Common use of DIRITTO Clause in Contracts

DIRITTO. Sulla questione sollevata dal ricorrente è necessario precisare che, a norma dell’art. 1273 cod. civ., qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo”. Pertanto, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivoca, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimento.

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DIRITTO. Sulla questione sollevata dal I ) Con il primo mezzo di cassazione la ricorrente è necessario precisare che, a norma deduce la falsa applicazione dell’art. 1273 cod2265 c.c in relazione all’art. civ360 n. 3 c.p.c., qualora intervenga un accollo tra sostenendo, sul ritenuto patto leonino, che l’intera motivazione svolta dalla Corte del merito era basata su assiomi, non essendo stato riguardato il debitore ed un terzo complesso dei patti, né sotto il profilo soggettivo, né sotto quello oggettivo. Sostiene la ricorrente che se la Corte del merito avesse valutato il complesso delle clausole delle pattuizioni in esame, anziché limitarsi ad isolare le sole ipotesi conseguenti all’inadempimento, avrebbe rilevato che la Friulia era entrata nella compagine sociale come l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce socio d’impulso”; la Friulia, cioè, non era entrata nella s.p.a. Laminatoio di Buttrio per finanziarla con l’acquisto di azioni, ma per assisterla dal di dentro con le proprie capacità (non esclusivamente, ma anche finanziarie) e concorrere a risollevarne la condizione espressa economica di impresa, unitamente agli altri soci. In questa prospettiva, che è coerente con la finalità della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente finanziaria regionale secondo la legge regionale di liberarlo”previsione, le clausole esaminate dalla Corte non avrebbero costituito patto leonino, ma clausola “penale” a favore di una parte in caso di inadempimento e clausola “premiale” per l’altra parte in caso di adempimento. Pertanto, il creditore, In questa prospettiva né l’una né l’altra clausola costituirebbero patto leonino. Non la prima perché non si esclude la sopportazione di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivocaperdite da parte della Friulia, in mancanza caso di gestione negativa per cause diverse dall’inadempimento. Non la seconda che conferma il diritto della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollanteFriulia, per l’inadempimento finché socia, alla percezione degli utili, la cui detrazione opera soltanto in funzione della determinazione del prezzo della eventuale cessione delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxxazioni ai soli soci Galotto., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimento.

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DIRITTO. Sulla questione sollevata La Commissione osserva che i documenti richiesti dal ricorrente è necessario precisare che….. si riferiscono in particolare a soggetti nominativamente indicati nei confronti dei quali, a norma dell’art. 1273 cod. civ., qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo”. Pertantoperò, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivoca, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo ….. ricorrente non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensualeprovveduto a notificare il gravame presentato. Pertanto il ricorso deve dirsi inammissibile per mancata allegazione dello stesso ai terzi controinteressati, ex art. 12 comma 4 lett. b) e comma 7 lett. c) del DPR 184/2006. Tanto vale non può trovare accoglimentosolo per l’accesso ai provvedimenti n.1, 2, 3, 4, 5, 6 e 11 ma anche per i rimanenti nn. 7, 8, 9 e 10 della richiesta, anch’essi riferiti a singoli soggetti. Con riferimento alla richiesta delle graduatorie, poi, appare altresì carente l’esplicitazione del nesso di strumentalità tra la documentazione richiesta e l’interesse fatto valere. Qualora invece i menzionati soggetti, nominativamente individuati, siano militari rappresentati del Partito istante e l’accesso sia richiesto nell’interesse degli stessi – circostanza questa in nessun modo ricavabile dalla narrativa e dalla documentazione allegata – il ricorso sarebbe comunque inammissibile per difetto di delega all’esercizio dell’accesso ed alla presentazione del ricorso de quo. Per completezza di analisi si osserva che il diniego opposto dal Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri si fonda sulle norme regolamentari dei cui agli artt. 1048 e 1050 del TUOM ed a tale riguardo osserva che la Commissione non ha il potere di disapplicare le norme regolamentari, potere viceversa attribuito al Giudice Amministrativo. Pertanto con riferimento a tali parti il ricorso non potrebbe comunque essere accolto.

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DIRITTO. Sulla questione sollevata dal ricorrente Il ricorso non appare fondato e dunque non può essere accolto. In via preliminare, debbono essere rigettate le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla parte resistente, risultando sufficientemente chiari sia il petitum che la causa petendi, e rinvenendosi in definitiva, già nel reclamo, le medesime contestazioni poi sollevate nel ricorso (ad eccezione della richiesta di rimborso della perizia, contenuta per la prima volta nelle repliche alle controdeduzioni della banca). Ciò premesso, osserva il Collegio come, ai fini della decisione, sia prioritario l’inquadramento del contratto per cui è necessario precisare controversia nello schema del leasing finanziario oppure di quello operativo, posto che dalla riconduzione all’uno o all’altro schema negoziale discende l’applicabilità, o meno, della normativa richiamata da parte ricorrente. Ed invero – quanto alla disciplina in materia di trasparenza – premesso che, a norma dell’artdegli artt. 1273 cod10 e 106 T.U.B., gli intermediari possono svolgere attività bancaria/finanziaria ed attività ad essa “connessa” o “strumentale”, e che l’art. civ.1, qualora intervenga un accollo tra sez. III, delle Disposizioni di Vigilanza (circ. n. 288, del 3 aprile 2015 della Banca d’Italia) chiarisce che il debitore ed un terzo leasing operativo costituisce attività l’adesione connessa”, ne deriva che, stabilendo l’art. 1.1, sez. I, delle Disposizioni sulla Trasparenza (circ. del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa 29 luglio 2009 della stipulazione Banca d’Italia) che le disposizioni in materia di trasparenza si applicano alle attività “aventi natura bancaria e finanziaria offerti dagli intermediari”, parrebbe doversi escludere, a contrariis, che esse si applichino alle attività “connesse” o se il creditore dichiara espressamente “strumentali”, in linea peraltro con la dottrina più accreditata in subiecta materia. Quanto, invece, all’applicabilità della normativa anti-usura, le “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” della Banca d’Italia dispongono espressamente, alla lett. B1, che “non rientrano nella rilevazione le operazioni di liberarloleasing operativo caratterizzate dall’assenza dell’opzione finale di acquisto”. PertantoAlla luce di quanto precede, dunque, laddove il contratto per cui è controversia risultasse effettivamente un leasing “operativo”, qualsiasi valutazione circa la fondatezza, nel merito, delle contestazioni sollevate dall’istante, rimarrebbe assorbita dall’inapplicabilità al caso di specie delle disposizioni di legge invocate. Ebbene, ad avviso del Collegio, lo schema negoziale in concreto adottato dalle parti va senz’altro ricondotto proprio a quello del leasing operativo. Con riguardo alla distinzione fra leasing finanziario e operativo, infatti, questo Arbitro ha già avuto modo di osservare che, «a differenza che in un leasing finanziario, dove all’utilizzatore viene per definizione accordato il diritto di rendersi acquirente del bene a fine contratto, nel leasing operativo, di norma, tale facoltà non è prevista sicché, salvo diverso e specifico accordo, il creditorecliente è tenuto a restituire il bene all’intermediario. Naturalmente, […] l’intermediario neutralizza tale rischio pattuendo, nel diverso contratto col fornitore, l’obbligo in capo a quest’ultimo di regolariacquistare il bene alla scadenza: obbligo che l’intermediario naturalmente attiverà solo nel caso in cui non raggiunga nel frattempo un diverso accordo con il cliente al fine di trasferire a quest’ultimo la proprietà del bene stesso» (cfr. Coll. di Milano, conserva appieno la dec. n. 8507/2015). Del resto, le Disposizioni di Vigilanza della Banca d’Italia (circ. n. 288 del 3 aprile 2015), nel definire lo schema negoziale del leasing operativo, fanno espresso riferimento – ed anzi condizionano l’esercizio dell’attività in questione da parte degli intermediari – alla previsione all’interno del contratto di leasing di un “obbligo di riacquisto del bene da parte del fornitore”, allo scopo di trasferire in capo ad altri soggetti ogni rischio e responsabilità concernenti il bene locato. In ossequio, dunque, ai principi di diritto sopra riportati, tenuto conto della mancata previsione della facoltà di scegliere se determinare riscatto nel contratto di leasing, nonché addirittura della previsione (incompatibile con l’esercizio del riscatto da parte dell’utilizzatore) dell’obbligo di riacquisto da parte del fornitore, il contratto dedotto in giudizio pare, in conclusione, doversi senza dubbio considerare quale leasing operativo (coerentemente, peraltro, con la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero qualificazione impressa dalle parti in sede di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativostipula). InfattiNon potendo trovare applicazione, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivocapertanto, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollantele disposizioni di legge invocate dall’istante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimentodeve essere rigettato.

