxxxxxxx, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante0000. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice citazione prende spunto dalla relazione introduttiva tenuta del XXXX. XXXXXXX XXXXXXXX in occasione del convegno milanese sulle “Pratiche commerciali scorrette” organizzato dal Sispi (Società italiana per lo studio della proprietà industriale) nei giorni 11-12 giugno 2010 presso l’aula magna dell’università Bocconi di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattiMilano.

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Introduzione. La saga dei contratti derivati continua Le presenti Linee Guida (d’ora in poi, le “Linee Guida”), applicabili agli Incaricati alla Vendite a Domicilio di Kyäni Italia Srl, sono parte integrante e si arricchisce sostanziale del contratto sottoscritto dai medesimi (di seguito, anche il “Contratto”) e stabiliscono i criteri e le pratiche commerciali ai quali gli Incaricati alle Vendite a Domicilio (d’ora in poi, l’“Incaricato” o gli “Incaricati”) devono attenersi sia nei propri rapporti con Kyani Italia Srl, così come con gli altri Incaricati di Kyani Italia Srl ed i consumatori finali. L’Incaricato, con la sottoscrizione del Contratto, dichiara di conoscere integralmente i contenuti delle presenti Linee Guida, fermo restando che, in caso di domande sulle stesse, l’Incaricato dovrà contattare lo staff del Servizio Clienti Kyäni. volta e comunicata da Kyani Italia Srl (d’ora in poi: “Kyani” o l’“Azienda”) sono –come detto- parte integrante e sostanziale del contratto tra l’Incaricato e l’Azienda. Le violazioni delle Linee Guida costituiscono violazione del Contratto da parte l’Incaricato Kyäni, di talché quest’ultima potrà decidere di intraprendere nei confronti dell’Incaricato le azioni quivi indicate, compresa la risoluzione del Contratto stesso. Di seguito viene indicato con il termine “Contratto” l’insieme degli obblighi reciproci tra Kyani e l’Incaricato, come indicati nel “Contratto di Nomina ad Incaricato”. È responsabilità di ogni Incaricato rispettare la versione più aggiornata delle Linee Guida adottate da Kyani. L’Incaricato che presenta un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court Incaricato (di seguito indicato anche come HCSponsor), nella controversia in esame, va ridimensionata, ) illustra e aiuta a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italianicomprendere le Linee Guida a quest’ultimo dipendono, in relazione ultima analisi, anche dalla condotta dei singoli individui/Incaricati, che promuovono la vendita dei prodotti ai consumatori finali. Gli Incaricati Kyani, come detto, sono indipendenti, dispongono quindi di autonomia decisionale circa l’organizzazione e lo svolgimento della propria attività, determinandone gli orari ed i metodi a un contratto derivato per propria discrezione. Kyäni si riserva comunque il quale era stata stabilita diritto di proteggere la giurisdizione del foro inglese. Più nello specificopropria immagine, i derivati marchi, i prodotti ed il proprio modello aziendale e commerciale, fissando – tra le altre- le modalità e le condizioni generali di vendita applicabili agli Incaricati; le Linee Guida sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”state realizzate ed adottate da Kyani proprio a tale scopo. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabileLo ripetiamo, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in necessario che Lei si attenga, oltre che a quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007stabilito nel Contratto da Lei sottoscritto, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattianche alle Linee Guida.

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Introduzione. La saga 1. Una figura contrattuale ha di recente trovato ingresso nell’ordinamento positivo, individuata sul piano normativo prima ancora di assumere specifica concretezza sul piano dell’esperienza degli affari. Al fine della corretta intelligenza del contratto di rete merita osservare come non sia certo la prima volta che viene dettata la disciplina di un contratto nuovo rispetto a quelli presenti nel disegno del codice ed anzi come negli anni più recenti il fenomeno sia divenuto quasi ricorrente, ma che in questo caso l’intervento legislativo assume una valenza affatto particolare, in quanto la legge ne ha dettato una minuziosa disciplina senza che l’operazione economica per suo tramite realizzata avesse in precedenza acquistato chiari tratti di tipicità sociale. In tale prospettiva, la curiosità dell’interprete rispetto al contratto di rete è ulteriormente sollecitata, dovendo esaminare una disciplina affatto partico- lare giacché in larga misura priva di quel riscontro fattuale invece presente in altre occasioni quando, come ad esempio per il contratto di subfornitura indu- striale, la diffusione della prassi negoziale aveva giustificato l’opportunità, se non la necessità, di una regolamentazione legale. Per meglio cogliere i requisiti ed i caratteri del contratto di rete è allora necessario ricordare brevemente il significato di precedenti episodi legislativi che pure hanno avuto ad oggetto contratti d’impresa, contratti cioè esclusiva- mente funzionali all’attività imprenditoriale. Il riferimento è, ovviamente, alla legge del 18 giugno 1998, n. 192, recante la disciplina del contratto di subfor- nitura, ed alla successiva legge 6 maggio 2004, n. 129, riguardante il contratto di affiliazione commerciale. In entrambi gli episodi normativi è, infatti, possibile rilevare alcune costanti che connotano la disciplina dettata per le figure contrattuali che ne sono og- getto, seguendo i medesimi caratteri. In entrambi si muove dalla definizione del contratto; in entrambi il contratto ha quale parte necessaria soggetti che rive- stono la qualità di imprenditore; in entrambi la disciplina esprime un’esigenza di tutela affidata a regole in larga misura analoghe, là dove stabiliscono una forma necessaria, ovvero dettano contenuti imperativi, o ancora prescrivono la nullità delle clausole difformi dal precetto legale. Tecnica legislativa, questa, mutuata dalla disciplina dei contratti derivati continua del consumatore, tale da indurre alcuni interpreti a prospettare la configurabilità di una sorta di “terzo contratto”, da porre accanto alla figura generale del contratto disciplinata nel Codice civile ed al contratto del consumatore, ormai ospitato nel Codice ad hoc, che condividerebbe con que- st’ultima figura il connotato del contratto “asimmetrico”. XII INTRODUZIONEqui Non è certo possibile ripercorrere, qui e nel dettaglio, i singoli contenuti normativi dei contratti ora brevemente richiamati, ma è certo rispetto a questo quadro normativo che si arricchisce di un nuovo episodio: i derivati con colloca la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un vicenda legislativa del contratto di diritto italianorete, caratterizzata tuttavia da alcune, significative differenziazioni. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)Per meglio com- prenderle, che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico volume contiene un’indagine che non conosce la causa si riduce al mero commento delle singole proposizioni normative, ma si svolge seguendo una struttura arti- colata, della quale è opportuno dar conto. L’analisi muove dalla considerazione del contratto, ma che comunque conosce il concetto individuandone i tratti caratterizzanti ed eventuali, per poi approfondire ulteriormente l’esame e quindi riguardare la vicenda negoziale da molteplici angoli prospettici e alla luce di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, discipline specialistiche la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto esperienza arricchisce i motivi di vista sistematico, la disciplina in tema interesse per l’operazione economica sottesa al contratto di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattirete.

