FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:
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Samples: Mutuo Ipotecario
FATTO. Con ricorso presentato La parte ricorrente riferiva di essere erede legittimo di S. M., deceduto in data 4 novembre 201513.04.2020 e titolare, alla data del decesso, di rapporti - conto corrente e deposito titoli ordinario - presso l’intermediario resistente. Dopo aver tempestivamente comunicato all’intermediario la propria qualità di erede legittimo, unitamente al fratello W. M, formalizzava la richiesta di liquidazione pro quota dei rapporti in essere, stante l’indisponibilità del fratello a una gestione congiunta della pratica; nel mese di luglio depositava la documentazione utile a dare corso alla richiesta di liquidazione dei rapporti e/o di riscossione degli importi. Successivamente sollecitava la richiesta di liquidazione pro quota dei rapporti in essere, ricevendo inizialmente un netto rifiuto. Per quanto riguarda il rapporto assicurativo, dopo una iniziale collaborazione, l’agenzia eccepiva l’estraneità del rapporto. Il 20.07.2020 proponeva formale contestazione all’intermediario, reiterando la medesima richiesta e ricevendo, il ricorrente26.08.2020, assistito da la comunicazione di accoglimento dell’istanza, con invito a fissare un legale appuntamento per la formalizzazione dell’operazione (liquidazione pro quota delle consistenze del conto corrente e del deposito titoli); con la medesima comunicazione veniva altresì indicata la piena disponibilità dell’intermediario ad inserire la richiesta di fiducialiquidazione della suddetta polizza. A seguito del parere favorevole dell’intermediario, espone l’agenzia assumeva un atteggiamento evasivo, riferendo la necessità di essere titolare una non meglio precisata “autorizzazione finale allo svincolo della successione”. Essendo socio unico e amministratore di un mutuo ipotecariouna s.r.l. operante nel settore dell’edilizia, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili sta patendo gravi conseguenze anche sul piano imprenditoriale (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscalidecreto ingiuntivo), in quelle che godono dei benefici “prima casa” conseguenza anche dell’impossibilità di attingere alle risorse ereditarie per fronteggiare la situazione economica in quantocorso e pagare, a norma dell’artsenza ulteriori aggravi, le esposizioni debitorie. 1 In seguito alla pec dell’intermediario, con la quale si motivava il diniego alla liquidazione pro quota del contratto coerede richiamando la formalizzazione di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzadiffida dell’altro coerede (W. M.), in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, 29.09.2020 veniva integrato il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015citato reclamo. Il ricorrente02.10.2020, in data 22 luglio 2015riceveva un secondo decreto ingiuntivo, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità riferito sempre a debiti della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzias.r.l., che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misurasarebbe stato anch’esso evitato, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspettise incassate al tempo le risorse ereditarie. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria La diffida del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 201507.09.2020, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità firma del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:coerede W.
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Samples: Liquidation of Inheritance
FATTO. Con ricorso presentato del 6/10/2015 la ricorrente afferma di avere sottoscritto, in data 4 novembre 29/07/2011, un contratto di mutuo con l’intermediario resistente per l’importo di euro 4.500.000,00 da estinguersi in 76 rate trimestrali e di avere presentato, in data 21/01/2015, una richiesta di sospensione del pagamento delle rate ai sensi dell’Accordo per il credito 2013 a favore delle PMI. Lamenta l’assenza di riscontro dell’intermediario a tale domanda di sospensione che, a suo dire, avrebbe meritato accoglimento per la sussistenza di tutti i requisiti richiesti e per la mancata precedente fruizione della moratoria del finanziamento in parola. Riferisce che solo con nota del 7/04/2015, e quindi successivamente alla presentazione di apposito reclamo, l’intermediario comunicava il rigetto della richiesta di sospensione dei pagamenti, motivandola con la precedente fruizione del beneficio da parte della mutuataria ai sensi delle Misure per il credito alle PMI del 2012. Afferma di avere avanzato una nuova richiesta ai sensi dell’Accordo per il credito 2015 in data 18/06/2015 e di avere proposto un nuovo reclamo all’intermediario in data 31/07/2015, stante, di nuovo, l’assenza di riscontro alla richiesta avanzata. Con il ricorso all’ABF, la società ricorrente contesta l’opposizione e l’assenza di ogni motivazione dell’intermediario resistente alle richieste avanzate per ottenere l’ammissione alla moratoria e chiede all’ABF l’applicazione dell’Accordo per il Credito 2013 secondo lo schema e con i presupposti della normativa in esame, dopo aver segnalato di essere in possesso di tutte le condizioni e i requisiti richiesti dalla normativa vigente per l’accesso alle predette misure. Nelle proprie controdeduzioni, l’intermediario eccepisce l’irricevibilità del ricorso sul presupposto della natura costitutiva della pronuncia richiesta dalla ricorrente all’ABF, al quale la ricorrente chiede l’”applicazione” dell’Accordo per il credito 2013. Nel merito, e con riguardo alla prima richiesta di moratoria formulata dalla ricorrente, segnala che quest’ultima aveva già beneficiato della sospensione del pagamento delle rate del mutuo nel periodo giugno-settembre 2012 in applicazione delle “Nuove misure per il Credito alle PMI” del 2012, ciò che determinava l’impossibilità di accedere per una seconda volta alla predetta moratoria, secondo i chiarimenti forniti dall’ ABI che indicavamo, come condizione di tale agevolazione, la mancata precedente fruizione del beneficio di cui alle “Nuove Misure per il Credito alle PMI” del 28 febbraio 2012”. Con riferimento alla seconda richiesta avanzata ai sensi dell’Accordo per il credito del 2015, il ricorrentel’intermediario osserva che l’accordo non prevede alcun automatismo nell’accesso a tale sospensione, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscalirestando invece ferma l’autonomia delle banche nella valutazione delle richieste ricevute, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quantoapplicazione del principio di sana e prudente gestione. In tale prospettiva, dichiara di aver valutato il merito creditizio della società ricorrente e di aver considerato, a norma dell’arttal fine, il suo inadempimento all’art. 1 6 del contratto di mutuo in oggettoche consentiva alla banca di chiedere la risoluzione del contratto o di esercitare il diritto di recesso laddove, dal bilancio della società, fosse risultato un finanziamento soci inferiore a euro 1.500.000,00, come si era effettivamente verificato (il mutuo è stato erogato per l’acquisto bilancio d’impresa al 31/12/2014 evidenziava infatti un finanziamento soci di un immobile da adibire ad abitazione principaleeuro 453.000,00). I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”Precisa, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziariepertanto, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzache, in data 11 maggio 2015pur non avendo ritenuto, per evitare che maturassero interessi sulle quote insoluteil momento, chiedeva di risolvere il contratto, tale circostanza aveva influito sulla valutazione del merito creditizio della ricorrente nel valutare la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la sua richiesta di accesso alla moratoria. Chiede pertanto all’ABF, in via principale, di dichiarare irricevibile il ricorso, in quanto volto ad ottenere una pronuncia costitutiva estranea alla competenza dell’ABF; in via subordinata, chiede all’ABF di “riconoscere che la sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata mutuo ai sensi dell’”Accordo per il credito 2015” costituisce decisione rimessa alla finalità valutazione del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate merito creditizio del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso cliente da parte della parte resistente banca e, dunque, escludere il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionalediritto della ricorrente ad ottenere detto beneficio in assenza dell’espresso consenso dell’intermediario”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:.
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Samples: Mutuo
FATTO. Con ricorso presentato La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne il tema della nullità di un contratto di fideiussione. Questi, in data 4 novembre 2015sintesi, i fatti oggetto del procedimento. La società attuale ricorrente stipulava con un terzo, in qualità di appaltatrice, un contratto avente ad oggetto la “progettazione direzione ed esecuzione dei lavori di ristrutturazione del locale commerciale … nonché della fornitura di elettrodomestici ed arredamento interno”. Considerato che il committente chiedeva di pagare ratealmente, il ricorrente, assistito da un legale contratto prevedeva la stipula di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari una polizza fideiussoria - assicurativa o bancaria - a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 eurogaranzia dei pagamenti. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzaLa garanzia veniva prestata dall’odierno resistente, in data 11 maggio 201514 luglio 2014, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolutesotto forma di fideiussione dell’importo di € 40.000,00, chiedeva la caratterizzata dalla previsione della clausola “moratoria ai sensi dell’art. 1a prima richiesta”, comma 246, legge e con rinuncia da parte del fideiussore al beneficio di stabilità 2015”preventiva escussione del debitore principale. In tal mododata 18 luglio 2014, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito “facendo affidamento sull’efficacia e validità di tale istanzagaranzia”, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava la società ricorrente sottoscriveva quindi il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015contratto d’appalto. Il ricorrentedebitore principale, in data 22 luglio 2015emetteva, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1altresì, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava assegni bancari “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinatoad ulteriore garanzia dei pagamenti a farsi”. Tuttavia, il primo assegno, con data 20 agosto 2014, risultava impagato per mancanza di provvista “e così pure altri assegni”. La ricorrente informava, pertanto, immediatamente il resistente “di tale grave inadempimento” e richiedeva all’intermediario, appunto nella qualità di garante, il pagamento delle somme come previsto nell’atto di fideiussione. Tuttavia l’intermediario “per sottrarsi all’obbligo di adempiere la garanzia”, invocava la clausola di cui all’art. 5 del contratto “eccependo che il socio contraente … non aveva prestato la garanzia ipotecaria ivi prevista”. Ritenendo tale eccezione infondata, il 14 novembre 2014, la società ricorrente, tramite il proprio legale, ha presentato formale reclamo all’intermediario. La società deduce, innanzitutto, che la clausola invocata dalla resistente «non è in data 31 agosto 2015 reiterava realtà qualificabile come una condizione ai sensi degli art. 1353 ss. c.c., in quanto essa non sospende gli effetti giuridici del contratto che è stato stipulato tra le parti; infatti all’art. 2 delle condizioni generali è espressamente previsto che il premio relativo al seguente contratto è, comunque, incamerato dalla Società e non potrà in alcun caso esserne richiesta la restituzione…». Secondo la società tale clausola «introduce a carico dell’altro contraente (e conseguentemente del terzo garantito) un onere che limita l’esercizio del suo diritto contrattuale in modo tale da snaturare causalmente il negozio giuridico di garanzia, facendo venir meno la naturale solidarietà tra il debito del fideiussore e quello del debitore principale, la quale è peraltro dichiaratamente voluta dalle parti contraenti». Sulla base di tali premesse la società concludeva chiedendo all’intermediario di «riconsiderare la richiesta di accesso escussione della polizza, riscontrandola con esito positivo». Non soddisfatta del riscontro ricevuto, la società si è rivolta all’Arbitro Bancario Finanziario, sostenendo - sulla scorta di alcuni orientamenti della Cassazione e dello stesso Xxxxxxx – che «una clausola condizionale che snaturi il tipo di contratto al quale è apposta, alterando la causa che lo caratterizza peculiarmente è inficiata da nullità». La società ha quindi chiesto al Collegio di dichiarare la nullità della clausola dettata dall’art. 5, e, quindi, per l’effetto, di dichiarare l’intermediario tenuto ad adempiere gli obblighi nascenti dalla garanzia. L’intermediario ha resistito depositando controdeduzioni con cui chiede il rigetto del ricorso. Il resistente espone in fatto di avere rilasciato, in data 14 luglio 2014, un atto di fideiussione a favore della società ricorrente, con il quale si prestava garanzia fino alla sospensione concorrenza di € 40.000,00. La fideiussione, infatti, veniva rilasciata «a garanzia del mutuocorretto e puntuale pagamento di € 40.000,00 (euro quarantamila/00) per la progettazione, rilevando la direzione e l’esecuzione dei lavori di ristrutturazione svolti nel locale commerciale sito in Napoli …, nonché della fornitura di elettrodomestici ed arredamento interno». Prosegue quindi osservando che sebbene l’art. 5 delle condizioni generali di fideiussione prevedesse che «il Contraente si obbliga a prestare garanzie ipotecarie a favore della Società fideiubente su beni, anche di terzi, del valore per lo meno equivalente alla garanzia prestata che non spiega alcun effetto giuridico fino all’avverarsi di tale condizione», tali garanzie di natura reale non venivano mai fornite. Dopo aver sottolineato che la ratio della disciplina clausola sospensiva di cui alla legge 190/2014all’art. 5 non atteneva al rapporto obbligatorio garantito, art. 1ma rappresentava una condizione idonea a incidere sull’efficacia dell’atto di fideiussione stesso, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolaresicché «l’eccezione è opponibile anche al creditore garantito», il ricorrenteresistente insiste nell’affermare che «tale condizione sospensiva, riportando integralmente il menzionato art. 1cui verificarsi non dipende dall’arbitrio del fideiussore, evidenzia che la misura della sospensione ma è ricollegabile ad un fatto volontario del piano di ammortamento è rivolta contraente, non può essere considerata vessatoria» perché «non attiene ad una duplice categoria limitazione di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura responsabilità del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionalifideiussore, ma all’insorgere stesso dell’obbligazione fideiussoria, con tutto ciò che ne consegue anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”ordine alla doppia sottoscrizione». In conclusione, si rappresenta cosìl’intermediario sostiene la piena validità della clausola, e dunque la legittimità del proprio rifiuto di adempiere gli obblighi derivanti dalla garanzia, sottolineando che la clausola in parola risponderebbe ad un interesse pienamente meritevole di tutela – come riconosciuto dalla giurisprudenza – atteso che la funzione economica della clausola ipotecaria consiste nella possibilità che il garante possa esperire con successo l’eventuale azione di rivalsa nei confronti del debitore principale nel caso in cui, per le ragioni su espostel’inadempimento di quest’ultimo, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il garante debba corrispondere il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata richiesto dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:beneficiario.
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FATTO. Con ricorso presentato L’ATI con capogruppo mandataria il Consorzio Cooperative Costruzioni CCC società cooperativa impugnava davanti al TAR Lazio – sede di Roma il provvedimento del 4 giugno 2012 (n. di prot. 80861), con il quale l’Azienda per la Mobilità del Comune di Roma – ATAC s.p.a. disponeva la revoca in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un legale autotutela degli atti della procedura di fiducia, espone di essere titolare gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori necessari alla realizzazione di un mutuo ipotecariodeposito tranviario nell’area ex “Centro Carni” ed opere connesse, stipulato che il 13 luglio 2010raggruppamento ricorrente si era aggiudicato con deliberazione del consiglio d’amministrazione n. 81 del 14 novembre 2005, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa stipulando il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del conseguente contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato d’appalto in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/20142006. Con motivi aggiunti il predetto Consorzio impugnava la nota dell’Azienda del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”19 ottobre 2012 (prot. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitaton. 147684), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomila quale questa chiedeva la riconsegna delle aree di cantiere sul presupposto, e dunqueespressamente dichiarato, al caso dell’intervenuta caducazione del contratto per effetto della precedente revoca. L’azienda aveva motivato l’atto di specie. corso revoca sulla base di ammortamento per plurimi motivi di interesse pubblico, consistenti: nella “sostanziale non esecuzione” dell’appalto; nell’aggravio dei costi prospettati dall’appaltatrice; nelle proprie sopravvenute mutate esigenze operative; nell’inserimento del deposito tramviario in un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo dismissioni immobiliari deliberato dall’assemblea di Roma Capitale; nell’incertezza in oggetto ritenendo ordine all’effettiva disponibilità di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti risorse per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato finanziare l’opera. Aveva quindi preannunciato che con nota del 30 settembre 2015separato provvedimento avrebbe corrisposto all’appaltatrice l’indennizzo di cui all’art. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 121-quinquies, comma 2461-bis, della legge l. n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:241/1990.
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FATTO. Con il ricorso presentato in data 4 novembre introduttivo del procedimento, il ricorrente espone che: - il 20 settembre 2014, l’intermediario odierno resistente rilasciava a suo favore una fideiussione, per garantire il pagamento di alcuni canoni di locazione da parte di un consorziato del resistente medesimo; - stante l’inadempimento di tali canoni per i mesi di marzo, aprile e maggio del 2015, il ricorrentericorrente intimava all’intermediario resistente di provvedere al pagamento, assistito da un legale ma senza ottenere alcun risultato; - in seguito, non sarebbero stati pagati neppure i canoni di fiducia, espone locazione per i mesi di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 giugno e luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioniCiò posto, il ricorrente chiede “che l’intermediario resistente sia condannato al pagamento dei canoni di accogliere locazione rimasti insoluti. L’intermediario non ha resistito al ricorso. Il Collegio di Roma, nella riunione del 5 novembre 2015, ha sollevato: (i) il presente problema di stabilire se questo Arbitro possa pronunciarsi nel merito di una controversia sottoposta al suo giudizio anche quando l’intermediario fosse bensì iscritto nel relativo elenco (o albo) al giorno della presentazione del ricorso, ma, nelle more del giudizio, sia stato poi cancellato (come accaduto in questo caso); (ii) la difformità di orientamenti emersi nei Collegi ABF in ordine alla validità ovvero alla nullità del contratto di garanzia concluso da un confidi in violazione dei limiti che la disciplina di settore pone alla sua operatività. Ritenendo che la soluzione delle anzidette questioni fosse di particolare importanza, il Collegio di Roma ha rimesso l’esame del ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:al Collegio di Coordinamento.
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Samples: Fideicommissum
FATTO. Con ricorso presentato Parte ricorrente riferisce che in data 4 novembre 201512/02/2019 effettuava l’acquisto on line di un cellulare; il venditore, pur avendo ricevuto il pagamento nella stessa data, non ha consegnato il bene nelle tempistiche da lui dichiarate. Dopo diversi tentativi a mezzo telefonico, e-mail e mediante R.R., il ricorrentevenditore non consegnava il bene e non restituiva i soldi; in data 15/04/2019 veniva effettuata denuncia presso la Polizia Postale e l’accaduto veniva segnalato ad una associazione a tutela dei consumatori. Terminati tutti i possibili tentativi, assistito da un legale in data 01/08/2019 e poi in data 10/09/2019 effettuava richiesta di fiduciachargeback all’intermediario, espone senza esito positivo. Il ricorrente chiede all’ABF che venga applicata la procedura di essere titolare Charge Backcome con la relativa restituzione della somma di euro 414,00. L’intermediario eccepisce che l’intermediario è responsabile solo di un mutuo ipotecarioeventuale inadempimento o inesatto adempimento nell’esecuzione di una operazione di pagamento, stipulato come avviene nel caso di esecuzione di pagamenti non autorizzati, di errori nell’individuazione del beneficiario ovvero di erroneità nell’indicazione dell’importo da addebitare; in base all’art. 17, c. 7, D.Lgs. n. 11/2010, come chiarito dal Collegio di Coordinamento, n. 1260/14: «il 13 luglio 2010diritto al rimborso non deriva dal fatto che è insorta una disputa tra il pagatore ed il beneficiario, per un importo pari a 205.200,01 euroma può essere attribuito al pagatore nei confronti del prestatore di servizi di pagamento (in deroga la principio di irrevocabilità) da clausole del contratto quadro, da rimborsare norme di legge nazionali o da fonti sub legali nazionali, nel caso di disputa tra il pagatore ed il beneficiario del pagamento». La materia del contendere attiene dunque alla possibilità che l’utilizzatore di una carta ottenga dall’emittente il rimborso della somma oggetto di transazione nell’ipotesi di inadempimento dell’esercente (procedura di chargeback): tale procedura consente di procedere al rimborso di una transazione prevedendo che l’intermediario emittente la carta (issuer) possa regolare lo storno dell’addebito in 300 rate mensili accordo con l’intermediario dell’esercente (acquirer) attraverso le infrastrutture del circuito di pagamento. Lo storno è dunque chiesto per motivi che non attengono al rapporto con l’erogatore del servizio di pagamento: il motivo della richiesta di annullamento dell’operazione è quindi del tutto esterno a scadenza posticipata) tale rapporto e non è in alcun modo imputabile al gestore dei servizi di pagamento. L’intermediario asserisce inoltre che la procedura di chargeback non attribuisce un diritto incondizionato al rimborso essendo sottoposto ai limiti e alle condizioni previste da 915,41 euroi regolamenti dei Circuiti Internazionali di pagamento (art. 17, oltre alla prima rata da 1.177,10 euroc. 8, D.Lgs. L’operazionen. 11/2010), precisa il ricorrentetra cui, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto nel caso di mutuo in oggettospecie, il mutuo è stato erogato per l’acquisto termine di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari 120 giorni dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui esecuzione della transazione per l’attivazione della procedura di chargeback; inoltre il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa lasciato decorrere 170 giorni tra la data di addebito (12/2/19) e l’inoltro della perdita domanda di rimborso (1/8/19); ciò non ha permesso alla banca di attivare la procedura di chargeback. La resistente chiede il rigetto del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:ricorso.
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Samples: Consumer Purchase Agreement
FATTO. Con ricorso presentato Una società (“cedente”) aveva stipulato due contratti di locazione finanziaria con l’odierno resistente: uno avente ad oggetto beni strumentali ed un altro inerente ad un bene immobile. Nel corso del 2009, la cedente ha concordato con l’odierna ricorrente (“cessionaria”) la cessione dei contratti de quibus. Tuttavia, con raccomandata A.R. del 1° febbraio 2010, l’intermediario ha negato il proprio consenso alla suddetta cessione. La cessionaria, con raccomandata del 15 febbraio 2010, ha chiesto copia del «contratto di locazione finanziaria di beni strumentale firmato [...] in data 4 novembre 201519/11/2009 [e del] contratto di locazione finanziaria di beni immobiliari [...] firmato in data 19/11/2009». Con raccomandata A.R. del 17 maggio 2010, la reclamante, per il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare tramite di un mutuo ipotecariolegale, stipulato il 13 luglio 2010ha rappresentato che «in data 19.11.2009, presso [una] filiale [dell’intermediario] ed in presenza del legale rappresentante della ditta [cedente], veniva sottoscritta, in persona del legale rapp.te p.t. della [cessionaria], la comunicazione di cessione di fabbricato per uso artigianale dell’immobile [oggetto di uno dei contratti di leasing de quibus]. Nella medesima circostanza, peraltro, la [cessionaria] sottoscriveva la cessione di un importo pari a 205.200,01 eurocontratto di locazione finanziaria di beni strumentali e la cessione di un contratto di locazione finanziaria di beni immobili, relativo al succitato fabbricato. Tale cessione contrattuale, successivamente (e senza fornire motivazione alcuna) non ratificata da rimborsare codesto istituto, ha determinato nelle more, la [cessionaria] al versamento di € 38.688,03 in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro[...] favore [dell’intermediario] per fatture arretrate della [cedente]». L’operazione, precisa il ricorrenteCiò premesso, è stata inseritarichiesta la «copia di entrambi i contratti di cessione, ai fini fiscalie di tutta la documentazione [...] sottoscritta dalla [cessionaria il 19 novembre 2009]». La banca, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto avvalendosi di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”avvocato, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesireplicato, con contestuale sospensione fax del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario4 giugno 2010, evidenziando che ha sempre agito nella veste «il 19.11[.2009] venne rappresentato [...] che vi erano tutta una serie di consumatore e nell’interesse adempimenti da eseguire per rendere possibile l’istruttoria sul subentrante [e] che la cessione avrebbe avuto effetto nei confronti della propria famiglia tanto banca solo dopo che la stessa avesse inviato formale accettazione ex art.1406 c.c. Primo fra tutti gli adempimenti richiesti era il saldo delle morosità in essere al momento, saldo che, ovviamente, non poteva provenire da un terzo ma doveva essere atto del contraente in essere al momento: tant’è che il mutuo era finalizzato all’acquisto relativo a/b di € 38.688/03 è a firma diretta [del rappresentate legale della prima casacedente] ed è esplicitamente corrisposto nella sua qualità di garante e fideiussore [...]. DiversamenteLa richiesta di cessione non è stata poi approvata dagli organi deliberanti della banca, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione [società cedente] è stata dichiarata fallita e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su espostedi più, un’interpretazione costituzionalmente orientata i beni del contratto strumentale non sono mai stati rinvenuti. A questo punto la questione per [la ] banca [...] può anche essere dichiarata conclusa; poi se la [cessionaria], senza attendere l’approvazione della norma qui in rilievo (art. 3 succitato)banca alla richiesta di cessione, ha avuto ‘scambi economici’ con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomiil [rappresentate legale della cedente], e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio [è] a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto quest’ultimo che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatoriva[...] chiesto conto, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato certo alla banca che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:dalla [cessionaria] non ha mai ricevuto alcunché».
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Samples: Financial Lease Agreement
FATTO. Con ricorso presentato del 10 febbraio 2016, la s.r.l. istante ha adito questo Arbitro, lamentando il mancato adempimento, da parte dell’intermediario, ad una fideiussione stipulata a garanzia delle obbligazioni nascenti da un contratto di locazione immobiliare, perfezionato dalla ricorrente in qualità di parte locatrice in data 4 novembre 201521 aprile 2011. Il rapporto locatizio – prosegue la ricorrente – procedeva regolarmente, il ricorrentefino a quando la conduttrice si rendeva morosa nel pagamento di alcuni canoni; di talché, assistito la ricorrente notificava atto di intimazione di sfratto per morosità e procedeva, quindi, all’escussione della garanzia. Non avendo la conduttrice sanato la morosità, lo sfratto veniva eseguito e l’immobile rilasciato nel settembre 2014. Nel frattempo – insiste l’istante – l’intermediario pagava parte della morosità accumulata, riconoscendo però alla ricorrente solo gli importi maturati fino alla data di recesso dalla fideiussione, che era stato formalizzato dalla banca in data 20 aprile 2014. Tuttavia – afferma sempre la ricorrente – la garanzia prestata in relazione alle obbligazioni nascenti da un legale contratto di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari locazione non potrebbe avere durata inferiore a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, quella dell’obbligazione principale cui è stata inserita, ai fini fiscalilegata, in quelle guisa tale che godono dei benefici “prima casa” in quantoil recesso comunicato dalla resistente sarebbe da considerarsi illegittimo. Sulla scorta di tali premesse, a norma dell’artpertanto, la ricorrente conclude per la condanna dell’intermediario resistente al pagamento dell’importo di € 8.739,00, pari alla residua morosità accumulata dalla conduttrice fino al rilascio dell’immobile. 1 del contratto di mutuo in oggettoNelle proprie controdeduzioni, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari la parte resistente ha rilevato che la fideiussione rilasciata dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, banca in data 11 maggio 201521 aprile 2011 prevedeva una durata annuale, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge tacitamente prorogabile di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano anno in anno in mancanza di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso revoca da parte della banca, da esercitarsi almeno trenta giorni prima della scadenza originaria o prorogata. In caso di revoca – sottolinea l’intermediario – eventuali richieste di pagamento da parte del beneficiario sarebbero dovute pervenire, a pena di decadenza, entro i trenta giorni successivi dalla scadenza non rinnovata. Ciò premesso in punto di diritto, prosegue la banca allegando e documentando in fatto di avere esercitato il recesso dalla fideiussione in data 20 febbraio 2014, rispettando così i termini contrattuali (posto che la garanzia si sarebbe rinnovata il 20 aprile 2014), ed a seguito della notifica del 12 maggio 2014, da parte della ricorrente, di un’intimazione di pagamento per l’importo di € 2.920,00, essa diligentemente lo onorava. In data 15 gennaio 2015, tuttavia, e dunque – secondo la prospettazione della resistente – ben oltre i termini contrattualmente previsti, la ricorrente notificava una nuova intimazione di pagamento per € 8.739,00. Non ritenendo in nessun modo giustificata tale ultima richiesta (sia in quanto tardiva, sia in quanto relativa a morosità maturate successivamente al 20 aprile 2014), la banca rifiutava il pagamento. Così esposti i fatti, e ritenuto del tutto legittimo il proprio operato, la parte resistente ha pertanto concluso per il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:rigetto del ricorso.
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Samples: Fideicommissum
FATTO. Con ricorso presentato Il ricorrente lamenta di essere stato vittima di un “furto di identità”, denunciato alle autorità competenti in data 4 novembre 201524/2/2016, in quanto a suo nome era stato illegittimamente stipulato con l’intermediario resistente un prestito personale; in particolare, afferma di aver subito un danno dalla segnalazione a sofferenza di tale posizione, per la quale non aveva ricevuto neanche il ricorrenteprescritto preavviso di iscrizione. Lamenta, assistito da in particolare, di aver subito un legale pregiudizio patrimoniale dall’accaduto, poiché gli sarebbe stato negato un finanziamento richiesto altro intermediario (in data 4/2/2016) volto ad acquisire uno studio professionale: operazione per la quale erano già state concluse le trattative, raggiunti gli accordi sugli elementi essenziali del contratto di fiduciacessione e predisposto il contratto medesimo. Afferma, espone quindi, di essere titolare aver subito un danno di natura economica per la mancata conclusione di tale affare commerciale a lui favorevole, nonché un mutuo ipotecariomancato guadagno per non poter più accedere al mercato del credito, stipulato il 13 luglio 2010con lesione del suo diritto di iniziativa economica. Asserisce, inoltre, di aver subito un danno alla propria reputazione professionale e commerciale a causa del permanere per un lungo periodo di tempo della segnalazione nei SIC. Il ricorrente chiede pertanto all’Arbitro di condannare l’intermediario al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali per un importo pari a 205.200,01 euro€ 30.000,00 per impossibilità di accesso al credito e perdita di occasioni favorevoli e a € 12.000,00 per lesione del diritto alla reputazione professionale e commerciale, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euroall’onore e all’immagine. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto L’intermediario ha presentato controdeduzioni nelle quali afferma di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzaaver provveduto, in data 11 maggio 201510/3/2016, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolutea cancellare la segnalazione nei SIC appena venuto a conoscenza in data 5/2/2016 della volontà del ricorrente di disconoscere il finanziamento; precisa, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1inoltre, comma 246, legge di stabilità 2015”non aver mai effettuato alcuna segnalazione nella Centrale Rischi. In tal modoogni caso, attraverso l’accesso alla sospensione del piano riferisce di ammortamentoaver inviato al ricorrente la comunicazione di preavviso in data 20/12/2014 tramite nota poi restituita al mittente nel mese di febbraio 2015. Tra l’altro, il ricorrente avrebbe potuto tentare preavviso era stato preceduto da altre comunicazioni dirette all’indirizzo del ricorrente, tra cui l’invio dei bollettini per il pagamento delle rate, l’invio di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito nota di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione sollecito del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato pagamento in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata 15/11/2014 e di altra nota per il 28 dicembre 2015comunicare la decadenza dal beneficio del termine in data 14/2/2015. Il ricorrentePermanendo lo stato di arretrato, in data 22 luglio 201514/9/2015, inviava all’intermediario il credito veniva ceduto ad altro intermediario. Soltanto in data 5/2/2016, la modulistica per l’accesso resistente veniva a conoscenza della volontà del ricorrente di disconoscere il finanziamento. Quanto alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015diligenza impiegata nell’istruttoria della pratica, l’intermediario comunicava fa presente di aver effettuato “in assoluta buona fede” le verifiche della documentazione contrattuale fornita dal ricorrente. L’istruttoria, infatti, si era conclusa positivamente una volta soddisfatti tutti i requisiti necessari per l’accoglimento, tra cui la non procedibilità verifica dei dati anagrafici del ricorrente, tra l’altro già cliente della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”banca. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la Riguardo alla richiesta di accesso alla sospensione risarcimento del mutuodanno, rilevando che la ratio della disciplina resistente eccepisce la mancanza di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più evidenze probatorie; in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che mancherebbe la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva prova che il contraente sia anche titolare diniego di finanziamento ricevuto da altro intermediario sarebbe riconducibile alla segnalazione di tipo negativo, comunque prontamente cancellata dalla resistente, una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità volta pervenuta la denuncia di soggetto privato”disconoscimento. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge Pertanto l’intermediario chiede all’Arbitro di Stabilità (piccole medie imprese), rigettare il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:ricorso.