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DIRITTO. Sulla 1. Così riassunte le questioni rispettivamente devolute dalle parti litiganti nel presente giudizio d’appello, occorre innanzitutto precisarne la relativa tassonomia. Ciò in ragione del fatto che l’appellante ATAC chiede in via meramente subordinata che sull’originario ricorso sia declinata la giurisdizione amministrativa a favore del giudice ordinario, trascurando che il potere dispositivo della parte esplicantesi nella graduazione delle domande non può essere riconosciuto quando tra le questioni ad esse sottese vi sia quella concernente la giurisdizione del giudice adito. A questo riguardo deve infatti darsi seguito all’insegnamento dell’Adunanza plenaria di questo Consiglio di Stato 4 giugno 2011, n. 10, secondo cui l’esame di detta questione sollevata dal ricorrente assume carattere necessariamente prioritario. E tanto in virtù del condivisibile argomento secondo cui il potere del giudice adito di emettere qualsiasi statuizione, sia in rito che nel merito della domanda, postula che su quest’ultima lo stesso sia effettivamente munito della potestas iudicandi, ossia di quell’imprescindibile presupposto processuale al solo ricorrere del quale è necessario precisare checonsentito pronunciarsi sulla medesima. Nella citata pronuncia l’organo di nomofilachia della giurisdizione amministrativa ha tra l’altro posto in rilievo la necessità che sulla domanda non si pronunci in alcun modo il giudice sfornito di giurisdizione, e che la stessa possa invece essere riproposta, completamente impregiudicata, davanti a quello munito di giurisdizione, a norma dell’artmezzo della c.d. 1273 translatio iudicii, introdotta per la prima volta dall’art. 59 della legge n. 69/2009 (in seguito alle note decisioni della Corte costituzionale n. 77 del 12 marzo 2007 e delle Sezioni unite civili 22 febbraio 2007, n. 4109), ed ora riprodotto dall’art. 11 del cod. civproc. amm. Anche per questo rilievo, quindi, non si può prescindere dal prioritario esame della questione di giurisdizione., qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo”. Pertanto, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivoca, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimento.

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DIRITTO. Sulla La prima questione sollevata dal sottoposta al vaglio del Collegio riguarda la violazione dell’art. 120 A fronte di tale contestazione, preliminarmente si evidenza che parte ricorrente è necessario precisare chechiede impropriamente la “rinegoziazione del tasso di interesse effettivo all’1,70%”; interpretando siffatta domanda in ragione degli arresti ABF in materia (cfr, ex multis, Collegio di Milano pronuncia n. 8917/2018; Collegio di Roma pronuncia n. 3072/2015; Collegio Torino decisione n. 4687/2018), la stessa potrebbe essere intesa quale richiesta di “applicazione” del tasso inizialmente indicato nell’offerta personalizzata e, dunque, conseguentemente, in termini risarcitori e non certo costitutivi. Ciò precisato, venendo ora alla valutazione della condotta dell’intermediario, preme rilevare come la domanda di parte ricorrente pare in definitiva essere sorretta sulla prescrizione di cui all’art. 120-novies T.U.B., a norma dell’artmente della quale “2. 1273 codIl finanziatore o l'intermediario del credito fornisce al consumatore le informazioni personalizzate necessarie per consentire il confronto delle diverse offerte di credito sul mercato, valutarne le implicazioni e prendere una decisione informata in merito alla conclusione di un contratto di credito. civ.Le informazioni personalizzate sono fornite su supporto cartaceo o su altro supporto durevole attraverso la consegna del modulo denominato «Prospetto informativo europeo standardizzato». Il modulo è consegnato tempestivamente dopo che il consumatore ha fornito le informazioni necessarie circa le sue esigenze, qualora intervenga la sua situazione finanziaria e le sue preferenze in conformità all'articolo 120-undecies, comma 1, e comunque in tempo utile, prima che il consumatore sia vincolato da un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente contratto di liberarlo”. Pertantocredito Dunque, in estrema sintesi, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivoca, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non cliente ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimento.diritto:

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DIRITTO. Sulla questione sollevata dal ricorrente è necessario precisare che, a norma dell’art. 1273 cod. civ., qualora intervenga un accollo tra Con il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo”. Pertantoprovvedimento impugnato in primo grado, il creditorecompetente dirigente responsabile del comune di Clu- sone ha disposto la decadenza dell’impresa Lo Presti Vi- to dall’aggiudicazione dell’appalto per la realizzazione di lavori. Secondo tale atto, l’aggiudicatario non aveva prodotto, nei termini prescritti dal bando, la fideiussione bancaria per la garanzia dell’esecuzione delle opere, prevista dal- l’articolo 30 della legge n. 109/1994 e dal punto E) del bando. Secondo l’amministrazione, tanto la legge stata- le, quanto la clausola di regolagara imponevano di presentare una garanzia fideiussoria rilasciata da un istituto banca- rio o assicurativo: ne consegue, conserva appieno quindi, l’inidoneita` della polizza fideiussoria rilasciata dall’Istituto Finanziario Me- diterraneo, che assume la facoltà fisionomia della «societa` di scegliere se determinare servizi finanziari» e non rientra tra le imprese autorizzate dalla Banca d’Italia all’esercizio dell’attivita` bancaria se- condo le disposizioni di cui al decreto legislativo 18 set- tembre 1993, n. 385. A dire del tribunale la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivocadecadenza e` illegittima, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, quan- to l’espressione «fideiussione bancaria» deve riferirsi a tutti i soggetti autorizzati dalla legge bancaria alla con- cessione di crediti nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxxpubblico. Una di- versa interpretazione si porrebbe in contrasto con la normativa comunitaria e con il principio costituzionale di liberta` di iniziativa economica privata., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimento.

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DIRITTO. Sulla questione sollevata dal Viene in rilievo a fondamento della pretesa dell’odierno ricorrente è necessario precisare la necessità di avere accesso ai documenti richiesti per poter procedere alla tutela dei propri diritti. Si consideri infatti che oltre questa Commissione, il Consiglio di Stato e il giudice amministrativo di prime cure (T.A.R. Toscana, Sez. II, n. 152/2007) hanno affermato il principio di diritto secondo cui: “allorquando venga presentata una richiesta di accesso documentale motivata con riferimento alla necessità di tutelare i propri interessi nelle competenti sedi giudiziarie, anche nel caso in cui non sia certo che, a norma dell’art. 1273 cod. civ.successivamente, qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa tali atti siano effettivamente utilizzabili ai fini della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente proposizione di liberarlo”. Pertantoeventuali domande giudiziali, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo)l’accesso non può essere denegato. Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima l’apprezzamento sull’utilità o meno della documentazione richiesta in tal senso una volontà espressa ed inequivocaostensione non spetta né all’Amministrazione destinataria dell’istanza ostensiva né, addirittura, allo stesso giudice amministrativo adìto con l’actio ad exibendum, bensì al giudice (sia esso amministrativo che ordinario) eventualmente adito dall’interessato al fine di tutelare l’interesse giuridicamente rilevante, sotteso alla pregressa domanda di accesso”. Ed ancora, in mancanza occasione di una fattispecie simile all’odierna, il T.A.R. ha ribadito che, in merito alla oggettiva utilità o meno della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad documentazione richiesta nel corso di un giudizio pendente ovvero alla proponibilità del giudizio ovvero ancora alla semplice valutazione da parte dell’interessato circa la opportunità o meno di agire nei confronti dell’accollantein sede giurisdizionale (che è poi questo lo scopo dell’esistenza dell’istituto qui esaminato), per l’inadempimento delle obbligazioni nessun apprezzamento deve essere effettuato né dall’Amministrazione destinataria dell’istanza né da questi assunteparte del giudice amministrativo, per effetto dell’accollo, nei confronti “sempre che l’interessato abbia dichiarato e motivato il suo interesse a tutelare la posizione soggettiva vantata tramite la conoscenza del terzo creditore” (x. Xxxxcontenuto degli atti richiesti”., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimento.