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Samples: Contratto Di Rete Di Impresequi

Introduzione. La saga Il presente documento si propone di facilitare la lettura dei contratti derivati continua collettivi nazionali di lavoro vigenti relativi al personale del comparto università, offrendone una visione unitaria e si arricchisce sistematica. Esso è stato redatto attraverso la collazione del XXXX 0000-0000, sottoscritto in data 16/10/2008 ed, a seguire, del CCNL biennio economico 2008-2009, sottoscritto in data 12/03/2009, raccolti all’interno di uno schema unitario per favorire una più agevole consultazione. Si precisa che il XXXX 0000-0000, sottoscritto in data 16/10/2008, ha riunificato tutti i testi contrattuali relativi a complessivi dodici accordi, tra CCNL, interpretazioni autentiche e accordi successivi relativi ad articoli di contratto, sottoscritti, tra il 1996 ed il 2006, tra l’Aran e le organizzazioni sindacali rappresentative del comparto delle università. Nel testo i commi o gli articoli non più efficaci, a seguito di sopravvenute disposizioni legislative o superati dalle norme contrattuali del CCNL successivo, sono stati racchiusi in parentesi quadre. Il presente documento, comunque, rappresenta un nuovo episodiotesto meramente compilativo che, non avendo carattere negoziale, non può avere alcun effetto né abrogativo, né sostitutivo delle clausole vigenti, le quali prevalgono in caso di discordanza. La riproduzione dei testi, forniti nel formato elettronico, è consentita purché ne sia menzionata la fonte ed il carattere gratuito. L’Aran non è responsabile di eventuali errori o imprecisioni, nonché di danni conseguenti ad azioni o determinazioni assunte in base alla consultazione della stessa. Il presente CCNL contiene l’accordo per il quadriennio normativo 2006-2009 e le disposizioni di carattere economico per il biennio 2006-2007. Esso riordina e presenta in modo sistematico ed unitario anche tutte le disposizioni di fonte negoziale riferibili a contratti, accordi o interpretazioni autentiche fin qui intervenuti tra l’ARAN e le Organizzazioni sindacali di comparto. Tuttavia, dette norme non sempre sono citate esplicitamente nel presente contratto o perché assorbite o perché superate da disposizioni successive. Sono qui riunificati i seguenti testi contrattuali: i derivati con la pubblica amministrazioneCCNL quadriennio 1994-1997 e I biennio economico 21.5.1996; 1994-1995, firmato il CCNL II biennio economico 1996-1997, firmato il 5.9.1996; CCNL quadriennio 1998-2001 e I biennio economico 9.8.2000; 1998-1999, firmato il CCNL II biennio economico 2000-2001, firmato il 13.5.2003; CCNL quadriennio 2002-2005 e I biennio economico 2002-2003, firmato il 27.1.2005; CCNL II biennio economico 2004-2005, firmato il 28.03.2006; Interpretazione autentica degli artt. 59, c. 1, e 56 del CCNL 1998-2001, firmata il 13.01.2005; Interpretazione autentica dell’art. 63, del CCNL 9.8.2000, firmata il 15.11.2006; Interpretazione autentica dell’art. 74, del CCNL 9.8.2000, firmata il 22.05.2003; Interpretazione autentica dell’art. 74, comma 4, del CCNL 9.8.2000, firmata il 22.05.2003; Accordo successivo relativo all’art. 19 del CCNL 1994-97, firmato il 23.04.97; Accordo successivo relativo all’art. 51 del CCNL 1998-2001, firmato il 9.10.2001. I predetti contratti e accordi sono entrati in vigore il giorno della firma, salvo particolari decorrenze indicate da singoli articoli e cessano di avere ogni efficacia dal giorno della firma definitiva del presente CCNL 2006/2009, fatte salve la causa validità e l’efficacia dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto italianoconnessi contratti integrativi. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), Le disposizioni contrattuali che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevataseguono, pertanto, per importanza sistemicariportano tutte le norme di fonte negoziale vigenti, sia che si tratti di nuove che di precedenti, queste ultime modificate o meno. Sotto la decisione assunta dunque dalla High Court (titolazione di seguito anche “HC”)ciascun articolo sono riportate, nella controversia in esametra parentesi, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto le precedenti fonti negoziali da cui discende la disposizione contrattuale. Nel presente testo contrattuale sono stati aggiornati tutti i riferimenti al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. costd.lgs. n. 1/201229/1993, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratticontenuti in precedenti accordi contrattuali, ai corrispondenti articoli del d.lgs. n.165/2001. La presente premessa fa parte integrante del CCNL qui sottoscritto dalle parti.

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Introduzione. Nel presente lavoro mi occuperò della nuova disciplina delle convivenze, con particolare riguardo al contratto di convivenza. Com’è noto, nel maggio 2016, a seguito di un dibattito più che decennale e ad imitazione di quanto già avvenuto in numerosi altri Paesi occidentali, il legislatore italiano è intervenuto in maniera profonda sull’assetto del diritto di famiglia, disciplinando con una legge organica due modelli familiari rimasti finora in secondo piano nel panorama legislativo italiano: la famiglia same-sex e la famiglia di fatto. Com’è evidente, si tratta di due fenomeni diversi, ma che sono stati accomunati - nella ratio della nuova legge - dall’intento di offrire una regolamentazione più compiuta a modelli familiari diversi dal matrimonio, in modo tale da offrire ingresso “ufficiale” - nel nostro ordinamento - ad un quadro di chiaro pluralismo della famiglia. La saga disciplina del rapporto di convivenza, in particolare, è rimasta inizialmente in secondo piano nel dibattito mediatico, in quanto la portata innovatrice della legge (n. 76/2016), ovvero la parte dedicata al riconoscimento dei contratti derivati continua diritti delle coppie omosessuali, ha catturato una maggiore attenzione e messo in secondo piano la percezione del passo - altrettanto innovativo - compiuto dal legislatore italiano, con riferimento alle convivenze. Sebbene non si arricchisce possa non tener conto del clamore venutosi a creare con la scelta di rendere finalmente effettivi i diritti delle coppie omosessuali - che secondo la legislazione italiana non erano ancora stati riconosciuti -, di altrettanta importanza è stata la regolamentazione delle convivenze di fatto. Pur a fronte di numerose pronunce giurisprudenziali che riguardavano i conviventi, infatti, fino al 2016 non vi era una compiuta regolamentazione normativa delle convivenze, nonostante si tratti di fenomeno dalla portata assai ampia, dato che esso riguarda tutte le coppie, senza distinzioni di genere. La disciplina dettata dal legislatore oggi si applica a coloro che - vivendo una relazione di coppia cd. more uxorio - non formalizzano il loro rapporto in un vincolo matrimoniale o di unione civile e, pertanto, sia a coppie eterosessuali che a coppie dello stesso sesso. La tesi verterà dunque sulla spiegazione della parte di legge riguardante le convivenze nella sua totalità, partendo dalle motivazioni per cui questa legge ha una valenza specifica, passando per la travagliata storia che ha portato alla legiferazione in materia, avendo cura di esporre il nuovo strumento del contratto di convivenza, diritti e obblighi spettanti ai conviventi, approfondimenti sulle ambiguità insite nei vari commi della legge e un’ultima visione d’insieme per fissare dei limiti entro cui il contratto di convivenza ha valore e dove invece esclude il suo raggio d’azione, per cercare di rendere più comprensibile una disciplina nuova ma che dalla dottrina è considerata troppo spesso interpretabile in modi diversi e quindi non totalmente chiara. Del resto, a seguito dell’entrata in vigore della nuova legge, la dottrina italiana si è già diffusamente dedicata a sciogliere le non poche ambiguità che il testo legislativo presenta. Spesso le opzioni dottrinali sono condizionate da un’impostazione “ideologica” degli autori, che paiono dividersi quasi in due fazioni: quelli maggiormente inclini a valorizzare la rigida impostazione costituzionale dell’art. 29, che lega