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Samples: Identity Theft Complaint
FATTO. Con ricorso presentato La Città di Viterbo, con determinazione dirigenziale n. 2518 del 4 agosto 2010, ha deliberato di provvedere all’espletamento di una procedura di gara per l’affidamento per il periodo 1.10.2010 – 30.9.2011 del servizio di trasporto urbano a chiamata alternativo al trasporto di linea per i cittadini permanentemente o temporaneamente disabili, mediante invito a presentare un’offerta ad almeno cinque operatori economici e pubblicazione di apposito avviso anche sul sito internet del Comune di Viterbo. La determina a contrarre ha specificato che l’aggiudicazione avrebbe avuto luogo al prezzo più basso determinato mediante ribasso sull’importo complessivo del servizio posto a base di gara di € 70.000,00 oltre IVA se ed in data 4 novembre 2015quanto applicata, per l’intero periodo. L’amministrazione, con determinazione n. 3080 de 13 settembre 2010, ha aggiudicato in via definitiva la gara alla ditta Xxxxxxxx Xxxxxxx, alle condizioni tutte del capitolato speciale di appalto e verso il corrispettivo di cui all’offerta economica presentata, pari a complessivi € 66.031,00 oltre IVA. La cooperativa ricorrente, assistito quale “seconda graduata”, ha proposto il presente ricorso, articolando i seguenti motivi d’impugnativa: Violazione dell’art. 81, comma 2, d.lgs. n. 163 del 2006. Eccesso di potere per travisamento, difetto di istruttoria, contraddittorietà e illogicità manifesta. La scelta del criterio di aggiudicazione del prezzo più basso sarebbe illogica e contrastante con l’impostazione, relativa alla procedura di accreditamento, in precedenza adottata dall’Ente nonché irrispettosa del precetto di cui alla norma in epigrafe. La determinazione del 4 agosto 2010 e l’avviso del 12 agosto 2010 sarebbe caratterizzati da contraddittorietà essendo stata trascurata ogni attenzione per i profili che avevano costituito il perno centrale della procedura di accreditamento “fallita”. Il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso sarebbe comunque inadeguato rispetto alla natura del servizio. Violazione degli artt. 7, commi 1 e 2, e 8, commi 1 e 2, l. n. 21 del 1992. Violazione della lex specialis di gara. La ditta Xxxxxxx Xxxxxxxx sarebbe carente del requisito stabilito nella tabella facente parte dell’art. 2 del capitolato speciale, vale a dire della titolarità di autorizzazione all’esercizio del servizio di noleggio con conducente. La formula del capitolato speciale di disponibilità di un legale autoveicolo “abilitato al servizio N.C.C.”, infatti, implicherebbe necessariamente la titolarità dell’autorizzazione amministrativa all’esercizio del noleggio con conducente. Il sig. Xxxxxxx Xxxxxxxx, titolare della ditta individuale aggiudicataria, sarebbe privo dell’iscrizione nel ruolo dei conducenti di fiduciaveicoli o natanti adibiti ad autoservizi pubblici non di linea, espone requisito essenziale per l’esercizio dell’attività di essere noleggio con conducente. Né il controinteressato potrebbe avvalersi della prestazione di un soggetto terzo titolare di un mutuo ipotecarioautorizzazione amministrativa o acquisire la stessa a titolo di conferimento. Con motivi aggiunti, stipulato il 13 luglio 2010la ricorrente ha esteso l’impugnativa, per un importo pari a 205.200,01 eurodeducendo gli stessi vizi già prospettati nell’atto introduttivo del giudizio che si trasmetterebbero in via derivata, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euroad altri atti, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 tra cui l’informativa dell’avvenuta stipula del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, appalto in data 11 maggio 201528 dicembre 2010 con Autoservizi Tuscia Srl; inoltre, per evitare prendendo atto che maturassero interessi sulle quote insolutela stipulazione del contratto ha avuto luogo nell’osservanza del termine dilatorio di legge, chiedeva la “moratoria ha formulato domanda di dichiarazione di inefficacia ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge 122 c.p.a. Il Comune di stabilità 2015”Viterbo ha eccepito l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse atteso che il contratto d’appalto avrebbe già prodotto tutti i suoi effetti. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamentoNel merito, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista Comune e la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta controinteressata hanno contestato la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata fondatezza delle censure dedotte concludendo per il 28 dicembre 2015rigetto del ricorso. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione All’udienza pubblica del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente29 gennaio 2014, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare causa è stata trattenuta per la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:decisione.
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Samples: Appalto
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015al Collegio di Milano, il ricorrente, assistito estinto anticipatamente un contratto di finanziamento da rimborsarsi mediante CQS (alla rata 48 di 120), con lettera di reclamo – per il tramite di procuratore - chiedeva all’intermediario la restituzione della quota non maturata delle voci di costo connesse al finanziamento, oltre interessi. Non ritenendo soddisfacente la proposta di rimborso effettuata dalla resistente, il ricorrente ha adito il Collegio di Milano per accertare il diritto alla restituzione di tutte le commissioni e degli oneri assicurativi non maturati e/o goduti, nonché della commissione di estinzione a seguito dell’estinzione anticipata del prestito c/CQS per un legale importo complessivo di fiduciaeuro 1.746,92, espone oltre interessi legali. L’intermediario, costituitosi ritualmente, asseriva che tutto ciò che spettava al cliente a titolo di essere titolare rimborso di un mutuo ipotecariocosti/oneri recurring sarebbe stato già stato allo stesso regolarmente restituito in sede di estinzione anticipata e non residua altro da rimborsare. Con riguardo al premio relativo alla polizza di assicurazione rischio impiego e al premio relativo alla polizza di assicurazione rischio vita, stipulato il 13 luglio 2010le Compagnie avrebbero già provveduto al rimborso di quanto dovuto alla cliente, per un totale di euro 195,54. Secondo l’intermediario, il suddetto importo pari sarebbe stato calcolato conformemente ai criteri di calcolo indicati nelle CGA, ex ante portate a 205.200,01 euroconoscenza del cliente e da questo accettati. L’intermediario chiedeva, quindi, all’ABF di rigettare il ricorso. Con ordinanza n. 2542 del 14/02/2020, il Collegio di Milano ha rimesso il ricorso all’esame di questo Collegio di coordinamento segnalando la particolare importanza di alcune questioni interpretative riguardanti i requisiti di legge per l’addebitabilità, a carico del soggetto finanziato, della commissione per estinzione anticipata, disciplinata dall’art. 125 sexies, comma 2, T.U.B. e del relativo onere probatorio. In particolare, tenuto conto di orientamenti difformi dei Collegi territoriali, ha chiesto in sintesi di stabilire se il diritto dell’intermediario a percepire un indennizzo equo e oggettivamente giustificato ai sensi dell’art.125 sexies, commi 2 e 3, del TUB, e che sia stato contrattualmente quantificato entro le soglie di legge, sia o meno subordinato alla dimostrazione, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 europarte dell’intermediario medesimo, oltre alla prima rata da 1.177,10 eurodei costi effettivamente sostenuti e direttamente collegati al rimborso anticipato del credito. L’operazioneNell’ordinanza di rimessione il Collegio di Milano ha rammentato che il diritto del finanziatore ad un “indennizzo equo ed oggettivamente giustificato per eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato” di un finanziamento ai consumatori è sancito dall’art. 125 sexies, precisa il ricorrentecomma 2, è stata inseritaTUB. La norma, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’arttrasposta nel nostro ordinamento dall’art. 1 del contratto d.lgs. 13/08/2010, n. 141, trova la propria fonte nel diritto europeo e, in particolare, nell’art. 16 della direttiva 2008/48/CE sul credito ai consumatori; dalla lettura dei lavori preparatori che hanno preceduto l’emanazione di mutuo in oggettotale Direttiva e dal testo della stessa si ricava che il legislatore europeo, nel regolare l’indennizzo, si è proposto di trovare un bilanciamento tra il risparmio di cui gode il consumatore per effetto dell’estinzione anticipata del suo debito e la perdita eventualmente sopportata dal finanziatore che abbia fatto affidamento sui flussi finanziari previsti dal piano di rimborso. Il Collegio di Milano ha evidenziato che la complessità di tale bilanciamento si riflette nell’articolazione della disciplina europea. Al riguardo, il mutuo è stato erogato per l’acquisto riconoscimento del diritto del creditore alla percezione di un immobile da adibire ad abitazione principaleindennizzo nell’ipotesi di estinzione anticipata di un finanziamento ai consumatori si accompagna nella Direttiva 2008/48/CE alla definizione di presupposti e di modalità di esercizio del diritto stesso volti a circoscriverne la portata, sotto il profilo sia dell’an, sia del quantum. I pagamenti mensili In particolare: - il Considerando 39 della Direttiva, nel riconoscere al creditore il diritto di “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015esigere un indennizzo per i costi direttamente collegati al rimborso anticipato”, chiarisce che la sua quantificazione dovrebbe tenere conto “di eventuali risparmi per il creditore” e che il relativo metodo di calcolo dovrebbe essere “trasparente e comprensibile per i consumatori già nella fase precontrattuale e in ogni caso durante l’esecuzione del contratto”; tale metodo, inoltre, dovrebbe essere di facile applicazione per i creditori e di agevole verificazione da parte della autorità di vigilanza; infine, l’importo dell’indennizzo in questione dovrebbe essere inferiore ad un massimale fissato mediante un “tasso forfettario”; - l’art. 5, par. 1, lett. p), della medesima direttiva annovera tra le informazioni precontrattuali che il creditore e, se del caso, l’intermediario del credito, debbono fornire al consumatore “il diritto al rimborso anticipato e, se del caso, le informazioni sul diritto del creditore a ottenere un indennizzo e le relative modalità di calcolo a norma dell’articolo 16”; - il successivo art. 16, par. 2, sancisce la facoltà per il finanziatore di richiedere un indennizzo “equo ed oggettivamente giustificato per i costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito”, subordinando l’esercizio di tale diritto alla condizione che “il rimborso anticipato abbia luogo in un periodo per il quale il tasso debitore è fisso”; - con riguardo al quantum, il combinato disposto dei parr. 2 e 5 del medesimo art. 16 prevede che l’indennizzo non possa superare l’1% dell’importo rimborsato in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarieanticipo, se la vita residua del contratto è superiore a causa della perdita un anno, ovvero lo 0,5% del lavoro; di conseguenzamedesimo importo, se tale vita residua è pari o inferiore a un anno, fermo restando, in data 11 maggio 2015ogni caso, che l’indennizzo di cui trattasi non può superare l’ammontare degli interessi che il consumatore avrebbe pagato per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria vita residua del contratto; - ai sensi dell’art. 116, comma 246, legge di stabilità 2015”par. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento3, il ricorrente avrebbe potuto tentare diritto di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito richiedere l’indennizzo non spetta al finanziatore se (i) il rimborso anticipato è effettuato in esecuzione di tale istanzaun contratto di assicurazione destinato a garantire il credito, nelle more (ii) in caso di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava concessione di scoperto e (iii) se il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna rimborso anticipato ha luogo in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento un periodo per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione tasso debitore non è fisso; - l’art. 16, par. 4, infine, rimette alla discrezionalità degli Stati membri la facoltà di limitare l’indennizzo ai soli rimborsi anticipati di importo superiore ad una certa soglia, da fissarsi in ogni caso entro il limite di € 10.000, e quella di consentire al creditore di esigere un mutuo indennizzo superiore al massimale percentuale di cui si è detto sopra, se prova che “la perdita subita a causa del rimborso anticipato supera l’importo determinato ai sensi del paragrafo 2”privato; in quest’ultima ipotesi, precisa la norma, la perdita consiste nella “differenza tra il tasso di interesse inizialmente concordato e il tasso di interesse al quale il creditore può prestare la somma rimborsata anticipatamente sul mercato al momento del rimborso anticipato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)tenuto conto “dell’impatto del rimborso anticipato sui costi amministrativi”. Il ricorrente contesta Collegio rimettente, passando all’esame dei lavori preparatori della Direttiva, ha evidenziato che il rilievo manifestato dall’intermediariotema dell’indennizzo per l’estinzione anticipata ha rappresentato una delle questioni più controverse nella fase di elaborazione della direttiva; ha osservato in particolare che, evidenziando prima che ha sempre agito la Commissione presentasse la relativa proposta, taluni Stati membri avevano vietato tout court l’indennizzo in questione, mentre altri lo avevano ammesso, pur prevedendo talvolta limiti quantitativi e una disciplina più o meno cogente delle sue modalità di calcolo. Per effetto di tali diversi approcci degli Stati membri, l’art. 16 contenuto nella veste Proposta di direttiva [COM (2002) 443 def. dell’11/09/2002, in GUCE n. C 331 E/200 del 31/12/2002] è stato più volte modificato prima che si trovasse un accordo sul testo definitivo di cui si è detto sopra. Più in dettaglio: - il considerando 21 contenuto nella proposta di direttiva del 2002 prevedeva che “al consumatore [dovesse] essere concessa la facoltà di adempiere anticipatamente ai suoi obblighi”; il medesimo considerando stabiliva inoltre che, “in tal caso, […] il creditore [dovesse] poter esigere unicamente un indennizzo equo e obiettivo, a patto che il rimborso comport[asse] per lui un'effettiva perdita economica”; - il par. 2 dell’art. 16 della medesima proposta consentiva al creditore di esigere un indennizzo “unicamente nella misura in cui [esso fosse] obiettivo, equo e calcolato sulla base di principi attuariali”; il successivo par. 3 conteneva un elenco – del tutto simile a quello attualmente in vigore – dei casi nei quali l’addebito dell’indennizzo non era consentito; - la relazione che accompagnava la proposta di direttiva precisava che la disciplina proposta dalla Commissione e testé richiamata era volta ad assicurare il bilanciamento “tra i vantaggi per il consumatore e nell’interesse gli svantaggi per il creditore” e limitava, questi ultimi, a quelli derivanti dalla “gestione del rimborso anticipato e [dal] reinvestimento dei capitali ricevuti” a condizioni meno vantaggiose per il creditore stesso rispetto a quelle del finanziamento estinto anticipatamente; - la medesima relazione evidenziava che “il metodo [di calcolo dell’indennizzo doveva] essere oggettivo e permettere di rilevare automaticamente i casi nei quali l'indennizzo non si [sarebbe applicato], in particolare nei casi di condizioni al rialzo, nei quali tale indennizzo [avrebbe dovuto] essere negativo e garantire, in realtà, un beneficio per il consumatore” e che “si rispetta[va] pienamente, in questo caso, il principio dell'’equità attuariale’ che consent[iva] di prendere meglio in considerazione - sulla proposta della propria famiglia tanto Commissione si esprimeva il Comitato economico e sociale con un Parere del 17/07/2003 (in GUCE n. C 234/1 del 30/09/2003) nel quale si giudicava “inaccettabile […] il mantenimento della possibilità di esigere un indennizzo in caso di rimborso anticipato del debito, senza una definizione esatta delle sue condizioni, lasciando invece agli Stati membri la facoltà di stabilire cosa sia esattamente un indennizzo equo e calcolato sulla base di principi attuariali (articolo 16), il che potrebbe determinare non solo grandi disparità di trattamento tra i consumatori ma addirittura distorsioni del mercato del credito tra i diversi paesi”; - sulla base di tale considerazione, il Comitato proponeva “di eliminare la possibilità che ven[isse] richiesto un qualsiasi tipo di indennizzo”. “In caso contrario – proseguiva il parere – bisogna[va] stabilire che la possibilità di richiedere un indennizzo per rimborso anticipato [dovesse] essere fissata preliminarmente nel contratto di credito, facendo esclusivamente riferimento ai costi di apertura e di gestione del credito, ripartiti sulla totalità delle scadenze, ai rischi legati al tasso di rifinanziamento del creditore e al rischio di dover investire i capitali ad un tasso inferiore. Occorre[va] inoltre prevedere sanzioni ridotte per le situazioni in cui si procede[va] ad un nuovo contratto di credito per il pagamento del credito precedente”; - il 20/04/2004 il Parlamento europeo approvava, in prima lettura, la proposta di direttiva come emendata a seguito del dibattito assembleare (v. la risoluzione legislativa e la posizione del Parlamento pubblicate entrambe in GUCE n. C104E/233 del 30/04/2004); per quanto in questa sede interessa, rispetto al testo originario redatto dalla Commissione quello approvato dal Parlamento non conteneva alcuna modifica, salvo quella apportata al considerando 21, che era, nel frattempo, stato rinumerato, divenendo il 19 e dal quale veniva eliminato l’inciso finale “a patto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, rimborso comporti per lui un'effettiva perdita economica”; - in pari data la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo Commissione esprimeva il proprio accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (parziale sulla proposta emendata approvata dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:Parlamento;
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FATTO. Con ricorso presentato La Società ricorrente ha stipulato - in data 4 novembre 20152 ottobre 2008 - con l’Intermediario convenuto, per il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare tramite di un mutuo ipotecarioconcessionario autorizzato, stipulato un contratto di “leasing automobilistico”. Ai fini della cessione del contratto, ha consegnato l’autoveicolo locato a un secondo concessionario; in data 1° luglio 2011 l’autoveicolo in questione è stato concesso in leasing e consegnato a un’altra società. Il Convenuto – invocando la mancanza di consenso alla cessione – ha risolto il 13 luglio 2010contratto per perdita di possesso del bene da parte dell’utilizzatore e ha chiesto la restituzione del dovuto. In merito ai fatti occorsi, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, i quali è stata inseritapresentata anche denuncia all’autorità giudiziaria, ai fini fiscalila Ricorrente ha chiesto all’ABF il risarcimento dei danni subiti a causa della condotta tenuta dal secondo concessionario, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 quale collaboratore del Resistente per il collocamento del contratto di mutuo leasing; ne ha quantificato l’ammontare complessivo in oggetto20.000 euro. Con comunicazione datata 3 agosto 2011, ricevuta dal Resistente il mutuo è stato erogato per l’acquisto successivo 5 agosto, la Società ricorrente “in via congiunta al proprio legale rappresentante” ha lamentato - tramite legale - che “nonostante i ripetuti solleciti verbali, non [risulterebbe] ancora … evasa la pratica di cessione del bene con contestuale liberatoria a [proprio] favore”; in particolare, ha rilevato che l’autoveicolo (BMW modello X5 3,0d Cat. Attiva E70) – oggetto del contratto di leasing sottoscritto con il Convenuto – era già stata consegnata dal concessionario (01/07/2011), in forza di un immobile da adibire ad abitazione principalesuccessivo contratto di leasing, al nuovo locatario. I pagamenti mensili In conseguenza dell’avvenuta cessione, l’Interessata ha contestato l’intimazione di pagamento del canone del mese di luglio 2011 e ha chiesto “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi regolarizzare la documentazione del 2015passaggio di veicolo oggetto del contendere” e “lo storno della rata mensile corrente mese”. Il 4 agosto 2011, periodo via e-mail, la Ricorrente ha evidenziato di non essere più in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziariepossesso dell’autoveicolo concesso in leasing, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzain quanto questo era stato consegnato, in data 11 maggio 20151° luglio 2011, da un concessionario convenzionato ad altra società per subentro nel contratto (la Ricorrente si esprime in termini di “riscatto” del bene da parte del concessionario e di successiva consegna al nuovo locatario). La Ricorrente ha dichiarato di essersi rivolta al concessionario su invito del Resistente, il quale le ha comunicato di non trattare “direttamente le cessioni con i propri clienti ma esclusivamente a mezzo e tramite [propri] concessionari autorizzati”. Il 10 agosto 2011, via e-mail, il Resistente ha comunicato che il contratto di leasing era ancora in essere, in quanto non risultava alcuna richiesta di subentro e che il concessionario non aveva inoltrato alcuna richiesta della specie; pertanto, il rapporto contrattuale sarebbe terminato alla scadenza prevista (settembre 2013). Il giorno stesso, la Ricorrente ha sporto denuncia a una locale stazione di Polizia e ha rappresentato quanto segue: - in data 30.09.2008 aveva stipulato un contratto di leasing automobilistico con il Convenuto; - intenzionata a cedere il contratto “per limitare le spese”, a metà giugno aveva incontrato, per evitare il tramite del proprio consulente del lavoro, una signora “di probabile origine cubana” che maturassero interessi sulle quote insolutegli proponeva il subentro da parte di altra società “con cui stava trattando la vendita di un aereo”; - domandata al Convenuto la documentazione relativa al contratto in essere, chiedeva veniva informato del fatto che la cessione doveva perfezionarsi presso un concessionario autorizzato; - il 30 giugno 2011 si era recato presso il concessionario indicato dalla signora, che la stessa “moratoria dichiarava di conoscere bene e che poteva effettuare il subentro”; la signora era in compagnia di un uomo, “che ha affermato … essere responsabile per il nord Italia della [cessionaria]” - prima di entrare, aveva firmato un modulo che i due asserivano essere quello necessario per il subentro; - entrato nella concessionaria aveva consegnato la documentazione e la carta di circolazione ad una dipendente, che ne aveva fatto copia; aveva consegnato anche le chiavi dell’autoveicolo, che erano poi state affidate all’uomo, il quale aveva domandato anche “il contrassegno dell’assicurazione per qualche giorno, tempo necessario per fare una nuova copertura. Documento che poi mi avrebbe rispedito in raccomandata”; - lasciato l’autoveicolo, era stato accompagnato alla stazione dalla donna, alla quale aveva consegnato, come suggerito dal consulente del lavoro, € 1.500,00 “a titolo di mediazione” (“il valore del veicolo era di circa 40000 e rimanevano da pagare rate per circa 50000 euro per ancora più di due anni”); - l’8 luglio aveva incontrato nuovamente i due per la consegna della copia del nuovo contratto di leasing; - il 14 luglio aveva appreso del mancato subentro; contattata la dipendente del concessionario che si era occupata della pratica, veniva informato che la cessione non si era ancora perfezionata (“risultava solo una proposta … il signor Xxxxx avrebbe dovuto presentarsi con la legale rappresentante il martedì prima ma … avevano spostato l’appuntamento per il 18 luglio”); - i primi di agosto si era recato personalmente presso il concessionario, aveva parlato con un responsabile il quale, in un primo momento, gli aveva confermato che i timbri apposti sulla copia del contratto erano i loro, poi, invece, aveva asserito che si trattava di un falso e che era stato “incauto a consegnare le chiavi ad una semplice impiegata”. In data 18 agosto 2011 la Ricorrente ha esperito un tentativo di conciliazione con esito negativo per mancata comparizione della controparte (verbale del 14.09.2011). Con missiva del 22 settembre 2011 il Convenuto ha comunicato - ai sensi dell’art. 14, comma 2462° - l’intervenuta risoluzione del contratto di leasing per perdita del possesso del bene e ha intimato il pagamento del debito per un ammontare di € 52.433,00. Con comunicazione del 17 ottobre 2011 il Convenuto ha comunicato alla Ricorrente di aver ricalcolato il dovuto, legge non conteggiando l’IVA e il passaggio di stabilità 2015proprietà, “stante l’avvenuta perdita di possesso [del bene] … con la conseguenza che non è possibile intestare l’auto”. In tal modoL’ammontare richiesto all’esito del ricalcolo è di € 45.797,05. Il ricorso è stato presentato - tramite legale - dalla società locataria e - in proprio - dal socio accomandatario, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamentononché fideiussore per il finanziamento (nell’atto d’introduzione al ricorso il procuratore si esprime nei seguenti termini: “la sig. …., sia persona fisica che società, sottoscrive il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economichepresenta atto”). A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”La Ricorrente ha ricapitolato brevemente i fatti occorsi e sopra descritti. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva ha dichiarato che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:
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FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015Per il restauro conservativo ed il risanamento di un immobile di proprietà, il ricorrenteComune di Terrarossa rilasciava alla ALFA srl, assistito così come espressamente richiesto da quest’ultima, il relativo permesso di costruire, previo pagamento del 50% degli oneri concessori dovuti per legge e contestuale dazione di apposita cauzione “a prima domanda” e “senza eccezioni” all’uopo concessa dalla BETA Scarl a garanzia del versamento del restante 50%. Ebbene, dal momento che la ALFA srl non ha più liquidato gli importi ancora dovuti, il Comune di Terrarossa può esigerne l’integrale corresponsione da parte della banca garante e questa non può opporvisi in alcun modo per i seguenti motivi di DIRITTO Sia dal testo della garanzia rilasciata in favore dell’odierno attore, che dalla lettera d’incarico rivolta alla BETA Scarl, emerge chiaramente la comune volontà dei contraenti di riversare su di un soggetto “istituzionalmente” solvibile (la banca) il rischio economico sotteso all’eventuale inadempimento dell’obbligazione pecuniaria assunta dalla ALFA srl nei confronti del Comune di Terrarossa, indipendentemente dall’esistenza, validità ed efficacia del rapporto di base, nonché a prescindere da ogni accertamento in ordine alla colpevolezza o meno dell’inadempimento medesimo. In altri termini, attraverso un atipico meccanismo con funzione latamente cauzionale - meglio conosciuto come contratto autonomo di garanzia - le parti hanno concordemente voluto assicurare al beneficiario il pronto e sicuro soddisfacimento del suo credito qualora, come nel caso di specie, la ALFA srl non avesse adempiuto all’obbligo di corrispondere le restanti somme ancora dovute a titolo di oneri concessori per il permesso di costruire concessole dal Comune di Terrarossa. (in tal senso: X. Xxxxxx, Le garanzie del credito, Milano, 2010, pag. 812). In particolare, elementi quali il nomen iuris attribuito alla garanzia - espressamente denominata “cauzione” – così come la previsione dell’obbligo per il garante di pagare “dietro semplice richiesta scritta motivata del Comune” e, peraltro, “senza che ad esso possa essere opposta eccezione alcuna”, essendo per loro natura incompatibili con il carattere accessorio che è tipico dell’obbligazione fideiussioria, ne escludono in radice la configurabilità e, quindi, l’applicabilità della relativa disciplina codicistica. Tale certezza emerge altresì dalla considerazione che, mentre un qualsiasi contratto di fideiussione coinvolge unicamente il garante, da un legale lato, ed il beneficiario della garanzia, dall’altro, con conseguente estraneità del debitore garantito, al contrario, nel caso di fiduciaspecie, espone ci troviamo di essere titolare fronte a quel rapporto trilaterale che nella sentenza n. 3947 del 18 febbraio 2010, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno felicemente definito come "un mutuo ipotecarioarticolato coacervo di rapporti nascenti da autonome pattuizioni tra il destinatario della prestazione (e beneficiario della garanzia), stipulato il 13 luglio 2010garante (sovente una istituto di credito), e il debitore della prestazione (ordinante la garanzia atipica), in attuazione di una complessa operazione economica destinata a dipanarsi, sotto il profilo della struttura negoziale, attraverso una scansione diacronica di rapporti, il primo (di valuta), corrente tra debitore e creditore, tra cui viene originariamente pattuito l'adempimento di una certa prestazione del primo nei confronti dell'altro, il secondo (di provvista), destinato a intervenire tra debitore e futuro garante, con esso pattuendosi l'impegno di quest'ultimo a garantire il creditore del primo rapporto, il terzo nascente, infine, tra creditore e xxxxxxx, con quest'ultimo senz'altro obbligato ad adempiere alla prestazione del debitore a semplice richiesta del primo nel caso di inadempimento del secondo…” Abbiamo, infatti, un soggetto debitore (la ALFA srl) che ha dato mandato ad una banca (la BETA Scarl) di pagare uno specifico importo ad un soggetto determinato (il Comune di Terrarossa) onde garantirlo dell’eventuale inadempimento della prestazione a lui dovuta. Ebbene, le precisazioni appena svolte sono di fondamentale importanza per la corretta risoluzione della presente controversia. Infatti, anche se, per un importo pari verso, il contratto autonomo di garanzia, esattamente come la fideiussione, attribuisce al soggetto beneficiario una pretesa creditoria valevole nei riguardi del garante, tuttavia, ciò che contraddistingue nettamente la seconda tipologia contrattuale dalla prima è, come detto, la natura necessariamente accessoria dell’obbligazione fideiussoria rispetto a 205.200,01 euroquella assunta dal c.d. debitore principale, qualità di cui, invece, il contratto autonomo di garanzia è completamente privo in quanto caratterizzato, al contrario, da rimborsare in 300 rate mensili (una netta scissione del rapporto di garanzia rispetto a scadenza posticipata) da 915,41 euroquello garantito. Ne deriva, oltre alla prima rata da 1.177,10 europertanto, che, mentre l’articolo 1945 del Codice Civile consente al fideiussore di opporre al beneficiario anche tutte quelle eccezioni fondate sul rapporto-base garantito e che competono, quindi, al debitore principale, analoga facoltà non spetta, invece, al “garante autonomo”. L’operazioneQuesti, precisa il ricorrenteinfatti, è stata inseritavincolato a pagare “illico et immediate” la somma convenuta, ai fini fiscalisenza potervisi opporre in alcun modo e, quindi, in quelle virtù di una semplice richiesta in tal senso rivoltagli dal beneficiario il quale, peraltro, non è nemmeno tenuto allegare alcunché a sostegno della pretesa addotta. All’uopo, è opportuno sottolineare che godono dei benefici la stessa giurisprudenza di legittimità, in più di un’occasione, ha avuto modo di ricordare che, siccome nella clausola di pagamento per effetto della sola richiesta rivolta dal creditore al garante è insita l’implicita rinuncia di quest’ultimo a sollevare eccezioni che traggono la loro origine dal rapporto garantito, ne deriva che il soddisfacimento di una siffatta istanza, fondata, come nel caso di specie, sull’inadempimento del debitore principale, non deve essere né preceduta da né tantomeno subordinata ad alcun accertamento in ordine all’effettiva sussistenza o meno del dedotto inadempimento (cfr: Cass. civ. sent 12 dicembre 2008, n. 29215; sent. SS. UU. 12 gennaio 2007, n. 412). Tant’è vero che, anche di recente, proprio le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno dato ancora una volta risposta positiva al quesito concernente l’idoneità o meno della sola clausola di pagamento a prima richiesta a svincolare il contratto di garanzia dal rapporto principale, rendendolo per ciò stesso autonomo e realizzando, altresì, una deroga alla disciplina legale della fideiussione. Con la summenzionata sentenza n. 3947 del 18 febbraio 2010, infatti, i giudici hanno dato continuità a quel condivisibile orientamento secondo cui la previsione di una clausola di pagamento “a prima casa” o semplice richiesta (o senza eccezioni)”, poiché incompatibile con il principio di accessorietà che, come detto più volte, caratterizza necessariamente il contratto di fideiussione, vale di per sé a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia, svincolandolo automaticamente da ogni vicenda afferente il rapporto garantito,. Pertanto, solo in quantopresenza di elementi capaci di dimostrare con certezza che, nonostante il tenore letterale della convenzione, le parti hanno in realtà inteso attribuire carattere accessorio all’obbligazione di garanzia, si potrebbe tentare, in qualche modo, di qualificare detta convezione in termini di fideiussione piuttosto che di contratto autonomo di garanzia. Tuttavia, nel caso di specie, non solo non è dato riscontrare nulla di simile ma, addirittura, un’eventuale discrasia tra la natura del contratto così come desumibile dal suo tenore letterale e la reale intenzione delle parti è esclusa in radice laddove, nella lettera d’incarico rivolta alla BETA Scarl, la ALFA srl le ha espressamente negato ogni possibilità opporre una qualunque eccezione a norma dell’artfronte della semplice richiesta scritta motivata di pagamento rivoltale dal Comune di Terrarossa. 1 Ebbene, proprio in ordine alla valenza interpretativa da attribuire alla lettera di incarico, la Corte di Cassazione ha avuto modo di chiarire che per stabilire la natura autonoma o accessoria del contratto di mutuo garanzia occorre “considerare … anche il contenuto dell’accordo tra il debitore principale ed il garante” al fine di accertare se sia stata o meno “esclusa la facoltà del garante di opporre al creditore le eccezioni che spettano al debitore principale, in oggettoderoga alla regola essenziale della fideiussione, posta dall’art. 1945 c.c.” (cfr: Cass. civ., sent. 9 novembre 2006, n. 23900 e sent. 20 aprile 2004, n. 7502). Alla luce delle superiori considerazioni, quindi, il mutuo è stato erogato per l’acquisto Comune di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare Terrarossa rassegna le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:seguenti
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FATTO. Con La parte ricorrente espone, allega e chiede nel ricorso presentato quanto segue. - Richiama espressamente quanto contenuto nel reclamo. Afferma di essere stata segnalata dall’intermediario in Centrale dei Rischi in assenza dei presupposti di legge. - Nonostante il debito in questione sia stato saldato nel mese di febbraio 2020, la segnalazione non risulta aggiornata fino al successivo dicembre. - Parte ricorrente chiede la “rettifica delle segnalazioni nel periodo di competenza, tenendo conto che le segnalazioni sono state fatte nonostante un piano di rientro programmato e non segnato come piano di rientro a scalare. Anche la circ. 139/1991 il 20° agg. pone chiarezza sulla questione vietando la segnalazione continua a sofferenza. Debito poi saldato come accordi tra le parti. Non viene prodotto doc. richiesti ai sensi del 119 TUB”. - Si precisa che, nel reclamo, la ricorrente chiede “la cancellazione, sin dalla prima segnalazione, della illegittima iscrizione” e, “alternativamente - qualora il segnalante dovesse insistere nel sostenere la fondatezza nel merito dell’iscrizione de quo, che (contrattuali e contabili riferite allo svolgimento del rapporto e in particolare alle movimentazioni da cui è scaturita la pendenza” (segue l’elenco dei documenti) “nonché le evidenze e risultanze della valutazione complessiva fatta” dall’intermediario e “preordinata all’accertamento dei presupposti sostanziali della sofferenza”. Nelle controdeduzioni l’intermediario espone, allega e chiede quanto segue. - In via preliminare, eccepisce che il ricorso è inammissibile in quanto il contratto di mutuo oggetto della segnalazione a sofferenza contestata è stato sottoposto a procedura esecutiva immobiliare n. 710/2016. - Il conto corrente n. ***999 non è stato oggetto di passaggio a sofferenze in quanto, come si evince dall’estratto conto allegato, il saldo a debito del rapporto è stato imputato a perdite. - Quanto alla richiesta documentale, ha provveduto a consegnare gli estratti conto del conto corrente e la rendicontazione del finanziamento con le email di cui all’allegato 4. - La segnalazione in Centrale dei Rischi di Banca d’Italia trae origine dal mutuo ipotecario n. **356, sottoscritto dalla ricorrente in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, 27/1/2006 per un importo pari di € 135.000,00, oggetto di cartolarizzazione a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015C** M**e S.r.l., per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’artconto della quale svolge il ruolo di servicer. 1, comma 246, legge - Con il versamento di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie € 12.000,00 e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso l’accettazione da parte della parte resistente mandataria della proposta della ricorrente, si è giunti alla definizione della posizione, xxxxx e impregiudicati i diritti in ordine alla procedura esecutiva. - Appare pertanto improbabile che la ricorrente non fosse a conoscenza dello stato del proprio indebitamento, essendo lo stesso oggetto di solleciti di pagamento e di procedure di pignoramento immobiliare. - Con riguardo alle segnalazioni in CR, le stesse risultano legittime, avendo rispettato la normativa in materia sia da un punto di vista sostanziale, a seguito dell’inadempimento della ricorrente, sia da un punto di vista formale, con l’invio delle comunicazioni previste; le segnalazioni risultano essere speculari rispetto all’andamento del rapporto. - Per tutte le ragioni sopra esposte, l’intermediario chiede di accogliere l’eccezione di inammissibilità o di rigettare integralmente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”ricorso. In relazione sede di repliche alle rispettive argomentazioni, il controdeduzioni parte ricorrente chiede “richiama quanto esposto nel ricorso. In sede di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:controrepliche l’intermediario si riporta alle controdeduzioni.