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DIRITTO. Sulla questione sollevata In via pregiudiziale, la banca resistente ha eccepito (a p. 2 delle controdeduzioni) che questo Arbitro non potrebbe pronunciarsi sul merito della controversia, in quanto essa avrebbe a oggetto la liquidazione dell’imposta di registrazione della sentenza pronunciata dal ricorrente è necessario precisare Tribunale di Roma in un processo civile tra le parti. A tale proposito, si deve premettere che, secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (sez. I, § 4), «all’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari». Nel caso di specie, i ricorrenti non hanno contestato l’importo liquidato mediante l’avviso dell’Agenzia delle Entrate di cui si è detto, né hanno negato di essere solidalmente obbligati al suo pagamento. Essi hanno piuttosto contestato la legittimità dell’addebito di tale importo sul loro conto corrente da parte della banca resistente, la quale aveva preventivamente provveduto al pagamento nei confronti dell’Agenzia delle Entrate. Trattandosi dunque di una contestazione relativa al rapporto di conto corrente tra i ricorrenti e la banca resistente, l’eccezione pregiudiziale da quest’ultima sollevata è infondata e deve essere respinta. Passando al merito della controversia, si deve rilevare che il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro ha già esaminato la questione che costituisce oggetto del presente giudizio, affermando il principio di diritto secondo il quale, affinché operi la compensazione prevista dall’art. 1853 c.c., non occorre che il conto corrente bancario di cui si tratta sia stato chiuso (Collegio di coordinamento, decisione n. 2420 del 17 marzo 2016). Tale principio di diritto dev’essere tuttavia coordinato con quanto ripetutamente statuito dalla Suprema Corte di Cassazione, secondo cui: «È sufficiente il dissenso del cliente della banca alla compensazione, per far sì che la compensazione stessa non avvenga in modo automatico come previsto in generale dalla norma. Infatti, la disposizione di cui all’art. 1853 c.c. (a mente della quale, se tra la banca ed il correntista esistono più rapporti o più conti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente salvo patto contrario), dettata allo scopo di garantire la banca contro ogni scoperto non specificamente pattuito che risulti a debito del cliente quale effetto di un qualsiasi rapporto o conto corrente fra le due parti, prevede che la compensazione tra saldi attivi e passivi, anche a favore del correntista, sia attuata mediante annotazioni in conto, e, in particolare (alla luce del principio dell'unità dei conti), attraverso la immissione del saldo di un conto, come posta passiva, in un altro conto ancora aperto (con le modalità proprie di tale tipo di operazione), salva manifestazione di volontà di segno contrario da parte del cliente. Alla luce di ciò, ove risulti la volontà negativa in ordine ad una eventuale compensazione dei crediti, l’automatismo descritto dalla norma dell’art. 1273 codnon può trovare attuazione» (da ultimo, x. Xxxx. civ., qualora intervenga 23 gennaio 2020, n. 1445, sottolineature aggiunte). Nel caso di specie, risulta che i ricorrenti abbiano manifestato la loro volontà negativa in ordine alla compensazione dell’importo da essi dovuto alla banca a titolo di regresso e il saldo positivo del conto corrente di cui sono intestatari. Dal contratto di conto corrente che è stato stipulato tra le parti può peraltro desumersi che una volontà favorevole all’annotazione in conto corrente dei loro debiti nei confronti della banca sia stata manifestata dai ricorrenti con esclusivo riguardo agli interessi di cui siano debitori, nonché alle spese di tenuta del conto stesso. Ne consegue che mancano i presupposti di applicazione dell’art. 1853 c.c., nonché, a maggior ragione, quelli dell’art. 1241 x.x., xxxxxx x’xxxxxxxxxxxxx xxx xxxxx attivo del conto corrente da parte della banca. Non sussiste pertanto alcuna ipotesi di compensazione legale. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 3 delle controdeduzioni) che si tratterebbe di una compensazione volontaria, secondo quanto generalmente stabilito dall’art. 11 del contratto di conto corrente stipulato tra le parti, nella parte in cui esso prevede che: «La compensazione avrà luogo in qualsiasi momento, ancorché i crediti, seppure in monete differenti, non siano liquidi ed esigibili, senza obbligo di preavviso o formalità, fermo restando che dell’intervenuta compensazione – contro la cui attuazione non potrà in nessun caso eccepirsi la convenzione di assegno – la banca darà prontamente comunicazione al Correntista» (all. 6 alle controdeduzioni, sottolineatura aggiunta). Si deve tuttavia rilevare che tale clausola è abusiva ai sensi dell’art. 33, 1° comma, del codice del consumo, in quanto determina un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione significativo squilibrio di diritti e di obblighi a carico dei consumatori contraenti, in violazione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente principio di liberarlo”. Pertanto, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo)buona fede. Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima la compensazione di cui si tratta è operata dalla banca mediante l’annotazione sul conto corrente dell’importo dovuto dai suoi titolari, ossia soddisfacendosi in tal senso una volontà espressa ed inequivocavia di autotutela. È viceversa evidente che, in mancanza della quale tale debitore - viceversa, i suoi titolari non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse potranno di fatto procedere ad agire alcuna annotazione dei loro eventuali crediti nei confronti dell’accollantedella banca stessa, per l’inadempimento delle obbligazioni cosicché essi non potranno parimenti soddisfarsi in via di autotutela. Si tratta dunque di un potere privato che può essere esercitato dalla banca nei confronti dei correntisti, ma non da questi assunteultimi nei suoi confronti: si viene così a creare un significativo squilibrio di diritti e di obblighi contrattuali a svantaggio dei consumatori correntisti. All’abusività di tale clausola, consegue la nullità necessariamente parziale del contratto, il quale rimane valido per effetto dell’accolloil resto (art. 36, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx1° comma, cod. cons.). Rilevata dunque la nullità della clausola contrattuale di cui si tratta, questo Arbitro accerta che l’importo di € 217,50 è stato indebitamente addebitato sul conto corrente dei ricorrenti e, ai sensi dell’art. 2033 c.c., 24 giugno 2009, n. 14780)dev’essere pertanto loro restituito a titolo di ripetizione dell’indebito. Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione Venendo alla domanda risarcitoria del ricorrente, si osserva questo Xxxxxxx (ad es., nella decisione del Collegio di Roma, n. 1027 del 2013) ha fatto dichiaratamente proprio l’insegnamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale «il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione di un diritto soggettivo non è riconosciuto con caratteristiche e finalità punitive restando estranea al sistema l’idea della punizione e della sanzione del responsabile civile ed indifferente la valutazione a tal fine della sua condotta ma in relazione all'effettivo pregiudizio subito dal titolare del diritto leso» (Cass. civ., 8 febbraio 2012, n. 1781; Cass. civ., 19 gennaio 2007, n. 1183). Secondo la regola generale che nella fattispecie quest’ultimo è dettata dall’art. 2697, 1° comma, c.c., grava pertanto sul ricorrente l’onere di dare la prova dell’esistenza (an debeatur) e della consistenza (quantum debeatur) del danno del quale ha domandato risarcimento. Resta peraltro ovviamente fermo che, laddove sia stata dimostrata dal ricorrente l’esistenza di un danno risarcibile, ma sia impossibile o comunque eccessivamente difficile quantificarlo esattamente, esso potrà essere liquidato da questo Arbitro in via equitativa, ai sensi dell’art. 1226 c.c. Nel caso di specie, i ricorrenti non ha prodotto alcun documento da cui risulti hanno dato alcuna prova di aver subìto un danno risarcibile, cosicché la volontà del coniuge separato loro domanda è infondata e deve essere pertanto respinta. Al fine di accollarsi l’intera quota del mutuo e dare sinteticamente una risposta al quesito posto dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge conclusione i seguenti principî di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimento.diritto:

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DIRITTO. Sulla Deve esaminarsi innanzitutto l’eccezione di inammissibilità del ricorso. Essa appare fondata. Costituisce principio sufficientemente consolidato, anche nella giurisprudenza della Suprema Corte, che nell’ambito delle azioni di mero accertamento, quale è quella proposta nella specie, la condizione essenziale dell’azione rappresentata dall’esistenza dell’interesse ad agire possa considerarsi soddisfatta solo se il richiesto accertamento sia essenziale per evitare un danno attuale a chi agisce, e non anche quando esso sia strumentale alla soluzione soltanto in via di massima o accademica di una questione sollevata dal ricorrente è necessario precisare che, a norma dell’artdi diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (così si esprime Cass. 1273 cod. civ24434/2007; ma in termini non dissimili Cass n. 12548/2002; Cass., qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo”. Pertanto, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativon. 10558/2002). InfattiXxxxxx, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivocase si muove da tali premesse, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando sembra al Collegio che la banca domanda formulata dalla società non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrentesoddisfi il richiesto requisito. Gli è, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risultainfatti, come rilevato dall’intermediariorammentato, che sussista l’effettiva è la stessa ricorrente a sottolineare che la domanda di accertamento formulata all’Arbitro è funzionale a «dissipare ogni possibile incertezza e attuale volontà a consentire anche per il futuro il pacifico svolgimento del coniuge rapporto», collocandosi così proprio su quel terreno di confermare l’accordo asseritamente intervenuto soluzione meramente ipotetica o astratta della controversia, che avvicina la domanda proposta ad una sollecitazione al momento della separazione consensualeCollegio a svolgere una funzione di fatto consulenziale. Pertanto il ricorso D’altra parte non può trovare accoglimento.nemmeno dimenticarsi che se è vero, come sottolineato anche dal Collegio di Coordinamento nella decisione 3169/2014, che il limite di valore fissato dalle disposizioni che disciplinano lo svolgimento del procedimento davanti l’ABF è formalmente previsto solo per le domande che abbiano ad oggetto la condanna al pagamento di una somma di denaro, vero è anche che «l’interpretazione sistematica delle varie disposizioni (128 bis TUB, Regolamento CICR e Disposizioni di Banca d’Italia) alla luce delle