indissolubilmente famiglia e matrimonio (“La famiglia è la società naturale fondata sul matrimonio”), con la conseguenza di sminuire il rilievo sistematico dei nuovi istituti; dall’altra parte coloro che, anche sulla base di numerose pronunce delle corti europee e forti di un tessuto comparatistico assai più evoluto, ritengono che la nuova legge segni un passaggio fondamentale, quasi di sacralizzazione delle nuove strutture familiari, non più relegate ai margini del diritto di famiglia italiano. Sebbene appaiano, a mio avviso, molto più moderne e convincenti le posizioni di questi ultimi, la mia tesi si limiterà, per ovvie ragioni, ad un lavoro di “esegesi” del testo della legge, ed in particolare della sua seconda parte, nel tentativo di illustrare le modalità attraverso le quali due conviventi – cui già la legge attribuisce diritti ed obblighi per il solo fatto di convivere – possano ulteriormente allargare convenzionalmente la disciplina dei propri rapporti, attraverso il contratto di convivenza. Quest’ultimo rappresenta, dunque, il momento in cui l’autonomia negoziale entra in modo dirompente nel diritto di famiglia, poiché alla volontà delle parti è dato oggi – e riconosciuto per legge – il potere di regolare in profondità i loro rapporti (sia pure limitatamente alla sfera patrimoniale e con varie limitazioni che verranno analizzate). Solo la prassi e il tempo potrà, però, dirci se lo strumento che il legislatore ha disciplinato riuscirà a divenire socialmente tipico, dopo essere stato tipizzato dalla legge. Attraverso la legge denominata “Regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze” – legge 20.5.2016 n.76 - lo Stato Italiano riconosce, per la prima volta in maniera organica, forme di famiglia diverse da quella tradizionale fondata sul matrimonio1. Le due nuove discipline che vengono prospettate dalla legge riguardano le unioni civili e le convivenze di fatto, secondo una logica differenziale che garantisce alle prime un’importanza maggiore rispetto alle seconde: i commi dedicati alle unioni civili infatti regolamentano l’unione di due persone dello stesso sesso, mentre la seconda parte della legge disciplina le coppie costituite da due persone – siano loro eterosessuali o omosessuali - che decidano di condividere la vita in comune e a cui viene data ora la possibilità di regolare la loro vita insieme attraverso la formalizzazione di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un specifico negozio giuridico quale è il “contratto di diritto italianoconvivenza”. Mentre L’attenzione dei mezzi di comunicazione è stata attratta fin da subito dai temi relativi alla legislazione concernente le persone omosessuali, se non altro per la portata storica della concessione dei diritti fino ad ora non riconosciuti ai soggetti che decidono di trascorrere la propria vita insieme ad una persona dello stesso sesso; è stata invece valutata in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)tono minore, che presumibilmente a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle degli effetti giuridici più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematicoattenuati ad essa connessi, la disciplina della convivenza al di fuori di un matrimonio o di un’unione civile, nonostante la sua rilevanza di fatto data dalla scelta sempre crescente della convivenza come organizzazione di modello familiare.2 La legge - chiamata anche Legge Cirinnà dal cognome della deputata prima firmataria del relativo disegno di legge - consta di un solo articolo suddiviso in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, 69 commi: dai commi 1 a 35 si lascia spazio alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specificodisciplina riguardante le unioni civili, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratti.commi da 36 a 65 regolano invece

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Introduzione. La saga dei contratti derivati continua Dopo aver esaminato quali potessero essere le tipologie di vizi che, inficiando la corretta formazione del consenso, possano causare l’annullamento del negozio giuridico (in questa Rivista), in questo “pezzo” si esaminerà l’azione di annullamento (disciplinata dagli artt. 1441 e ss. del Codice civile) e della convalida (art. 1444 cc.). Adottando lo stesso modus operandi del precedente articolo, si arricchisce cercheranno di portare all’attenzione del lettore i profili più interessanti dell’annullamento, lungi dal voler fornire una trattazione completa dell’istituto (per la quale si rimanda alla manualistica citata nelle note). E’ noto all’operatore del diritto che per ottenere l’annullamento di un nuovo episodiocontratto è necessario proporre opportuna domanda giudiziale: se accolta, ad essa seguirà sentenza costitutiva volta alla modifica della posizione delle parti[1]. Va da sé che non sarà possibile un accertamento d’ufficio da parte del giudice. È altresì noto (e lapalissianamente evidente dalla norma codicistica) che tale azione di annullamento sia relativa, quindi proponibile soltanto da coloro che vantino uno specifico interesse sostanziale e processuale, individuato ex lege, con rare deroghe a favore dell’assolutezza della stessa (come nei casi dell’interdizione legale[2]). Questa deroga, tuttavia, pone l’interrogativo sull’accostabilità di tale tipologia di annullabilità alla nullità del negozio giuridico. Secondo Xxxxxx[3], la distinzione tra le due forme di invalidità deve anche in questo caso specifico essere mantenuta, in virtù del fatto che comunque prima dell’annullamento il negozio giuridico (od il contratto) avrà comunque una sua efficacia provvisoria, eventualmente convalidabile[4]. Per quanto concerne invece l’interdetto giudiziale, la riflessione è più complicata: l’art. 1441 cc. va coordinato, infatti, con l’art. 427, comma secondo, del Codice, secondo il quale tale azione può essere proposta dall’interdetto stesso, dai suoi eredi o aventi causa[5] oppure dal tutore legale[6]. Manca, invece, in tale norma un riferimento ai soggetti legittimati per i derivati contratti stipulati dal soggetto minore. È evidente che a tale vacatio legis dovrà necessariamente far fronte l’attività interpretativa dell’operatore del diritto. In tutti i casi sopra descritti, tuttavia, dovrà comunque (per esigenze di tutela del soggetto incapace) essere previsto l’intervento del rappresentante legale oppure di un protutore. E’ utile precisare che l’incapacità legale rileva in sé, cioè come qualcosa di sussistente a prescindere dal concreto pregiudizio che la parte interdetta giudizialmente (o minore d’età) possa aver patito. E’ quindi ininfluente che un soggetto interdetto per motivi inerenti la sua salute mentale abbia avuto un momento di “lucidità”: per l’ordinamento, la parte terza avente causa, ad esempio, avrebbe potuto informarsi presso gli uffici competenti dello stato civile[7] e non l’ha fatto a causa della sua negligenza e quindi non merita alcuna tutela[8]. Differentemente opera il meccanismo dell’incapacità naturale o, il che è lo stesso, dell’incapacità di fatto. In questo caso avremo un soggetto la cui incapacità di intendere e volere non è stata accertata con sentenza (e quindi non annotata in alcun pubblico registro): in tal caso, di conseguenza, ritorna in auge la tutela dello stipulante contrattuale il quale, se in buona fede, potrà contare sulla validità del vincolo contrattuale; al contrario, se il soggetto contraente era a conoscenza dell’incapacità naturale della parte, allora il contratto potrà essere annullato[9]. L’annullamento della sentenza produrrà inevitabilmente delle conseguenze sia per le parti che per i terzi. Lungi da noi voler fornire un’inutile replica di quanto già ampiamente affrontato nelle aule universitarie: vogliamo soltanto segnalare, in questa sede, i profili di maggior interesse. Per quanto riguarda l’efficacia della sentenza tra le parti, possiamo dire che l’annullamento del contratto avrà effetto retroattivo implicando il ripristino della situazione ex ante rispetto al negozio annullato[10]. Esso comporterà l’obbligo per le parti di restituire le prestazioni già eseguite secondo le norme dell’indebito oggettivo[11]. Discorso diverso (e più