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FATTO. Con 1.- Il Comune di Catanzaro ha interposto appello avverso la sentenza 13 dicembre 2016, n. 2435 del Tribunale amministrativo regionale per la Calabria, sez. I, che ha accolto il ricorso presentato in data 4 novembre 2015dell’Ordine degli Architetti Pianificatori Paesaggistici e Conservatori, il ricorrentedell’Ordine degli Ingegneri, assistito da dell’Ordine dei Dottori Agronomi e Dottori Forestali della Provincia di Catanzaro, dell’Ordine dei Geologi della Calabria, del Collegio dei Geometri e del Collegio dei Periti Industriali della Provincia di Catanzaro avverso i provvedimenti dirigenziali comunali dell’ottobre 2016 di approvazione del bando e del disciplinare di gara della “procedura aperta per l’affidamento dell’incarico per la redazione del piano strutturale del Comune di Catanzaro e relativo regolamento urbanistico”, nonché del capitolato speciale, ed ancora avverso la presupposta delibera di Giunta comunale del 17 febbraio 2016 con cui è stata condivisa la possibilità di formulare un legale bando contemplante incarichi professionali a titolo gratuito. La delibera di fiduciaGiunta, espone di essere titolare dando attuazione alla deliberazione consiliare n. 25 del 13 maggio 2015 disponente la predisposizione di un mutuo ipotecarionuovo strumento urbanistico generale, stipulato rilevava l’assenza di copertura finanziaria per una spesa stimata in circa euro 800.000,00; e stabiliva, previo parere favorevole della Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Calabria, del 29 gennaio 2016, di formulare un bando che prevedesse incarichi professionali da affidare a titolo gratuito, delegando il 13 luglio 2010dirigente del Settore Pianificazione Territoriale all’approvazione dello stesso. Tali atti sono stati impugnati dagli indicati ordini professionali con il ricorso in primo grado, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare articolato in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, censure incentrate sull’illegittimità del bando di gara nella parte in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 cui ha previsto la natura gratuita del contratto di mutuo in oggettoappalto di servizi, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di indicando, al punto 2.1 del bando, un immobile da adibire corrispettivo pari ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esameeuro uno, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitatol’appalto si caratterizza come contratto a titolo oneroso, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo sia nella disciplina del Codice civile, sia in quella dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:pubblici.
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Samples: Contratti Pubblici
FATTO. Con ricorso presentato protocollato l’11.11.2013, la ricorrente ha rappresentato in fatto quanto segue: - a garanzia del completamento di lavori commissionati a una società terza per la fornitura di una casa prefabbricata, era stato richiesto all’intermediario convenuto il rilascio di una fideiussione bancaria, compiutosi in data 4 novembre 201529.08.2012; - la fideiussione prevedeva tre tranche. Le condizioni relative alla prime due si sono avverate. Quanto all’ultima tranche, la fideiussione era valida per l’importo di € 10.804,94 fino alla data di ultimazione di tutti i lavori, comunque fino e non oltre il ricorrentetermine del 31 gennaio 2013. La fideiussione avrebbe potuto essere escussa ove la società terza fosse incorsa in una “situazione di crisi”; fra tali situazioni, assistito da veniva contemplata “la pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento”. - nel mese di gennaio del 2013, era pervenuta una comunicazione circa l’apertura di una procedura concorsuale nei confronti della società madre austriaca, socio unico della società figlia operante in Italia; - il 25 gennaio 2013, era stata inviata alla società debitrice una diffida ad adempiere le proprie residue obbligazioni. Il 31 gennaio 2013, era stata, invece, consegnata all’intermediario convenuto la richiesta di escussione della garanzia autonoma; - in data 08.02.2013, l’intermediario convenuto aveva eccepito che la società debitrice non versava in “situazione di crisi” ai sensi della fideiussione sottoscritta; - con atto del Tribunale di Udine del 22.02.2013, era stata aperta la procedura fallimentare della società figlia con sede in Italia. In data 08.03.2013, era stata, quindi, inviata al curatore fallimentare della società debitrice la contestazione degli inadempimenti contrattuali, con quantificazione dei danni economici causati per un legale totale di fiducia€ 38.000,00; - in data 16.03.2013, espone aveva presentato reclamo nei confronti dell’intermediario convenuto, allegando l’intervenuto fallimento della società italiana e richiamando i pertinenti articoli di essere titolare legge. Conseguentemente, aveva chiesto nuovamente l’escussione della fideiussione prestata; - in data 10.04.2013, l’intermediario convenuto aveva riscontrato il reclamo, eccependo la non applicabilità dell’art. 1957 c.c., in quanto la fideiussione in oggetto non era disciplinata dal diritto italiano. L’intermediario invocava l’applicazione dell’art. 4/2 del Regolamento CE 593/2008, laddove prescrive “in mancanza di specifica scelta delle parti, l’applicabilità della legge del paese nel quale la parte che deve effettuare la prestazione caratteristica del contratto ha la residenza/sede abituale”; - la fideiussione era stata però rilasciata su richiesta del costruttore, persona giuridica con sede in Italia, a favore di un mutuo ipotecarioacquirente, stipulato persona fisica italiana e consumatore ai sensi del Regolamento CE 593/2008, nell’ambito di un contratto avente per oggetto la costruzione di un immobile sito in Italia. Ne consegue che la norma pertinente sarebbe l’art. 6 del medesimo Regolamento. Inoltre, l’art. 4/3 del Regolamento specifica che “se dal complesso delle circostanze del caso risulta chiaramente che il 13 luglio 2010contratto presenta collegamenti manifestatamente più stretti con un paese diverso da quello indicato nei paragrafi 1 o 2, si applica la legge di tale diverso paese”; - sono seguiti ulteriori contatti con l’intermediario di esito insoddisfacente. La parte attrice ha, quindi, chiesto all’ABF di pronunciarsi sulle seguenti domande: - affermare che la fideiussione emessa, quale atto unilaterale, (…) [dall’intermediario convenuto] nella sua qualità di banca estera autorizzata dalla Banca d’Italia ad operare in Italia a favore [della ricorrente] è soggetta alla legge italiana (…); - accertare che le azioni adottate dalla ricorrente hanno fatto sì che i termini di prescrizione dell’obbligazione originaria [dell’intermediario convenuto] siano stati interrotti; - condannare [l’intermediario convenuto] al pagamento di quanto dovuto con riferimento alla obbligazione originaria, per la terza tranche della fideiussione pari ad € 10.804,94 ed agli interessi legali dal 6 agosto 2012 fino alla data del pagamento; - condannare [l’intermediario convenuto] per aver con il proprio operato contribuito a generare preoccupazioni, stress e sfiducia nel sistema bancario e di garanzia previsto dalla legge italiana al pagamento del 50% dei maggiori costi sostenuti dall’acquirente e quantificati in € 18.000,00. L’intermediario resistente ha presentato le proprie controdeduzioni a mezzo della propria difesa tecnica il 12.02.2014, eccependo preliminarmente la mancata competenza del Collegio adito atteso che la convenuta “non aderisce al sistema ABF”. Nel caso di specie trattasi, infatti, di banca austriaca, senza alcuna succursale in Italia, che si limita ad operare in Italia in regime di libera prestazione di servizi; e, pertanto, non è obbligata ad aderire al sistema ABF “purché aderisca ad un importo sistema stragiudiziale estero partecipante alla rete FIN-NET”. La stessa avrebbe, in specie, aderito all’Ufficio di Conciliazione Comune dell’Economia Finanziaria Austriaca, come risulta dal pertinente elenco versato agli atti (e comunque reperibile sul sito dell’Ufficio di Conciliazione). Nel merito, l’intermediario convenuto ha affermato che: - la ricorrente ha chiesto il pagamento di una somma pari a 205.200,01 euro€ 10.804,94. Se è vero che la banca, da rimborsare in 300 rate mensili (data 29.08.2011, ha emesso la fideiussione bancaria in parola a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il favore della ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle anche vero che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”delle relative escussioni della fideiussione non ne sussistevano i presupposti; - l’escussione è stata richiesta il 31.01.2013, nell’ultimo giorno utile. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione Dal testo della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che fideiussione si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendoevince, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; come fosse necessario che il costruttore versasse in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015uno stato di crisi. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte contratto individuava la società costruttrice e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto specificava che la condizione di accesso crisi si sarebbe dovuta verificare in una delle seguenti date: a) data di trascrizione del pignoramento relativo all’immobile oggetto del contratto; b) data di pubblicazione della sentenza dichiarativa di fallimento o del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa; c) data di presentazione della domanda di ammissione alla procedura di concordato preventivo; d) data di pubblicazione della sentenza che dichiara lo stato di insolvenza o, se anteriore, del decreto che dispone la liquidazione coatta amministrativa o l’amministrazione straordinaria; In data 31.01.2013, nessuna delle condizioni si era verificata in capo alla società costruttrice. La ricorrente, in tale data, si è riferita espressamente allo “stato di insolvenza” della società austriaca, benché unico presupposto valido fosse l’apertura di una procedura fallimentare in capo alla società italiana; - la procedura fallimentare dell’impresa italiana è stata, però, aperta solo il 25.02.2013. Da ciò consegue che, al momento della fideiussione, la società costruttrice italiana non era in crisi ai sensi e per gli effetti del contratto di fideiussione, condizione necessaria per l’escussione; - per contrastare la clausola 6 del contratto di fideiussione, la ricorrente invoca l’art. 1957 c.c. “senza però badare al fatto che la normativa italiana non è applicabile alla fideiussione bancaria in oggetto in quanto essa viene disciplinata dal diritto austriaco” in forza dell’applicazione dell’art. 4/2 del Regolamento CE 593/2008 (atteso che le parti non avevano scelto la legge applicabile). In effetti, la banca convenuta, che doveva prestare il servizio caratteristico, non aveva alcun interesse a sottoporre la sua prestazione al diritto italiano, di cui non aveva le conoscenze necessarie al fine di valutare i possibili rischi in cui incorreva con l’emissione della fideiussione; - anche nell’ipotesi in cui fosse applicabile la legge italiana, non muterebbe il dato della cessazione dell’efficacia della fideiussione allo spirare della data del 31 gennaio 2013; - infine, si rileva che la domanda di condanna al risarcimento non è suffragata da prova con riferimento al danno risarcibile, mentre la domanda finalizzata alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI dell’autorizzazione è legata estranea alla finalità del finanziamento stessocognizione dell’ABF. La convenuta ha, quindi, chiesto che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso Collegio: Le controdeduzioni sono state trasmesse via mail alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:.
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FATTO. Con ricorso presentato ricevuto in data 4 novembre 201501/02/2018, il ricorrente, assistito da un legale i ricorrenti hanno esposto: di fiducia, espone agire in qualità di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 eredi del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale carta Bancomat emessa dall’intermediario resistente; che tale titolare era deceduto in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva data 28/04/2016 nell’ospedale dove era stato ricoverato dal 03/04/2016; che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese)dopo il decesso, il finanziamento personale ospedaliero aveva consegnato loro gli effetti personali del defunto; che solo in seguito i ricorrenti si erano accorti che non era stato riconsegnato loro il portafoglio del de cuius; che in data 05/05/2016 uno dei ricorrenti, recatosi in una filiale dell’intermediario resistente, era stato informato che tra il 19/04 e il 23/04/2016 ignoti avevano effettuato con la suddetta carta Bancomat n. 5 prelievi per un totale di € 4.750,00 e, più precisamente, n. 4 prelievi da € 1.000,00 ciascuno e n. 1 prelievo da € 750,00; che in data 06/05/2016 era stata sporta denuncia in relazione a quanto accaduto e il giorno successivo era stato presentato all’intermediario il modulo per il quale disconoscimento delle operazioni di cui sopra; che, a seguito del riscontro negativo dato dall’intermediario alla richiesta di rimborso delle operazioni sopra indicate, i ricorrenti avevano presentato un nuovo reclamo, pure respinto dall’intermediario stesso. Ciò premesso, i ricorrenti hanno chiesto al Collegio territoriale di accertare il suo assistito richiede ulteriore sospensione è loro diritto al rimborso integrale dei prelievi disconosciuti. L’intermediario ha presentato le proprie difese ed eccepito in via pregiudiziale il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti, atteso che: dai documenti allegati al ricorso risultava che i ricorrenti non erano gli unici eredi del de cuius; secondo un mutuo ”privato”consolidato orientamento giurisprudenziale, la partecipazione al giudizio dei coeredi poteva essere richiesta dal convenuto debitore in relazione ad un concreto interesse all’accertamento nei confronti di tutti della sussistenza o meno del proprio debito; in casi analoghi, i Xxxxxxx ABF avevano affermato il difetto di legittimazione attiva dei ricorrenti in assenza di una domanda promossa da tutti i coeredi (decisioni n. 8371/16 e n. 7591/15). Nei casi Nel merito, l’intermediario ha contestato la fondatezza del ricorso e allegato che: tutte le operazioni disconosciute erano state effettuate immediatamente dopo il furto della carta e prima del blocco della stessa, con l’utilizzo del dispositivo originale e la corretta digitazione del PIN e in assenza di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendentiqualsivoglia anomalia; dal breve lasso temporale intercorso tra il furto e l’utilizzo dello strumento di pagamento poteva desumersi, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto non soltanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto PIN fosse conservato unitamente alla carta sottratta, ma anche che il suddetto codice fosse facilmente individuabile e associabile alla carta; tali circostanze dimostravano la colpa grave dell’utilizzatore nella custodia della prima casacarta di pagamento e delle relative credenziali, in violazione delle previsioni del d.lgs. Diversamenten. 11/2010 e degli obblighi posti a suo carico dal contratto relativo alla carta di pagamento; in altri casi caratterizzati dalle medesime circostanze di fatto l’ABF aveva ritenuto sussistente la colpa grave dell’utilizzatore (ex multis, Collegio di Roma, decisioni n. 7166/15 e n. 9854/16). Ciò premesso, l’intermediario ha chiesto al Collegio di dichiarare il ricorso inaccoglibile. I ricorrenti hanno presentato una memoria di replica, con la posizione lavorativa quale hanno affermato che le SS.UU. della Suprema Corte avevano affermato il principio secondo cui i crediti del ricorrente assume un ruolo fondamentale de cuius non si dividono automaticamente tra i coeredi in ragione delle rispettive quote, ma entrano a far parte della comunione ereditaria, sicché ciascuno dei partecipanti può agire anche singolarmente per far valere il diritto di credito, senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti gli altri coeredi (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare sentenza n. 24657 del 28/11/2007). Con propria ordinanza in data 10 ottobre 2018, il Collegio di Bologna ha rimesso la richiesta moratoria decisione del ricorso al Collegio di coordinamento, ai sensi del citato comma 246punto 5 della Sez. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI III delle Disposizioni della Banca d’Italia sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura servizi bancari e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese finanziari e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 8, comma 1, comma 246del Regolamento per il funzionamento dell’Organo decidente dell’ABF, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separatesottoponendo al Collegio di coordinamento stesso la seguente questione di diritto: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015“se, a beneficio fronte della caduta del credito in comunione, giusta l’apertura della successione a causa di queste ultimemorte del creditore, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto sussista o meno il potere del singolo coerede di pretendere l’adempimento dell’obbligazione pro quota ovvero per l’intero, senza che il debitore possa rifiutare l’adempimento ovvero eccepire il difetto di legittimazione deducendo la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità necessità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionalelitisconsorzio”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:.
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FATTO. Con ricorso presentato La ricorrente è una s.r.l. in data 4 novembre 2015liquidazione esposta verso il ceto creditorio, il cui appartiene altresì la banca resistente in forza di un pregresso rapporto di finanziamento regolato in conto corrente. Il 18 giugno 2012, la società ricorrente, assistito in persona del suo liquidatore, sporgeva reclamo alla banca resistente, lamentando il fatto che la resistente avesse bloccato, rendendola indisponibile, la somma di € 4.059 equivalente al rimborso del credito IVA effettuato dall’erario, versata alla ricorrente il 28 maggio. Tale somma, nell’ambito del concordato preventivo stragiudiziale che la ricorrente stava tentando di negoziare coi creditori, doveva destinarsi al pagamento dei soli creditori privilegiati, mentre i crediti vantati dalla resistente nei confronti della ricorrente erano di natura esclusivamente chirografaria. Nel riscontro dell’11 luglio 2012, la resistente sottolineava l’impossibilità a concedere la disponibilità della somma alla luce, da un legale lato, dello stato di fiduciasofferenza della ricorrente, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili dall’altro del mancato accoglimento (a scadenza posticipatadatato 7 giugno 2012) da 915,41 euro, oltre parte della banca della sopradetta proposta di concordato stragiudiziale formulata dalla ricorrente. Non risultava inoltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle resistente che godono altri creditori avessero approvato alcuno dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione termini del piano di ammortamentoesdebitamento avanzato. Dal momento che il concordato stragiudiziale era un contratto atipico, teso alla ricerca del consenso dei creditori ad un progetto di salvataggio di un’azienda, la resistente avrebbe messo a disposizione della massa di creditori, solo una volta identificata la stessa ed ottenuto il consenso di tutti i creditori, ogni somma attiva. Insoddisfatta della replica ottenuta, il 19 settembre 2012 la ricorrente avrebbe potuto tentare presentava ricorso illustrando come, nel giugno 2010, avesse ottenuto dalla resistente una linea di risanare le proprie difficoltà economichefinanziamento garantita da fidejussione dei soci per un totale di € 100.000, ma come già nel dicembre dell’anno successivo, in dipendenza della crisi generale del sistema economico, si fosse trovata costretta a cessare l’attività e deliberare la messa in liquidazione. A seguito La proposta di concordato preventivo stragiudiziale elaborata dal liquidatore, che prevedeva il pagamento per intero dei creditori privilegiati e per il 13% di quelli chirografari tramite il ricavato della cessione della licenza dell’attività e il credito IVA di € 4.058, veniva rigettata dalla resistente. Di tale istanzacredito IVA il liquidatore chiedeva inizialmente il rimborso alla resistente, nelle more salvo poi domandare all’agente di istruttoria così avviatariscossione l’accreditamento dell’importo su altro conto corrente presso altra banca. Proseguiva la ricorrente evidenziando come la resistente, l’intermediario invitava dopo aver bloccato e reso indisponibile la somma, avesse provveduto ad estinguere i rapporti con la ricorrente ed a passarne a sofferenza la posizione. Alla proposta formulata l’8 febbraio 2012 dai fideiussori del pagamento di € 40.000 a saldo e stralcio della posizione debitoria, seguita da un’ulteriore offerta di € 9.000 in caso di accettazione del concordato stragiudiziale, la resistente non aveva fornito alcuna replica, limitandosi a trattenere il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”credito IVA. In tale piano ragione dell’indisponibilità dei fondi e della mancata adesione della resistente/creditrice (oltre che di altri due fornitori di utenze energetiche e telefoniche) alla proposta concordataria. Tanto aveva fatto sì che alla ricorrente fosse stato impossibile stipulare la cessione di ramo d’azienda, risolta per come previsto dall’art. 2560 c.c. in quanto subordinata al buon fine del concordato. Inoltre, era prevista diventata esecutiva la rateazione procedura di n. 3 sfratto promossa dal locatore dei locali della ricorrente il che ne andava per ciò solo a pregiudicare ogni possibilità di rate recupero. Concludeva la ricorrente, imputando all’atteggiamento “ostruzionistico” della resistente il grave pregiudizio arrecato ai creditori privilegiati e domandando a questo Arbitro la restituzione della disponibilità del credito IVA, nonché, ove ravvisato un comportamento scorretto da parte resistente, l’adozione degli opportuni provvedimenti. Il 19 ottobre 2012 la resistente depositava le controdeduzioni in 8 mesicui, con contestuale sospensione dopo aver ripercorso i fatti come già narrati, sottolineava di non aver mai avuto conferma dall’approvazione del piano di ammortamentoesdebitamento proposto dalla ricorrente da parte di altri creditori e ribadiva la propria disponibilità a rendere disponibile le somme attive una volta ricevuta tale approvazione. Precisava inoltre come l’art. 2560 c.c. non contemplasse alcun obbligo ma solo facoltà dei creditori a liberare l’alienante dai debiti pregressi. Richiamava poi, permettendo così a conforto della legittimità del suo operato, le condizioni generali di mantenere fermi contratto sottoscritte il 24 maggio 2010, a mente delle quali “in caso di insolvenza del titolare del rapporto la banca è espressamente autorizzata a compensare più rapporti o più conti di qualsiasi genere o natura ancorché i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la crediti non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltàsiano liquidi ed esigibili, senza distinzioni obbligo di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione preavviso e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendentiformalità”. Si sottolineaConcludeva pertanto la resistente, di conseguenza, l’illegittimità chiedendo a questo Arbitro la reiezione del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:ricorso.
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FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015protocollato il 21 maggio 2014, il ricorrentericorrente espone che, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di stipulato con l’intermediario (8 novembre 2012) un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato ipotecario per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principaleuso abitativo, al quale erano associate due polizze assicurative, una (polizza A) per il rischio “morte e invalidità permanente” (per € 5480,26) e l’altra (polizza B) per “i casi di inabilità temporanea totale, perdita di impiego e ricovero ospedaliero” (per € 519,75), i cui premi non gli venivano tuttavia proporzionalmente retrocessi, nonostante la parziale estinzione anticipata del citato mutuo, avvenuta nel corso del 2013. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari Contesta la motivazione sottesa al diniego oppostogli dalla data di stipula sino ai primi mesi parte resistente, fondato sulla mancata integrale estinzione del 2015”finanziamento, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziariepresupposto necessario, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015secondo quanto affermato dall’intermediario, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la ottenere il richiesto rimborso. A supporto della domanda restitutoria richiama taluni precedenti pronunciamenti del Collegio romano dell’ABF (nn. 823/2010; 1129/2011; 1142/2011; 449/2013) e al “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge principio di stabilità 2015buona fede contrattuale”. In tal modoNelle controdeduzioni la parte resistente conferma le ragioni del rigetto della domanda restitutoria già prospettate in sede di riscontro al reclamo, attraverso l’accesso richiamandosi alla sospensione del piano di ammortamentoregolamentazione convenzionale dei rapporti de quo, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento che non contempla l’estinzione parziale del mutuo durante tutta “tra i casi che prevedono la fase istruttoria, evitando la classificazione restituzione dei premi assicurativi” (vengono citati in tal senso l’art. 7 del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata fascicolo informativo relativo alla polizza per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei i casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”inabilità etc. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 4.3. e 47 della Carta (...9 del fascicolo informativo concernente la polizza per i casi di morte etc.). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere la restituzione dei premi assicurativi in misura corrispondente alla parziale estinzione anticipata del mutuo”. La parte resistente chiede che il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:sia rigettato.