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DIRITTO. Sulla questione sollevata Sul gravame presentato dal ricorrente è necessario precisare chesig. la Commissione osserva che deve dirsi certamente sussistente il diritto dell’istante ad accedere a tutti i documenti relativi alla procedura concorsuale o selettiva pubblica cui ha partecipato essendo titolare di un interesse endoprocedimentale, a norma ai sensi dell’art. 1273 cod10 della Legge 241/90, ad accedere sia ai documenti prodotti dagli altri candidati, sia a tutti quelli formati dalla commissione esaminatrice nonché alle griglie e alle schede valutative proprie e degli altri candidati senza che sia, peraltro, necessaria nei confronti di questi ultimi la preventiva notifica (T.A.R. Lazio, Roma, Sez. civ.III, qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo”. Pertanto8 luglio 2008, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativon. 6450). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivocaLa Commissione prende atto dell’avvenuto invio di parte della documentazione richiesta, in mancanza ordine alla quale non può che ritenere cessata la materia del contendere per avvenuto accesso, nonché della quale tale debitore - dichiarazione della amministrazione adita di non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che aver proceduto all’invio della seconda prova scritta dell’istante perché la banca medesima non è obbligata ad accordare l’estromissione stata oggetto di correzione e osserva quanto segue. Appare irrilevante, ai fini dell’accesso, la circostanza che l’elaborato non sia stato corretto: ove tale documento sia in possesso dell’amministrazione adita quest’ultima dovrà, in ogni caso, garantirne la visione, consentendo così al partecipante le richieste verifiche di regolarità. \La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, esaminato il ricorso, lo dichiara parzialmente improcedibile per cessazione della materia del contendere con riferimento alla documentazione già inviata al ricorrente. Con riferimento, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo invece, alla ulteriore documentazione oggetto di richiesta e non ha prodotto alcun documento da cui risulti ancora ostesa, la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto Commissione accoglie il ricorso non può trovare accoglimentoe per l’effetto invita l’amministrazione resistente a riesaminare l’istanza di accesso nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.

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DIRITTO. Sulla questione sollevata dal Il ricorso è fondato e merita di essere accolto. Quanto alla sussistenza di un qualificato interesse all’accesso in capo all’odierno ricorrente, questa Commissione non nutre alcun dubbio, essendo il ricorrente è necessario precisare chefiglio ed erede della sig.ra S.S., a norma dell’arttitolare della pensione ai cui dati il Gio.N. ha chiesto di poter accedere. 1273 cod. civ., qualora intervenga un accollo tra D’altronde parte resistente ha fondato il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente proprio diniego non sulla carenza di liberarlo”. Pertanto, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivoca, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione legittimazione attiva del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà quanto sull’opposizione all’accesso manifestata dal fratello del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e ricorrente, a sua volta erede della titolare della pensione. Tale profilo, in particolare non risultaverità, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimentocostituire valido argomento per negare il chiesto accesso. Inoltre, è quantomeno dubbio che il fratello del ricorrente, ai fini del presente procedimento, possa ritenersi controinteressato in senso tecnico. I dati contenuti nei documenti oggetto della domanda di accesso, invero, sono relativi a persona diversa dal fratello del ricorrente. In particolare, trattandosi della madre del ricorrente, questi, così come il fratello, ha pieno diritto di conoscere la situazione contabile della pensione erogata a beneficio della madre e, in questo senso, non si ravvisa la presenza di alcun controinteressato. D’altronde, anche a ritenere che il fratello del ricorrente lo sia, la circostanza dell’opposizione pura e semplice da questi manifestata non esime l’amministrazione dal ponderare le ragioni dell’opponente con quelle dell’accedente; ragioni che, in virtù del carattere comune dei dati contenuti nei documenti oggetto dell’istanza di accesso non giustificano l’opposizione per come manifestata. Per questi motivi il gravame è fondato e merita di essere accolto.

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DIRITTO. Sulla questione sollevata dal Il ricorso è fondato e merita di essere accolto. Quanto alla sussistenza di un qualificato interesse all’accesso in capo all’odierno ricorrente, questa Commissione non nutre alcun dubbio, essendo il ricorrente a capo dell’ufficio nei cui confronti è necessario precisare chestata disposta verifica ispettiva. I motivi di diniego opposti, a norma dell’artperaltro, appaiono destituiti di giuridico fondamento. 1273 cod. civ., qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente Quanto ai documenti di liberarlo”. Pertantocui al punto 1 delle premesse in fatto, il creditorerichiamo generico a tutti i casi di esclusione previsti dall’art. 24 della legge n. 241/90 non è sufficiente a fondare un rifiuto legittimo del chiesto accesso. Anche con riferimento alla restante documentazione si osserva come la comunicazione di notizie di reato all’autorità giudiziaria non comporti di per sé la copertura della stessa sul versante del segreto istruttorio. Tale effetto, invero, si produce solo a seguito dell’avvio di regolaun’indagine da parte dell’autorità inquirente o di un rapporto della polizia giudiziaria di cui, conserva appieno nel caso di specie, non si ha notizia. Le difese svolte nella memoria richiamata nelle premesse in fatto non sono tali da modificare il presente decisum. Ciò in quanto la circostanza che dall’ispezione non siano derivate misure concrete a carico del dirigente dell’ufficio ispezionato non costituisce motivo per negare l’accesso al reggente l’ufficio stesso; anche la circostanza sollevata da parte resistente per cui l’ispezione è stata disposta nei confronti dell’ufficio e non del suo dirigente appare destituita di giuridico fondamento, atteso che l’ufficio, in quanto tale, non ha facoltà di scegliere esercitare situazioni giuridiche soggettive se determinare non per il tramite di colui che ne ha la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero rappresentanza esterna. Per questi motivi il gravame è fondato e merita di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativo). Infatti, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando il creditore esprima in tal senso una volontà espressa ed inequivoca, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxxessere accolto., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato di accollarsi l’intera quota del mutuo e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimento.