ricco di intersezioni con altri istituti del diritto civile, come la trascrizione) per quanto concerne gli effetti dell’annullamento del contratto rispetto ai terzi. Qui si tratta di tutelare soggetti aventi causa di una delle parti che hanno acquisito, o contano di acquisire, una res od una prestazione in virtù del contratto che ritengono valido ed efficace. Ecco perché l’art. 1445 cc. esplicitamente afferma che l’annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda. Le implicazioni poste da tale norma sono chiare: il terzo soggetto che, ad esempio, avesse acquistato in buona fede un’immobile già oggetto di compravendita in un contratto stipulato dalle parti, non potrà vedersi opposta la sentenza costitutiva di annullamento, a salvaguardia del suo acquisto. Tuttavia, nel caso in cui, ex. art 2656, n.6, del Codice, tale soggetto avesse trascritto il suo titolo posteriormente alla trascrizione della domanda giudiziale volta all’annullamento del contratto, allora egli non potrà più ritenersi “al sicuro”. Discende da tale norma che nel momento in cui la domanda giudiziale sarà trascritta cinque anni dopo la trascrizione del contratto invalido, i terzi soggetti che avranno acquisito un diritto anche a titolo gratuito, vedranno anche in tal caso salvaguardato il loro diritto, purché tale trascrizione fosse comunque anteriore alla trascrizione della domanda giudiziale. La salvaguardia del terzo, però, non sarà operante nel momento in cui l’annullamento è dovuto ad incapacità legale di una delle parti: in questo caso prevarrà sempre la tutela del soggetto incapace. Laddove i soggetti deputati alla proposizione della domanda di annullamento avessero interesse a convalidare l’atto, potrebbero porre in essere la convalida negoziale (art. 1444 cc.), un atto unilaterale non recettizio[12]. Essa può essere espressa o tacita, ma in ogni caso manifesta la volontà della parte di voler far sì che gli effetti del negozio annullabile non vadano ad essere caducati ma “resistono” all’interno dell’ordinamento. Secondo alcuni autori, la convalida altro non è che una rinunzia all’azione di annullamento (un “non agire”, in poche parole); altri al contrario sostengono sia un atto sostanzialmente “positivo”. Ad esempio, il Xxxxxxx ritiene che la convalida rappresenti una determinazione in senso affermativo pendente sulle sorte del negozio annullabile, una cancellazione del vizio che lo affliggeva[13]. Ancora, altra autorevole dottrina (Xxxxxx) sostiene come la convalida sia un negozio accessorio, o di secondo grado[14]. Vogliamo in questa sede mostrare ai nostri lettori un’interessante caso enucleato dalla giurisprudenza: la sentenza della Suprema Corte n. 18502 del 26 ottobre 2012. In tale caso di specie un locatore conveniva in giudizio una società locataria e la conduttrice del proprio immobile chiedendo la risoluzione del contratto di locazione a causa di alcuni canoni non pagati dalla convenuta. Tal parte chiedeva invece l’annullamento del contratto (in riconvenzionale) per dolo del locatore o per errore essenziale e riconoscibile della conduttrice. Essa, difatti, aveva rifiutato di pagare i canoni dovuti con la pubblica amministrazionemotivazione che le era stato taciuto che l’immobile fosse soggetto ad espropriazione forzata con correlata inopponibilità della locazione. La parte convenuta aveva chiesto alla parte attrice di eliminare tale rischio e quest’ultima aveva interpretato tale comportamento come una surrettizia volontà di convalidare il contratto. Inizialmente il giudice di merito accolse le richieste attorali, e mentre la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesiCassazione stravolse tale impianto decisorio: in effetti, un conto è voler dare esecuzione al contratto così com’è (se ad esempio la conduttrice fosse stata d’accordo con l’eventuale cessazione del suo rapporto di locazione in merito seguito ad aggiudicazione dell’immobile); altro discorso è chiedere la rimozione di quello che è comunque un vulnus del contratto. Talché la S.C. ha enucleato la seguente massima: “La convalida tacita del contratto, di cui all'art. 1444 comma 2 c.c., non è integrata dalla mera richiesta, formulata dalla parte che avrebbe titolo a un contratto domandare l'annullamento, di diritto italianoeliminazione della situazione costituente l'oggetto del vizio del suo consenso”[15]. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)[1] Cfr. C.M. Xxxxxx, Diritto Civile, Vol. 3, II ediz., Xxxxxxx 2000, pag. 670. [2] Si ricorda, infatti, che l’interdizione legale rappresenta una sanzione e non un istituto a tutela di un soggetto cd. debole, di talché il soggetto interdetto legalmente subirà l’ulteriore penalizzazione di vedere il proprio contratto annullabile su domanda di qualsivoglia soggetto dell’ordinamento. Cfr. Codice Civile esplicato, XX Edizione, Edizioni giuridiche Xxxxxx, Napoli 2016. [3] Cfr. Xxxxxx, Diritto Civile, cit., pag. 671. [4] Ad opinione di chi scrive, dalla terra non è forse molto condivisibile tale spiegazione se si considera che anche il negozio giuridico nullo, prima della relativa declaratoria di Albionenullità, appaiono oscurepuò tranquillamente vivere nel nostro ordinamento poiché la sua inefficacia ex tunc deve comunque essere dichiarata in sede giudiziale. [5] Tali soggetti sono tutti quei terzi che hanno anteriormente acquisito un diritto in base al contratto annullabile. [6] Questi, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionaleinfatti, in realtà pare chequanto rappresentante legale dell’interdetto giudiziale, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacityè autorizzato ad agire in ogni sede processuale. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro cantoEventualmente, in un ordinamento giuridico che non conosce caso di conflitto di interessi tra questi due soggetti, sarà il protutore, nominato ex art. 360, a poter agire in giudizio. [7] Vd. artt. 10, 28 e 49 del D.P.R. del 3 novembre 200, n. 396. [8]Discorso diverso se il minore avesse con raggiri occultato la causa sua minore età: in tal caso è ritenuto meritevole di tutela l’affidamento del terzo. Cfr. X. Xxxxxxxx – X. Xxxxxx, Diritto Privato, Giappichelli 2011, pag. 868. [9] Cfr. Cass. Del 22 giugno 2004, n. 11854: per ottenere l’annullamento del contratto, ma sarà necessario e sufficiente che comunque conosce il concetto difetto psichico sia tale da non consentire una corretta ponderazione degli effetti contrattuali, a nulla rilevando una totale declaratoria di “public policy”infermità psichica. [10] Cass. 15 giugno 1995, dunque i limiti n.6756. [11] Cfr. Xxxxxx, Diritto Civile, cit., pag.673. [12] Questa è la classificazione che opera Bianca, Diritto Civile, cit., pag. 675; altra parte della dottrina, tra cui il Ferri, ritiene invece che si tratta di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioniun atto giuridico non negoziale, parlare per il quale, va da sé, sarebbe sufficiente la mera capacità di causa razionale intendere e causa non razionale appare un azzardodi volere. Cfr. G.B. Xxxxx, paradossalmente simile a quello cheConvalida, da un punto di vista economicoconferma e sanatoria del negozio giuridico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivatiin Dig. civ., IV, Torino 1989. [13] Cfr. Barassi, Teoria della ratifica del negozio annullabile, Milano, 1898. [14] Cfr. Betti, Teoria del negozio giuridico, UTET 1950, pagg. 249 e 493. [15] Da xxx.xxxxxxxxxxx.xx. In un tale scenarioeffetti, è pacifico in giurisprudenza il presente contributo cerca principio secondo il quale l’esecuzione volontaria di chiarirecui all’art. 1444, comma secondo, consisterebbe in un’attività che presuppone una volontà incompatibile con quella di chiedere l’annullamento del contratto: cfr. Cass. 24 settembre 2003 n. 14198; Cass. 27 marzo 2001 n. 4441, in primo luogoGiur. it., il dictum oggetto di controversia2002, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzataI, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court728, con sede a Londranota di Fogliati, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) Dolus bonus e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattidolus malus: brevi cenni sui caratteri distintivi.