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Samples: Mutuo Ipotecario
FATTO. Con La parte ricorrente, per il tramite di un’associazione di categoria, deduce la violazione del divieto di patto commissorio con riferimento ad un contratto di pegno su titoli stipulato con un intermediario appartenente al medesimo gruppo dell’intermediario convenuto con il quale uno dei soggetti ricorrenti, diverso da quello che ha concesso il pegno, ha stipulato un contratto di leasing. Dai documenti versati in atti e, segnatamente, dal contenuto del reclamo emerge, in particolare, che il cointestatario del presente ricorso presentato in data 4 novembre 2015, stipulava con il ricorrenteconvenuto un contratto di leasing per l’acquisto di alcuni beni aziendali a favore di una società unipersonale, assistito da pegno costituito dalla ricorrente garante presso un legale di fiducia, espone di essere titolare intermediario del medesimo gruppo. L’attività commerciale veniva chiusa nel settembre 2014 a seguito dei pessimi risultati economici e - in data 5 febbraio 2015 - il cointestatario per il tramite di un mutuo ipotecarioavvocato inviava una missiva con la quale dichiarava di non poter dare esecuzione al contratto di leasing con il pagamento dei canoni residui e invitava l’intermediario resistente a rientrare nel possesso dei beni. In data 18 gennaio 2016 la parte ricorrente ha formulato reclamo all’indirizzo dell’intermediario presso il quale era stato costituito il pegno su titoli, chiedendo che venisse dichiarata la nullità del pegno perché contrario all’art. 2744 c.c. (divieto di patto commissorio). Tale reclamo è stato riscontrato, negativamente, non dal soggetto destinatario dello stesso, bensì dall’intermediario oggi convenuto. La parte ricorrente chiede, quindi, che il Collegio “[…] giudichi nullo il patto commissorio e svincoli i beni ad esso connessi, con vittoria di spese […]”. L’intermediario, preliminarmente, eccepisce la carenza di legittimazione passiva deducendo che il ricorso è volto a far valere la nullità di un contratto stipulato tra la cliente e un altro intermediario, il 13 luglio 2010quale si vedrebbe eventualmente coinvolto senza poter svolgere le proprie difese. Con le controrepliche sottolinea che l’alterità soggettiva non viene meno anche se entrambi gli intermediari fanno parte dello stesso gruppo bancario. Nel merito, l’intermediario osserva che nel caso di specie il pegno è stato costituito unicamente a scopo di garanzia per un importo pari valore di € 10.000,00 a 205.200,01 eurofronte di un debito garantito di € 12.000,00 e, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscaliquindi, in quelle “totale assenza di sproporzione”; inoltre, al 17 marzo 2016 il debito ammontava a € 8.282,02. Si rileva, poi, che godono dei benefici “prima casa” in quantoil debitore principale è esposto finanziariamente nei confronti della convenuta sin dal 3 dicembre 2014 e, ad oggi, la garanzia non è ancora stata escussa per permettere a norma dell’art. 1 parte debitrice di riuscire a rientrare del debito mediante canali alternativi; ciò a dimostrazione della buona fede delle parti nella sottoscrizione del contratto di mutuo pegno che viene ritenuto ultimo canale percorribile prima dell’attivazione di iniziative giudiziali. L’intermediario nega la violazione dell’art. 2744 c.c. in oggettoquanto il creditore garantito prima di realizzare la garanzia deve provvedere, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziariesecondo quanto previsto dal contratto, a causa vendere i titoli sul mercato realizzando una somma la cui eventuale eccedenza, rispetto a quanto di spettanza, verrà messa a disposizione della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”ricorrente. In tal modoquesta prospettiva, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamentonon è configurabile un patto commissorio, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economichequanto, piuttosto, un patto marciano la cui validità è affermata dalla dottrina e dalla giurisprudenza. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviataInfine, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad contesta la domanda di rifusione delle spese legali adducendo che nel presente procedimento la difesa tecnica costituisce una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”mera facoltà. In conclusione, si rappresenta così, l’intermediario chiede “[…] in via preliminare di respingere il ricorso per carenza di legittimazione passiva di parte resistente. In via principale e subordinata di respingere integralmente il ricorso in quanto infondato in fatto e in diritto […]”. Con le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie repliche e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con controrepliche le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che parti hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, sviluppato gli argomenti difensivi contenuti nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:nelle controdeduzioni.
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Samples: Pegno Su Titoli
FATTO. Con ricorso Il prof. ….., docente a tempo indeterminato per la classe di concorso C500 (Laboratorio di Cucina-Enogastronomia), ha presentato in data 4 novembre 201512/12/2016 alle Amministrazioni resistenti richiesta formale di visione ed estrazione di copia della domande di trasferimento e assegnazione relative al docente ….. (classe di concorso C500), a partire dall'anno scolastico 2010/2011 fino alla data dell’istanza di accesso e dei documenti giustificativi il punteggio assegnato. Ha dedotto a fondamento la circostanza del trasferimento a decorrere dal 1 settembre 2017 del docente di ruolo presso l’Istituto Polispecialistico “…..” di ….., nonostante il minor punteggio rispetto a quello dell’accedente, che aveva richiesto il medesimo trasferimento. Formatosi il silenzio-rigetto sulla predetta istanza di accesso, il ricorrentesignor ….. in data 07/02/2017 adiva la Commissione affinché riesaminato il caso e, assistito da un legale valutata la legittimità del diniego opposto dall’Amministrazione, assumesse le conseguenti determinazioni. In data 17 febbraio 2017 perveniva memoria del Dirigente Scolastico dell'Istituto d'Istruzione Superiore “…..” di fiducia….. che precisava di non aver la documentazione richiesta, espone in quanto a norma del CCNI sulla mobilità, è all’Istituto di essere appartenenza “…..” di ….. - ove era titolare fino all’anno scolastico 2016/2017 il docente ….., di cui il ricorrente contesta l’assegnazione - che spetta la compilazione delle graduatorie interne di Istituto e la raccolta e la verifica dei titoli per l’attribuzione del punteggio per la mobilità. Per quanto riguarda la determinazione dell’organico provinciale e i relativi movimenti è di pertinenza dell’ex USP per la Provincia di …... Sul gravame presentato dal prof. ….., la Commissione prende atto della memoria dell’Istituto d'Istruzione Superiore "….." di ….., il quale dichiara di non detenere la documentazione oggetto di richiesta ostensiva. Il ricorso nei confronti dell’Istituto deve pertanto ritenersi inammissibile ex art. 25 comma 2 legge 241/’90. Il ricorso appare meritevole di accoglimento nei confronti delle altre Amministrazioni resistenti, venendo in rilievo l’accesso ad atti endoprocedimentali, ai quali parte ricorrente ha diritto di accedere, in forza del combinato disposto dell’art. 7 e dell’art. 10 della legge n. 241/1990. In ipotesi di accesso endoprocedimentale, infatti, l’interesse della parte ricorrente è considerato dallo stesso legislatore in re ipsa, nel senso che è la stessa partecipazione ad una procedura concorsuale a conferirgli la legittimazione a prendere visione delle domande di mobilità (e relativi allegati) degli altri candidati. Tale principio riguarda anche le domande presentate dagli altri candidati, posto che il richiedente che abbia partecipato ad una procedura di tipo concorsuale è titolare di un mutuo ipotecariointeresse qualificato e differenziato alla regolarità della procedura e posto che i concorrenti, stipulato il 13 luglio 2010prendendo parte alla selezione, per un importo pari hanno evidentemente acconsentito a 205.200,01 euro, da rimborsare misurarsi in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina competizione di cui alla legge 190/2014la comparazione dei valori di ciascuno costituisce l’essenza, art. 1rinunciando a qualsiasi profilo di riservatezza e implicitamente accettando che i loro dati personali, comma 246esposti nei documenti riguardanti la procedura di selezione, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “potessero essere resi conoscibili da tutti gli altri concorrenti a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:ciò interessati.
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Samples: Accesso Agli Atti
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 all’ABF del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui 06.10.2015 il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarieaffermato quanto segue. In data 31.03.2015, a causa richiedeva alla parte resistente, con la quale aveva in essere un rapporto di conto corrente e di mutuo, chiarimenti in ordine alla perdurante segnalazione del proprio nominativo in Centrale Rischi, connessa ad un suo pregresso obbligo fideiussorio, nonché circa la prova dell’avvenuta sua messa in mora. Ottenuta la documentazione in merito, con lettera del 21.05.2015, sollecitava la cancellazione della perdita del lavoro; di conseguenzasuddetta segnalazione, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria risultando non più tenuto alla garanzia fideiussoria ai sensi dell’art. 11957 c.c., comma 246posto che l’intermediario, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione comunicata nel luglio 2011 al debitore garantito la revoca del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesiprestito, con contestuale sospensione intimazione di pagamento delle somme dovute, non aveva “nei 36 mesi successivi intrapreso ovvero continuato con diligenza alcuna attività di recupero del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento credito nei confronti del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinatodebitore principale”. Tuttavia, Invitato dalla parte resistente a contattare il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione soggetto incaricato del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatorirecupero, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrentericeveva adeguati riscontri; rivoltosi nuovamente alla parte resistente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS)non otteneva ulteriori chiarimenti. Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioniTutto ciò premesso, il ricorrente chiede “al Xxxxxxxx che, accertata la decadenza di accogliere ogni suo obbligo fideiussorio ex art. 1957 c.c., provveda alla cancellazione del suo nominativo dalla Centrale Rischi. Con le proprie controdeduzioni, l’intermediario resistente ha precisato quanto segue. In data 22.01.2010, il presente ricorso ricorrente si era costituito fideiussore a favore di una società fino all’importo di € 65.000. Inviato il 05.05.2011 un sollecito al debitore garantito in ragione del mancato pagamento di quanto dallo stesso dovuto, a seguito del perdurare dell’inadempimento, con raccomandata del 23.06.2011 comunicava di ritenere risolto il contratto di finanziamento. In data 28.07.2011 intimava sia alla società, debitore principale, sia al ricorrente, in qualità di fideiussore, di pagare quanto dovuto, informando il garante che, in caso di inadempimento, avrebbe proceduto alla segnalazione del suo nominativo alla Centrale Rischi, in ottemperanza alla normativa sulla vigilanza bancaria. Perdurando l’insolvenza, il 09.09.2011 conferiva ad un terzo l’incarico per il recupero giudiziale dei crediti. Relativamente alle contestazioni del ricorrente, richiama l’art. 4 del contratto di fideiussione circa l’obbligo del fideiussore di tenersi informato sulle condizioni patrimoniali del debitore, anche richiedendo alla banca comunicazioni in ordine all’entità dell’esposizione debitoria; quanto al riferimento all’art. 1957 c.c. ne contesta l’applicabilità, affermando di aver operato con continuativa diligenza nel tentativo di recuperare l’importo dovuto dal debitore principale; sottolinea, inoltre, che il ricorrente risulta ancora obbligato nei suoi confronti, non avendo riscosso quanto a lui dovuto e per l’effettopermanendo quindi la posizione debitoria in gestione alla società di recupero crediti. Tutto ciò premesso, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:la parte resistente chiede al Collegio il rigetto del ricorso.
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FATTO. La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne il tema del regime giuridico dei contratti bancari stipulati dall’impresa dopo l’ammissione alla procedura di concordato preventivo. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015il 10 giugno 2014 - preceduto da reclamo del 21 agosto 2013, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone non riscontrato dall’intermediario – la società istante ha esposto di essere titolare di un mutuo ipotecariorapporto di conto corrente intrattenuto presso l’intermediario resistente. In data 19 dicembre 2012 aveva depositato domanda di concordato preventivo “in bianco”, stipulato e, il 13 luglio 2010successivo 20 dicembre 2012 aveva chiesto alla resistente che tutte le somme comunque pervenute sul conto corrente venissero stornate presso un diverso conto corrente acceso per le finalità della procedura; nelle more, il concordato era stato omologato dal tribunale con decreto depositato il 2 gennaio 2014. Non avendo l’intermediario provveduto a quanto richiesto, proponeva reclamo reiterando la richiesta di messa a disposizione delle somme incassate per un importo pari conto della società. Ciò premesso, la ricorrente deduceva che il dies a 205.200,01 euroquo, da rimborsare nel quale era sorto l’obbligo dell’intermediario di rimettere tutti i versamenti in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euroconto corrente nella disponibilità della procedura concordataria, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscaliandava determinato nella data del 19 dicembre 2012, in quelle cui era stata presentata la domanda di concordato preventivo; in particolare, poi, ha argomentato sottolineando la rilevanza della scientia decotionis della banca, e affermando, altresì, che godono dei benefici “prima casa” i pagamenti in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto questione rappresentavano l’oggetto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data mandato in rem propriam della banca, e non potevano essere oggetto di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria compensazione ai sensi dell’art. 156 l.f. Infine, comma 246ha chiesto all’Arbitro bancario finanziario di ordinare alla banca il versamento alla procedura concordataria della somma di € 24.966,00 e di tutte le somme a qualunque titolo pervenute successivamente al 19 dicembre 2012. Nelle controdeduzioni, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, presentate il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata1 agosto 2014, l’intermediario invitava il ha dedotto che, dopo aver ricevuto dal legale rappresentante della società ricorrente ad accedere la comunicazione di avvenuto deposito della domanda di ammissione al concordato preventivo, aveva provveduto a comunicare alla cliente, con nota del 5 aprile 2013, la sospensione degli affidamenti in corso e, con successiva comunicazione del 20 giugno 2013, la revoca immediata degli stessi, con invito al pagamento entro cinque giorni della somma di complessivi € 50.242,04. Infine, comunicava anche l’avvenuta segnalazione a sofferenza in Centrale dei Rischi e l’assegnazione della gestione della posizione ad una propria misura interna in tali casi previstasocietà di recupero crediti. Ciò premesso, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista ha eccepito la rateazione sussistenza del proprio diritto a sospendere o recedere dal contratto di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione conto corrente e/o condizione per l’accesso a tale misuradalle linee di credito che eventualmente assistano il rapporto, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o in seguito alla presentazione di una domanda di ammissione al concordato preventivo. Ne conseguirebbe l’applicabilità dell’art. 56 l.f., ma non delle norme in materia di revocatoria fallimentare, richiamate dalla ricorrente. In subordine, ha rilevato che, in ogni caso, gli effetti derivanti dalla presentazione della domanda di concordato preventivo si producono dalla data di pubblicazione del ricorso nel registro delle imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al nel caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite specie avvenuta il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:27 dicembre 2012.
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Samples: Banking Contracts
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, 27/12/2016 il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscaliricorrente lamenta, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, riferimento a norma dell’art. 1 del un contratto di mutuo in oggettoconto corrente e a un contratto di apertura di credito, il mutuo è stato erogato per l’acquisto l’inosservanza della forma scritta, poiché a fronte della richiesta di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare fornire copia dei contratti sottoscritti tra le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviataparti, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cdne avrebbe prodotto copia recante la sola sottoscrizione della cliente. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolineaLa parte chiede, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso che sia accertata la non debenza degli importi addebitati a titolo di interessi, spese e commissioni ex art. 117 TUB e ne sia disposta la restituzione. In secondo luogo, il ricorrente chiede di dichiarare la nullità della misura in esameclausola relativa agli interessi ex art. 1815, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. comma 2, 3c.c., 4sostenendo, 29,35 e 47 della Carta (...)sulla base di una perizia tecnica, che gli interessi addebitati dalla banca abbiano superato la soglia di usura in diversi trimestri. Nel che si concreta la Infine, il ricorrente chiede il rimborso di complessivi euro 10.959,83, di cui euro 2.213,57 a titolo di “spese ed oneri” non pattuiti per iscritto ed euro 8.746,26 a titolo di interessi su interessi in violazione del principio divieto di uguaglianza formale anatocismo. Con controdeduzioni presentate in data 3/04/2017 l’intermediario resistente eccepisce, in via preliminare, l’irricevibilità delle domande relative al mancato rispetto della forma scritta prevista per i contratti bancari e sostanziale (...)alla retrocessione degli interessi anatocistici, in quanto esse non avrebbero formato oggetto di reclamo. In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusionesubordine, si rappresenta cosìla resistente chiede il rigetto per infondatezza della contestazione relativa al mancato rispetto della forma scritta, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al sostenendo che la funzione informativa dell’obbligo di forma scritta dei contratti bancari sarebbe stata pienamente assolta nel caso di specie. corso La banca, chiede, inoltre, di ammortamento respingere la richiesta di restituzione degli interessi anatocistici perché agli interessi maturati dall’1/01/2014 al 30/09/2016 sarebbe applicabile ratione temporis la disciplina previgente in materia di anatocismo. La resistente chiede, infine, di respingere le doglianze circa il presunto superamento della soglia di usura, che risulterebbe dall’applicazione di una formula diversa da quella prescritta nelle Istruzioni della Banca d’Italia per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:sull’usura.
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Samples: Conto Corrente E Apertura Di Credito
FATTO. Con ricorso presentato 1. Secondo le segnalazioni di consumatori e m icroimprese, pervenute a far data dal giugno 2022, Iberdrola Clien t i Italia S.r.l. (di seguito anche Iberdrola Italia) ha inviato comunicazioni alla clien tela co n l e q ual i l a i nf orm ava, i n assenza del preavviso di cui alle Condizioni Generali di Fornitura, che i contratti di vendita di energia elettrica e /o g as in data 4 novembre 2015essere sarebbero stati da intendersi risolti per eccessiva onerosità sopravvenuta ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1467 c.c., in alcuni casi offrendo agli utenti l’alternativa di sottoscrivere nuove condizioni contrattuali – sosti tuti ve d i quelle originali – ad un prezzo variabile della componente energia.
2. In particolare, alcuni segnalanti hanno denunciato che, dopo avere sottoscritto un contratto con Iberdrola Ital i a per la fornitura di energia elettrica e di gas naturale a prezzo fisso, hanno ricevuto, prima della scadenza dello stess o, una comunicazione nella quale il professionista, “ al fine di riequilibrare il rapporto contrattuale in cons eguenza delle circostanze eccezionali, straordinarie ed imprevedibili ”, proponeva un apposito accordo m odi f ica t ivo d el co ntratto, consistente nella sostituzione del precedente prezzo fisso della componente energia, “ con un prezzo indicizzato, e dunque variabile, della componente energia a seconda delle oscillazioni del prezzo del mercato ”. La società inoltre precisava che “in caso di mancata accettazione da parte Sua delle predette modifiche al Contratto, mediante sottoscrizione dell’apposito Accordo Modificativo e restituzione dello stesso debitamente firmato entro il termine sopra indicato, il ricorrenteContratto dovrà intendersi risolto da parte di Iberdrola per eccessiva onerosità sopravvenuta, assistito da ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1467 c.c.. Tale risoluzione sarà efficace, senza necessità di un’ulteriore comunicazione o avviso, a far data dal (..), termine concessoLe al solo fine di consentirLe di individuare in tempo utile un legale di fiducia, espone nuovo fornitore prima di essere titolare ricondotto al mercato di un mutuo ipotecarioultima istanza”.
3. Inoltre, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari risulta che nei casi in cui i consumatori hanno diffidato Iberd rol a 205.200,01 euro, da rimborsare I tal i a a m antenere l e con di zi oni contrattuali in 300 rate mensili (essere fino a lla scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inseritanaturale dei termini e, ai fini fiscalisensi dell’articolo 3 di cui al DL 9 agosto 2022 n. 115, lo stesso Pro fessionista ha confermato la propria comunicazione di risoluzione unilaterale d el co ntratto “ in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015quanto eccessivamente oneroso”, periodo proponendo una nuova offerta a prezzo variabile.
4. Iberdrola Italia, dunque, lungi dal revocare le comunicazioni inviate alla clientela o riconoscere l’inefficacia dell e
5. Sulla base delle informazioni acquisite in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzaatti, in data 11 maggio 201518 ottobre 2022, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria è stato avviato il procedimento istruttorio PS/12450 ai sensi dell’art. 1dell’articolo 27, comma 2463, legge del Codice del Consumo, nonché ai sensi dell’ articolo 6 del Regolamen to, al fine di stabilità 2015”verificare l’esistenza di pratiche commerciali scorrette in violazione degli articoli 20, 21, 24 e 2 5 d el C odi ce del Consumo.
6. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrentea Iberdrola Italia è stata contestata l’ingannevolezza della condotta sopra descritta, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:degl i
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FATTO. Con ricorso presentato I fatti rilevanti ai fini della decisione sono i seguenti, provati per tabulas e pacifici tra le parti: E. ha commissionato ad A. un trasporto di merce relativo ad una partita di 620 cA. di telefoni cellulari, da consegnare al cliente finale Au.; A. ha stipulato un contratto di subtrasporto con Ma., per completare il trasporto da lei iniziato; Ma. ha subìto il furto della merce trasportata; E. ha riaccreditato ad Au. il prezzo della merce venduta ed ha poi ottenuto dalla propria assicurazione ACE l’indennizzo di € 273.765 per la perdita della merce, del complessivo valore di mercato di € 388.518; A. è quindi stata raggiunta dalla richiesta di XXX di rimborsare l’indennità corrisposta, nonché da una richiesta di E. di pagare la differenza tra il valore della merce e l’indennità assicurativa percepita. Ciò posto in data linea di fatto, A. conviene in giudizio Ma. per ottenerne la condanna a risarcire il danno subìto, quantificato, ex art. 1696 commi 1 e 4 novembre 2015c.c., il ricorrentenel prezzo della merce perduta, assistito da un legale di fiduciapari ad € 388.518, espone di essere titolare di un mutuo ipotecariooltre rivalutazione ed interessi. Costituendosi in giudizio, stipulato il 13 luglio 2010resiste Ma., per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa verso deducendo il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto difetto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto legittimazione attiva e di un immobile da adibire interesse ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (agire ex art. 1100 c.p.c. di A., non avendo la stessa a sua volta ancora provveduto a risarcire il danno a E. od Au.; per altro verso negando una propria colpa grave in relazione al furto subìto, ciò che comporta comunque una rimodulazione della responsabilità risarcitoria ex art. 1696 comma 2462 c.p.c.; da ultimo ed in ogni caso, l. 190/2014chiedendo ed ottenendo la chiamata in giudizio della propria assicurazione CNA per essere garantita in denegata ipotesi di condanna. Con nota del 7 agosto 2015Ritualmente costituitasi, l’intermediario comunicava “anche CNA eccepisce il difetto di legittimazione attorea; l’inammissibilità comunque della domanda per la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava parte concernente la richiesta di accesso alla sospensione del mutuorisarcimento pervenuta ad A. da E.; la prescrizione ex articolo 2952 comma 2 c.c. dei diritti derivanti dalla polizza assicurativa, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare non essendo stato comunicata all’assicuratore la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltreterzo danneggiato, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso cioè A.; l’inoperatività comunque della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accederepolizza; in data 31 agosto 2015 presentava reclamodenegata ipotesi, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte l’applicazione dei massimali e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione scoperti di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:polizza.
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Samples: Contratto Di Sub Trasporto
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 201519 ottobre 2013, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone ricorrente riferisce di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euroconto corrente in essere presso l’intermediario resistente, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 eurocirca quindici anni. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzaTuttavia, in data 11 maggio 2015settembre 2013, per evitare apprendeva - in modo occasionale - che maturassero interessi sulle quote insoluteil giorno prima l’intermediario aveva esercitato il recesso in relazione a tutti incarichi di pagamento RID conferitigli dal ricorrente medesimo, chiedeva la “moratoria ai sensi senza alcuna comunicazione né tanto meno preavviso. Ciò in palese violazione dell’art. 123 del contratto di conto corrente che, comma 246riepilogando gli obblighi del prestatore dei servizi di pagamento, legge statuisce la necessità di stabilità 2015comunicare il recesso con un preavviso di almeno due mesi, salvo giustificato motivo. Nel caso di specie, ha pure puntualizzato il ricorrente, l’intermediario non può invocare alcuna giusta causa, considerato che tutti i pagamenti domiciliati erano stati puntualmente onorati, come pure le rate del mutuo in essere con la medesima resistente. Anche l’affidamento, che insisteva sul medesimo conto corrente, non aveva mai evidenziato alcuno sconfinamento; subita l’improvvisa revoca, il ricorrente riferisce di avere provveduto immediatamente al rientro, non appena avutane conoscenza. La resistente ha innanzitutto precisato di avere tempestivamente notificato al cliente la comunicazione di recesso dal contratto che regola i servizi RID a mezzo di due raccomandate inviate il 24 agosto 2013 e l’1 settembre 2013 “recapitate senza esito positivo ma con rilascio dell’avviso di ricevimento”. Le affermazioni al riguardo del ricorrente, che sostiene di avere ricevuto la comunicazione solo in data 11 settembre 2013 non impedisce di ritenere già efficace il recesso; in ogni caso, l’intermediario ha ritenuto, nelle more, di consentire l’addebito dei RID pervenuti fino alla data dell’11 settembre 2013. In merito al giustificato motivo, esso si rinviene nelle motivazioni del provvedimento di licenziamento “che evidentemente sono ben note al ricorrente”, in quanto oggetto di contestazione con lettere del 3 ottobre 2012 e del 7 dicembre 2012. In queste, veniva tra l’altro imputato al ricorrente un uso del conto corrente non in linea con gli obblighi di buona fede e fedeltà a cui dovrebbe essere improntata l’attività del dipendente di un intermediario finanziario: nello specifico, dall’analisi delle movimentazioni, “sono stati accertati dei rapporti di natura economica con altri clienti [dell’intermediario] – anche classificati come “sofferenze” – che non potevano trovare giustificazione anche in relazione al delicato ruolo ricoperto dal [ricorrente] nell’azienda, ovvero quello di Istruttore Fidi Centrale”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano sede di ammortamentorepliche alle controdeduzioni, il ricorrente avrebbe potuto tentare ha osservato che la comunicazione di risanare le proprie difficoltà economicherecesso richiamata nelle controdeduzioni riguardava unicamente il recesso dall’apertura di credito in conto corrente, non i servizi RID. A seguito Per questi ultimi, nessuna comunicazione è stata mai effettuata. Ha poi fornito alcuni dettagli, invero poco rilevanti ai fini della controversia in esame, in merito alle circostanze del proprio licenziamento, tuttora oggetto di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cdimpugnazione. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrenteSono infine pervenute, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario 6 e 17 febbraio 2014 due note dell’intermediario che illustrano ancora la modulistica per l’accesso alla sospensione vicenda del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota licenziamento e ribadiscono che esso rappresenta la giusta causa giustificativa del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di recesso dal rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta conto corrente e dalla prestazione dei servizi di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”pagamento. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “al Xxxxxxxx ABF di accogliere il presente ricorso e dichiarare l’illegittimità del comportamento tenuto dall’intermediario e, per l’effetto, previa disapplicazione dell’artdichiarare tenuto l’intermediario medesimo al risarcimento del danno nella misura ritenuta più congrua dal Collegio decidente. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:L’intermediario, da parte sua, chiede che il ricorso sia rigettato, in quanto la giusta causa della revoca “è integrata nella motivazione del provvedimento di licenziamento causato da alcune condotte connesse all’utilizzo dell’apertura di credito”.
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FATTO. Con ricorso presentato La ricorrente ha rappresentato di aver sottoscritto, in data 4 novembre 201526 aprile 2007, il ricorrenteuna proposta irrevocabile avente ad oggetto un contratto di noleggio di una autovettura, assistito da un legale che prevedeva la corresponsione di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 n. 61 rate mensili (dell’importo unitario di euro 293,00. Al momento della sottoscrizione parte ricorrente versava 293,00 euro a scadenza posticipata) da 915,41 eurotitolo di deposito cauzionale. Al fine di assicurare il pagamento del canone di noleggio dell’autovettura, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 parte ricorrente stipulava un contratto di finanziamento con la resistente - per la medesima durata del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto noleggio e con rata di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data importo pari al canone mensile - denominato "Finanziamento noleggio a Lungo Termine e Carta di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”credito''. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario 2007 veniva effettuata la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”consegna dell’autovettura. Tuttavia, il solo nell’aprile del 2008 - su richiesta della stessa ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione - le veniva consegnata copia del mutuocontratto sottoscritto, rilevando che la ratio della disciplina di cui riferisce non aver avuto preventiva visione. In particolare, la ricorrente riferisce di non essere a conoscenza della previsione di un maggiore addebito di rata in ipotesi di superamento di un dato chilometraggio. Al momento della consegna del contratto si avvedeva, in altri termini, dell’apposizione di firme a lei non riconducibili. Pertanto, immediatamente disconosceva le firme chiedendo spiegazioni alla legge 190/2014resistente senza ottenere un valido chiarimento. A causa della controversia che ne seguiva, artsi perveniva alla risoluzione del contratto di noleggio con riconsegna del veicolo, che veniva poi venduto a un terzo soggetto. 1Nonostante ciò, comma 246fino al mese di febbraio 2011, la ricorrente provvedeva a saldare regolarmente i ratei mensili del finanziamento. Tuttavia, nel mese di marzo 2011 parte ricorrente comunicava all’intermediario l’intenzione di avvalersi dell’articolo 7 del contratto di finanziamento, che prevedeva l’estinzione anticipata del contratto, con l’obbligo della convenzionata di corrispondere all’intermediario quanto necessario per l’estinzione del finanziamento con la liberazione della richiedente. Parte resistente, in riscontro a tale comunicazione, sosteneva che vi fosse autonomia tra le sorti del noleggio e quelle del finanziamento, richiedendo il pagamento dei canoni a scadere perché imputati a “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni finanziamento di sortatipo personale”. Più A fronte delle resistenze della ricorrente e del mancato pagamento dei ratei scaduti, l’intermediario procedeva alla segnalazione del nominativo della resistente nell’archivio informatico gestito da Crif. Veniva, dunque, presentato ricorso innanzi a questo Arbitro, con il quale si lamentava l’illegittimità della condotta posta in particolareessere dalla resistente e, pertanto, si chiedeva: a) la risoluzione del contratto di finanziamento, in quanto connesso al contratto di noleggio risolto; b) dunque, la restituzione dei canoni corrisposti e non dovuti a decorrere dal mese di aprile 2009, oltre interessi, da quantificarsi in euro 6.739,00; c) la cancellazione del nominativo dal sistema Crif; d) il risarcimento del danno non patrimoniale, quantificato in euro 2.500,00. L’intermediario, nelle proprie controdeduzioni, eccepiva innanzitutto l’incompetenza ratione temporis del Collegio adito, in quanto le doglianze della ricorrente attenevano alle clausole contrattuali di rapporti sorti nel 2007 (quindi prima del 1° gennaio 2009). Nel merito si rilevava che le doglianze della ricorrente fossero originate dall’errato presupposto che sussistesse un collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e il contratto di noleggio di un’autovettura, laddove invece i due rapporti erano indipendenti ed il primo aveva ad oggetto un prestito personale. Xxxxxxxx, quindi, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che rigetto del ricorso ritenendo la misura della sospensione ricorrente ancora obbligata al pagamento dei ratei del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le impresefinanziamento. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente respingeva qualunque addebito in merito alla natura legittimità della segnalazione del finanziamento erogatonominativo presso il sistema Crif, “avendo a nulla rileva che il contraente sia tal fine regolarmente trasmesso - anche titolare con raccomandata a.r. - le lettere di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese)sollecito, il finanziamento preavviso di revoca e la comunicazione di classificazione a sofferenza. Ne discendeva, dunque, anche la mancanza dei presupposti per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”l’accoglimento della domanda di risarcimento. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato)Seguivano repliche alle controdeduzioni, con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomicui la ricorrente ribadiva le proprie posizioni, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in contestando tutto quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:dedotto dalla resistente.