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DIRITTO. Sulla La questione sollevata dal ricorrente sottoposta all’Arbitro concerne l’asserita illegittimità di addebiti operati dalla banca a titolo di commissioni e interessi su un conto corrente affidato, in violazione della disciplina di trasparenza, nonché in tema di usura e di anatocismo. Preliminarmente, pare opportuno rilevare che la resistente produce agli atti il contratto di conto corrente, debitamente sottoscritto dalla cliente, e il relativo documento di sintesi, non l’accordo sulla base del quale è necessario precisare stata concessa l’apertura di credito. Ne deriva che, come pure contestato dalla parte ricorrente, non risulta la pattuizione per il tasso applicato al fido, né risultano contrattualizzati l’importo massimo del fido e le altre condizioni economiche applicate, in specie la commissione per la disponibilità fondi; il documento di sintesi relativo al conto corrente, invece, specifica solo il tasso di interesse e le commissioni applicate in caso di sconfinamento, in misura, peraltro, ovviamente superiore a quella effettivamente praticata per il rapporto di credito, oggetto di contestazione. Occorre pertanto valutare l’eventuale nullità delle pattuizioni relative ai tassi debitori ed alle commissioni praticate per violazione della forma scritta richiesta dall’art. 117 d.lgs. 385/1993 (TUB). Al riguardo, è da osservare che il vincolo della forma scritta costituisce il cardine della disciplina della trasparenza dei contratti bancari a cui è collegata la speciale nullità “relativa” delle rispettive clausole prevista dall’art. 127, 2° comma, TUB («Le nullità previste dal presente titolo operano solo a vantaggio del cliente e possono essere rilevate d’ufficio dal giudice) a tutela del diritto del cliente di conoscere le condizioni praticate e per impedire che la determinazione degli oneri sia rimessa a completa discrezione della banca. È bensì vero che la disciplina la normativa di attuazione della Banca d’Italia, a tanto autorizzata dal C.I.C.R., ha sempre previsto, pur nel variare dei testi normativi, che non fosse richiesta la forma scritta per i contratti relativi ad operazioni e servizi già previsti in contratti redatti per iscritto, tra cui il contratto di conto corrente (così, per la versione vigente all’epoca dei fatti: Banca d’Italia, Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari provv. 29-7-2009, sez. III, § 2 : «La forma scritta non è obbligatoria per: a) le operazioni e i servizi effettuati in esecuzione di contratti redatti per iscritto». Le norma dell’artè rimasta immutata nelle nuove disposizioni emanate con provv. 1273 coddel 30/9/2016). civSulla base di ciò è stato ritenuto che il vincolo della forma scritta non è richiesto a pena di nullità per un contratto di apertura di credito previsto e regolato da un contratto di conto corrente: contratto che può quindi essere concluso anche per fatti concludenti (Collegio Napoli, decisione n. 3668/13) in quanto «costituisce sufficiente garanzia per il cliente che il contenuto normativo del contratto sia redatto per iscritto, mentre poi la sua concreta stipulazione, alle condizioni riportate nel contratto scritto, potrà avvenire in altra forma nel rispetto delle esigenze di celerità ed operatività che taluni tipi di contratti esigono» (Cass., qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente di liberarlo”. Pertanto15 settembre 2006, il creditore, di regola, conserva appieno la facoltà di scegliere se determinare la liberazione del debitore originario (accollo liberatorio) ovvero di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativon. 19941). InfattiTali considerazioni non valgono tuttavia nel presente caso, “l’accollo può avere efficacia liberatoria per l’originario debitore solo quando la semplice ragione che il creditore esprima contratto di conto corrente esibito dalla resistente non prevede né regola la concessione di apertura di credito. Infatti non contiene alcuna previsione in tal senso una volontà espressa ed inequivocamerito alle condizioni economiche da praticare nell’ipotesi di concessione di affidamenti sul conto. Il Collegio ritiene pertanto che nel presente caso debba trovare applicazione l’art. 117, 7° comma, d.lgs. 395/1993, secondo cui, in mancanza della quale tale debitore - non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” (x. Xxxx., 24 giugno 2009, n. 14780). Ciò premesso in linea di principio indicazione dei tassi e fermo restando che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrentedegli altri oneri contrattuali, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti applicano: «a) il tasso nominale minimo e quello massimo, rispettivamente per le operazioni attive e per quelle passive, dei buoni ordinari del tesoro annuali o di altri titoli similari eventualmente indicati dal Ministro dell'economia e delle finanze, emessi nei dodici mesi precedenti la volontà conclusione del coniuge separato contratto o, se più favorevoli per il cliente, emessi nei dodici mesi precedenti lo svolgimento dell'operazione. b) gli altri prezzi e condizioni pubblicizzati per le corrispondenti categorie di accollarsi l’intera quota del mutuo operazioni e in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto servizi al momento della separazione consensualeconclusione del contratto o, se più favorevoli per il cliente, al momento in cui l'operazione è effettuata o il servizio viene reso; in mancanza di pubblicità nulla è dovuto». Pertanto Nel contempo, il ricorso Collegio rileva che l’intermediario, nel rideterminare gli interessi passivi entro il limite fissato dal sopra esposto art. 117, 7° comma, non dovrà applicare a partire dal 1/1/2014 la clausola di capitalizzazione trimestrale degli stessi, essendo fondata l’eccezione di invalidità sopravvenuta della convenzione di anatocismo contenuta nel contratto di conto corrente a seguito dell’entrata in vigore delle modifiche