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Introduzione. La saga Il contratto di lavoro subordinato a tempo determinato è un istituto che si è prestato a numerosi interventi riformatori nel corso degli anni. Nel 1865 il Codice civile era favorevole a questo tipo di contratto, in quanto si volevano evitare rapporti di lavoro servili attraverso l’assoggettamento perpetuo del lavoratore al datore di lavoro. Successivamente, con l’articolo 2097 del Codice civile, si è consolidato l’orientamento opposto, favorevole al contratto a tempo indeterminato, il quale garantiva maggiori tutele al lavoratore. Nel 1962, con la legge n. 230, veniva introdotta una nuova disciplina più stringente che prevedeva la possibilità di stipulare contratti a termine solo in determinati casi. Questa disciplina era inadeguata per i datori i quali necessitavano di flessibilità di manodopera. Si è avuta quindi una liberalizzazione dei contratti derivati continua e a termine che ha ampliato i casi di utilizzo, delegando alla contrattazione collettiva la possibilità di individuare nuovi casi (legge 56/1987). In seguito, la nuova tendenza sul tema stabiliva che il contratto a tempo indeterminato fosse la forma normale di contratto di lavoro subordinato e, con il decreto legislativo 368/2001, si arricchisce statuiva che il contratto a termine potesse essere stipulato solo a fronte di un nuovo episodioragioni tecniche, produttive, organizzative o sostitutive. La Legge Fornero (legge 92/2012) modifica nuovamente la disciplina introducendo la regola della acausalità per il primo contratto a termine, della durata di 12 mesi. L’epoca del cosiddetto “causalone” - così veniva definito l’insieme delle ragioni indicate nel decreto del 2001 - finisce nel 2014 con il cosiddetto Decreto Poletti, poi riordinato ad opera del Jobs act (d.lgs. 81/2015). L’assetto dato dal Jobs act era liberalizzante: i derivati datori potevano stipulare un contratto acausale della durata di 36 mesi. L’ultima riforma è avvenuta qualche mese fa con la pubblica amministrazioneil decreto legislativo 12 luglio 2018, n. 87 convertito dalla legge 9 agosto 2018, n. 96 denominato Decreto dignità. Le novità, introdotte con il c.d. Decreto dignità, riguardano l’introduzione di causali al contratto a termine e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia e in una parte diminuzione della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattidurata massima complessiva.

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Introduzione. La saga dei contratti derivati continua Il presente volume contiene il testo in italiano-inglese, italiano-francese e si arricchisce italiano- tedesco di un nuovo episodiomodello di contratto di agenzia per l’estero elaborato da Curia Mercatorum appositamente per gli esportatori del settore calzatura sportiva - tessile - abbigliamento. Si tratta di un modello semplificato ("short form") che affronta solo i punti più importanti, cercando di dare delle soluzioni standard, ritenute ottimali nella maggior parte dei casi, ma che non costituiscono necessariamente la soluzione ideale per uno specifico contratto individuale. Anche se sono state considerate le principali soluzioni alternative (particolarmente attraverso la loro previsione negli allegati) in modo da aiutare gli utilizzatori nella messa a punto di un contratto il più possibile vicino ai loro bisogni individuali, va ribadito che solo la redazione di uno specifico testo contrattuale, con l'assistenza di un professionista qualificato, permette di "costruire" un testo contrattuale che tenga pienamente conto delle specifiche esigenze delle parti, che si differenziano inevitabilmente da un caso all'altro. Con tutto ciò, sapendo che per svariate ragioni (tempi, costi, ecc.) gli operatori spesso scelgono di non avvalersi di esperti, si è ritenuto opportuno fornire loro un modello di qualità, utilizzabile direttamente (e cioè predisposto in modo da evitare che l'utilizzatore debba modificarne i contenuti, avendo già lasciato spazio per le principali alternative). E' quindi opportuno che l'utilizzatore esamini con attenzione le varie opzioni, in modo da individuare la soluzione per lui più conveniente. Se le opzioni predisposte nel singolo modello non coprono una specifica esigenza dell'utilizzatore (ad es. perché questi desidera sottoporre il contratto ad una legge diversa da quella italiana, in deroga a quanto previsto nei modelli), questi potrà modificare la clausola contrattuale: tuttavia, in questo caso è consigliabile che egli si avvalga dell'assistenza di un professionista qualificato, in grado di valutare le implicazioni di tale modifica e di predisporre, se del caso, gli ulteriori adeguamenti che si rendano necessari. Tra i derivati vari tipi di intermediari che operano nel commercio internazionale, la figura dell'agente di commercio è certamente la più diffusa: la sua attività consiste nello svolgimento continuativo di un'attività di promozione e negoziazione di affari in cambio di una provvigione, da calcolarsi in percentuale sul valore dell'affare trasmesso. L'attività di intermediazione può limitarsi alla mera trasmissione di ordini ricevuti dai potenziali clienti: in questo caso l'affare (e cioè il contratto di vendita) si conclude se e quando il fabbricante accetta l'ordine ricevuto tramite l'agente. Quando invece si attribuisce all'agente il potere di rappresentare il fabbricante, questi potrà concludere direttamente l'affare in nome e per conto del fabbricante, che sarà quindi vincolato dagli accordi presi dall'agente. Tuttavia, tale possibilità non è stata considerata nel presente modello, trattandosi di un'opzione poco diffusa nel commercio internazionale (in quanto il preponente preferirà, di regola, poter decidere di volta in volta se accettare l'affare piuttosto che consentire all'agente di concluderlo in suo nome). L'agente svolge la propria attività in maniera stabile (obbligandosi a promuovere in modo continuativo le vendite nel territorio di sua competenza) ed in forma autonoma, avendo cioè la libertà di organizzarsi come meglio crede ed assumendo oneri e rischi della propria organizzazione commerciale. L'agente si distingue quindi da un lato dal mero procacciatore d'affari o intermediario occasionale e dall'altro dall'agente subordinato (viaggiatore-piazzista, VRP francese). La figura dell’agente di commercio si differenzia inoltre nettamente da quella del concessionario di vendita (o distributore). In linea di principio, infatti, l’agente si limita a promuovere la conclusione di contratti tra il preponente ed i clienti finali in cambio di una provvigione; il concessionario, invece, acquista i prodotti dal concedente e li rivende a terzi ed il suo guadagno è dato dalla differenza tra il prezzo di acquisto e quello di rivendita. Ne consegue che il concessionario di vendita assume su di sé il rischio commerciale delle singole transazioni (es. insolvenza del cliente finale) ed una serie d’incombenze che, nel rapporto di agenzia, ricadono sul preponente (es. sdoganamento, magazzinaggio). Al contempo, però, mentre nel rapporto di agenzia il preponente mantiene il controllo