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FATTO. Con Alla presente decisione il Collegio di coordinamento è chiamato in base alla Ordinanza del Collegio di Roma, n. 260/2014 del 17.01.2014, pronunciata in ordine al ricorso presentato in data 4 novembre 2015n. 661736 dell’11.07.2013. Nella predetta Ordinanza, il ricorrentecaso, assistito da un legale alla luce di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato quanto rappresentato dai ricorrenti e dall’intermediario resistente risulta così riassunto. “I ricorrenti hanno affermato che il 13 luglio 15 settembre 2010, per avrebbero stipulato con la banca resistente un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggettocredito fondiario, il mutuo è stato erogato per l’acquisto quale prevederebbe un TAEG del 4,114% e un tasso degli interessi moratori del 5,75%. Secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”legittimità, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 644, 4° comma, c.p., gli interessi moratori concorrerebbero al superamento del limite oltre il quale gli interessi sono sempre usurari: a tal fine, occorrerebbe pertanto sommare il tasso degli interessi moratori a quello degli interessi corrispettivi. Nel caso di specie, tale somma sarebbe pari al 9,864%, laddove nel terzo trimestre del 2010 il limite oltre il quale gli interessi di un mutuo a tasso fisso sono sempre usurari sarebbe stato del 7,485%. Gli interessi pattuiti tra le parti avrebbero pertanto superato tale limite e sarebbero usurari senz’altro, ai sensi dell’art. 644, 3° comma, c.p. e dell’art. 2, 4° comma, della legge 7 marzo1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura). Ciò posto, i ricorrenti hanno chiesto che la banca resistente sia condannata alla restituzione della quota di interessi di ciascuna rata pagata dai ricorrenti, aumentata degli interessi legali dal giorno del suo pagamento a oggi, e che sia accertato che i ricorrenti sono obbligati al pagamento della sola quota di capitale delle rate non ancora scadute, e non anche della rispettiva quota di interessi. La banca ha resistito al ricorso, affermando che si sarebbe attenuta alle Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura, che sono emanate dalla Banca d’Italia. Al paragrafo C4 (Trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del TEG), in particolare, le suddette Istruzioni prevederebbero espressamente che dal calcolo del tasso effettivo globale medio siano esclusi “gli interessi di mora e gli oneri assimilabili contrattualmente previsti per il caso di inadempimento di un obbligo”. Tale esclusione sarebbe stata altresì ribadita dalla Banca d’Italia nei chiarimenti resi il 3 luglio 2013. Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che il ricorso sia rigettato, perché infondato”. Nella Ordinanza, in diritto, si evidenzia che: “Si deve anzitutto rilevare che, se partitamente considerati, né il tasso degli interessi corrispettivi, né quello degli interessi moratori che sono stati convenuti dalle parti sono superiori al limite imperativamente posto dall’art. 644, 3° comma,c.p. e dall’art. 2, 4° comma, della legge 7 marzo 1996, n. 108 (Disposizioni in materia di usura). I ricorrenti hanno tuttavia allegato che tale limite sarebbe stato superato dalla somma dei medesimi tassi. In un precedente analogo, questo Xxxxxxx ha ritenuto che, al fine di accertare se il suddetto limite sia stato superato, il tasso convenzionale degli interessi moratori non debba essere sommato a quello degli interessi corrispettivi, laddove il contratto preveda che gli uni siano sostitutivi degli altri (decisione ABF, Collegio di Napoli, n. 5877 del 2013). Se si muove dagli orientamenti interpretativi della Suprema Corte di Cassazione richiamati dai ricorrenti, tali considerazioni potrebbero non essere tuttavia decisive ai fini del presente giudizio. Si deve rilevare infatti che il decorso degli interessi moratori sostituisce quello degli interessi corrispettivi soltanto a partire dal giorno in cui il mutuante provochi la risoluzione del contratto per l’inadempimento del mutuatario. Quest’ultimo deve allora provvedere sì «alla immediata restituzione della quota di capitale ancora dovuta, ma non al pagamento degli interessi conglobati nella semestralità a scadere, dovendosi invece calcolare, sul credito così determinato, gli interessi di mora a un tasso corrispondente a quello contrattualmente pattuito, se superiore al tasso legale, secondo quanto previsto dall’art. 1224, 1° comma, comma 246c.c.» (Cass. civ., legge sez. un., 19 maggio 2008, n. 12639). Ciò non toglie che, com’è stato chiarito dalla sentenza delle Sezioni Unite Civili della Corte di stabilità 2015”Cassazione che è stata appena menzionata, il mutuatario resti obbligato «al pagamento integrale delle rate già scadute» prima della risoluzione del contratto per il suo inadempimento: egli sarà pertanto obbligato al pagamento degli interessi moratori non soltanto sulla quota di capitale, ma anche su quella di interessi che è incorporata in ciascuna delle rate già scadute. In tal modosenso, attraverso l’accesso alla sospensione si è più recentemente pronunciata anche Cass. civ., sez. I, 25 settembre 2013, n. 21885: «In tema di mutuo fondiario è prevista la decorrenza automatica degli interessi corrispettivi maturati alle singole scadenze e l’applicabilità degli interessi di mora sugli importi a tale titolo dovuti, al pari del piano capitale versato». In altri termini, quanto dovuto dal mutuatario a titolo di ammortamentointeressi corrispettivi produce a sua volta interessi moratori, verificandosi così un fenomeno di anatocismo ai sensi dell’art. 120, 2° comma, t.u.b. Se ne trova del resto un’espressa conferma nella deliberazione che, proprio sulla base di tale disposizione di legge, è stata emanata dal CICR il 9 febbraio 2000 (Modalità e criteri per la produzione di interessi sugli interessi scaduti nelle operazioni poste in essere nell’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria (art. 120, 2° comma, del testo unico bancario, come modificato dall’art. 25 del decreto legislativo n. 342/1999), il ricorrente avrebbe potuto tentare cui art. 3, 1° comma, così prevede: «Nelle operazioni di risanare finanziamento per le proprie difficoltà economichequali è previsto che il rimborso del prestito avvenga mediante il pagamento di rate con scadenze temporali predefinite, in caso di inadempimento del debitore l’importo complessivamente dovuto alla scadenza di ciascuna rata può, se contrattualmente stabilito, produrre interessi a decorrere dalla data di scadenza e sino al momento del pagamento […]». E’ pertanto evidente che, rispetto alle rate scadute, gli interessi moratori (non si sostituiscono, ma) vengono ad aggiungersi a quelli corrispettivi. A seguito ciò consegue che, laddove l’art. 644, 4° comma, c.p. fosse ritenuto applicabile anche agli interessi xxxxxxxx, il loro tasso dovrebbe essere sommato a quello degli interessi corrispettivi convenuti tra le parti contraenti, al fine di accertare se sia stato superato il limite imperativamente posto dall’art. 644, 3° comma, c.p. e dall’art. 2, 4° comma, della legge n. 108 del 1996. A sostegno delle loro domande, i ricorrenti hanno invocato l’applicazione del principio di diritto che è stato affermato da Cass., 9 gennaio 2013, n. 350, secondo il quale «ai fini dell’applicazione dell’art. 1815 c.c. e dell’art. 644 c.p. si considerano usurari gli interessi che superano il limite stabilito dalla legge al momento in cui sono promessi o comunque convenuti a qualunque titolo, e quindi anche a titolo d’interessi moratori». Nella motivazione di tale istanzasentenza si richiama espressamente il precedente di Xxxx. civ., nelle more di istruttoria così avviatasez. III, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista4 aprile 2003, n. 5324, il cd. “Piano Arca”. quale ha stabilito che: «In tale piano era prevista la rateazione tema di n. 3 contratto di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando l’art. 1 della legge n. 108 del 1996, che prevede la ratio fissazione di un tasso soglia al di là del quale gli interessi pattuiti debbono essere considerati usurari, riguarda sia gli interessi corrispettivi che gli interessi moratori […]». Si richiama inoltre la sentenza della disciplina Xxxxx Xxxx., 00 febbraio 2002, n. 29, la quale, sia pure in un passaggio incidentale della motivazione, ha affermato che: «va in ogni caso osservato – ed il rilievo appare in sé decisivo – che il riferimento contenuto all’art. 1,1° comma, del decreto-legge n. 394 del 2000 agli interessi “a qualunque titolo convenuti” rende plausibile – senza necessità di specifica motivazione – l’assunto, del resto fatto proprio anche dal giudice di legittimità, secondo cui il tasso soglia riguarderebbe anche gli interessi moratori». Già in precedenza, Cass. civ., sez. I, 22 aprile 2000, n. 5286 aveva infatti deciso che: «L’usurarietà del superamento del “tasso soglia” di cui alla legge 190/2014l. 7 marzo 1996 n. 108 vale anche per le clausole concernenti gli interessi moratori». Potrebbe peraltro obbiettarsi che il dettato dell’art. 644, art1° comma, c.p. 1inequivocabilmente stabilisce che possano essere usurari gli interessi dati o promessi «in corrispettivo di una prestazione di denaro o di ogni altra utilità», comma 246ossia quegli interessi che si qualificano appunto come corrispettivi, “era finalizzata alle famiglie in difficoltàquanto costituiscono la prestazione sinallagmatica della dazione di una somma di denaro da parte del mutuante e del suo passaggio in proprietà del mutuatario, senza distinzioni ai sensi dell’art. 1814 c.c. Tali evidentemente non sono gli interessi moratori, i quali, secondo quanto si desume in modo in equivoco fin dalla rubrica dell’art. 1224 c.c., costituiscono invece una preventiva e forfetaria liquidazione del danno risarcibile che l’inadempimento di sorta”un’obbligazione pecuniaria ha cagionato al creditore. Più Né varrebbe in particolare, contrario osservare che il ricorrente, riportando integralmente il già menzionato art. 1, evidenzia 1° comma, del d.l. n. 394 del 2000, provvedendo a interpretare autenticamente l’art. 644 c.p. e l’art. 1815, 2° comma, c.c., avrebbe chiarito che la misura della sospensione possono essere usurari gli interessi promessi o comunque convenuti «a qualunque titolo», e pertanto anche quelli moratori. Per quanto qui rileva, già il dettato dell’art. 644, 1° comma, c.p. fa riferimento agli interessi che una parte «si fa dare o promettere, sotto qualsiasi forma», ma ciò non toglie che essi siano proprio e solo quelli corrispettivi: l’inciso finale di tale espressione legislativa chiarisce piuttosto che possono essere usurari anche quegli interessi (corrispettivi) che siano dissimulati o che comunque, in frode al divieto imperativo posto dalla medesima disposizione di legge, siano convenuti in un apposito patto aggiunto o contrario al contratto stipulato tra le parti. Poiché l’espressione di interessi «promessi o comunque convenuti, a qualunque titolo» che è impiegata dall’art. 1, 1° comma, del piano d.l. n. 394 del 2000 non risulta avere un significato diverso, si deve ritenere che l’entrata in vigore di ammortamento è rivolta ad quest’ultimo provvedimento legislativo non abbia ampliato l’ambito oggettivo di applicazione dell’art. 644 c.p. e dell’art.1815, 2° comma, c.c. a una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltreinteressi (quelli moratori, dato appunto) che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge precedenza non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...)vi rientrava. In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusionerealtà, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione l’autonomo contenuto precettivo dell’art. 1, comma 2461° comma, del d.l. n. 394 del 2000 è consistito nel limitare l’applicazione delle suddette disposizioni legislative agli interessi (corrispettivi) che fossero usurari al giorno in cui essi sono promessi o comunque convenuti «a qualunque titolo», escludendo invece che esse siano altresì applicabili agli interessi (corrispettivi) che siano divenuti usurari durante l’esecuzione del contratto. Ciò risulta chiaro, se si considera che i presupposti di necessità e di urgenza per l’emanazione del decreto-legge di cui si tratta sono espressamente individuati negli «effetti che la sentenza della Corte di cassazione n. 14899/2000 può determinare in ordine alla stabilità del sistema creditizio nazionale»: gli effetti di tale sentenza si riferiscono infatti all’usurarietà c.d. sopravvenuta degli interessi corrispettivi, non riguardando invece quelli moratori. ***La tesi secondo la quale il tasso degli interessi moratori non è suscettibile di determinare il superamento del limite imperativamente posto dall’art. 644, 3° comma, c.p. e dall’art. 4, 2° comma, l. n. 108 del 1996 risulta del resto coerente con quanto statuito dall’art. 19, 2° paragrafo, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono duedirettiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 relativa ai contratti di credito ai consumatori e che abroga la direttiva 87/102/CEE, distinte secondo il quale «al fine di calcolare il tasso annuo effettivo globale, si determina il costo totale del credito al consumatore, ad eccezione di eventuali penali che il consumatore sia tenuto a pagare per la mancata esecuzione di uno qualsiasi degli obblighi stabiliti nel contratto di credito e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di leggedelle spese, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stessodiverse dal prezzo d’acquisto, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoriacompetono al consumatore all'atto dell'acquisto, in quanto erogato per l’acquisto contanti o a credito, di merci o di servizi» (sottolineatura aggiunta). In termini analoghi, l’art. 4, n. 13), della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni proposta di accesso alla sospensione delle rate direttiva del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore Parlamento europeo e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte del Consiglio in merito ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato credito relativi a immobili residenziali (COM(2011)142), la quale è stata approvata dal Parlamento europeo il 10 settembre 2013 con emendamenti, espressamente prevede che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali dal costo totale del credito «sono escluse eventuali penali pagabili dal consumatore per la mancata esecuzione degli obblighi stabiliti nel contratto di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:credito».
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FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, reclamo del 25/02/2013 il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un rapporto di mutuo ipotecariofondiario, stipulato ha lamentato l’aumento della commissione di incasso rata da € 2,00 a € 8,00; tale aumento sarebbe ingiustificato e non troverebbe riscontro nell’«allineamento del costo dei servizi ai costi reali», come indicato nella comunicazione trasmessagli. In particolare,nell’aumentare la commissione, la banca ha fatto riferimento «a un generico “andamento sfavorevole della congiuntura economica e della qualità del credito”, che peraltro non riguarda la commissione medesima. Tale spiegazione non integrerebbe il 13 luglio 2010giustificato motivo prescritto dall’art. 118 TUB. Nella risposta al reclamo la convenuta ha affermato che “il pagamento tramite RID comporta un iter operativo più complesso e oneroso”; tuttavia «l’addebito mensile al ricorrente della rata di mutuo è un’operazione automatizzata e standardizzata […] che non necessita di alcun intervento manuale e/o specifico da parte del personale». L’aumento non avrebbe pertanto alcuna motivazione economica, ma sarebbe una mera penalizzazione per i clienti che hanno aperto un nuovo conto corrente presso altra banca, a condizioni migliori. Al momento della sottoscrizione del mutuo, inoltre, il documento di sintesi riportava la “commissione incasso rata” senza fare distinzione tra l’addebito su conto corrente intrattenuto presso la stessa banca e il pagamento della rata da parte di altro istituto. Tale nuova voce è stata introdotta nel foglio informativo solo il 26/02/2013 per cui, nel rispetto del contratto sottoscritto, non andrebbe applicata al mutuo che a quella data era già in ammortamento. La banca segnala che, a seguito della chiusura del conto corrente su cui poggiava il mutuo, i ricorrenti hanno chiesto di procedere al pagamento delle rate tramite RID da altra banca. Tale modalità di pagamento, contrariamente a quanto sostenuto dagli attori, «comporta molti interventi manuali (scarico transitorio RID, pagamento rata mutuo, quadratura giornaliera del transitorio rate mutuo sospese e del relativo conto di contabilità, senza considerare eventuali insoluti o storni)». Tutti questi interventi sarebbero manuali e giornalieri, giacché la resistente non ravvisa conveniente adottare procedure informatiche per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 eurofenomeno che risulta limitato. L’operazione, precisa il ricorrente, La comunicazione di variazione della commissione è stata inseritainoltrata secondo la normativa vigente; essa rappresenta una precisazione della generica “commissione incasso rata”, ai fini fiscaligiustificata dall’esigenza di recuperare i costi del servizio, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quantoconsiderato il meccanismo di incasso rata tramite RID, a norma dell’art. 1 come precisato anche nella proposta di modifica unilaterale del contratto di mutuo in oggettodel 24/10/2012. Per ridurre l’incidenza delle spese, il mutuo è stato erogato per l’acquisto nel rispondere al reclamo la resistente ha proposto ai clienti «due ragionevoli soluzioni alternative» che prevedevano rispettivamente l’apertura di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti conto corrente al costo di € 2,00 mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data con ripristino della commissione incasso rata nella misura precedente di stipula sino ai primi mesi del 2015”€ 2,00, periodo e la riduzione a € 5,00 della commissione in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”ricorso. Il ricorrente contesta chiede il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito ripristino della commissione nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che misura originaria. L’intermediario insiste per il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:rigetto.
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Samples: Mutuo Fondiario
FATTO. Con La parte ricorrente espone, allega e chiede nel ricorso presentato quanto segue. - Il 9/10/2015 ha stipulato con l’intermediario un contratto di finanziamento da rimborsare con cessione del quinto dello stipendio, estinto anticipatamente il 1°/02/2020 dopo il pagamento di n. 50 rate delle 120 complessive. - A seguito dell’estinzione anticipata, l’intermediario non le ha rimborsato le commissioni e i costi non maturati fino alla scadenza del contratto. - Nel contratto non è chiara la distinzione tra commissioni recurring e commissioni up front. - Sono rimborsabili, per la parte non maturata, non solo le commissioni bancarie e finanziarie, ma anche le commissioni di intermediazione e i costi assicurativi. - In considerazione del rapporto di accessorietà dei contratti assicurativi e di mediazione creditizia, rispetto al rapporto di finanziamento, al loro rimborso è tenuto l'intermediario. - La penale di estinzione anticipata è illegittimamente addebitata quando l’intermediario non alleghi alcun dettaglio dei costi “eventualmente” sostenuti per l’estinzione anticipata del finanziamento (cfr. Collegio di Napoli, n. 5432/2018). - La sentenza della CGUE dell’11/09/2019, causa C-383/18, ha stabilito che in sede di estinzione anticipata spetta al cliente una proporzionale restituzione di tutte le spese associate al prestito, indipendentemente dalla loro natura up front o recurring. - In maniera conforme si è espresso anche il Collegio di Coordinamento ABF (cfr. n. 26525/2019). - In sede di risconto al reclamo, l’intermediario ha proposto un accordo transattivo che non intende accettare in quanto non esaustivo. Ha dunque proposto ricorso. - Parte ricorrente chiede il rimborso di complessivi € 3.230,06, calcolati con il pro rata, a titolo di quota non matura degli oneri contrattuali e di commissione di estinzione; in via subordinata, la riduzione di quanto richiesto in applicazione del criterio della curva degli interessi ai costi ritenuti up front; in ogni caso, gli interessi legali dal reclamo e le spese di assistenza quantificate in € 200,00. Nelle controdeduzioni l’intermediario espone, allega e chiede quanto segue. - Il 9.10.2015 la ricorrente ha stipulato il contratto di finanziamento contro cessione del quinto n. ***740, estinto anticipatamente il 30.01.2020 alla scadenza della rata n. 50. - In tale occasione ha rimborsato alla ricorrente la somma di € 46,43 a titolo di ratei non maturati. - In parziale accoglimento del reclamo le ha offerto la somma di € 473,57, che è stata tuttavia rifiutata. - La recente sentenza resa dalla Corte di Giustizia Europea C-383/18, pronunciata in data 4 novembre 201511.09.2019, non può comportare il ricorrentesuperamento della distinzione tra i costi, assistito da un legale ma sancisce il diritto del consumatore al rimborso di fiduciaquei costi la cui natura sia ontologicamente “recurring” e che l’intermediario abbia invece – erroneamente – qualificato ed indicato come costi non ripetibili. - Inoltre, espone di essere titolare di un mutuo ipotecariodetta sentenza non potrebbe mai avere “efficacia diretta nei rapporti tra privati (c.d. efficacia orizzontale), stipulato il 13 luglio 2010essendo detta efficacia limitata, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inseritale direttive comunitarie sufficientemente precise ed incondizionate, ai fini fiscalirapporti tra autorità dello Stato inadempiente e i soggetti privati (c.d. efficacia verticale)” e alla Direttiva UE 2008/48 “non può riconoscersi la natura di direttiva self-executing”. - Le commissioni di intermediazione non sono soggette a rimborso, né con il metodo del pro rata temporis, né in base al criterio della curva degli interessi, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 quanto sono state trattenute al momento dell’erogazione del finanziamento e successivamente versate al mediatore creditizio per la remunerazione delle attività prodromiche alla stipula del contratto di mutuo prestito. Non costituiscono, inoltre, una voce di guadagno in oggettobilancio in quanto versate a soggetti terzi estranei al rapporto intermediario-cliente. - Le commissioni di attivazione non sono soggette a rimborso in quanto riferibili al momento della verifica della sussistenza dei presupposti ai fini dell’erogazione del finanziamento (cfr. Tribunale di Asti, n. 255/2020 e Tribunale di Mantova, 30.06.2020). - La richiesta di rimborso delle commissioni di gestione deve essere rigettata nel merito in quanto esse sono state rimborsate alla ricorrente in sede di conteggio estintivo, secondo i criteri previsti dai principi contabili internazionali IFRS-IAS, ovvero secondo il mutuo è stato erogato per l’acquisto criterio di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015costo ammortizzato (IAS 39), per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’artcomplessivi € 46,43. 1, comma 246, legge - Con riferimento alle commissioni di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano si tratta di ammortamento attività di pre-analisi dell’esistenza dei requisiti minimi richiesti al cliente dalla normativa, che come tale riveste natura up front e non è rivolta ad una duplice categoria soggetta pertanto a rimborso. - Deve escludersi qualsiasi vizio di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale invalidità/vessatorietà delle clausole in esame in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore espressamente accettato e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria specificamente approvato ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 1341 e 1342 x.x. xx xxxxxxxxxx xx xxxxxxx xxxxxxxx xx xxxxx xx xxxx di estinzione anticipata del finanziamento. - Deve essere respinta anche la domanda di rimborso delle spese legali in conformità al consolidato orientamento dei Collegi. - Quanto alla Commissione di anticipata estinzione, la regolamentazione contrattuale della clausola recepisce il disposto dell’art. 125 sexies, comma 2, 3T.U.B. (così come modificato dall’art. 1 D.Lgs. 13 agosto 2010, 4, 29,35 e 47 della Carta (...n.141). Nel che si concreta Risulta correttamente applicata nella misura dell’1% del capitale residuo e remunera costi ed oneri sostenuti per la violazione del principio gestione amministrativa dell’estinzione anticipata. - Parte ricorrente, inoltre, non ha prodotto idonea documentazione a sostegno della pretesa restitutoria (cfr. Collegio di uguaglianza formale e sostanziale (...Coordinamento, n. 5909/2020). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione- L’intermediario chiede: o in via principale, si rappresenta cosìil rigetto della richiesta di restituzione delle ulteriori somme a titolo di commissioni di gestione, per le ragioni su espostetenuto conto di quanto già rimborsato, un’interpretazione costituzionalmente orientata pari ad € 46,43, nonché il rigetto della norma qui richiesta di rimborso delle altre commissioni, dei diritti di estinzione e delle spese legali; o in rilievo (art. 3 succitato)via subordinata, con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonominella denegata ipotesi di essere tenuto a rimborsare ulteriori somme, e dunquela limitazione dell’importo a quanto offerto in sede di reclamo, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accederepari a € 437,57; in data 31 agosto 2015 presentava reclamovia di ulteriore subordinata, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno nella denegata ipotesi di essere tenuto a rimborsare ulteriori somme e diverse da quelle già offerte, la decurtazione dall’importo individuato di quanto già rimborsato alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:pari ad € 46,43.
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Samples: Financing Agreement
FATTO. Con In data 02.09.2009, l’intermediario resistente, in qualità di mandatario di altro intermediario, concedeva alla ricorrente un finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio per l’importo nominale di Euro 30.000,00, rimborsabile in 120 rate mensili di Euro 250,00 ciascuna. All’inizio del 2012, in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, la ricorrente provvedeva all’estinzione anticipata del prestito dopo il pagamento delle prime 29 rate. Nel reclamo del 9.03.2012 e nel successivo ricorso presentato in data 4 novembre 2015all’ABF del 22.05.2012, la ricorrente contesta il ricorrenteconteggio estintivo predisposto dalla convenuta, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare affermandone il contrasto con l’art. 125 sexies T.U.B. “che stabilisce che il costo del credito per il consumatore sia ridotto di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, ammontare pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 la vita residua del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “non trovando applicazione perché nulla la clausola secondo cui le commissioni non sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sortarimborsabili”. Più in particolare, precisato che la lettera di reclamo “non ha avuto risposta soddisfacente … se non con riferimento al solo rimborso di €250” della rata di dicembre 2011 considerata insoluta in sede di conteggio estintivo del prestito, la ricorrente contesta integralmente la commissione dell’Agente, riferendo di non aver sottoscritto alcun contratto per il ricorrenteconferimento di tale incarico ed affermando che tale contratto dovrebbe rivestire la forma scritta a pena di nullità ai sensi dell’art. 11 del Provvedimento UIC del 29.04.2005. In definitiva, riportando integralmente la ricorrente chiede il rimborso delle commissioni non maturate e della commissione “Mediatore Creditizio” per un totale di Euro 5.276,58, oltre Euro 142,56 per spese di istruttoria, o comunque il rimborso delle somme “veriori accertande”. Nelle controdeduzioni, eccepita in via preliminare la propria carenza di legittimazione passiva, avendo contratto il finanziamento oggetto della presente controversia in qualità di mandataria (con rappresentanza) di banca terza, l’intermediario: - contesta l’applicabilità dell’art. 125 sexies T.U.B., affermando invece l’operatività delle previsioni di cui ai previgenti artt. 125 T.U.B. e 3 D.M. 8 luglio 1992 in forza dell’art. 30 della Direttiva 2008/48/CE ed osserva che la quantificazione dell’importo da restituire in caso di estinzione anticipata del prestito deve essere determinata sulla scorta del comma 2 del menzionato art. 1, evidenzia 3 “volendo partire dal presupposto che il contratto in questione non dettagli l’importo degli oneri ricorrenti nel tempo”; - afferma che la misura somma richiesta alla ricorrente “a titolo di estinzione anticipata porta un capitale residuo quantificato in applicazione della sospensione formula matematica contenuta nell’allegato 2 al D.M. 8 luglio 1992”, osservando che “nelle definizioni del piano DM 8 luglio 1992 per «rata di ammortamento rimborso» s’intende ogni pagamento a carico del consumatore relativo al rimborso del capitale, degli interessi e di ogni altro onere connesso all’utilizzo del credito”; - dichiara di essersi uniformato, nella predisposizione del conteggio estintivo, anche al Comunicato della Banca d’Italia del 10.11.2009 provvedendo ad “un ulteriore, sebbene non dovuto, «rimborso oneri gestionali» pari ad Euro 400,40”; - precisa al riguardo che, “[c]ontrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente con riferimento alla presunta «mancanza di trasparenza» circa gli oneri maturati e non maturati in caso di anticipata estinzione … il contratto di prestito è invece estremamente chiaro nell’esposizione degli oneri e costi non rimborsabili in caso di anticipata estinzione sia nell’art. 1 che nel documento di sintesi” e prosegue evidenziando che l’“unica voce che ha natura ricorrente nel tempo è indicata al punto 1.1 b) del contratto” ed è stata “correttamente” restituita pro quota, mentre per le “altre voci di costo il contratto è estremamente chiaro nello specificare che trattasi di oneri non ricorrenti e dunque non rimborsabili in caso di anticipata estinzione del prestito”; - con riferimento alle commissioni applicate per l’attività di mediazione, l’intermediario rileva che la ricorrente “si è rivolta ad una duplice categoria di soggettidiscrezionalmente all’Agenzia … e … [ha] accettato i costi relativi … sottoscrivendo i seguenti documenti attestanti tali costi: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità contratto (piccole medie impresepagina n. 3), il finanziamento per documento di sintesi, il quale riepilogo delle condizioni economiche (inviato … anche all’agente)”; - sul punto osserva ancora che il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi Provvedimento dell’UIC richiamato dalla ricorrente non si applica nel caso di specie poiché la società intervenuta per la stipula del prestito è previsto che agente in attività finanziaria; - per quanto concerne il premio assicurativo, riferisce che: i) il contratto per la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenticopertura del rischio impiego è stato perfezionato direttamente tra la ricorrente e la compagnia assicuratrice e, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale pertanto, l’istante “deve rivolgersi direttamente a … [quest’ultima] al fine di (…)ottenere il rimborso”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, ; ii) l’assicurazione per la posizione lavorativa copertura del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura rischio morte conserva efficacia in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso estinzione anticipata del prestito e “la contraenza di ammortamento per essa verrà automaticamente trasferita all’assicurato … che potrà designare un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accederenuovo beneficiario; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da mancanza di tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, designazione la polizza andrà a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionaledegli eredi”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:.