apportate all’art. 120, 2° comma, T.u.b. dall’art. 1, comma 629, legge 147/2013. A tal proposito è necessario preliminarmente precisare che il Collegio non può trovare accoglimentovalutare l’originaria validità delle clausole contrattuali relative alla capitalizzazioni degli interessi, trattandosi nel caso di specie di un conto corrente acceso anteriormente al 1/1/2009, limite temporale fissato alla giurisdizione dell’ABF dalla disciplina vigente (par. 4, sez. I, delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazione e servizi bancari e finanziari). Il Collegio può invece accertare se le pattuizioni intervenute tra le parti siano affette da illiceità sopravvenuta per effetto della mutazione delle norme di riferimento, come peraltro chiede il ricorrente. In particolare, il citato art. 1 comma 629 L. 27.12.2013 n.147 ha modificato l’art. 120, 2° comma, T.u.b., con efficacia dal 1.1.2014, introducendo un radicale divieto per le banche di praticare interessi anatocistici («Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell'attività bancaria, prevedendo in ogni caso che: […] b) gli interessi periodicamente capitalizzati non possano produrre interessi ulteriori che, nelle successive operazioni di capitalizzazione, sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale»). L’intermediario contesta che tale modifica fosse operativa prima dell’emanazione della relativa disciplina secondaria di attuazione e sostiene che nelle more restassero transitoriamente valide le clausole di capitalizzazione trimestrale degli interessi redatte in conformità della delibera C.i.c.r. del 9.2.2000. La questione è stata oggetto di esame da parte del Collegio di coordinamento nella decisione n. 7854/2015, il quale invece è pervenuto ad affermare la natura immediatamente precettiva del nuovo art. 000 X.x.x. Xx consegue l’immediata invalidità sopravvenuta delle clausole contrattuali che, in linea con la precedente formulazione della norma e con la delibera C.i.c.r. del 9.2.2000, prevedevano la produzione di interessi anatocistici a condizione che fosse rispettata la stessa periodicità di capitalizzazione per gli interessi attivi e passivi. Nello stabilire questo principio di diritto, il Collegio di coordinamento ha negato l’ultrattività della normativa secondaria emanata in attuazione della previgente disciplina; nel contempo, però, ha riconosciuto che non spetta all’Arbitro Bancario (ma all’Autorità amministrativa competente) il potere-dovere di rivolgere agli operatori bancari indicazioni generali di tecnica contabile e contrattuale. Il Collegio ha pertanto concluso che, fino all’emanazione della nuova delibera Cicr gli intermediari avrebbero dovuto adottare le opportune prassi contabili per renderle coerenti con il divieto di addebito di interessi anatocistici. Questo Collegio intende dare continuità all’orientamento manifestato dalla richiamata decisione del Collegio di coordinamento e ritiene che i principi ivi affermati restino validi nel caso di specie, nonostante l’ulteriore modifica subita nel frattempo dall’art. 120, 2° comma, T.u.b. ad opera della legge 8.4.2016, n. 49 in sede di conversione del d.l. 14/2/2016, n. 18. Il nuovo art. 120 T.u.b. dispone che: «Il CICR stabilisce modalità e criteri per la produzione di interessi nelle operazioni poste in essere nell'esercizio dell’attività bancaria»; nel definire i principi della normativa di attuazione (in seguito emanata con D.M., 3/8/2016, n. 343), l’attuale formulazione dell’articolo conferma il principio di uguale periodicità nel conteggio degli interessi, ma precisa che il periodo deve essere « comunque non inferiore ad un anno; gli interessi sono conteggiati il 31 dicembre di ciascun anno e, in ogni caso, al termine del rapporto per cui sono dovuti». Per quanto riguarda specificamente gli interessi debitori, la nuova norma conferma che in via di principio gli stessi « non possono produrre interessi ulteriori, salvo quelli di mora, e sono calcolati esclusivamente sulla sorte capitale». Tuttavia, si precisa che «per le aperture di credito regolate in conto corrente e in conto di pagamento, per gli sconfinamenti anche in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido: 1) gli interessi debitori sono conteggiati al 31 dicembre e divengono esigibili il 1º marzo dell'anno successivo a quello in cui sono maturati; nel caso di chiusura definitiva del rapporto, gli interessi sono immediatamente esigibili; 2) il cliente può autorizzare, anche preventivamente, l'addebito degli interessi sul conto al momento in cui questi divengono esigibili; in questo caso la somma addebitata è considerata sorte capitale; l'autorizzazione è revocabile in ogni momento, purché prima che l'addebito abbia avuto luogo». Il Collegio è consapevole che l’attuale disciplina concede nuovo spazio alla produzione di interessi anatocistici limitatamente alle aperture di credito e agli sconfinamenti non autorizzati in c/c. Osserva tuttavia che tale reintroduzione di pratiche anatocistiche può essere convenuta fra banca e cliente solo per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge 49/2016, e cioè dal 15/04/2016, ed a condizione che sussistano le ulteriori condizioni previste dall’art. 120, 2° comma, T.u.b.: 1) che la capitalizzazione avvenga con cadenza annuale; 2) che sia espressamente autorizzato dal cliente l’addebito degli interessi passivi sul conto corrente. In mancanza di tali condizioni, e comunque per il periodo in cui è stata in vigore la versione dell’art. 120, 2° comma, T.u.b. introdotta dalla legge 147/2013 l’addebito di interessi anatocistici è illecito. Ne consegue, pertanto, che a partire dal 1/1/2014 e fino all’eventuale adeguamento degli accordi con il cliente in conformità alle previsioni del nuovo art. 120, 2° comma, T.u.b. (come da ultimo modificato dalla legge 49/2016) e relativa normativa di attuazione, l’intermediario non potrà procedere ad una capitalizzazione periodica degli interessi passivi.