sulla clientela del territorio (dal momento che stipula contratti direttamente con tali soggetti), nel rapporto di concessione, invece, il concedente non è normalmente in grado di conoscere i nominativi dei clienti ai quali il concessionario rivende i suoi prodotti. Un problema che si presenta nella redazione di un contratto internazionale di agenzia è quello della determinazione della legge applicabile. Occorre innanzitutto precisare che non esistono, se non in casi eccezionalissimi, specifiche norme "sovranazionali" applicabili ai rapporti commerciali tra preponenti ed agenti di diversi paesi: il punto di riferimento è praticamente sempre costituito da norme nazionali, con la pubblica amministrazione, e conseguenza che vi saranno per definizione più leggi (almeno quelle dei paesi delle due parti) potenzialmente applicabili allo stesso contratto internazionale. Tale situazione non è neppure stata modificata con la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesidirettiva europea n. 86/653/CEE del 18 dicembre 1986 che ha stabilito un nucleo minimo di principi uniformi, in merito seguito trasposti nelle legislazioni nazionali degli Stati membri dell'Unione europea, ed anche in alcuni altri paesi non facenti parte dell'Unione europea (ad es. Albania, Norvegia). Infatti, sarà applicabile al singolo contratto la legge nazionale che ha dato attuazione alla direttiva e non la direttiva stessa, il che può comportare differenze sensibili dal momento che la direttiva lascia agli Stati ampi spazi discrezionali in sede di attuazione. Così, ad esempio, a seconda che all'agente di commercio risulti applicabile la legge francese o quella italiana, quest'ultimo avrà diritto ad una indennità di clientela sostanzialmente differente. Secondo la legge francese gli spetterà una "riparazione del pregiudizio" conseguente alla cessazione del rapporto, calcolata normalmente intorno ai due anni di provvigione; secondo quella italiana, un'indennità non superiore ad un contratto anno di diritto italianoprovvigioni (ed, anzi, di regola assai inferiore, ove si consideri applicabile la disciplina sul calcolo dell'indennità introdotta dagli accordi economici collettivi). Mentre in Italia e in L'applicazione di una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), legge piuttosto che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa un'altra può quindi incidere sensibilmente sui contenuti del contratto, non solo per quanto riguarda i punti non regolati dalle parti (che verranno integrati da una normativa differente, a seconda della legge applicabile al contratto), ma anche con riguardo agli aspetti espressamente disciplinati, ove le norme ad essi applicabili abbiano carattere imperativo (e si impongano quindi sulle pattuizioni delle parti). Nel presente modello si consiglia di scegliere la legge italiana, soluzione che comunque conosce appare nella maggior parte dei casi preferibile per il concetto preponente italiano1, trattandosi di “public policy”una normativa conosciuta e quindi più adatta alla gestione del rapporto e, dunque i limiti nel caso in cui non si riesca ad evitarla, di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a una controversia. Un problema che si pone in questo contesto è quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivatidell'efficacia della scelta della legge italiana riguardo ad eventuali norme protettive del paese dell'agente. In un tale scenarioSottoponendo il rapporto alla legge italiana (come prevede l'art. 14 del presente modello), il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatichepreponente italiano potrà essere sicuro che si applicheranno solo le 1 Infatti, anche in quando la legge italiana risulti più onerosa della legge del paese dell'agente (situazione che si verifica nei rapporti con agenti di paesi - soprattutto extraeuropei - che non prevedono alcun tipo di normativa a protezione dell'agente) è di regola preferibile sottoporre il rapporto ad una prospettiva comparativa. In secondo luogolegge conosciuta, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, come appunto quella italiana, piuttosto che ad una legge di cui si debbano accertare di volta in volta i contenuti. Da ultimonorme italiane e non quelle, evidenziaeventualmente più favorevoli all'agente, alla luce del common law inglesepaese di quest'ultimo? Purtroppo, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicantenon è possibile una risposta univoca. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice regola generale in materia di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo efficacia della scelta della legge applicabile rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratti.alle norme dell'ordinamento

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Introduzione. “Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli e meschini piaceri di cui si pasce la loro anima… Al di sopra di questa folla, vedo innalzarsi un immenso potere tutelare, che si occupa da solo di assicurare ai sudditi il benessere e di vegliare sulle loro sorti. La saga dinamica dei contratti derivati continua rapporti pubblico/privato si spiega oggi in tutta la sua complessità e trova riscontro in ogni ambito del diritto. La Suprema Corte di Cassazione ha recentemente osservato che oggi “pubblico e privato si arricchisce di un nuovo episodio: i derivati con la pubblica amministrazione, e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesiintrecciano secondo sequenze non consuete”2. Allo studioso del diritto privato, in merito particolare, non può sfuggire come la sorte del contratto e di altri istituti ontologicamente e sociologicamente privatistici (dalla concorrenza sleale alla tutela dei segni distintivi e delle privative industriali) si trovi oggi a dover fare i conti con un contratto di diritto italiano. Mentre in Italia ruolo sempre più crescente e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionaleincisivo del potere pubblico ed, in realtà pare cheparticolare, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacitycd. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, authorities. Che sia in corso una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto sorta di “public policy”ritorno al pubblico” o comunque un processo di “amministrativizzazione” di alcune parti sostanziali del diritto privato, dunque pare dato innegabile. Sono sempre più numerosi infatti i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizionisettori dell’attività economica, parlare di causa razionale 1 X. XX XXXXXXXXXX, Scritti, note e causa non razionale appare un azzardodiscorsi politici 1839-1852. Bollati Xxxxxxxxxxx, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante0000. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice citazione prende spunto dalla relazione introduttiva tenuta del XXXX. XXXXXXX XXXXXXXX in occasione del convegno milanese sulle “Pratiche commerciali scorrette” organizzato dal Sispi (Società italiana per lo studio della proprietà industriale) nei giorni 11-12 giugno 2010 presso l’aula magna dell’università Bocconi di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattiMilano.