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Samples: Financing Agreement
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un La rappresentate legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il società ricorrente, in data 22 luglio 20157/11/2011, inviava avanzava formale reclamo all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1resistente, comma 246facendo presente che: - in pari data aveva appreso presso uno degli sportelli bancari che, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015il 4/11/2011, l’intermediario comunicava “aveva provveduto alla chiusura del conto corrente della società”; - censurava tale condotta e lo diffidava a “riattivare il conto corrente bancario e a rimettere sullo stesso conto la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione somma corrispondente al saldo del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione conto corrente del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)3/11/2011”. Il reclamo restava privo di risposta. La ricorrente contesta inoltrava un altro reclamo, in data 11/11/2011, rilevando che: - il rilievo manifestato dall’intermediariodirettore della filiale ove aveva acceso il conto corrente, evidenziando le aveva riferito che “in quanto “mero esecutore” aveva provveduto ad effettuare in data 04/11/2011 le operazioni di chiusura del c/c 35xxxx/x7 della scrivente società a seguito delle istruzioni impartite via e-mail dal Dott. M. C. e che nulla sapeva rispondere al perché di quanto accaduto”; - con successiva telefonata aveva interpellato il Dott. M. C., il quale così affermava: “Sig.ra il contratto di conto corrente è stipulato tra due parti, una delle due ha deciso di recedere, punto e basta, ho visto che ha sempre agito nella veste di consumatore provveduto ad informare Banca d’Italia, si tuteli pure!”. L’ufficio Reclami dell’intermediario riscontrava il suddetto reclamo, in data 15/11/2011, comunicando alla ricorrente che la sua posizione era seguita dall’Ufficio Sofferenze e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casaUfficio Gestione Incagli, invitandola a contattare tali funzioni per ogni eventuale chiarimento. DiversamenteCon ricorso del 1/2/2012, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo formula la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015seguente domanda:
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FATTO. Con ricorso presentato Il ricorrente afferma di essere cointestatario di un mutuo, stipulato nel 2000, garantito da ipoteca di primo grado su immobile di proprietà esclusiva del terzo cointestatario. La cointestazione del mutuo sarebbe stata richiesta da un funzionario dell’istituto di credito convenuto quale condizione per la “sicura approvazione del mutuo”; quest’ultimo, tuttavia, sarebbe stato richiesto nell’interesse esclusivo del terzo cointestatario e per finalità sue proprie, di tipo commerciale. Il ricorrente rappresenta che, nel xxxxx xxx 0000 (xxxx in data 4 novembre 2015cui terminò la convivenza tra il ricorrente e la cointestataria), il rapporto era stato caratterizzato da alcune difficoltà nei pagamenti, in seguito interrottisi a partire dal mese di aprile del 2012. Successivamente, e segnatamente nel 2013, il ricorrente apprendeva di essere stato segnalato nella categoria “a sofferenza” della Centrale Rischi per inadempienze relative il mancato pagamento di alcune rate del mutuo oggetto di ricorso. Lamenta che tale segnalazione avrebbe comportato un grave pregiudizio al proprio sviluppo professionale, in quanto il ricorrente, assistito da ufficiale del ruolo Direttivo di Forza Armata, non ha più potuto rivestire gli incarichi previsti nel grado di appartenenza. Nello specifico afferma che la lesione alla reputazione di buon pagatore gli avrebbe impedito l’avanzamento di carriera, anche a causa della revoca dal “Nulla Osta di Sicurezza (NOS)”. La citata segnalazione avrebbe, inoltre, indotto un legale diverso intermediario, presso il quale il ricorrente intratteneva un rapporto di fiduciaconto corrente affidato, espone alla revoca del fido e alla richiesta di essere titolare restituzione del bancomat e della carta di credito. Con riferimento all’avvenuta segnalazione, evidenzia che la circolare della Banca d’Italia n. 139/91, recante istruzioni in materia di Centrale Rischi, prevede che le segnalazioni in sofferenza di rapporti cointestati presuppongono che tutti i cointestatari versino in stato di insolvenza, requisito assente nel caso di specie. Rileva, poi, che l’iscrizione è avvenuta in assenza di preventiva informativa, in violazione della normativa in materia. La mancata, preventiva, comunicazione gli avrebbe, tra l’altro, impedito di prendere le opportune iniziative al fine di evitare l’iscrizione in Centrale Rischi. Afferma, inoltre, che in data 5 aprile 2016 i due cointestatari avrebbero trovato un mutuo ipotecarioaccordo stragiudiziale, stipulato nell’ambito del quale la cointestataria assumeva l’onere del pagamento delle rate a scadere e, in sede dibattimentale, anche dell’estinzione entro marzo 2017. In forza di detti accordi, il 13 luglio 2010ricorrente avrebbe formulato alla resistente istanza di cancellazione del proprio nominativo dalla Centrale Rischi, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 eurorimasta tuttavia inevasa. L’operazione, precisa il Le richieste di cancellazione del ricorrente, è stata inseritainfatti, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” non venivano riscontrate in quanto, a norma dell’artdetta dell’intermediario resistente, il ricorrente sarebbe stato condebitore solidale insieme al terzo cointestatario, sia pure in posizione di sussidiarietà, con riferimento a un non meglio determinato “nuovo credito”. 1 Il ricorrente rileva tuttavia che, alla luce del negozio di “espromissione o accollo” intervenuto tra le parti, sia pure avente efficacia meramente interna, la convenuta avrebbe dovuto segnalare in Centrale Rischi il nominativo del solo accollante, il quale ha assunto l’obbligo del pagamento del debito residuo. Sottolinea, poi, che non gli è mai stata comunicata la decadenza dal beneficio del termine, forse perché eventuali comunicazioni venivano inviate unicamente presso la residenza del terzo cointestatario. Lamenta, in ogni caso, che la resistente avrebbe errato nelle proprie valutazioni relative alla sopravvenuta insolvenza della parti e ciò, in particolare, con riferimento al ricorrente stesso, percettore di una retribuzione fissa e continuativa. Alla luce di quanto sopra, il ricorrente si rivolge all’ABF chiedendo la cancellazione della segnalazione “a sofferenza” a suo carico dalla Centrale Rischi Banca d’Italia e Centrale dei Rischi private nonché il riconoscimento del danno non patrimoniale sofferto pari a € 10.000,00 de del danno patito per il mancato accesso al credito agevolato e il grave pregiudizio all’immagine personale e soprattutto professionale per € 25.000,00. Il ricorrente chiede altresì riguardo il “presunto nuovo contratto”, la ricostruzione dei rapporti intercorsi tra l’intermediario e la cointestataria dal gennaio 2012 oltre al rimborso delle spese legali quantificate in € 500,00. Costituitosi ritualmente, l’intermediario, riconosciuta l’esistenza del contratto di muto oggetto del ricorso, stipulato a dicembre del 2000, rileva che in data 28.09.2010, per effetto di uno sconfino persistente e non regolarizzato, la posizione del cliente veniva classificata ad incaglio; in data 280.3.2012, fallito un tentativo bonario di rientro dell’esposizione, la posizione, a fronte di 21 rate scadute e non pagate, veniva trasferita a sofferenza. L’intermediario afferma che questo ultimo passaggio, veniva preceduto dall’invio, in data 06/09/2011, di lettera di costituzione in mora, inviata all’indirizzo conosciuto dalla banca e rispedita al mittente per compiuta giacenza. Con riferimento alla circostanza per cui il ricorrente avrebbe appreso solo nel corso del 2013 di essere stato segnalato a sofferenza, evidenzia che, per pacifica giurisprudenza di legittimità, il principio della buona fede oggettiva deve presiedere anche la fase esecutiva del contratto. A nulla varrebbe dunque lamentare la mancata conoscenza circa l’omesso pagamento delle rate, in quanto tale circostanza sarebbe mero indice del mancato rispetto degli obblighi contrattuali ed una palese violazione del principio di correttezza e buona fede. Ed infatti, a seguito della sottoscrizione del contratto di mutuo (di cui riporta breve stralcio), i mutuatari diventano contemporaneamente e allo stesso livello responsabili ed obbligati al pagamento delle rate del mutuo; da ciò deriverebbe, pertanto, che il ricorrente si sarebbe dovuto attivare per conoscere lo stato di ammortamento del finanziamento. Evidenzia, poi, la piena legittimità della segnalazione in oggettoCentrale Rischi e nei sistemi di informazione creditizia, il mutuo è stato erogato in quanto conseguenza di una inadempienza pendente contestualmente sui cointestatari e, comunque, per l’acquisto aver provveduto alla preventiva informativa alle parti (sul punto allega due comunicazioni in data 28/03/2012 e 03/04/2012, cfr. all. 4 alle controdeduzioni). Con specifico riferimento all’accordo transattivo intervenuto tra i cointestatari, poi, evidenza come lo stesso avesse rilevanza meramente interna e, come tale, non producesse effetti sui terzi; sul punto allega conforme giurisprudenza di un immobile da adibire ad abitazione principalelegittimità e richiama le disposizioni di cui alla Circolare della Banca d’Italia n. 139/91. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla Respinge, pertanto, la richiesta di cancellazione della segnalazione in Centrale Rischi a far data dal 05/04/2016 [data di stipula sino ai primi mesi del 2015”dell’accordo transattivo, periodo n.d.r.], in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziariequanto l’accordo stesso si sarebbe risolto in data 14/02/2017 quando, a causa della perdita fronte del lavoro; versamento da parte del ricorrente di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamentoun importo precedentemente concordato, il ricorrente avrebbe potuto tentare terzo cointestatario autorizzava che la parte di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito debito ancora esistente venisse traslata su altra posizione a proprio nome, interrompendo il flusso di tale istanzasegnalazioni in C.R. Afferma, nelle more pertanto, la piena legittimità della segnalazione - che costituirebbe comunque solo un obbligo di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione trasparenza e non di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità legittimità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava segnalazione - e respinge la richiesta di accesso risarcimento, carente sul piano probatorio e, in ogni caso, avanzata per la prima volta solo in sede di ricorso. Infine, con riferimento alla sospensione richiesta di chiarimenti in ordine ad un “presunto nuovo contratto” stipulato con il terzo cointestatario, parte resistente chiarisce che l’espressione “nuovo credito”, contenuto nella risposta al reclamo, faceva riferimento, in senso meramente economico, all’assunzione in capo al terzo cointestatario del debito residuo relativo al mutuo, rilevando che la ratio della disciplina . Per i motivi di cui alla legge 190/2014sopra, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva parte resistente chiede che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale Collegio rigetti le richieste del ricorrente in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:infondate.
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Samples: Mutual Loan Agreement
FATTO. Con ricorso presentato In relazione ad un contratto di finanziamento mediante cessione del quinto della pensione stipulato in data 4 novembre 20155/03/2015 ed estinto anticipatamente a far data dal 31/07/2019, previa emissione di conteggio estintivo del 08/07/2019, in corrispondenza della 48ma rata, a fronte di 120 rate totali, il ricorrente, assistito da un legale di fiduciainsoddisfatto dell’interlocuzione intercorsa con l’intermediario nella fase prodromica al presente ricorso, espone di si rivolge all’Arbitro Bancario Finanziario. Nel ricorso chiarisce, in primo luogo, che alla quietanza sottoscritta non può essere titolare ricondotta l’efficacia preclusiva propria dei negozi rinunciativi o transattivi. Infatti, dal tenore delle dichiarazioni contenute nell’atto non può ricavarsi la chiara manifestazione di un mutuo ipotecariointento rinunciativo né piena consapevolezza da parte del dichiarante di compiere un atto dispositivo comportante la totale abdicazione ai propri diritti. Per un altro verso, stipulato la dichiarazione liberatoria non può essere interpretata come un atto transattivo, mancando l’esatta identificazione di una res litigiosa nonché il 13 luglio 2010requisito delle reciproche concessioni, pertanto, all’atto sottoscritto non possono ricollegarsi effetti diversi da quelli rivenienti dalla semplice dichiarazione di ricevere somme di denaro, che non può precludere l’esercizio successivo di pretese a conseguire ulteriori somme a titolo di rimborso di costi ripetibili. Il ricorrente al fine di ottenere il rimborso degli oneri non goduti richiama la sentenza della Corte di Giustizia Europea e alcuni precedenti di questo Arbitro. Alla luce di quanto sopra il ricorrente chiede al Collegio di accertare il proprio diritto al rimborso, secondo il criterio del pro rata temporis, delle commissioni dell’intermediario finanziario e della commissione di distribuzione per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 eurola somma di euro 4.863,71, oltre alla prima rata da 1.177,10 eurointeressi e spese di assistenza difensiva. L’operazioneL’intermediario, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscalieccepisce, in quelle che godono dei benefici “prima casa” via preliminare, l’infondatezza del ricorso, poiché la ricorrente ha sottoscritto una quietanza liberatoria, dichiarando in quantomodo espresso e incondizionato di aver già ricevuto tutto quanto dovuto dall’intermediario con riferimento al contratto de quo e rinunciando, quindi, a norma dell’artqualsivoglia domanda e azione inerente a tale contratto. 1 Inoltre, eccepisce la natura up front delle commissioni di distribuzione, in quanto volte a remunerare le attività prodromiche alla stipula del contratto di mutuo finanziamento. Chiarisce peraltro che si tratta di somme mai entrate nella propria disponibilità e direttamente versate al terzo intermediario del credito. Invero, rappresenta che tale costo - nel momento in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto cui transita dalla sfera giuridica patrimoniale dell’intermediario a quella di un immobile soggetto terzo – non può essere più recuperato dal finanziatore. Nei confronti dell’intermediario erogante possono essere reclamati solo i costi di sua pertinenza restando esclusi i costi connessi al contratto di finanziamento volti a remunerare prestazioni rese da adibire ad abitazione principaleterzi, tra cui rientrano le commissioni corrisposte all’intermediario del credito. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari L’intermediario formula, infine, una serie di considerazioni a proposito dell’efficacia tra privati e della retroattività della sentenza interpretativa resa dalla data Corte di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”Giustizia l’11 settembre 2019. In tal modoparticolare, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamentodeduce che tale sentenza, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economicheavendo ad oggetto l’art. A seguito di tale istanza16 della direttiva 2008/48 (peraltro non self executing), nelle more di istruttoria così avviatavincola soltanto gli Stati, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cdnon potendo trovare applicazione diretta nei rapporti tra privati. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando Ne consegue che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, stessa non è invocabile per regolare il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoriaresta disciplinato da quanto previsto dal contratto, in quanto erogato conformità con la normativa nazionale e regolamentare di riferimento. L’intermediario conclude per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate il rigetto del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:ricorso.
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Samples: Financing Agreement
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015n. 1359795 del 26.09.2021, il ricorrente, assistito da un legale ricorrente deduce di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, essersi rivolto alla banca resistente dovendo “effettuare la cessione del credito per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015superbonus 110%”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; rappresentandogli la necessità di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la ottenere un “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015prestito ponte”. In tal modoparticolare, attraverso l’accesso alla sospensione rappresenta di aver concluso con l’intermediario due contratti di cessione del piano credito di ammortamentoimposta con riferimento a due unità immobiliari. Successivamente, la Banca respingeva una richiesta di finanziamento per l’importo di € 25.000,00 e una richiesta di prestito personale formulate dal cliente. Parte ricorrente, in considerazione dei detti dinieghi, recedeva dai contratti di cessione del credito stipulati, per poi vedersi addebitare una penale di € 350,00 per ciascuno dei contratti, che il ricorrente ritiene ingiusta. Parte ricorrente, infatti, contesta all’intermediario che la “formula utilizzata per respingere entrambe le richieste dissimula una decisione già assunta a priori” e che i tempi necessari a riscontrare le stesse richieste di prestito c.d. xxxxx – in quanto finalizzato a realizzare la cessione dei crediti di imposta derivanti dalle ristrutturazioni - sono finalizzati a far decorrere infruttuosamente i termini per il recesso dai contratti di cessione del credito. Sulla base di quanto sopra, il ricorrente avrebbe potuto tentare – insoddisfatto dell’interlocuzione intercorsa con l’intermediario nella fase del reclamo – si rivolge all’Arbitro, al quale chiede la condanna di risanare le proprie difficoltà economichequest’ultimo alla restituzione dell’importo di € 700,00, corrisposto a titolo di penali. A seguito di tale istanzaXxxxxx, nelle more di istruttoria così avviatainoltre, che venga disposto nei confronti del convenuto “il deposito delle registrazioni delle telefonate con gli addetti call center per verificarne la correttezza”. Costituitosi, l’intermediario invitava il ricorrente eccepisce preliminarmente l’inammissibilità del ricorso in quanto avente ad accedere ad oggetto “una propria misura interna in tali casi previstatipologia contrattuale – la cessione del credito di imposta - che non rientra tra le operazioni e servizi bancari e finanziari”, il cdcome tale esclusa dal perimetro di competenza per materia dell’Arbitro. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesiNel merito, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. parte resistente rappresenta: 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, ) che il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava 13.05.2021 ha sottoscritto digitalmente un primo “contratto di cessione credito di imposta Superbonus 110% e altri bonus edilizi”; 2) che dopo oltre un mese dalla sottoscrizione del detto contratto di cessione del credito, con email del 15.06.2021 e previa richiesta del ricorrente, la banca ha inoltrato a quest’ultimo “il link ove rinvenire il modulo per richiedere il fido cessione - credito di imposta (cfr. allegato 3). Nella mail era debitamente indicata, tra altro, la precisazione che «L’esito le sarà comunicato una volta ricevuta la documentazione ed ultimata l’istruttoria»”; 3) che lo stesso giorno il ricorrente ha trasmesso quanto richiesto; 4) che quest’ultimo in data 17.06.2021 ha sottoscritto digitalmente un ulteriore “contratto di cessione credito di imposta Superbonus 110% e altri bonus edilizi”, nonché, sempre digitalmente, la richiesta di accesso alla sospensione del mutuofido per l’importo di € 25.000,00, rilevando per la quale erano stati in precedenza forniti la documentazione necessaria all’istruttoria e il modulo completo dei dati; 5) di aver respinto la richiesta di fido in data 24.06.2021, precisando che la ratio valutazione della disciplina capacità reddituale e patrimoniale del ricorrente non ha permesso di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie concedergli l’affidamento richiesto; 6) che in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, data 29.06.2021 il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia ricorrente ha chiesto che la misura della sospensione del piano pratica fosse rivalutata; 7) che in data 06.07.2021 il ricorrente ha chiesto un ulteriore finanziamento, dell’ammontare di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre€ 50.000,00, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale la banca si è riservata la facoltà di valutare ed eventualmente non accettare la concessione del prestito, qualora non fossero rispettati i requisiti richiesti; 8) di aver informato a mezzo email il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ricorrente in data 08.07.2021 che, con riferimento alla prima richiesta di finanziamento, la decisione di xxxxxxx non era rivalutabile, per poi, con successiva email del 15.07.2021, rigettargli anche la seconda richiesta di finanziamento a seguito di adeguata valutazione del merito creditizio; 9) che in data 14.07.2021 il ricorrente ha chiesto di poter recedere dai contratti di cessione del credito di imposta sottoscritti il 13.05 e il 17.06.2021 “a seguito, e in relazione, al diniego nell’affidamento di una somma a titolo di prestito ponte”privato”. Nei casi ; 10) di specie è previsto aver riscontrato la richiesta in data 17.08.2021 informando il ricorrente del fatto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendentiessendo ormai trascorsi i 14 giorni decorrenti dalla data della firma dei contratti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione il recesso dagli stessi avrebbe comportato l’addebito delle penali per ogni contratto firmato, chiedendo, al contempo, al cliente conferma della Filiale volontà di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto recedere; 11) che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamentericorrente ha insistito per il recesso, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione chiedendo l’esonero dall’addebito delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltrepenali, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendoche, però, risposta negativaveniva negato dalla banca, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; la quale ha, infine, proceduto al relativo addebito in data 31 agosto 2015 presentava reclamo01.09.2021. Tanto premesso, riscontrato con nota l’intermediario si oppone alle pretese del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1ricorrente, comma 246deducendo: 12) la legittimità dell’addebito delle penali per il recesso dal contratto di cessione, della legge n. 190/2014precisando che le penali sono previste da ciascuno dei due contratti di cessione del credito di imposta, rispetto ai quali il ricorrente ha dichiarato “di aver letto attentamente, compreso e di accettare esplicitamente (…) ii) le condizioni normative che regolano la Cessione del Credito contenute nel Contratto”; le categorie individuate da tale normativa sono due13) l’inconsistenza delle motivazioni addotte a fondamento del recesso, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto rappresentando che la condizione di accesso valutazione discrezionale della banca in merito alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI scelta se concedere o meno un finanziamento non è legata alla finalità sindacabile, come del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore resto precisato nelle offerte pubblicitarie e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso confermato dalla dottrina e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:dalla giurisprudenza;
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Samples: Cessione Del Credito
FATTO. Con ricorso presentato B.C. ha convenuto in data 4 novembre 2015giudizio dinanzi al Tribunale di Torino il notaio D.L.N., il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni subiti in occasione della stipula di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 eurocontratto preliminare, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) lui concluso per sè o per persona da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euronominare con i coniugi C.V. e Xx.Xx. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria e trascritto ai sensi dell’art. 12645 bis c.c., comma 246, legge per violazione del "dovere di stabilità 2015”consiglio". In tal modoparticolare, attraverso l’accesso alla sospensione ha esposto di essersi rivolto al notaio nel luglio 2002, e di aver pattuito con i promittenti venditori che il rogito notarile per il contratto definitivo avrebbe dovuto eseguirsi entro il 30.6.2011, data in cui sarebbe scaduta l’ultima rata di mutuo che egli s’era accollato. Il notaio avrebbe consigliato di trascrivere il preliminare, rassicurandolo circa l’assenza di condizioni pregiudizievoli per la stabilità del piano futuro acquisto, nonostante il notevole lasso di ammortamentotempo pattuito con i promittenti. Senonchè, nel 2006, rivoltosi il B. al notaio D.L. per la stipula del contratto definitivo, ci si accorgeva che nelle more, sull’immobile promesso in vendita, era stata iscritta ipoteca in favore di Uniriscossioni; ciò comportava l’impossibilità di procedere al rogito, e la perdita della caparra frattanto ottenuta dal B. da un terzo promissario acquirente, che l’avrebbe sostituito nel contratto definitivo con i coniugi C.. Secondo il B., il notaio avrebbe violato il "dovere di consiglio", non avendolo opportunamente avvertito che la trascrizione del preliminare avrebbe perduto efficacia qualora, entro tre anni, non fosse intervenuto il contratto definitivo. Il Tribunale di Torino accolse la domanda con sentenza del 27.4.2010, condannando il notaio al risarcimento del danno patito dal B. in misura pari ad Euro 21.690,74 oltre accessori, e rigettò la domanda di garanzia proposta dal notaio D.L. nei confronti della terza chiamata Xxxxx’x of London per intervenuta prescrizione dei diritti dell’assicurato. La Corte d’appello di Torino, con sentenza del 9.10.2013, accolse però l’appello proposto dal D.L., assolvendolo dalle domande avanzate dall’odierno ricorrente avrebbe potuto tentare e condannando quest’ultimo alla restituzione di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, quanto nelle more di istruttoria così avviataottenuto. B.C. ricorre ora per cassazione, l’intermediario invitava affidandosi a tre motivi. Gli intimati resistono con controricorso. Sia il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo D.L. hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:depositato memoria.
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Samples: Raccolta Di Giurisprudenza
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito La vicenda trae origine da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 eurouna delibera condominiale c.d. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015ristretta”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarieossia assunta dal Consiglio di Condominio, a causa senza la successiva ratifica dell’assemblea, nè tantomeno preceduta da una corretta e formale delibera di approvazione dell’opera e della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”spesa. In tale piano era prevista decisione il Consiglio di condominio esulando da una funzione meramente “consultiva” attribuita dalla legge, esaminava differenti preventivi di appaltatori inerenti lavori di rifacimento del terrazzo/ lastrico solare, approvando uno di tali preventivi e suddividendo il relativo pagamento del costo dell’opera tra i condomini. Uno dei condomini rifiutava pagare le rate ed impugnava la rateazione delibera del Consiglio di n. 3 condominio, in quanto esorbitante dai poteri ed in ogni caso collegata ad un opera mai approvata dall’assemblea, quale orano sovrano e deliberante, né compresa nei precedenti verbali di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015condominio. Il ricorrenteTribunale adito accoglieva l’opposizione e affermava che il Consiglio di Condominio, composto da cinque condomini, non si era limitato a svolgere funzione consultiva, come disciplinato nell’art. 1130-bis c.c., ma aveva espresso una decisione vincolante per l’intero condominio approvando i lavori di rifacimento ed il preventivo ritenuto più economico, ripartendo in data 22 luglio 2015tal modo le spese tra i condomini. Successivamente il Condominio soccombente impugnava tale decisione dinanzi alla Corte d’Xxxxxxx, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione quale però confermava il disposto del mutuo (giudice di prime cure, rilevando inoltre l’interesse legittimo del condomino di proporre azione ex art. 11137 c.c., comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare nei confronti di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”delibera “ristretta” La Corte rilevava che sebbene la posizione lavorativa riunione dei consiglieri avrebbe dovuto avere carattere consultivo, nella pratica esprimeva una decisione sui lavori di manutenzione del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge lastrico. Inoltre si rilevava che nel verbale di Stabilità (piccole medie imprese)assemblea, il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi precedente a quello impugnato, prodotto in giudizio, non risultavano approvate le opere in oggetto alla delibera oggetto di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendentiopposizione, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”né era stata adottata successivamente alcuna successiva approvazione o ratifica assembleare. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediarioCondominio proponeva ricorso in Cassazione adducendo due motivi di ricorso e rimarcando, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenziaMA SOLO IN CASSAZIONE, che una successiva assemblea condominiale, avesse ratificato la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso decisione del consiglio di condominio, approvando a tale misura“larghissima maggioranza” i lavori e la scelta dell’impresa esecutrice. Il condomino controricorrente, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione ragione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusioneautosufficienza del ricorso, si rappresenta cosìdeduceva che il verbale di quell’assemblea, per le ragioni su esposteposto a fondamento del ricorso non era mai stato acquisito agli atti del giudizio, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso nei precedenti gradi di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:merito.
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Samples: Obbligazioni E Contratti
FATTO. Con Il ricorrente, anche a mezzo della documentazione allegata, rappresenta nel ricorso presentato di essere legale rappresentante della Alfa s.n.c., in contenzioso con la resistente per una posizione debitoria di € 41.623,38. Dichiara in particolare che il 9 ottobre 2017, a seguito di trattative, sottoscriveva un accordo di transazione a saldo e stralcio, accettato dalla resistente, sulla base delle seguenti condizioni: - versamento della somma di € 18.000,00 a tacitazione di ogni pretesa, da corrispondere entro la data 4 del 3/11/2017; - rinuncia reciproca di azioni giudiziali con conseguente perdita di efficacia del decreto ingiuntivo; - “revoca e/o annullamento della segnalazione da parte dell’intermediario di sofferenza e/o di altra comunicazione alla centrale rischi […]” sia a nome proprio che della società. Precisa inoltre che il 2 novembre 2015veniva effettuato il bonifico dell’importo concordato (€18.000), di cui allega evidenza documentale e quietanza della resistente. A fronte dell’accordo concluso tuttavia, il ricorrente, assistito da un legale ricorrente dichiara che nel mese di fiducia, espone novembre 2017 apprendeva di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010una segnalazione alla Centrale Rischi, per un importo pari l’importo corrispondente al debito residuo, passato a 205.200,01 europerdita. Dopo aver contestato tale segnalazione, da rimborsare ultimo con reclamo, anch’esso riscontrato negativamente, ritenendo che parte resistente abbia agito in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali“mala fede”, in quelle che godono dei benefici quanto “prima casa” la revoca/l’annullamento di qualsivoglia segnalazione alla C.R. era stata specificatamente indicata tra le condizioni della proposta”, cosicchè l’accettazione dell’accordo da parte della resistente ha ingenerato un legittimo affidamento ”a non vedersi segnalato”, mentre l’intermediario ha intenzionalmente omesso di comunicare preventivamente le successive segnalazioni in quantoCR, il ricorrente si rivolge all’ABF per chiedere “la revoca / l’annullamento della segnalazione [..] con decorrenza dal mese di novembre 2017”. Chiede altresì la condanna dell’intermediario al rimborso delle spese legali, pari ad euro 1.040,00, e delle spese di presentazione del ricorso. L’intermediario nelle controdeduzioni, ripercorsa brevemente la vicenda sottesa alla presentazione del ricorso, conferma la formulazione testuale dell’accordo transattivo e dichiara di aver provveduto, dopo il pagamento concordato, a norma dell’artchiudere la posizione debitoria, con conseguente estinzione delle segnalazioni alla Centrale Rischi. 1 Afferma inoltre di avere, in ossequio alle pattuizioni con la parte ricorrente e in conformità agli obblighi di legge, “segnalato l’estinzione del contratto credito e la posizione nella categoria “sofferenza – crediti passati a perdita” per la parte del credito non incassata a seguito della definizione a saldo e stralcio” e di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo non aver effettuato segnalazioni nelle date successive a quella in cui il ricorrente credito residuo è stato passato a perdita (novembre 2017), interrompendo la segnalazione di sofferenza. Inoltre precisa di non poter “intervenire per le segnalazioni correttamente effettuate nei mesi precedenti [..] in quanto queste costituiscono lo “storico” conservato dalla Centrale Rischi e, secondo la normativa in vigore non possono essere eliminate, né la Banca ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa mai assunto un obbligo in tale senso in quanto contrario alla normativa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015Centrale Rischi”. In tal modoConclude affermando di essersi, attraverso l’accesso alla sospensione del piano dunque, comportato correttamente sia per quanto riguarda il rispetto delle disposizioni secondarie in tema di ammortamentosegnalazioni, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economichesia in relazione agli obblighi assunti con la transazione. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva La parte resistente chiede che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediarioCollegio, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanzaaccertata la correttezza del proprio comportamento, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), rigetti il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:ricorso.
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Samples: Transazione
FATTO. Con ricorso presentato Il Comune di Prato nell’anno 2002, avendo contratto diversi mutui con istituti di credito, ha deciso di procedere alla ristrutturazione del suo debito e a tal fine ha pubblicato un "avviso per manifestazione di interesse finalizzata all’individuazione dell’advisor… nella definizione delle strategie di possibile trasformazione dell’indebitamento e nell’assistenza, consulenza e gestione in data 4 novembre 2015operazioni di Interest Rate Swap". Sono pervenute sette proposte e, il ricorrente, assistito a seguito del loro esame da un legale parte di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrenteuna commissione tecnica appositamente nominata, è stata inseritaindividuata come migliore quella formulata da Xxxxx Xxxxxxx s.p.a. (nel seguito: “Dexia”) che pertanto è stata nominata advisor con determinazione dirigenziale 29/7/2002 n. 2331. Successivamente è stato sottoscritto l’accordo quadro ISDA Master Agreement il quale prevede, ai fini fiscalitra l’altro, in quelle che godono dei benefici l’applicazione al medesimo della legge inglese e la deroga alla giurisdizione italiana a favore di quella britannica relativamente a “prima casaqualsiasi causa, azione o procedimento legale” in quantoriguardante il medesimo. Infine, con determinazione dirigenziale 4/12/2002 n. 3842, il Comune di Prato ha approvato il testo della proposta irrevocabile da formulare a norma dell’art. 1 Dexia per la stipula del contratto di mutuo in oggettoInterest Rate Swap, poi concluso con l’accettazione della predetta società nella medesima data del 4/12/2002 con decorrenza 30/6/2002 e scadenza 30/6/2012. Nell’anno 2003 il mutuo Comune ha approvato l’emissione di un prestito obbligazionario per il finanziamento di opere pubbliche sottoscritto integralmente da Dexia, su proposta della quale è stato erogato sciolto l’originario contratto e sono stati stipulati due nuovi contratti di Interest Rate Swap a copertura di ulteriori posizioni debitorie dell’Amministrazione. Nell’anno 2004 questa ha poi deciso l’emissione di buoni obbligazionari e Dexia ha quindi fornito, in qualità di advisor, una proposta complessiva per l’acquisto l’estinzione anticipata, mediante l’emissione di un immobile prestito obbligazionario, dei mutui che essa aveva contratto conla Xxxxx Xxxxxxxxx Prestiti s.p.a. e con Cariprato-Cassa di risparmio di Prato s.p.a. mediante emissione di prestiti obbligazionari e la ristrutturazione dello swap in essere, per adeguarlo all’avvenuta modifica delle passività sottostanti. Conseguentemente il Consiglio comunale, con deliberazione 28/12/2004 n.214, hastabilito la conversione dei mutui con emissione di prestito obbligazionario sottoscritto interamente da adibire ad abitazione principaleDexia e la contestuale stipulazione del contratto di swap. I pagamenti mensili “Con determinazione dirigenziale 29 dicembre 2004 n. 3956 il Comune di Prato e Dexia hanno sciolto il contratto di Interest Rate Swap in essere e stipulato due nuovi contratti a copertura delle ulteriori emissioni obbligazionarie. Le operazioni suddette sono stati piuttosto regolari dalla data state poi oggetto di stipula sino ai primi mesi una ulteriore ristrutturazione e con determinazione dirigenziale 28/6/2006 n. 1691 l’Amministrazione ha stabilito di sciogliere i tre contratti swap all’epoca in essere con Dexia e di stipulare un nuovo contratto sulle medesime posizioni debitorie. Il nuovo contratto swap è stato stipulato mediante scambio di proposta irrevocabile del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, Comune in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie 28/6/2006 e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso accettazione da parte della parte resistente di Dexia il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:29/6/2006.