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DIRITTO. Sulla Va innanzitutto esaminata l’eccezione preliminare sollevata dall’intermediario resistente, il quale chiede che vengano dichiarate irricevibili le domande relative all’accertamento dell’inosservanza della forma scritta prevista per i contratti bancari e alla restituzione degli interessi anatocistici, perché introdotte solo in sede di ricorso e non presenti nel reclamo. La Sez. VI, par. 1 delle “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” prevede che “Il ricorso all’ABF è preceduto da un reclamo preventivo all’intermediario […] il ricorso deve avere ad oggetto la stessa questione sollevata esposta nel reclamo”. Nel caso in esame, il reclamo contiene una contestazione relativa alla “mancata pattuizione per iscritto degli interessi, delle commissioni e delle spese”. Come si evince dalla perizia prodotta dal ricorrente è necessario precisare chericorrente, a norma dell’art. 1273 cod. civ., qualora intervenga un accollo tra il debitore ed un terzo “l’adesione del creditore importa liberazione del creditore originario solo se ciò costituisce condizione espressa tale doglianza discende dall’asserita inosservanza della stipulazione o se il creditore dichiara espressamente forma scritta dei contratti (dovuta all’assenza di liberarlo”sottoscrizione della banca). Pertanto, non può essere accolta l’eccezione preliminare sollevata dall’intermediario resistente in riferimento alla domanda di accertamento dell’inosservanza della forma scritta e di condanna alla restituzione delle somme addebitate ai sensi dell’art. 117 TUB. In applicazione delle medesime norme, risulta, invece, fondata l’eccezione di irricevibilità formulata dalla resistente con riguardo alla richiesta di restituzione degli interessi anatocistici, data l’assenza nel reclamo di qualsiasi riferimento alla richiesta formulata sul punto nel ricorso. Tale domanda è pertanto da ritenersi improcedibile. Venendo alla domanda di accertamento della nullità del contratto di conto corrente e del contratto di apertura di credito per l’inosservanza della forma scritta prevista per i contratti bancari dall’art. 117 del TUB, il creditoreCollegio rileva che la questione è stata affrontata in giurisprudenza e in dottrina con esiti non univoci. In materia di contratti per la prestazione di servizi di investimento, disciplinati quanto alla forma in maniera molto simile ai contratti bancari, la Corte di Cassazione ha recentemente affermato che è nullo il contratto sottoscritto soltanto dal cliente, poiché la forma scritta bilaterale richiesta ad substantiam dall’art. 23 del Testo Unico della Finanza deve intendersi un elemento costitutivo del contratto (cfr. Cass. 5919/2016; 7068/2016; 8395/2016; 8396/2016; 10331/2017). La Suprema Corte, con successiva ordinanza n. 10447/2017 di rimessione alle Sezioni Unite della questione, ha tuttavia rilevato la necessità di ulteriori riflessioni sul punto, posto che al recente orientamento sopra ricordato si contrappone un diverso orientamento che trova consensi in dottrina e nella giurisprudenza soprattutto di merito, il quale esclude la necessità della sottoscrizione della banca per la validità del contratto di prestazione di servizi di investimento, laddove il modulo contenente le condizioni generali di contratto, sottoscritto dal cliente, sia stato predisposto dalla banca. Tale orientamento, che ha trovato conferme nella giurisprudenza di merito e di legittimità (cfr. Appello Venezia n. 1377/2016; Trib. di Reggio Xxxxxx 28/04/2015; Cass. n. 22223/2006), nonché in precedenti di questo Arbitro (cfr. Coll. di Roma, decisione n. 7009/2015), valorizza le differenze tra la ratio della forma scritta ad substantiam prevista dal codice civile per contratti che richiedono particolare solennità nell’ambito di rapporti paritari e la ratio della forma scritta prevista dalla disciplina bancaria e finanziaria, finalizzata alla protezione del contraente debole e alla soddisfazione di esigenze di chiarezza e trasparenza informativa. Tale orientamento tiene anche debitamente conto dell’esigenza di prevenire un uso opportunistico della nullità di protezione da parte del contraente debole. Il Collegio intende uniformarsi a questo secondo orientamento, ritenendo che il requisito formale stabilito a fini informativi e di tutela del contraente debole debba intendersi riferito alla manifestazione di volontà di quest’ultimo, mentre la volontà dell’intermediario possa essere manifestata anche attraverso altre forme (non potendo, peraltro, l’intermediario contestare la validità per carenza di forma scritta). A tale proposito, può ritenersi sufficiente la predisposizione del modulo contenente le condizioni generali di contratto da parte dell’intermediario ovvero l’incontestata esecuzione del contratto da parte dell’intermediario nel rispetto delle condizioni contrattuali sottoscritte dal cliente. Nel caso in esame, le copie dei contratti versate in atti contengono la sottoscrizione del correntista e il visto dell’addetto della banca che ha acquisito la firma del cliente. Inoltre, è pacifico che ai contratti di conto corrente e apertura di credito oggetto del ricorso sia stata data esecuzione nel rispetto delle condizioni pattuite. Per queste ragioni, la doglianza relativa alla nullità per mancanza della forma scritta prevista dall’art. 117 del TUB e la conseguente pretesa restitutoria (peraltro del tutto generica) relativa a spese ed oneri quantificati in euro 2.213,57 devono ritenersi infondate. Il ricorrente chiede, infine, la restituzione di somme addebitate a titolo di interessi in applicazione dell’art. 1815, comma 2, c.c., per l’asserito superamento della soglia usura nei trimestri I, II, III e IV del 2011 e I e II del 2015. In particolare, la perizia prodotta dalla parte ricorrente contesta come distorta la metodologia di calcolo prevista dalle Istruzioni della Banca d’Italia per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi, poiché essa escluderebbe numerosi oneri, e al suo posto utilizza una metodologia di calcolo del TEG che deriverebbe direttamente dalla L. 108/96 nella parte in cui sancisce che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo delle spese, escluse quelle per imposte e tasse collegate alla erogazione del credito”. L’usura oggettiva è regolata da un quadro normativo complesso: a livello primario, in diritto civile, dall’art. 1815 comma 2 c.c., e, in diritto penale, dall’art. 644 c.p. e dalla L. 7 marzo 1996, n. 108 (cd. Xxxxx Xxxxx) e dal D.l. 394/2000, di regolainterpretazione autentica della stessa. La norma penale è, conserva appieno inoltre, completata dai decreti trimestrali del Ministero dell’Economia e delle Finanze (al quale è demandato il compito di individuare il limite oltre il quale gli interessi sono considerati sempre usurari e di stabilire le diverse categorie di operazioni creditizie) e dalle “Istruzioni per la facoltà rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” della Banca d’Italia, che per ogni categoria di scegliere se determinare operazione creditizia prevedono le voci di cui tenere conto e la liberazione metodologia di calcolo per la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi necessari ai fini della determinazione dei tassi soglia ex art. 2, comma 4, della Legge Usura. Con riferimento alla metodologia di calcolo da utilizzare per la verifica di usurarietà dei tassi in concreto applicati, l’orientamento di questo Arbitro è costante nell’affermare che le Istruzioni della Banca d’Italia costituiscono il punto di riferimento imprescindibile per il calcolo del debitore originario TEG e, pertanto, vi deve essere piena simmetria tra la tra formula utilizzata per la rilevazione del TEGM e la formula utilizzata per il calcolo dello specifico TEG contrattuale (accollo liberatorio) ovvero cfr., ex multis, sul cd. “principio di conservare l’obbligazione del debitore originario (accollo cumulativosimmetria”, Collegio di Coordinamento, dec. n. 3412/2014; Coll. di Roma, decisione n. 6759/2016; Coll. di Roma, decisione n. 11395/2016). InfattiAnche la Corte di Cassazione si è di recente pronunciata in questo senso con sentenza n. 12965/2016 affermando, tra l’altro, che se il l’accollo raffronto non viene effettuato adoperando la medesima metodologia di calcolo, il dato che se ne ricava non può avere efficacia liberatoria che essere in principio viziato”. Ne deriva che, avendo la perizia di parte utilizzato una metodologia di calcolo ex professo diversa da quella prevista dalle Istruzioni della Banca d’Italia, sia per l’originario debitore solo quando il creditore esprima i fattori in tal senso una volontà espressa ed inequivocaessa inclusi che per la struttura della formula, deve ritenersi non soddisfatto dalla parte ricorrente l’onere della prova circa l’asserito superamento del tasso soglia previsto dalla legge in mancanza della quale tale debitore - riferimento ai trimestri indicati nel ricorso. Né spetta all’Arbitro rielaborare i conteggi relativi al rapporto controverso, essendo pacifico che all’Arbitro non potendo ritenersi liberato - conserva l’interesse ad agire nei confronti dell’accollante, per l’inadempimento delle obbligazioni da questi assunte, per effetto dell’accollo, nei confronti del terzo creditore” possono essere demandate attività di tipo consulenziale (x. Xxxxcfr., 24 giugno 2009ex multis, Coll. di Roma, decisione n. 147801780/2017). Ciò premesso in linea di principio e fermo restando Il Collegio ritiene, pertanto, che la banca non è obbligata ad accordare l’estromissione del ricorrente, si osserva che nella fattispecie quest’ultimo non ha prodotto alcun documento da cui risulti la volontà del coniuge separato domanda relativa di accollarsi l’intera quota del mutuo e restituzione delle somme addebitate a titolo di interessi debba essere respinta in particolare non risulta, come rilevato dall’intermediario, che sussista l’effettiva e attuale volontà del coniuge di confermare l’accordo asseritamente intervenuto al momento della separazione consensuale. Pertanto il ricorso non può trovare accoglimentoquanto infondata.

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