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Introduzione. Il presente lavoro trae origine da un interrogativo: ha senso elaborare una teoria sul “terzo contratto”, con riferimento alla disciplina dei rapporti tra imprese dotate di diseguale forza contrattuale? La saga questione si dipana lungo tre capitoli, attraverso un percorso che inizia con alcune riflessioni intorno al contratto asimmetrico, nel contesto della giustizia contrattuale, prosegue con l’approfondimento della teorica sul “terzo contratto”, prestando particolare attenzione ai referenti normativi su cui la stessa si basa (l’abuso di dipendenza economica, i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali e la legge sul franchising), ed infine approda alle nuove tendenze normative, in ordine soprattutto alla disciplina speciale delle relazioni commerciali nel settore agroalimentare. Un tragitto lungo il quale si intrecciano approfondimenti di tipo dottrinario e pronunce giurisprudenziali, nella convinzione che un istituto può davvero essere compreso se analizzato a tutto tondo, anche nelle applicazioni concrete con cui ogni operatore della giustizia si confronta. Un viaggio nell’ordinamento italiano ed europeo, alla ricerca delle ragioni di una sempre maggiore tutela dell’imprenditore debole, e nell’ordinamento anglosassone, che viene richiamato attraverso note comparative, per il cui approfondimento si è svolto un periodo di studio e di ricerche presso l’Institute of European and Comparative Law, della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Oxford. Una risposta: nuovi possibili referenti normativi alla teoria del “terzo contratto”. La recente disciplina delle relazioni commerciali in materia di cessione di prodotti agricoli e agroalimentari apre un varco alla costruzione della teoria, che nell’articolo 62 del decreto Cresci Italia trova un ulteriore riferimento, e viene accolta con favore, soprattutto per la rinnovata centralità assunta dal sistema agroalimentare, come dimostrato in questi giorni dall’Expo 2015. Una prospettiva attraverso la quale l’obiettivo finale deve essere chiaro: approntare una tutela sempre crescente all’imprenditore debole, preservando al contempo logiche di efficienza del mercato ed istanze di giustizia contrattuale. Nella materia contrattuale il codice del 1942 si configurava come un prodotto originale rispetto al codice del 1865, in quanto presentava numerose novità. La volontà delle parti conservava un ruolo rilevante, ma si estendeva l'area dell'ingerenza dello Stato nei rapporti contrattuali, su cui incideva come legislatore o giudice. Si ricordano, a titolo esemplificativo, la sostituzione automatica di clausole, il controllo delle condizioni generali di contratto, la discrezionalità interpretativa connaturata alle clausole generali, o i poteri equitativi attribuiti al giudice per integrare il regolamento contrattuale. Altre innovazioni, poi, si potevano cogliere nel diffuso impiego della clausola di correttezza, nei più frastagliati canoni di diligenza, nelle regole sulle trattative, sui contratti di massa e su quelli nominati, per i quali, al criterio ordinante delle prestazioni o del contenuto dell'accordo, si sostituiva il tipo. Nei primi decenni successivi all'adozione del codice del 1942, la disciplina dei contratti derivati continua e non venne particolarmente incisa, sebbene non fossero mancati importanti provvedimenti in tema di affitto di fondi rustici (si arricchisce pensi alla legge 12 giugno 1962 n. 567), di un nuovo episodio: i derivati contratti agrari (tra l'altro con la pubblica amministrazionelegge 15 settembre 1964 n. 756), di locazioni di immobili urbani (sin dalla legge 27 luglio 1978 n. 392) e la causa dei derivati analizzata dai giudici inglesi, in merito a un di contratto di diritto italianolavoro (ad esempio con la legge 15 luglio 1966 n. 604, seguita dalla legge 20 maggio 1970 n. 300). Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories)In seguito, che a chi scriveperò, dalla terra di Albionela materia è stata interessata da numerosi, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello cherilevanti provvedimenti, da un punto lato di vista economicorecezione e regolazione di figure emerse nella prassi, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenariocome il factoring (legge 21 febbraio 1991 n. 52), il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversiafranchising (legge 6 maggio 2004 n. 129), la cui narrativa viene ripercorsa e analizzatacartolarizzazione di crediti (legge 30 aprile 1999 n. 130), nelle sue implicazioni dogmatichei contratti di garanzia finanziaria (decreto legislativo 21 maggio 2004 n. 170); dall’altro per rispondere alle esigenze della prassi, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogocome nel caso della cambiale finanziaria (legge 13 gennaio 1994 n. 43), inquadraoppure all'evolvere dei tempi, da un punto a causa dell'impiego di vista sistematiconuove tecnologie nella contrattazione, la come nel caso della disciplina in tema di derivatidel commercio elettronico (ad esempio, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazionedecreto legislativo 9 aprile 2003 n. 70), quella italiana. Da ultimoo ancora per attuare nuove o mutate policies del diritto, evidenziacome nel caso, alla luce del common law ingleserispettivamente, l’attuale allocazione sistematica della disciplina dei contratti speculativiaventi ad oggetto forme pensionistiche complementari (decreto legislativo 21 aprile 1993 n. 124) o della riforma delle locazioni di immobili urbani (legge 9 dicembre 1998 n. 431). Progressivamente, sia quelli retti dal poi, l'evoluzione della disciplina dei contratti, sotto la forte spinta del diritto italianocomunitario, sia quelli “governati” dal diritto inglesesi è caratterizzata soprattutto per l'introduzione di particolari forme di tutela di interessi negoziali ritenuti meritevoli di speciale considerazione o, senz'altro, per l'intento di riequilibrare le posizioni delle parti nelle diverse fasi di alcune tipologie di relazioni negoziali contraddistinte dalla disparità di quelle medesime posizioni. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High CourtCon riferimento alla prima classe di provvedimenti si possono indicare i provvedimenti intesi a potenziare la tutela dell'interesse negoziale di una delle parti del rapporto avverso divisati profili dell'inadempimento, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome particolare riguardo al ritardo nel pagamento (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”decreto legislativo 9 ottobre 2002 n. 231), nella controversia in esameoppure nel quadro di peculiari operazioni, va ridimensionata, come nel caso della disciplina a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla protezione degli acquirenti di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano immobili da costruire (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contratti.decreto legislativo 20 giugno 2005 n.

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Samples: iris.unimol.it

Introduzione. La saga dei contratti derivati continua e si arricchisce L'incedere di un nuovo episodioprocesso di un Contratto di Fiume dovrebbe essere come la trama di un romanzo giallo: i derivati avvincente, coinvolgente, sorprendente, imprevedibile, palpitante, accessibile a tutti, democratico, complesso ed articolato e, alla fine, dopo qualche colpo di scena, logico e razionale. Dovendo tuttavia consigliare una lettura per comprendere lo spirito autentico di quello che sarà il Contratto di Fiume italiano, non si può che partire dall’ispirato documento licenziato il 12 Marzo 2015 da Ministero dell’Ambiente, ISPRA, Tavolo Nazionale dei Contratti di Fiume: DEFINIZIONI E REQUISITI QUALITATIVI DI BASE dei Contratti di Fiume. Il documento, che ha il pregio della semplicità, della chiarezza, della sintesi, traccia l’identikit preciso di un Contratto di Fiume: democratico, trasparente, inclusivo, deliberativo. Nonostante la natura tecnica, il documento REQUISITI QUALITATIVI DI BASE raggiunge vertici inattesi di astrazione lirica quando statuisce che: tali processi partecipativi dovranno essere strutturati per favorire decisioni e scelte attraverso deliberazioni con un processo dialogico bilanciato, che eviti squilibri a favore degli attori dotati di maggior peso politico ed economico. Pertanto deve essere garantito che la pubblica amministrazione, discussione avvenga tra soggetti liberi e uguali e la causa decisione, essendo l’esito di un dibattito allargato, possa anche indurre un mutamento nell’orientamento dei derivati analizzata dai giudici inglesipartecipanti, favorendo l’assunzione di decisioni più eque e orientate al bene collettivo. Viene ribadito un concetto fondamentale: come in merito a un contratto molti percorsi di diritto italianosostenibilità anche per i Contratti di Fiume il metodo (partecipativo, inclusivo, deliberativo) ha una maggiore importanza rispetto alla definizione degli obiettivi, il “come fare” prevale sul “cosa fare”. Mentre in Italia Viene ribaltato il cinico assunto machiavellico: il fine non giustifica il mezzo ma è il mezzo (l’autentica partecipazione) che giustifica il raggiungimento di obbiettivi ambiziosi ed imprevedibili. Riconoscendosi pienamente nel solco innovativo del Contratto di Fiume italiano come processo di democrazia diretta finalizzato al miglioramento delle componenti ambientali e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie socioeconomiche del fiume e del suo territorio, le tre esperienze di Contratto di Fiume (o conspiracy theories“Meolo Vallio Musestre”, “Esino”, “Media Valle del Tevere”), che a chi scrivehanno composto insieme il presente documento, dalla terra condividono intimamente la convinzione che il processo attivato sia anche un formidabile strumento di Albione, appaiono oscure, circa animazione culturale; un volano di buone pratiche di sostenibilità; il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, teatro ideale in cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici animare un dibattito consapevole per la gestione sostenibile del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una bancaterritorio, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici elaborare politiche di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un punto di vista economico, assumono ogni giorno i banchieri che stipulano derivati. In un tale scenario, il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversia, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”), nella controversia in esame, va ridimensionata, a maggior ragione se si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”. Per effetto della clausola sul foro, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattiadattamento ai cambiamenti climatici.