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FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare I ricorrenti hanno affermato che: -sarebbero la coniuge e la figlia (e pertanto le eredi) di un mutuo ipotecariocliente della banca resistente, stipulato il 13 luglio 2010deceduto nel maggio del 2013; -insieme alla coniuge, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, egli sarebbe stato presso tale banca cointestatario di un conto corrente, al quale sarebbe stato collegato un deposito titoli in amministrazione; -alla sua morte, tale conto corrente sarebbe stato bloccato, ma la banca resistente avrebbe ciononostante continuato ad addebitare su di esso fino al 31 gennaio 2014 le spese di tenuta e altri oneri, tra i quali il ricorrentecosto del servizio Telepass di cui il de cuius era stato titolare; -la documentazione richiesta per la successione sarebbe stata tuttavia fornita alla banca resistente già il 25 novembre 2013 e il dispositivo Telepass sarebbe stato riconsegnato il 16 dicembre 2013; -il saldo residuo sarebbe stato accreditato dalla banca resistente su un conto corrente di cui le ricorrenti sono cointestatarie; -senza la loro autorizzazione, riportando integralmente la banca resistente avrebbe altresì “scaricato” i titoli che erano depositati nel dossier cointestato al de cuius e li avrebbe “caricati” su quello cointestato alle ricorrenti; -tale operazione avrebbe cagionato loro un danno patrimoniale, costituito dall’addebito di alcune spese, dalla perdita di valore di tali titoli pari a € 50,00 e dal mancato conseguimento di un c.d. bonus fedeltà. Ciò posto, le ricorrenti hanno chiesto che: -la banca resistente sia condannata a restituire loro le spese di tenuta del conto cointestato al de cuius, perché indebite; -sia ordinato alla banca resistente di ripristinare il menzionato arttitolo depositato sul dossier cointestato al de cuius e sia condannata al pagamento di € 50,00 a titolo di rimborso della perdita di valore da esso subita. 1La banca ha resistito al ricorso, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggettiaffermando che: le famiglie e le imprese. Inoltre-il 26 giugno 2013, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva avrebbe appreso che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo congiunto delle ricorrenti era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoriadeceduto, in quanto le era stato richiesto dall’ente previdenziale competente di restituire quanto nel frattempo erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro cantoa titolo di pensione del de cuius; -il 27 novembre 2013, le condizioni ricorrenti avrebbero consegnato alla filiale competente la dichiarazione di accesso successione; -l’8 gennaio 2014, avrebbero chiesto per iscritto che fosse estinto il conto corrente cointestato al de cuius; -tale estinzione sarebbe avvenuta il 29 gennaio 2014; -la documentazione inerente alla sospensione restituzione del dispositivo Telepass sarebbe stata consegnata alla filiale competente il 24 dicembre 2013; -l’importo di € 3,42, che il 31 dicembre 2013 era stato addebitato per tale servizio sul conto corrente di una delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore le sarebbe stato pertanto rimborsato dalla banca resistente; -il BTP di € 35.000,00, che era depositato nel dossier titoli cointestato al de cuius, sarebbe stato suddiviso in un BTP di € 26.000,00, depositato sul dossier intestato alla prima ricorrente, e lavoratore autonomoin un BTP di € 9.000,00, depositato sul dossier intestato all’altra; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato -quest’ultima avrebbe trasferito alla prima il titolo che hanno perso l’occupazione o era stato depositato sul suo dossier, sostenendo così alcune spese e perdendo il premio fedeltà. Ciò posto, la banca resistente ha chiesto che hanno avuto accessoil ricorso sia rigettato, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso perché infondato in fatto e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:in diritto.
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FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015istanza presentata allo stabilimento balneo - termale militare “…..” di ….. il ….., il ricorrentedipendente civile del Ministero della Difesa, assistito da un legale ha preliminarmente evidenziato di fiduciaaver svolto tra l’….. e l’….. la duplice funzione di delegato del comandante alle attività di gestione di impianti ed infrastrutture e di responsabile del procedimento della fase di progettazione (limitatamente alle parti infrastrutturali, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euroex art. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 14 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”D.P.R. n° 236/2012). In tale piano era prevista la rateazione qualità egli ha chiesto sia di n. 3 accedere a svariati documenti di rate in 8 mesicarattere tecnico, con contestuale sospensione molti dei quali da lui stesso inviati quali allegati a messaggi di posta elettronica dalla casella attribuitagli quale dipendente del piano predetto Ministero; sia di ammortamento, permettendo così ottenere una serie di mantenere fermi i presupposti informazioni riguardo alle gare eventualmente indette dal Ministero stesso sulla base dei capitolati tecnici oggetto dell’istanza di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo accesso. Lamentando che riguardo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per quest’ultima si fosse formato il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttaviasilenzio rigetto, il ….. ha adìto questa Commissione con ricorso pervenuto l’….. Con memoria pervenuta il ….. di quello stesso mese l’Amministrazione resistente ha evidenziato che gli atti in suo possesso non consentivano di attribuire all’odierno ricorrente “… alcuna forma di responsabilità nell’istruttoria e nell’aggiudicazione di gare pubbliche formalizzate, per altro, dalla Direzione d’Intendenza del Comando Militare …” di ….. da cui dipende lo stabilimento resistente. La Commissione, nella precedente seduta invitava l’Amministrazione resistente a trasmettere il ricorso alla sede centrale del Ministero della Difesa: specificamente all’ufficio da cui, a dire dell’Amministrazione stessa, erano state bandite le gare in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuoargomento. La Commissione, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014inoltre, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva riteneva necessario che il contraente sia anche titolare ricorrente documentasse l’esistenza di una impresa individuale in quanto un formale incarico ricevuto per assumere il ruolo di responsabile del procedimento della fase di progettazione, al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità fine di soggetto privato”provare la sua legittimazione alla presentazione dell’istanza di accesso, impregiudicata ogni altra valutazione nel merito del ricorso. Sul punto l’intermediarioNelle more dell’adempimento dei predetti incombenti istruttori, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla i termini di legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”sono stati interrotti. Il ricorrente contesta ha fornito chiarimenti ed allegato documenti diretti a dimostrare lo svolgimento delle mansioni di responsabile del procedimento. L’Amministrazione, anziché trasmettere il rilievo manifestato dall’intermediarioricorso alla sede centrale, evidenziando che come richiesto dalla Commissione, ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione fornito diretto riscontro alla Commissione indicando le ragioni per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari non sussisterebbe un interesse all’accesso in quanto l’istanza è, nella sostanza, finalizzata a provare lo svolgimento di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità mansioni superiori da parte del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoriadipendente, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni mancanza di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso prova da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:quest’ultimo degli incarichi conferiti.
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FATTO. La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne il tema della validità di una polizza fideiussoria rilasciata da un intermediario poi risultato non autorizzato al rilascio di fideiussioni nei confronti del pubblico. Questi, in sintesi, i fatti oggetto del procedimento. Con ricorso reclamo presentato per il tramite di un avvocato in data 4 novembre 201510 gennaio 2014, l’attuale ricorrente, titolare di un’impresa individuale, si è rivolto all’intermediario attuale resistente, dolendosi del fatto che la fideiussione rilasciatagli da quest’ultimo per ottenere l’autorizzazione alla costruzione di un impianto eolico, era stata ritenuta inidonea dall’ente pubblico competente in quanto era risultato che l’intermediario era iscritto nel solo elenco generale di cui all’art. 106 TUB e non anche a quello speciale di cui all’art. 107 TUB. A valle del risconto reso dall’intermediario con nota del 28 gennaio 2014, giudicato non del tutto soddisfacente, il ricorrente si è rivolto all’Arbitro Bancario Finanziario reiterando le doglianze del reclamo. In particolare, in punto di fatto il ricorrente espone di essersi rivolto all’intermediario resistente, individuato attraverso un broker, chiedendogli il rilascio di una polizza fideiussoria a favore dell’ente pubblico competente a garanzia dell’esecuzione delle opere di ripristino dei luoghi ad avvenuta ultimazione dell’impianto e dei lavori di rimozione dei manufatti e ripristino dei siti a seguito della dismissione. Al momento della sottoscrizione del contratto, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare a fronte di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo garantito pari a 205.200,01 euro€ 125.000,00 per la durata di un anno, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euroversava all’intermediario, oltre alla prima rata da 1.177,10 euroquale corrispettivo, la somma di € 1.550,00. L’operazioneTuttavia, precisa prosegue il ricorrente, rimessa la polizza all’ente pubblico beneficiario, quest’ultimo - in esito ad approfondimenti svolti presso la Banca d’Italia – comunicava di non poter concedere alla parte istante l’autorizzazione in quanto la società emittente, iscritta nel solo elenco generale di cui all’art. 106 TUB e non anche a quello speciale di cui all’art. 107 TUB, non risultava abilitata allo svolgimento nei confronti del pubblico dell’attività di rilascio di fideiussioni. Il ricorrente si è stata inseritavisto, ai fini fiscaliquindi, costretto a richiedere la garanzia ad altro intermediario, sostenendo nuovi costi e subendo danni per il ritardo, pari a “5 mesi accertati”, nell’inizio dei lavori di costruzione dell’impianto, il quale - per godere delle agevolazioni concesse dal GSE - deve essere ultimato entro il 30/12/2014. Aggiunge ancora il ricorrente di avere, in quelle fase precontrattuale, specificato all’intermediario che godono dei benefici “prima casa” il beneficiario della richiesta garanzia era un ente pubblico, in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto relazione ad un procedimento amministrativo riguardante la realizzazione di un immobile da adibire ad abitazione principaleimpianto eolico, e che l’intermediario resistente, certamente consapevole di non essere iscritto nell’elenco speciale di cui all’art. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data 107 TUB, non ha chiarito con grave violazione dei doveri di stipula sino ai primi mesi del 2015”correttezza di non essere in possesso dei necessari requisiti per l’emissione della polizza. Sulla base di quanto esposto, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarieconcluso chiedendo all’Arbitro di accertare la nullità della polizza fideiussoria, in quanto rilasciata dalla società resistente “in carenza di potere” e, conseguentemente, di dichiarare la medesima resistente tenuta alla restituzione del corrispettivo pari a € 1.550,00 , oltre interessi legali e le spese di procedura. L’intermediario si è costituito depositando controdeduzioni con cui ha chiesto il rigetto del ricorso. Il resistente espone, in fatto, di avere, prima della sottoscrizione del contratto, trasmesso al cliente una bozza da sottoporre all’ente beneficiario, “al fine di ottenerne la relativa approvazione”. Solo una volta ricevuto tale benestare, esso ha quindi incassato il corrispettivo concordato, emettendo (in data 8 maggio 2013) l’atto di fideiussione. Prosegue ancora il resistente sottolineando che sol con nota del 10 gennaio 2014, il ricorrente ha contestato la nullità del contratto sottoscritto, e che la controparte ha presentato ricorso all’ABF nonostante la disponibilità manifestata, pur nella convinzione della piena legittimità del proprio operato e della validità della polizza, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzarestituire il corrispettivo percepito. Tanto premesso in fatto, il resistente sostiene, in data 11 maggio 2015diritto, che il rifiuto dell’atto fideiussorio da parte dell’ente territoriale beneficiario sia stato determinato da un’erronea ricostruzione dei fatti. Secondo il resistente, l’ente pubblico avrebbe innanzitutto erroneamente ritenuto applicabile la disposizione di cui all’art. 75 del d. lgs. n. 163/2006 (il c.d. Codice dei lavori pubblici) all’iter in corso nei confronti dell’impresa istante, benché rientrante nei procedimenti di tipo autorizzatorio e/o concessorio per evitare che maturassero interessi sulle quote insolutei quali non sono tout court applicabili le regole dell’evidenza pubblica. Ma soprattutto, chiedeva prosegue il resistente, il maggiore equivoco in cui sarebbe caduto l’ente beneficiario della polizza sarebbe collegato all’interpretazione erronea (complice, a suo dire, anche la “moratoria nota non perspicua dell’Autorità di Xxxxxxxxx) delle modifiche alla disciplina degli intermediari finanziari ex artt. 106 e 107 del TUB, con l’istituzione dell’albo unico in luogo dei due distinti elenchi, previsto dal d. lgs. n. 141/2010 ma non ancora realizzato per mancanza della regolamentazione di attuazione. Xxxxxxx, infatti, il resistente di essere tuttora autorizzato, in quanto iscritto sin dall’11 gennaio 2002 nell’elenco generale degli intermediari finanziari, all’esercizio professionale – ai sensi dell’art. 1106 TUB, comma 246vecchio testo – nei confronti del pubblico l’attività di concessione di finanziamenti, legge di stabilità 2015assunzione di partecipazioni e di intermediazione in cambi. In forza del regime transitorio, anche a seguito dell’entrata in vigore della riforma, il resistente potrebbe continuare, quindi, a operare nel settore della concessione di finanziamenti, che include – ai sensi dell’art. 3 del D.M. 17 febbraio 2009, n. 29 – anche il rilascio di garanzie sostitutive del credito, impegni di firma e fideiussioni. Solo qualora tale ultima attività sia svolta in modo esclusivo, prevalente o rilevante, l’intermediario sarebbe tenuto a iscriversi nell’elenco speciale di cui all’art. 107 TUB, vecchio testo, rimanendo così assoggettata ai poteri di vigilanza prudenziale della Banca d’Italia. Se ne deduce, quindi, secondo la prospettazione del resistente, che la garanzia prestata è pienamente valida ed efficace, in quanto proveniente da intermediario iscritto nell’elenco generale e che regolarmente svolgeva l’attività di rilascio di fideiussioni in via non esclusiva, prevalente o rilevante. Contraddittoria sarebbe, pertanto, la nota di Banca d’Italia nella parte in cui si dichiara apertamente la società resistente non abilitata al rilascio di garanzie, essendo a tal fine necessario “essere iscritti nel registro speciale di cui all’art. 11 del D.M. n. 29/2009”. In tal modoDel resto, attraverso prosegue il resistente, da una ricerca condotta sul sito dell’Autorità di Xxxxxxxxx, risulterebbe che nessun intermediario è attualmente censito in tale registro speciale, nemmeno gli intermediari di cui all’art. 107 TUB che, secondo quanto dalla stessa Banca d’Italia confermato, possono senz’altro rilasciare fideiussioni e garanzie. Risulterebbe, quindi, ingiustamente penalizzante impedire l’accesso alla sospensione al settore a una società avente le caratteristiche di legge, come la resistente, solo in ragione del piano mancato censimento in un registro che di ammortamentofatto non ha iscritti. A valle della presentazione delle controdeduzioni da parte dell’intermediario, il ricorrente avrebbe potuto tentare ha trasmesso una nota di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesireplica, con contestuale sospensione del piano di ammortamentocui precisa, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia sia (i) che la misura bozza di fideiussione non è stata sottoposta all’ente prima della sospensione sottoscrizione e del piano pagamento del corrispettivo, essendo preclusa una negoziazione preventiva con l’ente pubblico nell’ambito di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltreun procedimento amministrativo, dato sia (ii) che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto non sarebbe vero che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale prima doglianza in proposito è stata quella formulata in sede di reclamo. Sottolinea al riguardo il ricorrente di essersi subito rivolto al broker attraverso cui aveva individuato il resistente come intermediario non appena avuta notizia dell’inidoneità dell’atto fideiussorio (…comunicata dall’amministrazione competente in data 8 settembre 2013)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediarioconferma, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenziainfine, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso società resistente aveva manifestato la propria disponibilità a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria retrocedere l’importo del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionalipremio, ma anche per “eccesso di delega”sostiene che nonostante numerose sollecitazioni, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI l’impegno non è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:stato soddisfatto.
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Samples: Fideicommissary Agreement
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un legale Il ricorrente chiede l’estromissione dal rapporto di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecariomutuo, stipulato il 13 luglio 2010nel 2003 unitamente alla moglie, per un importo pari sostenendo che in sede di separazione consensuale, omologata dal Tribunale di Cagliari nel 2005, si sarebbe impegnato a 205.200,01 eurocedere alla moglie stessa la sua quota dell’immobile acquistato coi proventi del mutuo, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euromentre quest’ultima si sarebbe accollata la quota parte di mutuo gravante sul ricorrente. Al riguardo, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quantoafferma di essersi recato, a norma dell’artsuo tempo, presso la banca insieme con la moglie per firmare una serie di documenti alla presenza del direttore-pro tempore dell’agenzia «per l’iter di esclusione dal mutuo». 1 del contratto Ma la documentazione sarebbe ora introvabile e comunque la banca non avrebbe dato attuazione a quanto sopra. Pertanto, lamenta di mutuo in oggettoaver subito pregiudizi di vario genere, il mutuo è stato erogato sia per l’acquisto di non poter chiedere un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, prestito a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione perdurare del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015suo nome, con scadenza individuata sia per trovarsi ancora obbligato per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la contratto originario benché non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS)più proprietario dell’abitazione. Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazionii motivi su esposti, il ricorrente chiede “l’estromissione dal rapporto di accogliere mutuo, nonché il presente ricorso risarcimento del danno per non potere accedere ad altro finanziamento e per l’effettoessere rimasto legato a un mutuo per un immobile che non gli appartiene. Nelle sue controdeduzioni, previa disapplicazione dell’artl’intermediario conferma che in data 5/02/2005, il ricorrente e la moglie ottenevano sentenza di separazione avanti al Tribunale di Cagliari e che successivamente, le parti trasmettevano alla banca richiesta di accollo totale del finanziamento in oggetto a favore dell’ex moglie del ricorrente. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:Segnala tuttavia di aver fatto presente al ricorrente, in replica a suoi reclami (del 2006 e del 2014) di non poter procedere a una valutazione della pratica mancando documentazione aggiornata (rispetto a quella del 2005) con particolare riguardo alla conferma, documentata, dell’effettiva volontà della moglie di accollarsi l’intera quota del mutuo. Evidenzia l’inerzia degli interessati protrattasi per molti anni. Pertanto chiede il rigetto del ricorso.
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Samples: Mutual Release Agreement
FATTO. La controversia sottoposta alla cognizione del Collegio concerne il tema del diritto alla restituzione del premio pagato in esecuzione di un contratto di garanzia stipulato con il Confidi in favore di un terzo, contestata per il mancato avveramento della condizione sospensiva dell’accettazione del beneficiario. Con ricorso presentato in data 4 novembre del 12 ottobre 2015 – preceduto da reclamo del 27 marzo 2015, riscontrato dall’intermediario il 14 aprile 2015 – la società ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare con l’assistenza di un mutuo ipotecariodifensore, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrenteesposto che, in data 22 luglio 2015ottobre 2013, inviava stipulava con l’intermediario resistente un contratto di garanzia in favore di una società terza; la beneficiaria tuttavia non accettava la garanzia impedendo l’avveramento della condizione sospensiva, prevista nell’art. 8 delle condizioni generali di garanzia. La ricorrente chiedeva pertanto all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione restituzione del mutuo (premio pagato rimasto privo di giustificazione causale; l’intermediario riscontrava negativamente la richiesta richiamando l’art. 10 delle condizioni contrattuali, esplicitamente approvato ex art. 11341 cod. civ., comma 246che prevedeva la rinuncia a richiedere la restituzione del premio e, l. 190/2014. Con nota nella corrispondenza successiva alla presentazione del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenziareclamo, che la legge condizione sospensiva operava esclusivamente in proprio favore. Insoddisfatta dell’esito del reclamo, la ricorrente si è rivolta all’Arbitro bancario finanziario precisando, quanto alle contestazioni sollevate dall’intermediario, l’assenza di doppia sottoscrizione della clausola avente ad oggetto la rinuncia alla restituzione del premio in quanto l’art. 10 (limitazione della responsabilità e rinuncia a provvedimenti anticipatori) esplicitamente approvato non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale trovava riscontro nel corpo del contratto dove la clausola con corrispondente numerazione era rubricata “comunicazioni e varie”. Ha chiesto, quindi, di ordinare alla resistente di rifonderle la somma di Euro 9.250,00, oltre interessi dal pagamento (detratte eventuali spese amministrative sostenute dalla resistente) “ovvero adotti qualsiasi altra misura, limitandosi ad estenderla anche in via equitativa, ritenuta idonea a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione tutelare la posizione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti[essa ricorrente]”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...)L’intermediario non ha presentato controdeduzioni. Nel corso della riunione del 9 febbraio 2016, fissata per la trattazione del procedimento, il Collegio aveva rilevato che si concreta la violazione questione della validità del principio contratto stipulato da un confidi in assenza di uguaglianza formale e sostanziale autorizzazione (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusionesu cui infra) era stato sottoposto al Collegio di Coordinamento e, quindi, si rappresenta cosìriteneva opportuno attenderne le determinazioni, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato rinviando la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere decisione alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:odierna.
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Samples: Contract of Guarantee
FATTO. Con ricorso presentato del 16 febbraio 2016, la s.r.l. istante ha adito questo Arbitro, chiedendo l’accertamento e la dichiarazione dell’illegittimità della segnalazione a sofferenza del proprio nominativo presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, operata dalla banca resistente, e ciò: (i) sia perché non preceduta da un’analisi della propria complessiva situazione finanziaria; (ii) sia perché intervenuta successivamente all’accollo, da parte di altra società, del mutuo oggetto di segnalazione, in guisa tale che la ricorrente avrebbe dovuto essere segnalata come garante, e non quale debitrice principale. Ha inoltre concluso la ricorrente per il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti in ragione della predetta segnalazione. Questi, nel dettaglio, i fatti riferiti dall’istante: - in data 4 novembre 201512.05.2010 la società ricorrente stipulava con l’intermediario un contratto di mutuo fondiario dell’importo di € 960.000,00, iscrivendo ipoteca su un immobile di sua proprietà; - in data 28.03.2014, tuttavia, l’istante vendeva il predetto immobile ad altra società, e nell’ambito del contratto di compravendita era stabilito, in riferimento al pagamento del prezzo, che l’importo residuo di € 753.718,97 sarebbe stato corrisposto mediante accollo del corrispondente importo in linea capitale, quale residuato dopo il pagamento della rata in scadenza al 31 marzo 2014, del predetto mutuo concesso alla società venditrice dalla resistente e – come detto – garantito dall’ipoteca gravante sull’immobile; - ciò posto, con raccomandata a/r del 14.07.2014 la società acquirente chiedeva all’intermediario di addebitare le rate del mutuo sul proprio conto corrente a mezzo RID, ed in assenza di riscontro da parte della banca, con bonifico del 12.08.2014 la società acquirente provvedeva ad accreditare, sul conto corrente dell’odierna ricorrente ove erano prelevate dall’intermediario le rate di ammortamento, una somma corrispondente all’importo delle rate dei mesi di aprile, maggio, giugno e luglio 2014; - con nota del 05.09.2014 – prosegue l’istante – l’intermediario richiedeva alla società acquirente di prendere contatti con la filiale di incardinamento del rapporto, al fine di valutare la possibilità di accollo del predetto mutuo, salvo però poi comunicare alla ricorrente, assistito da un legale in data 29.12.2014, l’avvenuta decadenza dal beneficio del termine a causa del mancato pagamento di fiduciaquattro rate del mutuo; - la banca chiedeva dunque all’istante il pagamento, espone entro dieci giorni dalla ricezione, dell’intero capitale residuo (di essere titolare importo pari ad € 715.387,10); - stante il mancato pagamento, poi, nel mese di gennaio 2015 l’intermediario segnalava a “sofferenza” la posizione dell’odierna ricorrente presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia: “sofferenza” comprensiva sia del mancato pagamento delle rate di ammortamento del mutuo fondiario, sia di un mutuo ipotecarioulteriore scoperto relativo ad un conto corrente, stipulato il 13 luglio 2010conseguente alla revoca di un’apertura di credito precedentemente concessa; Ciò premesso in fatto, per e chiarito che in relazione al debito derivante dal rapporto di conto corrente, la resistente aveva ottenuto dal Tribunale di Roma un importo pari provvedimento monitorio provvisoriamente esecutivo, tempestivamente opposto dalla ricorrente (con giudizio tuttora pendente), l’istante ha dedotto l’illegittimità della segnalazione a 205.200,01 euro, da rimborsare sofferenza presso la Centrale Rischi: - in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” primo luogo in quanto, a norma dell’art. 1 nell’effettuarla, l’intermediario non avrebbe tenuto conto della “complessiva situazione finanziaria del cliente”, così come previsto dalla Circolare della Banca d’Italia n. 139/1991, sottolineando che al mese di dicembre 2014, risultassero scadute e impagate solo quattro rate del contratto di mutuo (mentre – come detto – l’altro debito era stato puntualmente contestato dinanzi all’A.G.O.); - in oggettosecondo luogo, il mutuo è stato erogato per l’acquisto in virtù del fatto che, a seguito dell’intervenuto accollo del debito derivante dal contratto di un immobile da adibire ad abitazione principalemutuo, l’istante avrebbe dovuto essere iscritta solamente quale garante della società accollante, così come pure affermato dal Collegio di coordinamento ABF, con decisione n. 611 del 31.01.2014. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data Rilevato, infine, di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarieavere subito ingenti danni a seguito dell’illegittima segnalazione dell’intermediario, a causa dell’incremento degli oneri gravanti sui rapporti intrattenuti con il sistema creditizio, nonché della perdita ripercussione sulla propria reputazione ed immagine professionale, ha concluso la ricorrente chiedendo all’Arbitro di ordinare la cancellazione della predetta segnalazione presso la Centrale Rischi, ovvero di ordinarne la correzione, indicando la ricorrente quale mera garante e non quale debitrice principale, nonché per la condanna dell’intermediario al risarcimento di tutti i danni patrimoniali e non patrimoniali, derivanti dalla segnalazione. Nelle proprie controdeduzioni, la banca ha sollevato in via preliminare l’eccezione di irricevibilità del lavoro; ricorso, essendo attualmente pendente tra le parti un controversia dinanzi all’A.G.O. Ciò posto, e passando al merito, l’intermediario ha fornito una versione dei fatti sostanzialmente corrispondente a quella riferita dall’istante, specificando come la ricorrente non avesse formalizzato alcuna richiesta di conseguenza, accollo del finanziamento (tanto che la banca ne era venuta a conoscenza solo in data 11 maggio 201502.07.2014), per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva né avesse preso ulteriori contatti con la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge filiale di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione radicamento del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”rapporto. Più in particolaregenerale – prosegue la banca – non avendo essa mai dichiarato di aderire all’accollo, il ricorrentetanto meno liberando l’accollato, riportando integralmente il menzionato art. 1e dovendosi comunque ritenere la complessiva posizione dell’istante sicuramente tale da rendere legittima la segnalazione a “sofferenza”, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento resistente ha concluso per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa rigetto del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:ricorso.
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Samples: Arbitration Agreement
FATTO. Con ricorso presentato Il CST Messenia ha affidato, mediante procedura selettiva, la concessione relativa alla prestazione dei servizi di e-government per gli enti territoriali che lo compongono. La gara di livello comunitario è stata indetta mediante bando pubblicato sulla G.U.C.E. in data 4 novembre 2015, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, 17.12.2013 ed è stata inseritaaggiudicata al Consorzio Stabile Nexus scarl, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenzaunico partecipante, in data 11 maggio 201519.12.2014. Nel capitolato tecnico era inserita una clausola che obbligava il contraente scelto “a prestare pari servizi e alle medesime condizioni nei confronti di soggetti terzi (pubblici o privati) che ne facciano richiesta”, clausola poi riprodotta nel contratto del 19 dicembre 2014. Successivamente all’acquisizione della concessione da parte di Nexus, diversi Enti locali (stando alle segnalazioni pervenute: Comuni di Piazza Armerina, Avola, Caltagirone, Acate, Modica, Biancavilla, Piedimonte Etneo, Città Metropolitana di Catania) non ricadenti nell’area territoriale rappresentata dal CST Messenia, nonché il Libero Consorzio di Catania, hanno dato corso ad atti deliberativi, con ogni evidenza redatti su un comune schema, in cui si è approvato e recepito un “accordo fra pubbliche amministrazioni per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune” ai sensi dell’art. 1, comma 246, 15 della legge 241/90. Le deliberazioni richiamavano espressamente lo svolgimento della predetta gara e il ruolo di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione concessionario del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesiservizio rivestito da Nexus, con contestuale sospensione del piano l’effetto di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti costituire i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte l’instaurazione di un rapporto contrattuale tra tali Comuni e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoriaConsorzio Nexus, in quanto erogato per l’acquisto applicazione della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni clausola di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, estensione contrattuale inserita nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”capitolato. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015merito alla concessione così congegnata l’esposto della ANACAP ha sollevato le seguenti obiezioni:
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Samples: Concessione Di Servizio
FATTO. Con ricorso presentato il 17 dicembre 2014 il ricorrente ha esposto di avere sottoscritto, il 18 gennaio 2014, con una società specializzata nell’erogazione di corsi di formazione, una proposta commerciale in relazione al “Master in Leadership”, per l’importo complessivo di euro 1.990,00. In data non specificata, il ricorrente sottoscriveva con l’intermediario resistente, sulla base di una convenzione con la predetta società, il contratto di finanziamento a termine, finalizzato all’acquisto del master sopra indicato per l’importo di euro 1.990,00, rimborsabile in quarantotto rate mensili dell’importo di euro 50,00 cadauna. Con lettere raccomandate inviate con avviso di ricevimento in data 7 febbraio 2014, il ricorrente comunicava, contestualmente, alla società erogatrice e all’intermediario resistente, l’intenzione di recedere dai contratti con decorrenza immediata. Con nota in data 4 novembre 2015marzo 2014, l’intermediario resistente contestava la legittimità del recesso specificando che “il d. lgs. n. 141/2010 prevede la facoltà per il consumatore di esercitare il diritto di recesso entro 14 giorni lavorativi”. Con nota in data 8 maggio 2014, il ricorrentericorrente proponeva formale reclamo nei confronti dell’intermediario resistente specificando che il contratto di finanziamento non recava la data di sottoscrizione che assurge, assistito da un legale di fiduciaevidentemente, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, ad elemento contrattuale fondamentale ed imprescindibile per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, poter valutare precisamente l’arco temporale validamente calcolato ai fini fiscali, in quelle che godono dell’effettivo decorso dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art14 giorni utili per esercitare il diritto di recesso. 1 Non avendo ottenuto riscontro alla propria istanza da parte dell’intermediario il ricorrente si è rivolto all’Arbitro chiedendo: di accertare l’intervenuta risoluzione del contratto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto finanziamento e la conseguente estinzione dell’obbligo del ricorrente di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione corrispondere le rate del piano di ammortamento; di dichiarare e riconoscere piena efficacia al recesso contrattuale esercitato dal ricorrente inibendo all’intermediario resistente di reiterare richieste di pagamento; di condannare l’intermediario al pagamento delle spese legali quantificate in euro 200,00. L’intermediario si è difeso precisando che, a seguito della ricezione della nota del cliente in data 7 febbraio 2014, aveva contattato la società convenzionata che aveva escluso la configurabilità in capo al ricorrente del diritto alla risoluzione del contratto di finanziamento, non essendo stato il diritto di recesso esercitato nei termini. In assenza della data sul modulo di finanziamento, l’intermediario ha obiettato di non avere argomenti per opinare diversamente, considerato la società convenzionata era “la sola ad essere fisicamente presente al momento della compilazione dei moduli di richiesta dei finanziamenti”. Quanto al ristoro delle spese legali, l’intermediario ha contestato la domanda del ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare considerato che nel presente procedimento l’assistenza legale non è necessaria. L’intermediario ha rassegnato le proprie difficoltà economiche. A seguito conclusioni chiedendo all’Arbitro di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava rigettare il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoriaricorso, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore infondato in fatto e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:in diritto.
