DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo La controversia ha ad oggetto il riconoscimento del diritto della parte ricorrente alla restituzione di parte dei costi del finanziamento, a seguito della avvenuta estinzione anticipata di quest’ultimo rispetto al termine convenzionalmente pattuito, dalla quale deriva, come previsto dall’articolo 125-sexies del TUB, il diritto del soggetto finanziato ad ottenere una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”. Preliminarmente occorre tuttavia esaminare l’eccezione preliminare sollevata dall’intermediario resistente in merito all’esistenza di una quietanza liberatoria, preclusiva della proposizione del presente ricorso. Dalla documentazione allegata dalla resistente alle proprie controdeduzioni risulta infatti che il ricorrente ha sottoscritto in data 29 maggio 2020 una “quietanza liberatoria”, nella quale dichiarava espressamente di rinunciare, a fronte delle somme quietanzate, alla corresponsione di ulteriori somme in conseguenza della estinzione anticipata del prestito. Nella decisione n. 8827/2017, il Collegio di Coordinamento si è pronunciato sulla questione concernente il valore liberatorio delle quietanze sottoscritte in occasione dell’estinzione anticipata del finanziamento e, nello statuire che la valutazione deve essere compiuta in concreto - con particolare riferimento al singolo caso - ha concluso nel senso di ritenere necessario che la dichiarazione contenga, da un lato, un preciso riferimento all’oggetto della rinuncia - vale a dire la determinazione quantitativa (ammontare) e causale (titoli delle voci non rimborsate) di ciò cui il cliente rinunciava; dall’altro, che sia espressa in termini non equivoci la volontà del dichiarante di non limitarsi a dare atto del pagamento ricevuto, ma di abdicare, con effetti estintivi, alla pretesa di ricevere le restanti somme da lui corrisposte a titolo di costi e dall’intermediario non restituite. Più recentemente, i Collegi territoriali hanno condiviso che, in generale, le quietanze liberatorie possono essere reputate quali rinunce o transazioni solo se rilasciate contestualmente o in seguito all’estinzione del finanziamento, in quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie solo in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sezquel momento diviene attuale il diritto alle restituzioni degli oneri non maturati. IIITanto premesso, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel con riferimento al caso di specie, evidenzia il Collegio che la sottoscrizione della quietanza da parte della ricorrente è avvenuta il 29 maggio 2020, in anticipo rispetto all’estinzione del finanziamento, attestata dalla liberatoria del 31 maggio 2020. Il ricorso introduttivo In questi casi, è orientamento condiviso dei Collegi ritenere che la quietanza in oggetto non possa avere rilevanza come rinuncia/transazione in quanto sottoscritta antecedentemente al rilascio del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicaconteggio estintivo e quindi prima che l’estinzione sia perfezionata (cfr., nello stesso senso, le decisioni ABF, Collegio di Bologna n. 22101/2019 e Collegio di Napoli, nn. 10555/2020 e 22819/2020). Venendo al merito del ricorso, la consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto stabilito peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, ha affermato fino ad oggi che la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (cc.dd. up front). Si è ugualmente consolidato l’orientamento per il quale ha rilasciato il criterio di calcolo della somma corrispondente alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti “riduzione” dei costi retrocedibili in caso di una società commerciale; estinzione anticipata deve essere individuato nel metodo proporzionale puro, comunemente denominato pro rata temporis. In questo quadro interpretativo si pone quindi il problema di stabilire se inserisce la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la recente decisione 11 settembre 2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e la successiva decisione 11 dicembre 2019 del Collegio di Coordinamento di questo ABF. Con domanda di pronuncia pregiudiziale in base all’articolo 267 TFUE il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e 2del Consiglio del 23 aprile 2008 sui contratti dei consumatori, lettera b), della direttiva 93/13/che ha abrogato la precedente Direttiva 87/102 CEE del Consiglio, ed in particolare di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso egli ha diritto ad una riduzione del 5 aprile 1993costo totale del credito, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti i costi del credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto. La Corte Europea, con i consumatorila già ricordata sentenza 11 settembre 2019, devono (c.d. sentenza LEXITOR), ha fornito risposta a tale quesito affermando che l’articolo 16 della Direttiva deve essere interpretati interpretato nel senso che tale direttiva può “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo ABF, investito della questione dal Collegio di Palermo con ordinanza del 16 settembre 2019 in relazione alle conseguenze della citata sentenza della CGUE sulla rimborsabilità dei costi non continuativi (c.d. up front), accogliendo parzialmente il ricorso, con decisione dell’11 dicembre 2019, ha enunciato il seguente principio di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere applicata a un contratto interpretato nel senso che, in caso di garanzia immobiliare o estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire tutte le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di componenti del costo totale del credito, quando tale persona fisica ha agito compresi i costi up front”. “Il criterio applicabile per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUEriduzione dei costi istantanei, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore in mancanza di una bancadiversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Quanto al criterio di riduzione dei costi, il Collegio di coordinamento afferma in primo luogo la nullità di ogni clausola che, “…sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari…”, in quanto contraria a norma imperativa, nullità rilevabile d’ufficio in base al disposto degli articoli 127 TUB e 1418 c.c., clausola da ritenersi sostituita automaticamente per il disposto dell’articolo 1419, comma 2, c.c. con la norma imperativa che, già al momento della conclusione del contratto, come si deve necessariamente concludere, per la natura dichiarativa della decisione LEXITOR, imponeva la restituzione anche dei costi up front. In secondo luogo, il Collegio di coordinamento, rilevato che, quanto alla riduzione dei costi diversi da quelli recurring, si è in presenza di una lacuna del regolamento contrattuale, osserva che la CGUE non impone al riguardo un criterio di riduzione comune ed unico per tutte le componenti, ma ha affermato che il metodo di calcolo utilizzabile “consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione della durata residua del contratto”, intendendo la “totalità” non “…come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo…”. Le parti, quindi, potranno “…declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre ad un principio di (relativa) proporzionalità…”. Tuttavia, se ciò non accada, spetterà al giudicante, sempre secondo il Collegio di coordinamento, il compito di integrare il regolamento contrattuale incompleto, e, non potendosi procedere a tale fine in via interpretativa, in relazione al contenuto del contratto, né