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Introduzione. I Il modello La saga presenza di regole certe e codificate aiuta i segmenti più deboli del mondo del lavoro Q xxxxx xxxxxxxxx è dedicato al tema “Il modello contrattuale”. Con questa espressione s’intendono le forme con le quali, per via di una legge, di un’intesa generale o del consolidarsi in sistema di una serie di eventi ripetuti nel tempo, si viene a configurare in un dato paese l’insieme dell’attività negoziale, ai vari livelli, dei contratti derivati continua sindacati e dei lavoratori con le controparti, associazioni d’impresa e datori di lavoro, privati e pubblici. I livelli ai quali in Italia si arricchisce contratta (meglio: si può contrattare) la con- dizione di un nuovo episodiolavoro e la sua remunerazione sono molteplici: quello nazionale, di categoria o di settore, quello aziendale, quelli di gruppo, di filiera o di sito, quel- lo territoriale. Fino al 1993 la contrattazione in Italia mancava di una sua formalizza- zione con regole precise e rimandi: fino al protocollo siglato sotto il governo Xxxxxx, la situazione si era andata, infatti, evolvendo (o involvendo) nel tem- po, secondo i derivati con rapporti di forza e le convenienze delle parti sociali. Naturalmente la pubblica amministrazionepresenza o meno di una formalizzazione non è di per sé garanzia della buona qualità o meno della contrattazione. A cavallo tra gli anni sessanta e settanta, infatti, grazie alla spinta delle lot- te operaie, pur senza regole cogenti, vennero ottenute a livello nazionale con- quiste importanti come la settimana di quaranta ore, l’inquadramento unico, le 150 ore per la formazione continua, e tutto questo assieme ad aumenti salariali significativi. Il tutto con un intreccio fecondo tra contrattazione nazionale e con- trattazione in azienda, dove spesso l’accordo nazionale portava a sintesi ed esten- deva a tutti conquiste sperimentate e ottenute nelle fabbriche più grandi e più innovative, dove era maggiore la causa forza dei derivati analizzata dai giudici inglesilavoratori e dei sindacati. In questo inizio di millennio, invece, nonostante le regole del protocol- lo, un po’ per la mancanza della sponda fiscale da parte dei governi, un po’ per una situazione che vedeva il sindacato oggettivamente in merito posizione difensiva rispetto alle crisi indotte dal fenomeno globalizzazione, non si può certo dire che la contrattazione in generale abbia brillato per risultati. Vero è comunque che la presenza di regole certe e codificate aiuta i seg- menti più deboli del mondo del lavoro, nei quali il sindacato ha una minore rap- presentatività, a un contratto di diritto italianofirmare contratti altrimenti difficilmente esigibili. Mentre in Italia e in una parte della sua dottrina si alimentano teorie (o conspiracy theories), che a chi scrive, dalla terra di Albione, appaiono oscure, circa il fatto che i giudici inglesi abbiano aderito alla tesi della causa razionale, cui dovrebbe contrapporsi quella irrazionale, in realtà pare che, nelle più recenti elaborazioni, i giudici britannici vadano sempre di più riscoprendo le radici del contratto derivato e delle tematiche contrattualistiche care al common law più tradizionale, fra cui la capacity. Più di cinque lustri or sono, aveva avuto ampia eco la controversia relativa ai derivati, concernente un Borough londinese (mutatis mutandis, una Pubblica Amministrazione) e una banca, per un derivato stipulato ultra vires, ritenuto pertanto nullo; in modo simile i giudici di Oltremanica sembrano più di recente riscoprire i contratti speculativi (come un privatista britannico li definirebbe) nella loro essenza e perspicuità. D’altro canto, in un ordinamento giuridico che non conosce la causa del contratto, ma che comunque conosce il concetto di “public policy”, dunque i limiti di ordine pubblico cui devono soggiacere le molteplici pattuizioni, parlare di causa razionale e causa non razionale appare un azzardo, paradossalmente simile a quello che, da un Da questo punto di vista economicola scelta di regole valide per tutti è un bell’esempio concreto di confederalità: chi è più forte rinuncia a un po’ di quanto il suo potere contrat- tuale gli consentirebbe probabilmente di ottenere per dare la possibilità a chi ha meno forza di migliorare la propria posizione. Schematizzando e riassumendo, assumono ogni giorno comunque, la situazione ante 1993 era la seguente. Al centro dell’attività negoziale delle parti c’era il contratto naziona- le di categoria, con cadenza triennale. Nei contratti nazionali si fissavano i banchieri che stipulano derivatidiritti d’informazione dei lavoratori e dei sindacati (la cosiddetta prima parte dei con- tratti), i minimi salariali, la durata e l’articolazione possibile dell’orario di lavoro, i diritti generali (ferie, festività, mensa, indennità varie). Nelle fabbriche e nei po- sti di lavoro più grandi, dove c’era una presenza più organizzata dei lavoratori nei sindacati, aveva luogo anche la contrattazione decentrata, dove si negoziava il sa- lario aziendale, l’organizzazione del lavoro (sempre meno nel tempo, purtroppo), l’applicazione concreta delle normative generali decise a livello nazionale e insie- me, almeno nel “periodo d’oro”, si sperimentavano novità sui vari temi. In un tale scenariosettori come l’edilizia, l’agricoltura e il presente contributo cerca di chiarire, in primo luogo, il dictum oggetto di controversiacommercio, la cui narrativa viene ripercorsa e analizzata, nelle sue implicazioni dogmatiche, anche in una prospettiva comparativa. In secondo luogo, inquadra, da un punto di vista sistematico, la disciplina in tema di derivati, inclusi quelli controversi con la pubblica amministrazione, quella italiana. Da ultimo, evidenzia, alla luce del common law inglese, l’attuale allocazione sistematica dei contratti speculativi, sia quelli retti dal diritto italiano, sia quelli “governati” dal diritto inglese. In primo luogo, va contestualizzato il Giudicante. La High Court, con sede contrattazione integrativa avveniva a Londra, nell’ordinamento giudiziario inglese, è soltanto un giudice di primo grado. Malgrado il nome livello territoriale (Alta Corte) sia evocativo di una gerarchia più elevata, pertanto, per importanza sistemica, la decisione assunta dunque dalla High Court (di seguito anche “HC”provinciale), nella controversia mentre per l’artigianato il secondo livello era quello regionale. Nel tessile e in esame, va ridimensionata, qualche sem- so- i altro settore (un esempio per tutti: le piastrelle a maggior ragione se Sas- suolo) si considera il fatto che il decisum finale non dice nulla sono andati concretizzando nel tempo e pi di particolarmente innovativo rispetto al quadro giurisprudenziale consolidato del common law. Fatta questa precisazione, la controversia decisa dal tribunale inglese riguarda un ente pubblico italiano (il comune contrattazione territoriale di Venezia) e due istituti di credito italiani, in relazione distretto ( prattutto nelle aree a un contratto derivato per il quale era stata stabilita la giurisdizione del foro inglese. Più nello specifico, i derivati sono ascrivibile alla species meglio nota come “interest rate swap collar”grande concentrazione d imprese dello stesso comparto). Per effetto della clausola sul foronessun livello c’era comunque una formalizzazione che garantisse sulle modalità e i tempi delle trattative: tutto era lasciato ai rapporti di forza, sul piano sostanziale, il diritto applicabile, è quello inglese. Un altro elemento di contesto riguarda la data della stipulazione (in quanto ha rilevanza per stabilire i limiti alle convenienze e alla “capacità” di diritto pubblico secondo il dirito inglese): i contratti risalgono al 2007, prima della modifica operata con la l. cost. n. 1/2012, che ha reso più ardua giuridicamente la possibilità per un ente pubblico di stipulare tali contrattibuo- na volontà delle parti.

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