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Samples: Proposal Agreement
FATTO. I fatti sono stati così ricostruiti dalla ricorrente. - In data 27/01/2009, la ricorrente stipulava, mediante scrittura privata e con una banca poi incorporata dall’intermediario convenuto, un contratto di transazione in forza del quale le parti, attraverso reciproche rinunce e concessioni, regolavano il possibile sorgere di contenzioso con riferimento a prodotti derivati swap offerti e collocati dalla banca. - Con ricorso presentato la transazione, la banca si impegnava a concedere credito a particolari condizioni ma disattendeva gli impegni assunti. - In particolare, in data 4 novembre 2015violazione dell’art. 2.3 del contratto, l’intermediario convenuto: - rifiutava la sottoscrizione di nuovi mutui ipotecari (per € 2.463.298,00) nonostante essi fossero contenuti entro il ricorrenteplafond contrattualmente previsto; - concedeva un’apertura di credito non eccedente € 600.000, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo nonostante la misura concordata fosse pari a 205.200,01 euro€ 850.000; - metteva a disposizione solo € 400.000 invece di € 800.000 come concordato per “denaro caldo e anticipi fatture”. - chiedeva la “fattorizzazione” del credito per dar corso all’anticipo fatture. - La ricorrente tentava una definizione bonaria della controversia, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 eurosenza esito positivo. Priva di esito rimaneva anche la domanda di mediazione dinanzi all’Organismo forense di Imperia, oltre alla prima, e di Genova, poi. - Alla luce di quanto sopra e prima rata da 1.177,10 euro. L’operazionedi adire il Tribunale di Genova quale foro convenzionale, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 la ricorrente chiede la risoluzione del contratto di transazione per inadempimento della banca, con consequenziale declaratoria di reviviscenza. - La ricorrente lamenta infine “l’applicazione del tasso sui contratti di mutuo in oggettocorso (possibile usura), il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire relativamente alla quale ha dato corso ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015accertamenti peritali”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa nonché la mancata produzione della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva documentazione integrale riguardante la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”controversia. In tal modosede di controdeduzioni l’intermediario ha preliminarmente sollevato le seguenti eccezioni d’inammissibilità del ricorso: - difetto di competenza dell’ABF posto che la ricorrente “parrebbe richiedere la risoluzione del contratto di transazione ossia una pronuncia avente natura costitutiva e quindi preclusa ad organismi diversi dall’Autorità giudiziaria”; - difetto di competenza per materia e temporale rispetto alla domanda di una pronuncia relativamente alla reviviscenza (che deriverebbe dalla risoluzione della transazione) della fattispecie relativa a prodotti derivati swap; - difetto di competenza rispetto a domande di mero accertamento strumentalmente ed esclusivamente volte all’esercizio di azioni di condanna dell’intermediario per importi superiori a € 100.000,00; - mancanza di preventivo reclamo rispetto alla doglianza circa l’applicazione di tassi d’interesse asseritamente usurari ai contratti di mutuo in essere. Nel merito, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesil’intermediario, con contestuale sospensione del piano riferimento al contenuto della transazione, afferma che nel periodo marzo 2003-febbraio 2007, stipulava con la ricorrente alcuni contratti derivati di ammortamentoswap, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoriavolta in volta estinti anticipatamente, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale fino al contratto “Piano ArcaIRS Range” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, sottoscritto il 14/2/2007 con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:16/2/2017.
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Samples: Contract of Transaction
FATTO. Con ricorso presentato reclamo del 2.1.2011 il ricorrente ha informato l’intermediario di non aver ricevuto la merce, oggetto di finanziamento, entro il termine concordato con la ditta venditrice di mobili (agosto 2010). La finanziaria, con nota del 4.2.2011, ha riscontrato il reclamo, precisando di aver versato “l’importo relativo all’acquisto del bene …al fornitore come richiesto nel contratto ..”, nonché di essere dispensata “da ogni verifica in data 4 novembre 2015relazione alla consegna del bene ….., dal mancato completamento della fornitura/prestazione, … non essendo opponibili [ a sé medesima ]… le eccezioni relative al rapporto di compravendita o di prestazioni di servizi intervenuto tra il cliente e il fornitore, posto che non esiste tra quest’ultimo e [ la finanziaria ] alcun accordo di esclusiva per la concessione del credito”. Nella lettera da ultimo citata, l’intermediario ha anche precisato di aver sollecitato il fornitore ad intervenire nella consegna della cucina comprensiva di elettrodomestici, a seguito della segnalazione del proprio ricorrente. Con ulteriore reclamo del 16.2.2011, il ricorrente, assistito da un legale di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010, per un importo pari a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre cliente ha sollecitato alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 propria controparte la risoluzione del contratto di mutuo in oggettofinanziamento, con restituzione di tutte le somme già versate e degli oneri accessori, ai sensi della normativa vigente. Nel presentare il mutuo è stato erogato per l’acquisto ricorso, la parte attrice ha avanzato all’ABF la richiesta di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data annullamento del contratto di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziariefinanziamento, a causa motivo della perdita mancata consegna della suddetta cucina da parte del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015fornitore. Il ricorrente, quindi, ha richiamato e accluso la documentazione già citata, nonché le due lettere di diffida del 16.2.2010 inviate, rispettivamente, sia all’originario fornitore sia a quello subentrato e successivamente fallito. La resistente ha fatto pervenire, per il tramite del Conciliatore, le proprie controdeduzioni in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art3.5.2011. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015In particolare, l’intermediario comunicava ha, preliminarmente, esposto le circostanze di fatto, nei seguenti termini. Innanzitutto, la convenuta ha illustrato come il proprio cliente abbia sottoscritto - nel maggio del 2010, tramite l’originaria ditta fornitrice - un contratto di finanziamento di € 5.200,00, per l'acquisto di una cucina completa di elettrodomestici, da restituire “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta mediante versamento di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinaton. 48 rate mensili da € 108,34= cadauna”. Tuttavia“… Sennonché in data 2.1.2011 il ricorrente chiedeva alla ….[ convenuta ] la revoca del contratto di finanziamento per inadempimento contrattuale della” azienda fornitrice. In merito alle contestazioni sollevate dal ricorrente, la resistente ha richiamato la suddetta lettera di riscontro al reclamo e una missiva indirizzata al fornitore del 4.2.2011, confermando la propria estraneità al contratto di compravendita di mobili. Nel merito, l’intermediario ha affermato che il proprio cliente “non ha diritto a chiedere la risoluzione del contratto di finanziamento …, in forza della normativa vigente alI'epoca della sottoscrizione del contratto di finanziamento …”. Sul punto, la convenuta ha richiamato: ✓ l'art. 42 del D. Lgs. n. 206/2005, del "Codice del Consumo", specificando che “Dal tenore letterale del disposto normativo paiono chiari i limiti posti al consumatore per l'esperimento dell'azione nei confronti del finanziatore. La proposizione dell'azione sussidiaria di responsabilità nei confronti di quest'ultimo è subordinata infatti alla sussistenza di due presupposti: da un lato l'esistenza di un accordo preventivo tra fornitore di beni / servizi … e finanziatore …, con il quale il primo conceda al secondo l'esclusiva per il finanziamento della propria clientela e da altro lato l'inadempimento del fornitore di beni / servizi. In assenza pertanto di tale accordo tra le parti, il ricorrente consumatore, a fronte dell'inadempimento del fornitore di beni / servizi …, non potrà in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta alcun modo far valere le proprie pretese anche nei confronti del soggetto finanziatore. Il contratto di accesso alla sospensione finanziamento rimane, pertanto, del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina tutto estraneo alle vicende del contratto di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie acquisto e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privatoconseguentemente valido ed efficace”. Sul punto l’intermediariol’intermediario ha anche evidenziato di non avere concluso con il fornitore alcun patto di esclusiva per la concessione di credito, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanzama unicamente un rapporto di convenzionamento; ✓ l’art. 13 della convenzione con il predetto fornitore, rileva che esclude il rapporto di esclusiva; ✓ la sentenza n. 1950/07 del Tribunale di Palermo, riguardante “un caso identico a quello per cui è causa, [ che ] ha affermato l'insussistenza di collegamento negoziale tra i contratti di fornitura di beni e di finanziamento….”. In particolare, il “Tribunale di Palermo … ha precisato che: ‘le due fattispecie negoziali che la parte attrice intende considerare come funzionalmente collegate ed interdipendenti (ossia contratto di acquisto del servizio e contratto di finanziamento), devono in realtà … ritenersi tra loro concepite in modo autonomo: sia la legge, infatti, che le parti escludono che possano essere opposte [ alla finanziaria ] le eccezioni relative al rapporto di compravendita o di prestazione di servizi intervenuto tra il cliente e il convenzionato, in assenza di accordo di esclusiva con il convenzionato. Quanto sopra è espressamente previsto al punto 3) delle condizioni generali di contratto multi conto, disposizione, questa, che non può ritenersi vessatoria ex art. 1469 bis cc in quanto, da un lato, preclude solo la possibilità di opporre eccezioni relative all'inadempimento non di controparte, bensì di un soggetto terzo; dall'altro, la disposizione in parola, riproducendo in sostanza il contenuto di una norma di legge (D. Lgs. n. 385/93 art. 125 e D.Lgs. n. 206/05 art.42), non può qualificarsi vessatoria ai sensi dell'art. 1469 bis, 3° comma, cc’". ✓ un altro caso analogo, ove il Tribunale di Viareggio, il 13.12.2005, ha affermato che: "l'attrice ha infatti stipulato due diversi contratti, fonte ciascuno di distinte obbligazioni, e ✓ la sentenza, più recente, del Tribunale di Foggia che, nel rigettare analoga domanda, dopo aver rilevato l'applicabilità al caso sottoposto a giudizio dell'art. 125 del D. Lgs. n. 385/1993, di seguito sostituito dall'art. 42 del D. Lgs. n. 206/05, ha precisato che "… la convenzione in atti conclusa tra .....[ il fornitore e la finanziaria ] non reca alcuna previsione di esclusiva … nella concessione del credito… al consumo dei clienti della... .[omissis} L'estraneità della [ resistente ] ai rapporti tra venditore ed acquirente è, del 8 che prevedono l'impegno della fornitrice a restituire immediatamente (a semplice richiesta della [ convenuta ] ) l'importo erogato, maggiorato di spese ed interessi, ove il cliente rinunci all'acquisto, eserciti il diritto di recesso, sospenda o cessi il pagamento delle rate del finanziamento a seguito di contestazioni riguardanti la fornitura del bene o in caso di nullità del contratto”sebbene ; ✓ il principio già affermato da Xxxx. 2004 n. 12567, secondo cui "affinché possa configurarsi un collegamento negoziale in senso tecnico, non è sufficiente un nesso occasionale tra i negozi, ma è necessario che il collegamento dipenda dalla genesi stessa del rapporto, dalla circostanza cioè che uno dei due negozi trovi la posizione lavorativa del comune cliente rientra propria causa (e non il semplice motivo) nell'altro, nonché dall'intento specifico e particolare delle parti di coordinare i due negozi, instaurando tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità essi una connessione teleologica, soltanto se la volontà di collegamento si sia obiettivata nel contenuto dei diversi negozi, potendosi ritenere che entrambi o uno di essi, secondo la reale intenzione dei contraenti, siano destinati a subire le ripercussioni delle vicende dell'altro (piccole medie imprese)enunciando, in fattispecie di mutuo utilizzato per corrispondere il prezzo dell'acquisto di un veicolo, il finanziamento per principio di cui in massima, la S. C. ha cassato con rinvio la sentenza del giudice di merito, di accoglimento dell'opposizione del mutuatario che aveva rifiutato il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è pagamento ingiuntogli delle rate di mutuo perché l'autovettura non gli era stata consegnata dal venditore, essendo con ciò venuta meno la ragione del finanziamento. La S. C. ha, in particolare, escluso che la configurabilità di un mutuo di scopo derivasse dal semplice fatto della qualificazione del mutuo in termini di prestito al consumo e della circostanza dell'avvenuto versamento della somma della banca al venditore su delega irrevocabile del mutuatario; e ciò, tanto più in presenza di una clausola contrattuale che espressamente limitava il ruolo della banca all'erogazione del credito e che riconosceva la totale estraneità di essa al rapporto commerciale con il venditore ed a qualsiasi altro rapporto ad essa collegato, sussistente con terzi) (cfr. Cass. 2003 n. 9970)". Va in definitiva affermato che gli attori non possono, nella specie, agire direttamente nei confronti del finanziatore opponendogli le eccezioni relative al distinto contratto di acquisto intercorso con la venditrice, permanendo intatti verso … gli obblighi contrattuali da loro assunti attraverso la firma del contratto di finanziamento … ”privato; ✓ la sentenza del Tribunale di Latina - Sez. Dist. di Gaeta, che “in un caso identico a quello per cui è causa, ha rigettato la tesi del collegamento negoziale proprio sulla base della normativa sopra citata (assenza di esclusiva tra [ la finanziaria ] e fornitore dei beni ex art. 42 del D. Lgs. n. 206/05) e delle condizioni generali del contratto di finanziamento”; ✓ il fatto che, nel caso di specie, “non possono invocarsi i principi elaborati in dottrina ed in giurisprudenza in tema di "mutuo di scopo" in quanto il contratto di finanziamento oggetto del presente giudizio rientra nella fattispecie del credito al consumo”; ✓ la sentenza, già sopra richiamata, del Tribunale di Latina - Sez. Nei casi Dist. Di Gaeta, che “ha poi rigettato l'eccezione di specie è previsto nullità della clausola contrattuale che prevede l'inopponibilità a Fiditalia S.p.a. delle eccezioni relative al contratto di vendita in assenza di esclusiva, escludendo la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendentinatura vessatoria di simile clausola …”; ✓ il recentissimo decreto legislativo n. 141/2010, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”ove “il Legislatore ha abrogato il citato art. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario42 del D. Lgs. n. 206/05, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto prevedeva che il mutuo era finalizzato all’acquisto della consumatore potesse agire nei confronti del finanziatore "... a condizione che vi sia un accordo che attribuisce al finanziatore l'esclusiva per la concessione di credito ai clienti del fornitore ... ", e, per la prima casavolta, ha stabilito che: "Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile ... [omissis] ... " (cfr. Diversamente, la posizione lavorativa art. 125 quinquies del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”D. Lgs. In conclusione, si rappresenta cosìl’intermediario, per nonostante ritenga che il proprio cliente debba “rivolgere le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità proprie pretese solo ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, esclusivamente verso il fornitore dei beni … consapevole del disagio del ricorrente ed al caso solo fine di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite favorire la composizione bonaria dell'insorta vertenza autorizza [ il proprio cliente a ] sospendere … il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casafinanziamento” . La convenuta ha, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatorialtresì, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrenteprecisato che “ provvederà a stornare definitivamente il finanziamento e conseguentemente a restituire le rate sin qui già pagate, quale imprenditore solo ed esclusivamente ad avvenuto accertamento dell'inadempimento del fornitore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso ad avvenuta restituzione da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionalesocietà [ fornitrice ] delle somme a questa erogate”. In relazione alle rispettive argomentazioniDa ultimo, il la convenuta ha affermato che “risulta evidente sia la legittimità [ del proprio ]….operato [ e ] l'infondatezza, seppure parziale, delle domande proposte dal ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effettoche, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015:pertanto, dovranno essere rigettate”.
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Samples: Reclamo
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015un esposto anonimo l’Autorità è stata notiziata dell’esistenza, da circa dieci anni, di Accordi di programma stipulati tra il ricorrenteMinistero dell’Interno e l’Università di Tor Vergata finalizzati «allo sviluppo sperimentale e applicazione di tecnologie innovative nei settori della I.T. inerenti ai Servizi Demografici e per il progetto CIE». In particolare, assistito secondo la segnalazione, l’anomalia più rilevante sarebbe costituita dal trasferimento di consistenti risorse finanziarie (ovvero quelle messe a disposizione dal Ministero per finanziare i progetti sottesi all’accordo) ad una società di diritto privato, denominata Xxxxxx Xxxxx, spin off dell’Università di Tor Vergata, costituita nel 2003 e partecipata anche da un legale ANCITEL Spa, da ATS Srl e UNCEM Servizi Srl, la quale svolgerebbe di fiducia, espone di essere titolare di un mutuo ipotecario, stipulato il 13 luglio 2010fatto, per un conto dell’Università, tutte le attività previste dai citati accordi di programma. Secondo la ricostruzione dei fatti prospettata nell’esposto, la formula dell’accordo di programma ex art. 15 della legge n. 241/90 sarebbe stata utilizzata dal Ministero e dall’Università per aggirare l’applicazione del Codice dei Contratti, ovverosia con l’intento di eludere le gare ad evidenza pubblica, sottraendo al libero mercato una serie di servizi il cui importo pari ammonterebbe a 205.200,01 euro, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euro, oltre alla prima rata da 1.177,10 svariati milioni di euro. L’operazioneLa segnalazione evidenzia ulteriori effetti pregiudizievoli legati ai citati accordi di programma: poiché essi prevedono anche l’implementazione del processo di inizializzazione della carta di identità elettronica (CIE), precisa le iniziative, di fatto, avrebbero consentito all’Università di T.V. (e più precisamente alla Xxxxxx Xxxxx) di entrare in possesso dei dati sensibili di milioni di cittadini, come risultato finale del passaggio dal sistema di emissione della CIE da parte del Dipartimento di Pubblica Sicurezza alla Direzione dei Servizi Demografici presso il ricorrenteMinistero dell’Interno. Sulla base di tali informazioni e della verificata presenza di due interrogazioni parlamentari sulla CIE (v. Atti Camera 3-00330 e 4-04268), nelle quali espressamente sono state chieste spiegazioni al Ministero dell’Interno, a quello dell’Economia e a quello per le Riforme e l’Innovazione nella P.A., tra le altre cose, circa il ruolo della società privata Nestor nell’ambito dello sviluppo e coordinamento dei progetti CIE e CNSD, è stata inseritaavviata l’istruttoria d’ufficio nei confronti del Ministero dell’Interno e dell’Università di T.V., ai fini fiscalichiedendo chiarimenti sulla natura, sul numero e sulla normativa di riferimento degli Accordi di programma; sui rapporti tra detto Ministero e la società Xxxxxx Xxxxx; in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 del contratto ordine alle ragioni per cui non si è ritenuto di mutuo in oggetto, il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire esperire procedura ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziarie, a causa della perdita del lavoro; di conseguenza, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamento, il ricorrente avrebbe potuto tentare di risanare le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi prevista, il cd. “Piano Arca”. In tale piano era prevista la rateazione di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015evidenza pubblica. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttavia, il ricorrente in data 31 agosto 2015 reiterava Ministero dell’Interno ha riscontrato la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, art. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolare, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, evidenzia che la misura della sospensione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltre, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in esponendo quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015segue:
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Samples: Vigilanza Contratti Pubblici
FATTO. Con ricorso presentato in data 4 novembre 2015pervenuto l’1/06/2015, il ricorrentericorrente espone che, assistito da avendo già sottoscritto un legale contratto preliminare di fiducia, espone di essere titolare vendita per l’acquisto di un appartamento, ha incaricato il suo commercialista affinché si adoperasse per ricercare una tipologia di mutuo ipotecarioconveniente per finanziare l’operazione. Il 6.3.2013 ha formulato una richiesta di preventivo tramite il sito xxx.xxxxxxxxxxx.xx, stipulato ottenendo la fissazione di un appuntamento per il 13 luglio 201018.3.2013 presso l’intermediario resistente. L’appuntamento era volto a dare seguito alla concretizzazione delle specifiche condizioni di mutuo dettagliatamente indicategli in sede di accettazione della sua richiesta. Nel corso di tale appuntamento, il responsabile dell’Ufficio Mutui della banca ha prospettato l’apertura di un nuovo rapporto di conto corrente presso l’intermediario resistente come condizione imprescindibile per un importo pari la stipulazione del contratto di mutuo, condizione che non era prevista nelle condizioni di mutuo che erano state allegate alla comunicazione di fissazione dell’appuntamento. A seguito di questo episodio, il ricorrente ha provato più volte a 205.200,01 eurocontattare telefonicamente il direttore della filiale, da rimborsare in 300 rate mensili (a scadenza posticipata) da 915,41 euroal fine di ottenere delucidazioni, oltre ma senza esito. Con lettera raccomandata del 2.4.2013, ritualmente notificata il 5.4.2013, il ricorrente ha richiesto delucidazioni e di addivenire alla prima rata da 1.177,10 euro. L’operazione, precisa il ricorrente, è stata inserita, ai fini fiscali, in quelle che godono dei benefici “prima casa” in quanto, a norma dell’art. 1 sottoscrizione del contratto di mutuo alle condizioni indicate nella modulistica del prodotto offerto in oggettosottoscrizione. Atteso il mancato riscontro da parte della banca, nonché l’urgenza di ottenere il mutuo è stato erogato per l’acquisto di un immobile da adibire ad abitazione principale. I pagamenti mensili “sono stati piuttosto regolari dalla data di stipula sino ai primi mesi del 2015”finanziamento, periodo in cui il ricorrente ha attraversato difficoltà economiche-finanziariereiterato le proprie richieste all’intermediario con raccomandata del 22.4.2013, notificata il 3.5.2013. Data la mancata risposta da parte dell’intermediario anche a causa della perdita fronte di questa ulteriore comunicazione, con nota del lavoro; di conseguenza6.6.2014, in data 11 maggio 2015, per evitare che maturassero interessi sulle quote insolute, chiedeva la “moratoria ai sensi dell’art. 1, comma 246, legge di stabilità 2015”. In tal modo, attraverso l’accesso alla sospensione del piano di ammortamentonotificata a mezzo PEC, il ricorrente avrebbe potuto tentare ha richiesto alla banca, che versa in culpa in contrahendo, di risanare risarcire le proprie difficoltà economiche. A seguito di tale istanza, nelle more di istruttoria così avviata, l’intermediario invitava spese che il ricorrente ad accedere ad una propria misura interna in tali casi previstastesso ha inutilmente sostenuto per la prestazione dell’intermediario finanziario, il cdresasi necessaria per la ricerca di un altro finanziamento, a seguito del fallimento delle trattative con l’intermediario resistente. “Piano Arca”Nessun riscontro da parte dell’intermediario ha fatto seguito a questa comunicazione. In tale piano era prevista la rateazione considerazione del comportamento tenuto dall’istituto di n. 3 di rate in 8 mesi, con contestuale sospensione del piano di ammortamento, permettendo così di mantenere fermi i presupposti di regolare ammortamento del mutuo durante tutta la fase istruttoria, evitando la classificazione del mutuo a morosità. Tale “Piano Arca” è stato perfezionato in data 19 maggio 2015, con scadenza individuata per il 28 dicembre 2015. Il ricorrente, in data 22 luglio 2015, inviava all’intermediario la modulistica per l’accesso alla sospensione del mutuo (ex art. 1, comma 246, l. 190/2014. Con nota del 7 agosto 2015, l’intermediario comunicava “la non procedibilità della richiesta poiché la legge in questione risulta di fatto applicabile ai titolari di rapporto di lavoro subordinato”. Tuttaviacredito, il ricorrente ha stipulato un contratto di mutuo con un altro intermediario a condizioni meno favorevoli rispetto a quelle prospettate in data 31 agosto 2015 reiterava la richiesta di accesso alla sospensione del mutuo, rilevando che la ratio della disciplina di cui alla legge 190/2014, artorigine dalla banca resistente. 1, comma 246, “era finalizzata alle famiglie in difficoltà, senza distinzioni di sorta”. Più in particolareDa ultimo, il ricorrente, riportando integralmente il menzionato art. 1, ricorrente evidenzia che la misura della sospensione quest’ultima ha violato l’art. 1337 c.c. secondo cui “Le parti, nello svolgimento delle trattative e nella formazione del piano di ammortamento è rivolta ad una duplice categoria di soggetti: le famiglie e le imprese. Inoltrecontratto, dato che tale distinzione è riconducibile esclusivamente alla natura del finanziamento erogato, “a nulla rileva che il contraente sia anche titolare di una impresa individuale in quanto al momento dell’erogazione egli agiva nella qualità di soggetto privato”. Sul punto l’intermediario, riscontrando negativamente anche tale ulteriore istanza, rileva che, ”sebbene la posizione lavorativa del comune cliente rientra tra quelle contemplate dalla legge di Stabilità (piccole medie imprese), il finanziamento per il quale il suo assistito richiede ulteriore sospensione è un mutuo ”privato”. Nei casi di specie è previsto che la moratoria venga applicata esclusivamente ai lavoratori dipendenti, circostanza già ampiamente esplicitata dalla Direzione della Filiale di (…)devono comportarsi secondo buona fede”. Il ricorrente contesta il rilievo manifestato dall’intermediario, evidenziando che ha sempre agito nella veste di consumatore e nell’interesse della propria famiglia tanto che il mutuo era finalizzato all’acquisto della prima casa. Diversamente, la posizione lavorativa del ricorrente assume un ruolo fondamentale (solamente) nella dimostrazione delle cause che lo hanno indotto ad avanzare la richiesta moratoria ai sensi del citato comma 246. Inoltre, evidenzia, che la legge non indica alcuna specifica limitazione e/o condizione per l’accesso a tale misura, limitandosi ad estenderla a famiglie e/o imprese, conferendo delega per un successivo accordo per gli ulteriori aspetti. L’accordo tra ABI e le associazione di categoria del 31 marzo 2015, individua all’art. 3 gli eventi che danno diritto all’accesso a tale misura e sul punto il ricorrente rileva che l’art. 3, tutelando esclusivamente “i lavoratori dipendenti a discapito di quelli autonomi”, introdurrebbe una disparità di trattamento, illegittima non solo alla luce dei precetti costituzionali, ma anche per “eccesso di delega”, considerando che l’unica distinzione prevista al comma 246 era quella tra imprese e famiglie, le quali ricomprendono “i lavoratori autonomi al pari di lavoratori dipendenti”. Si sottolinea, di conseguenza, l’illegittimità del diniego all’accesso della misura in esame, laddove esso traesse fondamento nell’art. 3 succitato, disposizione “che andrebbe disapplicata poiché illegittima sotto il profilo dei principi costituzionali, quantomeno per violazione degli artt. 2, 3, 4, 29,35 e 47 della Carta (...). Nel che si concreta la violazione del principio di uguaglianza formale e sostanziale (...). In definitiva l’art. 3 va disapplicato ove erroneamente interpretato”. In conclusione, si rappresenta così, per le ragioni su esposte, un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma qui in rilievo (art. 3 succitato), con conseguente ammissibilità ed applicabilità anche ai lavoratori autonomi, e dunque, al caso di specie. corso di ammortamento per un periodo di n. 8 mesi (dal 22 maggio 2015 al 21 gennaio 2016), tramite il pagamento rateale di modesto importo, avrebbe ripianato la debitoria morosa. Il 21 luglio 2015 il ricorrente richiedeva una sospensione del piano di ammortamento del mutuo in oggetto ritenendo di poter accedere alla misura prevista, ricevendo, però, risposta negativa, risultando mancanti i presupposti per potervi accedere; in data 31 agosto 2015 presentava reclamo, riscontrato con nota del 30 settembre 2015. Il focus della vicenda ruota intorno alla errata interpretazione dell’art. 1, comma 246, della legge n. 190/2014; le categorie individuate da tale normativa sono due, distinte e separate: le famiglie e le imprese piccole e medie; in ossequio a tale disposizione di legge, l’ABI ha stipulato due accordi: uno con le Associazioni di categoria delle imprese in data 1° aprile 2015, a beneficio di queste ultime, ed un altro in data 31 marzo 2015 con le Associazioni dei consumatori a beneficio delle famiglie. Posto che la condizione di accesso alla sospensione dei pagamenti delle rate di finanziamenti concessi a favore delle PMI è legata alla finalità del finanziamento stesso, che deve essere erogato per finanziare i costi a beneficio dell’impresa, il finanziamento in oggetto non può dirsi rientrante in tale categoria, in quanto erogato per l’acquisto della prima abitazione. D’altro canto, le condizioni di accesso alla sospensione delle rate del mutuo erogato per l’acquisto della prima casa, previste all’art. 3 dell’accordo ABI/Associazioni dei Consumatori, non comprendono la fattispecie rappresentata dal ricorrente, quale imprenditore e lavoratore autonomo; tali misure sono infatti rivolte ai lavoratori dipendenti con contratti di lavoro subordinato o parasubordinato che hanno perso l’occupazione o che hanno avuto accesso, o avranno a breve accesso, ai trattamenti statali di sostegno al reddito (CIG o CIGS). Per tali ragioni, l’intermediario ribadisce di aver operato correttamente, nel pieno rispetto della legge vigente, “a nulla valendo la tesi di controparte che vorrebbe fosse disatteso da parte della parte resistente il dettato normativo, asseritamente giudicato incostituzionale”. In relazione alle rispettive argomentazioni, il ricorrente chiede “di accogliere il presente ricorso e per l’effetto, previa disapplicazione dell’art. 3 dell’accordo ABI 31 marzo 2015chiede:
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