in base ad una disposizione normativa suppletiva, il Collegio afferma che “…non resta che il ricorso alla integrazione “giudiziale” secondo equità (art.1374 c.c.). A questo Arbitro punto il Collegio di coordinamento, premesso che spetterà ai singoli Collegi territoriali la valutazione dei casi concreti, passa alla decisione del merito del ricorso, in relazione al quale “…ritiene peraltro che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.c. curva degli interessi) come desumibile dal piano di ammortamento…”, concludendo che si tratta della soluzione da ritenere “…allo stato la più idonea a contemperare equamente gli interessi delle parti contraenti perché, mentre garantisce il diritto del consumatore a una riduzione proporzionale dei costi istantanei del finanziamento, tiene conto della loro ontologica differenza rispetto ai costi recurring e della diversa natura della controprestazione…”, e che “…essa, inoltre, trova un collegamento puntuale nel richiamo alla portata del diritto all’equa riduzione del costo del credito sancito nell’abrogato art. 8 della Direttiva 87/102, di cui l’art. 16 della Direttiva 2008/48 costituisce una più precisa consacrazione evolutiva…”. Aggiunge, infine, che “…non ricorre invece alcuna ragione per discostarsi dai consolidati orientamenti giurisprudenziali dell’Arbitro bancario per quanto attiene ai costi ricorrenti e agli oneri assicurativi…”. Questo Collegio, nel dare piena attuazione alla decisione del Collegio di Coordinamento, ed ai principi di diritto esposti nel suo dispositivo, ritiene appropriato, nel merito, in base alla sua autonoma valutazione, il criterio di calcolo adottato nel caso concreto dal Collegio di Coordinamento per la quantificazione dei costi up front da restituire, condividendo pienamente, e qui richiamando integralmente, le argomentazioni poste a fondamento di tale scelta, che individua nella previsione pattizia del conteggio degli interessi il referente normativo da utilizzare al fine di calcolare l’importo di tale restituzione in applicazione del principio di integrazione giudiziale secondo equità. Il Collegio ritiene inoltre, sempre quale principio generale di diritto, che analogo criterio debba essere utilizzato anche in relazione ai contratti stipulati antecedentemente alla Direttiva 2008/48/CE relativa al credito ai consumatori, e nel vigore della precedente direttiva 87/102 CEE. A tale riguardo, appare innanzitutto significativo l’espresso riferimento a tale Direttiva contenuto nel paragrafo 28 della sentenza LEXITOR, nel quale la Corte afferma che l’articolo 16 della nuova Direttiva ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di una persona fisica rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di “equa riduzione” quella “più precisa di “riduzione del costo totale del credito” e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare “gli interessi e i costi”, così come rilevato e confermato anche dal Collegio di coordinamento, come già riportato. A ciò si aggiunga che tale conclusione appare pienamente in accordo con l’orientamento espresso dal Collegio di coordinamento e dai Collegi ABF in merito ai principi che regolavano la materia anche prima dell’introduzione dell’articolo 125-sexies del TUB. Facendo applicazione di tali principi, rileva il Collegio come la commissione a favore dell’intermediario finanziario abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni natura mista, distinguendosi nel contratto le attività ricomprese nella quota non ripetibile da quelle ricomprese nella quota ripetibile. Tuttavia, le più recenti posizioni condivise dai Collegi ABF hanno ritenuto che tale commissione sia da intendersi interamente recurring in quanto remunera, tra gli altri, gli oneri per le operazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito acquisizione della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali provvista e che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» il rimborso si debba applicare il criterio pro rata temporis (cfr. le decisioni ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016Bologna nn. 8754/2020 e 29794/2020). Nel caso E ad analoga deve giungersi quanto alle commissioni di speciedistribuzione dalla cui descrizione emerge lo svolgimento di alcune attività di natura recurring (“pubblicità” e “presidio del territorio”) e ai costi per l’invio delle spese periodiche (già rimborsati in conteggio estintivo). In linea con il richiamato orientamento e tenuto conto dei rimborsi già effettuati in sede di estinzione in conformità alle previsioni contrattuali, deve concludersi per l’accoglimento delle richieste della ricorrente nella misura riportata nella seguente tabella: rate complessive 120 rate scadute 48 Importi Natura Rimborsi dovuti Rimborsi già effettuati Residuo rate residue 72 TAN 4,90% Denominazione % rapportata al TAN 38,48% commissioni a favore dell'intermediario finanziario - ripetibili 425,01 € Recurring 255,01 € 163,53 € 91,48 € commissioni a favore dell'intermediario finanziario - non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito ripe 991,69 € Recurring 595,01 € 595,01 € commissioni di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere distribuzione 466,56 € Recurring 279,94 € 279,94 € costo comunicazioni periodiche 22,00 € Recurring 13,20 € 13,20 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € Il Collegio precisa infine che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito trattandosi di ricorso presentato successivamente all’entrata in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. vigore delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare chenuove Disposizioni ABF, ai sensi dell’artdi quanto previsto nella nota (3) di pag. 3325 delle predette Disposizioni, 2° commal’importo finale contenuto nelle pronunce di accoglimento è arrotondato all’unità di euro (per eccesso se la prima cifra dopo la virgola è uguale o superiore a 5; per difetto, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto se la prima cifra dopo la virgola è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “inferiore a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 298105). Per le ragioni già chiaramente esposte All’accoglimento del ricorso nei termini sopra indicati consegue la corresponsione degli interessi legali dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 data del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.xreclamo al saldo., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro Il ricorso è determinata imperniato sulla dedotta illegittimità della compensazione effettuata dalla qualità soggettiva banca sul conto corrente personale del ricorrente, mediante addebito dell’importo di € 1.313,45, a fronte del “pagamento di alcune rate arretrate del finanziamento chirografario intestato all’omonima ditta individuale”. Tale addebito (sul quale vi è contestazione) sarebbe stato effettuato – secondo quanto affermato dall’intermediario in sede di controdeduzioni – a seguito di accordi “informali” intervenuti con il cliente e dallo stesso accettati per “fatti concludenti”. I menzionati rilievi pongono la quale risulta dubbia questione dell’ammissibilità, nel caso di specie, della compensazione tra crediti e debiti relativi “a conti o rapporti diversi” - i cui effetti si sarebbero prodotti in data 26 marzo 2015 - nella misura in cui uno dei rapporti si configura quale conto personale cointestato con la moglie del ricorrente, e le posizioni a credito e a debito estinte si riferiscono, rispettivamente, al predetto conto personale e al mutuo intestato alla ditta. Per il corretto inquadramento della fattispecie, giova premettere che, salvo patto contrario, quando tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorché in monete differenti, i saldi attivi e passivi si compensano reciprocamente (art. 1853 c.c.). In applicazione della regola citata, in linea di principio, la banca può legittimamente estinguere il debito del cliente riveniente da un conto corrente bancario, compensandolo con il credito risultante su altro conto intestato al medesimo correntista. Il ricorso introduttivo carattere legale della compensazione consente inoltre all’intermediario di non dover chiedere l’autorizzazione al cliente prima di procedere all’estinzione del presente giudizio debito, “fermo restando che dell’intervenuta compensazione – contro la cui attuazione non potrà in nessun caso eccepirsi la convenzione di assegno – la banca darà pronta comunicazione scritta al cliente” (art. 11, Circolare ABI, LG/000906 del 25/2/2005, recante “Condizioni generali relative al rapporto banca-cliente”). La giurisprudenza non è stato infatti presentato da una persona fisicatuttavia univoca nel ritenere se il meccanismo estintivo ottenuto con la compensazione legale prevista dall'art. 1853 c.c. possa operare anche quando i rapporti sono entrambi in corso, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; come si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatoreè talora affermato (cfr. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, Cass. n. 3447 del 1986 e 2, lettera bn. 6558 del 1997), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con ovvero sul presupposto che i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza conti siano preventivamente chiusi (Cass. Civ., sez. I, 12 dicembre 20173 maggio 2007, n. 2981010208). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Con il primo motivo di doglianza la ricorrente lamenta la mancata indicazione del TAEG/ISC nel contratto, e quindi l’indeterminatezza del tasso pattuito, con conseguente sostituzione, ex art. 117, comma 7, del TUB, del tasso convenuto con il tasso minimo dei BOT mensili, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto e restituzione delle somme indebitamente corrisposte. Ai sensi delle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale della Banca d’Italia sulla trasparenza delle controversie in materia di operazioni e dei servizi bancari e finanziari applicabili all’epoca della conclusione del contratto de quo (Sezprovvedimento del 29.7.2009) ed in particolare del paragrafo 8 “Indicatore sintetico di costo”, punto 8 “Finanziamenti”, “Il foglio informativo e il documento di sintesi riportano un indicatore sintetico di costo denominato “Tasso Annuo Effettivo Globale” (TAEG) quando riguardano le seguenti categorie di operazioni indicate nell'Allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003: mutui; anticipazioni bancarie; altri finanziamenti; aperture in conto corrente offerte a clienti al dettaglio. IIIIl TAEG è calcolato secondo quanto previsto dalla disciplina in materia di credito per i consumatori (Sezione VII, § 4paragrafo 4.2.4 e Allegato 5B)”. Dalle succitate disposizioni si desume che le norme di trasparenza estendono il metodo di calcolo del TAEG, la composizione dell’organo giudicante previsto per i rapporti di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrentecredito con i consumatori, la quale risulta dubbia solo ad alcuni rapporti di credito instaurati con soggetti che non abbiano, come nel caso di specie, tale natura. Il ricorso introduttivo Si tratta pertanto di verificare se le operazioni di leasing finanziario, qual è quella oggetto della presente controversia, siano comprese nell’ambito della predetta disposizione e nello specifico in una delle categorie di operazioni previste ai fini dell’indicazione dell’ISC con le modalità di calcolo previste per il TAEG nei contratti di credito ai consumatori. Escluse le categorie di finanziamenti specificatamente individuate (mutui e anticipazioni bancarie oltreché aperture in conto corrente) che sono chiaramente estranee alla natura delle operazioni di leasing finanziario, si tratta in sostanza di valutare se la categoria “altri finanziamenti” includa, nella sua formulazione di ordine generale, le operazioni in parola. Come affermato dal Collegio di Milano (dec. 4974/2015) “ la riconducibilità … alla categoria residuale degli “altri finanziamenti” è da negarsi in ragione del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicachiaro enunciato di cui al § 1 della … Sez. II delle Norme di Trasparenza, là dove, nell’individuare l’ambito applicativo della materia, la quale ha rilasciato disposizione elenca i seguenti servizi e operazioni: “depositi; certificati di deposito (secondo quanto previsto dalla sezione I); finanziamenti (mutui; aperture di credito; anticipazioni bancarie; crediti di firma; sconti di portafoglio; leasing finanziario; factoring; altri finanziamenti) che non configurano operazioni di credito ai consumatori ai sensi della sezione VII”. La disposizione distingue con estremo nitore, nell’insieme dei finanziamenti, il leasing finanziario dagli “altri finanziamenti” con ciò precludendo l’ascrivibilità del primo alla banca resistente una fideiussione categoria residuale in parola. Ne consegue che l’estensione della metodologia di calcolo del TAEG all’ISC non investe il contratto di leasing finanziario il cui ISC verrà conteggiato secondo i criteri suoi propri e non già secondo quelli che conducono alla formazione del TAEG in ragione della carenza dell’estensione metodologica per garantire siffatta tipologia di finanziamento. […]”. In sostanza il costo dell’operazione in parola risulta sufficientemente determinato attraverso l’indicazione del “tasso leasing” iniziale, calcolato secondo i debiti criteri di una società commerciale; si pone quindi attualizzazione dei flussi previsti dalle pertinenti disposizioni di vigilanza, e del relativo parametro finanziario di indicizzazione. Quanto alla prima doglianza il problema ricorso è pertanto infondato. Con il secondo motivo di stabilire se doglianza la ricorrente abbia agito in qualità ricorrente, ribadendo quanto già contenuto nel reclamo, lamenta il superamento del “tasso soglia” da parte del tasso di consumatore. A tale propositomora e chiede pertanto, previa dichiarazione di nullità della relativa clausola, la Corte restituzione di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1ogni somma e/o compenso corrisposto a seguito del ritardo nel pagamento delle rate del finanziamento, paragrafo 1, ai sensi dell'art. 644 c.p. e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta)dell’art. Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord1815 c.c., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016)secondo comma. Nel caso di specie, non risulta agli atti il contratto di leasing finanziario fissa il tasso corrispettivo (tasso interno di attualizzazione) al 5,44% (indicizzato all’Euribor a 3 mesi) e il tasso di mora in misura pari all’Euribor a 3 mesi maggiorato di 10 punti percentuali. E’ inoltre prevista, quale ulteriore voce di costo in caso di ritardo nei pagamenti, la corresponsione del procedimento che 15% degli importi insoluti, per il relativo incasso, anche tramite intervento di agenzie esterne specializzate. Secondo la ricorrente abbia agito nell’àmbito il “tasso soglia” vigente nel primo trimestre del 2010 era pari al 9,84%, se si considera come data di una sua eventuale attività professionale ovvero stipula il 19.1.2010; quello vigente nel secondo trimestre del 2010, l’8,325%, se si considera come data di stipula il 13.5.2010: entrambi i livelli del “tasso soglia” sono inferiori al tasso di mora. Ciò detto occorre peraltro rilevare che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale il Collegio di coordinamento ha prestato la fideiussione affrontato in generale il tema dell’usurarietà degli interessi moratori (anche a seguito di alcune pronunce della Corte costituzionale e della Suprema Corte di Cassazione) pervenendo alla conclusione che deve escludersi l’estensione agli interessi di mora della disciplina riguardante l’usura. Nella decisione n. 1875/2014 (cfr. p. 14 e ss. cui si trattafa rinvio), il Collegio ha precisato, in particolare, che: “il punto è comunque risolto dal diritto positivo, posto che l’art. Facendo applicazione 1224 c.c. indica con chiarezza la specifica funzione degli interessi moratori e la loro radicale differenza rispetto agli interessi corrispettivi. Pertanto alla luce dei principî dati positivi e della loro ratio la tesi della equivalenza tra interessi moratori ed interessi corrispettivi emerge come insostenibile”. Da ciò il Collegio ha fatto conseguire la non configurabilità degli interessi di mora come “usurari”, in quanto “non possono essere assoggettati alla disciplina relativa agli interessi usurari elementi di costo del credito che non siano contemplati nel calcolo dei tassi soglia” (cfr. dec. cit., pp. 16 e 18). Quanto sopra espostinon vuol dire, si deve pertanto ritenere checome anche recentemente affermato da questo stesso Xxxxxxxx (cfr. dec. 8392/2015), ai fini che tale conclusione equivalga a sottrarre gli interessi moratori da qualsivoglia vaglio di legittimità, dovendosi avere riguardo, trattandosi nel caso di specie di un contratto stipulato con un soggetto non consumatore, al potere officioso del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità giudice di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare cheridurre, ai sensi dell’art. 331384 c.c., 2° commail tasso convenzionale degli interessi moratori ove manifestamente eccessivo (cfr. sempre Coll. di Coord. Dec. 1875/2014). Nella predetta decisione il Collegio di Xxxxxxxxxxxxx ha affermato che la mancata disponibilità, da parte del Collegio medesimo, di parametri di giudizio sufficienti per pronunciarsi circa l’eccessività degli interessi moratori pattuiti non pregiudica l'esercizio officioso del potere del giudicante, il cui potere di controllo è ad esso attribuito non nell'interesse della legge n. 287 parte, ma nell'interesse dell'ordinamento, per evitare che l'autonomia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti appare meritevole di tutela. Il Collegio di Coordinamento è consapevole che, in caso di ritardato pagamento, la maggiorazione stabilita contrattualmente rispetto agli interessi corrispettivi, secondo quanto rilevato nel 2001 dalla Banca d’Italia, era mediamente pari a 2,1 punti percentuali. Ritiene peraltro che quanto all’epoca rilevato costituisca un dato non sufficiente ai fini della individuazione di un tasso soglia applicabile anche agli interessi moratori che può, invece, fornire indicazioni concorrenti con altre al fine di formare nel giudicante il razionale convincimento della eccessività della misura degli interessi moratori pattuiti. Afferma inoltre il Collegio che “… sia la valutazione di sproporzione sia la misura della susseguente riduzione non può prescindere dal rapporto quantitativo intercorrente tra i tassi corrispettivi e quelli moratori convenzionalmente predefiniti. Infatti benché i due tipi di tassi siano assai diversi tra loro per natura e funzioni, tuttavia entrambi incorporano la stima del 1990 sacrificio che il prestatore accetta di subire per trasferire una somma di denaro dalla propria sfera patrimoniale nella sfera di disponibilità altrui. Ne discende che … la elisione di ogni rapporto di proporzionalità comporta conseguenze inaccettabili perché contraddittorie con la premessa già assunta circa l’applicabilità del disposto dell’art. 1384 c.c. ai tassi moratori e che … la riduzione degli interessi moratori si impone quando la funzione assegnata alla misura pattizia degli interessi moratori sia completamente scollegata dalla stima del sacrificio illecitamente imposto al prestatore di denaro per assumere quella di atterrire il debitore. […]” Alla luce di quanto detto, occorre raffrontare la misura del tasso del leasing, indicizzato all’Euribor a 3 mesi, pari al 5,44% all’atto della stipula del finanziamento, e la misura del tasso di mora (e successive modificazionipari al tasso Euribor a 3 mesi maggiorato di 10 punti percentuali, quale risultante dalla relativa previsione contrattuale che non coincide con quella citata dalla ricorrente nel ricorso, secondo cui la maggiorazione sarebbe di 8 punti percentuali). Non risulta dalla documentazione in atti quando si siano verificati i ritardi dei pagamenti che hanno cagionato, le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni a carico della ricorrente, l’applicazione degli interessi di nullità mora e di risarcimento cui si chiede la restituzione. Da una semplice verifica dell’andamento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti tasso Euribor a tre mesi dall’epoca di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità conclusione del contratto di fideiussione stipulato tra leasing a quella del ricorso può notarsi come nel periodo considerato tale tasso dall’iniziale 0,65 circa abbia raggiunto una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata punta di circa 1,60% nella seconda metà del 2011 per poi discendere considerevolmente attestandosi dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 seconda metà del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento 2012 a un dato reale ma solo una congetturalivello poco superiore allo zero fino a raggiungere livelli negativi. In base alla comparazione dei livelli del tasso corrispettivo e di quello del tasso di mora, che sfugge cui vanno aggiunte le ulteriori componenti di costo a ogni obiettivo accertamentocarico del finanziato in caso di ritardo nei pagamenti e nello specifico il pagamento del 15% degli importi insoluti per il relativo incasso, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contrattoquanto pattuito in caso di ritardati pagamenti risulta manifestamente eccessivo. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 1384 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamentesi ritiene equa la riduzione del tasso di mora ad un saggio pari a quello del tasso leasing dell’operazione de quo aumentato di 2,1 punti percentuali, ossia in considerazione incremento che rappresenta, nella citata rilevazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contrattoBanca d’Italia, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «maggiorazione mediamente applicata ai tassi corrispettivi in caso di nullità ritardo nei pagamenti. Da ciò discende l’obbligo di restituzione alla ricorrente di quanto percepito in eccesso, a tale titolo. Con la terza ed ultima doglianza la ricorrente richiede che, accertati la mancata consegna del contratto in originale ed il mancato adempimento delle comunicazioni di trasparenza, siano assunti i provvedimenti ritenuti più opportuni. Si osserva a riguardo che la documentazione contrattuale, sottoscritta a nome della resistente seppur priva di data in calce, risulta allegata al ricorso. L’esatta data di stipula (19.1.2010 ovvero 13.5.2010 come può alternativamente desumersi dal testo del contratto, il consumatore ) non può essere tenuto è oggetto di contestazione né appare rilevante ai fini della decisione sul ricorso. Quanto all’invio delle comunicazioni periodiche previste dalla normativa in tema di trasparenza non risulta alcuna evidenza fornita a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca riguardo dalla resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto Tuttavia la richiesta di fideiussione un accertamento finalizzato all’assunzione dei “provvedimenti ritenuti più opportuni” appare implicare, se del caso, l’espletamento di un’attività finalizzata all’irrogazione di sanzioni che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:esula dalla competenza dell’Arbitro.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito Il ricorso appare meritevole di accoglimento riguardo alla domanda tesa all’accertamento della “nullità” della clausola determinativa del tasso di interessi, per la sua indeterminatezza, mentre deve essere respinto nella parte riguardante l’illeceità della clausola penale di estinzione anticipata. Quanto alla domanda tendente alla declaratoria di nullità della clausola determinativa della misura degli interessi essa, come detto, appare fondata, sia pure nei limiti che seguono. Nel caso di specie l’intermediario ha strutturato l’operazione secondo uno schema per vero un tempo in uso, e noto come “doppio contratto”, le cui origini risalgono al Testo Unico delle leggi sul credito fondiario del 1905, ove il rapporto tra il soggetto finanziatore ed il soggetto beneficiario del credito si realizzava in due tempi, scanditi dalla stipulazione di due distinti contratti (il preliminare ed il definitivo). Siffatto schema rispondeva, in allora, alle ben definite e rigide regole che presiedevano all’erogazione di siffatta tipologia di finanziamenti, connotata da rilevanti profili di specialità, a partire dalle Disposizioni sui sistemi stesse modalità e forme di risoluzione stragiudiziale delle controversie raccolta della provvista. Esso è stato, tuttavia, nel tempo progressivamente superato, anche a seguito della c.d. despecializzazione di tale comparto, espressamente prevedendosi, invece, come modalità normale di perfezionamento dell’operazione quella caratterizzata dalla conclusione di un unico contratto. Tanto rammentato, alla luce della disciplina oggi dettata dal Testo Unico Bancario e, soprattutto, dalle norme in materia di trasparenza delle operazioni bancarie, non pare dubbio che - se anche si volesse continuare a costruire l’operazione (il che, si ripete, è quanto sembra aver inteso fare il resistente) sulla base di una duplicità di atti di natura negoziale – è in ogni caso già il primo contratto che deve specificarne le condizioni economiche, almeno richiamando parametri puntuali che rendano se non esattamente determinato almeno determinabile il tasso di interessi al cui pagamento è obbligato il soggetto finanziato. Orbene, ciò non può dirsi avvenuto nel caso di specie, dove il contratto prevede in maniera puntuale solo il tasso del periodo di preammortamento – pari al 3,48% - ma non contiene una determinazione del tasso da applicare all’operazione, né contiene un criterio che permetta di considerarlo determinabile, tale requisito non potendo certo considerarsi soddisfatto in presenza di una clausola che rimette alla assoluta discrezionalità dell’intermediario financo la scelta tra tasso fisso e servizi bancari tasso variabile, e finanziari (Sezpoi, con riferimento alla prima delle due alternative, in presenza di una clausola che aggancia il valore del tasso ad un non meglio precisato parametro rappresentato dal costo della raccolta. IIIE tuttavia, § 4)una volta accertata la nullità della clausola per le ragioni sopra indicate, resta da verificare quale sia il tasso che, in ossequio al principio di conservazione del contratto, deve applicarsi all’operazione in essere tra le parti: se l’interesse legale ex art. 1284 c.c., ovvero il tasso nominale minimo dei titoli di stato emessi nei dodici mesi precedenti la composizione dell’organo giudicante conclusione del contratto ai sensi dall’art. 117 TUB, o ancora se esso non possa identificarsi con il tasso comunque contrattualmente previsto, seppure in relazione al periodo di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrentepreammortamento. Xxxxxx, la quale risulta dubbia ritiene il Collegio che tra le tre soluzioni, sia proprio l’ultima indicata a dover trovare applicazione nel caso di specie. Il ricorso introduttivo Induce in tal senso la considerazione che il tasso del presente giudizio 3,48% è pur sempre un tasso di regolazione dell’interesse che la parte ricorrente ha espressamente accettato, sicché esso deve essere applicato al rapporto con preferenza rispetto agli altri criteri di sostituzione, pure astrattamente prospettabili, potendo ritenersi – anche ad instar di quanto stabilito dall’art. 1424 c.c. – che se le parti avessero avuto contezza della nullità della clausola che rinviava a un atto successivo la determinazione dell’interesse, esse avrebbero presumibilmente confermato il tasso già puntualmente indicato per il preammortamento. Non appare, invece, come detto, meritevole di accoglimento la seconda domanda formulata dalla ricorrente, vale a dire quella volta a denunciare la nullità della clausola di estinzione anticipata. In disparte la considerazione che, per com’è stata in concreto prospettata la questione, si può persino ragionevolmente dubitare che la società abbia legittimazione attiva sul punto - se, infatti, come sembra dedursi dal ricorso, quel che si intende far valere è il diritto dei soci della cooperativa a poter estinguere anticipatamente, senza pagamento di alcunché, la quota parte del mutuo ad essi accollata, è evidente che una simile domanda può essere articolata solo dai singoli soci, e non certo dalla società in loro vece – quel che appare dirimente è la considerazione che il mutuo è stato infatti presentato da accordato per una persona fisicafinalità edilizia alla società, e che il finanziamento è tutt’ora intestato all’impresa, sicché la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti presente vicenda non è sussumibile nelle fattispecie rispetto alle quali la previsione di una società commerciale; si pone quindi il problema penale di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coordestinzione anticipata risulta contra legem., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo Prima di esaminare nel merito la controversia sembra opportuno riportare alcuni aspetti essenziali ai fini della decisione. I due contratti aventi ad oggetto il conto corrente numero 1688 e il conto corrente numero 1690 risultano sottoscritti rispettivamente in data 16.12.2011 (cfr. allegato 2 controdeduzioni) e 19.12.2011 (cfr. allegato 1 controdeduzioni). Da quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi si evince dai documenti di risoluzione stragiudiziale sintesi riferiti a ciascun rapporto di conto corrente il tasso creditorio previsto contrattualmente, corrisponde al seguente (cfr. allegato 1 e 2 controdeduzioni): Contemporaneamente alla sottoscrizione del contratto di conto di corrispondenza, ambedue i rapporti sono stati integrati mediante accordi “di modifica delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari condizioni senza effetti novativi” (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio il contratto n. 208/1690 è stato infatti presentato da una persona fisicaintegrato il 19.12.2011, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti mentre il contratto n. 208/1688 è stato integrato il 16.12.2011) in cui sono state convenute le seguenti variazioni ai rispettivi rapporti, “a modifica di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito quelle attualmente in qualità di consumatoreessere” (cfr. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito allegati 1 e 2 controdeduzioni): - c/c numero 208/1690: tasso creditore 4,00% fino al 19.03.2012 - c/c numero 208/1688: tasso creditore 4,50% fino al 15.06.2012 In entrambi gli accordi veniva specificato tra l’altro quanto segue: «Gli articoli 1Da quanto si evince dalla documentazione in atti non risulta che, paragrafo 1a fronte del riconoscimento di tali tassi di interesse particolarmente vantaggiosi, esistesse il vincolo temporale e 2il divieto di effettuare versamenti sugli stessi diversi dal conferimento originario, lettera bcosì come affermato dalla resistente. Sul punto, al contrario, l’intermediario, ha riconosciuto che non è stata raccolta la sottoscrizione dei clienti su un documento avente ad oggetto una “Integrazione al contratto di conto corrente” in cui il correntista avrebbe dovuto dichiarare di prendere atto che l’operatività del conto corrente sarebbe stata limitata tassativamente al versamento/conferimento della somma destinata a deposito, restando esclusa l’operatività di tutte le norme contrattuali con essa incompatibili. È stato prodotto agli atti un modulo prestampato che la Banca utilizzerebbe per i contratti della specie (allegato 9 controdeduzioni). Secondo le evidenze prodotte dall’intermediario, i ricorrenti in data 19.03.2012 (allo scadere dei tre mesi in cui era previsto un tasso di interesse del 4,00% sul conto corrente n. 208/1690) hanno bonificato l’importo riveniente dall’estinzione del rapporto n. 208/1690 sul conto corrente n. 7890, loro intestato, svincolando in pari data la somme versate tramite emissione di assegno di € 1.155.221,00. Ciò chiarito e venendo all’esame del merito della direttiva 93/13/CEE questione, deve anzitutto rilevarsi che non è controverso tra le parti che siano intercorsi i contratti di conto corrente bancario di corrispondenza di cui si discute. Con gli atti contestuali modificativi delle condizioni economiche rispettivamente apportati si sarebbe determinata per la Banca anche una modifica del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono contratto posto in essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a per renderlo un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di conto corrente detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenzialemonopartita”. In base a tale criterioI clienti, è indubbio chetuttavia, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in contestano questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.bricostruzione e sostengono l’inadempimento dell’intermediario agli obblighi contrattuali., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo Sul gravame presentato dal sig. ….. la Commissione, accertata la propria competenza ad esaminare il ricorso, considerata l’assenza nell’ambito territoriale di riferimento del Difensore Civico, sia a livello provinciale sia a livello regionale, osserva quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in segue. Con riferimento alla documentazione già ostesa la Commissione non può che ritenere cessata la materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sezdel contendere per avvenuto accesso. IIICon riferimento, § 4)invece, la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, alla documentazione per la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio il chiesto accesso è stato infatti presentato da una persona fisicanegato la Commissione osserva che il sig. ….. non ha indicato, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A né nell’istanza né nel ricorso medesimo, l’interesse diretto concreto ed attuale sotteso a tale propositorichiesta ostensiva, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento fornito, altresì, alcuna indicazione del nesso di natura funzionale con la suddetta società» (CGUEstrumentalità tra il proprio presunto interesse e i documenti richiesti in ostensione, 19 novembre 2015come prescritto dall’art. 22, C-74/15comma 1, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altrilett. b, sottolineatura aggiunta)legge n. 241 del 1990 . Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare cheTale norma, ai sensi dell’artdel quale il ricorrente ha formulato la sua istanza, richiede che l’interesse all’accesso corrisponda ad una “situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”: sotto tale profilo il ricorso deve, pertanto, ritenersi inammissibile ex art. 3312 comma 7 lett. b del DPR 184/2006. La Commissione ritiene, 2° commapertanto, ritiene che l’amministrazione abbia ben operato nel concedere all’istante l’accesso alla documentazione che, con immediatezza, inerisce alla posizione giuridica vantata e che paia strumentale alla tutela della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni)medesima. Inoltre, le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni completezza di nullità e di risarcimento del dannoanalisi, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni si rileva che la richiesta di cui ai titoli dal I al IV»punti 8, 9 , 27 e 30 non si riferisce a documenti esistenti e formati ma avrebbe richiesto un’attività di rielaborazione che non compete alle amministrazioni adite, essendo il diritto di accesso espressamente limitato, ex art. Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es.22 comma 4 legge 241/’90, nella già citata decisione del Collegio ai documenti materialmente esistenti. Infine la Commissione ricorda che il diritto di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande accesso deve trovare un contemperamento nel principio costituzionale di accertamento buon andamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali inteseamministrazione - portato dall’art. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta97 Cost. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme - e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2pertanto le istanze di accesso formulate non devono, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, tradursi in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:un intralcio alla attività dell’amministrazione adita.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi 1. La vertenza qui in esame si incentra sul problema della rilevanza da conferire alle valutazioni concernenti la previsione contrattuale di risoluzione stragiudiziale delle controversie interessi moratori ai fini dell’applicazione della disciplina in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sezusura. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di La problematica in questione è stata affrontata da questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento con la decisione n. 1875/2014 in relazione all’ipotesi di questo Arbitro ha ulteriormente precisato un’apertura di credito ad utilizzo flessibile concessa ad un imprenditore e, quindi, ad un soggetto rientrante, ai fini della procedura dinanzi all’ABF, tra i “non consumatori”. In questa sede viene affrontata con riferimento, come emerge dalla narrativa che precede, ad una ipotesi di mutuo con piano di ammortamento pluriennale, a tasso fisso e rate costanti, contratto da soggetti qualificabili quali “consumatori”. La diversità delle fattispecie oggetto di contestazione, anche per la differente qualificazione dei ricorrenti, comporta, secondo quanto segue: «Nel caso evidenziato dall’ordinanza di rimessione, la necessità di tenere presenti, in una persona fisica che abbia garantito l’adempimento con gli sviluppi argomentativi e le conclusioni di cui al dianzi citato provvedimento, le peculiarità di quella qui specificamente in esame. Per giungere ad un esito in senso contrario all’accoglimento del ricorso, in considerazione delle obbligazioni di una società commercialedomande specificamente svolte dai ricorrenti, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali potrebbe essere, invero, sufficiente constatare che la legano proposta operazione di “sommatoria” del tasso degli interessi corrispettivi e di quelli moratori – in vista del relativo confronto col “tasso soglia” individuato con riguardo al momento della stipulazione del mutuo e delle conseguenze che se ne intendono trarre sotto il profilo dell’applicazione della sanzione di cui all’art. 1815, co. 2, c.c. – non trova, in realtà, alcun supporto proprio nella giurisprudenza invocata. Pare il caso, in proposito, di evidenziare – al di là di quanto si concluderà più oltre con riguardo alla stessa applicabilità o meno della vigente disciplina in materia di interessi usurari a quelli moratori – come non sembri che in tal senso deponga, in particolare, Cassazione, 9 gennaio 2013, n. 350, pur correntemente addotta a fondamento di doglianze del tipo di quelle qui prospettate. Dalla lettura di tale societàdecisione, quali l’amministrazione in effetti, emerge come la Cassazione abbia inteso semplicemente ribadire che gli interessi moratori devono essere assoggettati al vaglio di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile usurarietà al suo capitale socialepari di quelli corrispettivi, o se abbia agito la relativa verifica risultando poi effettuata assumendo, per scopi confrontare la relativa misura col “tasso soglia”, il tasso convenuto autonomamente considerato (nella specie, quale risultante dalla maggiorazione prevista rispetto al tasso degli interessi corrispettivi, senza alcuna forma di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016cumulo con questi ultimi). Nel caso di specie, dalle pattuizioni richiamate anche dai ricorrenti, emerge con chiarezza che, al momento della conclusione del contratto (a tale momento riferendosi i ricorrenti e non risulta agli atti risultando, del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito resto, mai effettivamente applicati interessi moratori), tanto il tasso degli interessi corrispettivi, quanto quello degli interessi moratori si presentavano di gran lunga inferiori al limite previsto in materia di usura. Ne consegue, quindi, proprio alla luce della prospettiva seguita dalla Cassazione, l’infondatezza delle domande così come formulate nel ricorso, le quali si richiamano, come accennato, all’effetto usurario della “sommatoria”, in quanto tale, dei due tassi, senza alcun ulteriore riferimento, cioè, alla questione di una sua diversa eventuale attività professionale ovvero che sia legata incidenza, in ordine alle valutazioni da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, operare ai fini della disciplina concernente l’usura, delle peculiarità del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad esdedotto rapporto contrattuale., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La domanda di risoluzione stragiudiziale delle controversie nullità non può essere accolta, giacché riposa sul disconoscimento della sottoscrizione, profilo estraneo alle possibilità istruttorie dell’arbitro bancario. Da accogliere invece la domanda di risoluzione. Giova ricordare come ricorra qui la figura del c.d. “mutuo di scopo”, ossia un mutuo concesso esclusivamente per la finalità dedotta in materia contratto, ovvero l’acquisto di operazioni un determinato bene che viene fornito dal venditore convenzionato con il finanziatore. L’operazione negoziale trilaterale prevede che l’ammontare del finanziamento sia versato direttamente al fornitore, che si impegna a consegnare il bene oggetto della fornitura, mentre il mutuatario-acquirente si obbliga alla restituzione rateale della somma oggetto del finanziamento. È dato ormai pacifico, sia in dottrina sia in giurisprudenza, che sussista un collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e servizi bancari il contratto di vendita del bene al mutuatario, con la conseguenza che i due distinti contratti (mutuo e finanziari (Sez. III, § 4compravendita), pur mantenendo la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrenteloro autonomia causale, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio appaiono coordinati al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a realizzare un contratto di creditorisultato economico unitario. Ora, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento può dubitarsi che la ricorrente abbia agito nell’àmbito ricorra il collegamento negoziale tra il contratto di una sua eventuale attività professionale ovvero fornitura di servizi ed il contratto di finanziamento, essendo pacifico che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto il secondo è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio proposto dal fornitore di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento servizi ed accettato dalla ricorrente in occasione della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità stipulazione del contratto di fideiussione stipulato fornitura. Né può avere particolare rilievo che il rapporto tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa il fornitore e un suo clienteil finanziatore fosse o meno “esclusivo”, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel meritoin quanto, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui come già si è già dettoavuto modo di rilevare in altre occasioni, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi “il rapporto di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme esclusiva” tra fornitore e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto considerato un presupposto la cui mancanza determinerebbe una modifica in peius della posizione del consumatore, come la Sentenza della Corte di giustizia CE n. 509 del 2009 ha chiarito. Viene in precipuo rilievo l’art. 125-quinquies (inadempimento del fornitore) del TUB, introdotto dal Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 141 – Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, pubblicato sulla G.U. n. 207 del 4.9.2010 ed in vigore dal 19.9.2010, a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà tenore del quale “nei contratti di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto ocredito collegati, in mancanzacaso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in trentasei mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile. La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate mensili»già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. Inoltre, la parte La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207)fornitore stesso […]”. Nel nostro caso di specie, l’inidoneità del bene appare discendere dalle dichiarazioni dello stesso xxxxxxxxx, che aveva reso la propria disponibilità alla sostituzione del bene. Deve qui valutarsi la “non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse” della parte non inadempiente cui fa espresso riferimento l’art. 1455 cod. civ. È noto che l’orientamento prevalente della giurisprudenza insegna che tale valutazione debba essere operata applicando contestualmente sia un parametro soggettivo sia un parametro oggettivo; infatti, come ancora piuttosto recentemente è stato sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità: “in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, lo scioglimento dell’accordo contrattuale, quando non opera di diritto, consegue ad una pronuncia costitutiva che presuppone da parte del giudicante la valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte; tale valutazione viene operata alla stregua di un duplice criterio: in primo luogo, il giudice, applicando un parametro oggettivo, deve verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la sua entità e, in concreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da creare uno squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; nell’applicare il criterio soggettivo, invece, il giudicante deve considerare il comportamento di entrambe le parti (un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra) che può, in relazione alla particolarità del caso, attenuare il giudizio di gravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata” (così, testualmente, Xxxx., 18-02-2008, n. 3954). Ebbene, nel caso di specie non può revocarsi in dubbio che l’inadempimento incida significativamente sul sinallagma. Ciò comporta che l’inadempimento del fornitore, integrando gli estremi della non scarsa importanza contemplati dall’art. 1455 cod. civ., determina in capo al ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal diritto alla risoluzione del contratto di fideiussione che la ricorrente afferma credito ed il conseguente obbligo del finanziatore alla restituzione delle rate già pagate, nonché di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:ogni altro onere eventualmente applicato.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi Oggetto della controversia in esame è l’accertamento di risoluzione stragiudiziale un’eventuale responsabilità precontrattuale dell’intermediario convenuto consistente nella ritardata comunicazione del rifiuto di erogazione di un mutuo ipotecario motivata con l’assenza di adeguato merito creditizio dell’istante: il quale, tuttavia, non pare contestare il principio generale (invocato dalla resistente sulla base del costante orientamento di quest’Arbitro ed ancor prima della Suprema Corte di Cassazione) secondo cui l’intermediario ha una piena autonomia decisionale nella valutazione del merito creditizio del proprio cliente e nella conseguente determinazione circa l’erogazione o il diniego di credito: il che, come è noto, rappresenta non soltanto un diritto del finanziatore, ma un suo preciso dovere allorché il rifiuto di una richiesta di erogazione di credito sia giustificato dal generale obbligo di sana e prudente gestione al quale l’intermediario è astretto dall’art. 5 Tub. La contestazione del ricorrente verte qui, piuttosto, sulla conformità della condotta tenuta della banca circa il tempo intercorso fra la richiesta del ricorrente e la risposta (negativa) fornita dalla banca stessa al quadro normativo in tema di verifica del merito creditizio dell’intermediario. Dalla documentazione in atti si evincono, in particolare, le seguenti circostanze, incontestate tra le parti: a) la richiesta di finanziamento è stata formalizzata il 6.6.2019 (nel relativo modulo di richiesta del mutuo ipotecario il cliente dichiarava di essere consumatore; tuttavia, nello stesso modulo si legge “finanziamento non rientrante nel credito immobiliare ai consumatori”); b) il ricorrente stesso ammette che, alla fine del mese di luglio 2019, veniva informalmente messo al corrente, tramite comunicazione telefonica, dalla Direzione dell’Agenzia, dell’esito negativo della pratica di mutuo, anche se poi la richiesta è stata formalmente respinta dalla banca soltanto con la comunicazione del 6.9.2019; c) tale comunicazione di xxxxxxx sarebbe stata trasmessa al cliente in data 4.10.2019 (cfr. ricorso e controdeduzioni) ed in quest’occasione la banca ha illustrato al cliente le motivazioni del diniego; d) a seguito delle controversie contestazioni del cliente, l’intermediario ha rimborsato alla controparte le spese di xxxxxxx, con assegno del 13.12.2019. Viene dunque in considerazione il disposto dell’art. 120-undecies, Tub (“Verifica del merito creditizio”) che, in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari credito immobiliare ai consumatori, prescrive (Sezal comma 1°) che “prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore svolge una valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore (…)”, per poi imporre all’intermediario che, “quando la domanda di credito è respinta, il finanziatore informa il consumatore senza indugio del rifiuto e, se del caso, del fatto che la decisione è basata sul trattamento automatico di dati”. IIIEbbene, § 4)se – come a questo Collegio pare corretto – si interpreta la norma appena trascritta nel senso che il momento iniziale rispetto al quale valutare l’assenza di “indugio” sia quello in cui la banca, all’esito di una verifica del merito creditizio del cliente condotta in tempi ragionevoli, abbia maturato la composizione dell’organo giudicante sua eventuale decisione di questo Arbitro rigettare la richiesta; nel caso di specie non pare effettivamente sussistere una responsabilità precontrattuale della convenuta, in quanto è determinata dalla qualità soggettiva lo stesso ricorrente ad ammettere che quest’ultima, sia pure informalmente, gli abbia comunicato a fine luglio la determinazione di rifiuto di erogazione del ricorrentecredito assunta il 17.7.2019 all’esito dell’acquisizione documentale necessaria ai fini della verifica della solvenza del cliente che, la quale risulta dubbia nel caso di specie, è piuttosto articolata trattandosi di credito immobiliare garantito da beni in comproprietà. Il ricorso introduttivo Pare d’altro canto credibile la prospettazione della convenuta secondo cui il ritardo nella comunicazione formale sia imputabile a richieste di nuove verifiche rese necessarie dai tentativi del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicacliente di rimodulazione dell’istanza di finanziamento, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di creditorenderla effettivamente sostenibile. Del resto, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale pur volendo assumere come illegittima la condotta dell’intermediario, la domanda del risarcimento del danno (patrimoniale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con patrimoniale) per responsabilità precontrattuale formulata dall’istante non sarebbe comunque accoglibile, in quanto difettano, nella specie, gli ulteriori coelementi costitutivi della fattispecie risarcitoria invocata: la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru sussistenza del danno lamentato e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta)la sua diretta dipendenza causale dalla condotta imputata all’asserito danneggiante. Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancaPiù esattamente, il Collegio risarcimento del danno conseguente al comportamento scorretto dell’intermediario presuppone la prova del pregiudizio patito dal cliente a seguito, ad esempio, di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialeatti impegnativi del proprio patrimonio compiuti nel ragionevole affidamento dell’ottenimento del credito. Ciò è tanto vero che, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano nei precedenti esaminati dall’Arbitro, il danno è stato liquidato nei soli casi in cui il ricorrente è riuscito a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» provarlo documentalmente ed a ricondurlo causalmente all’affidamento deluso (ABF, Collegio di coordcfr., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di MilanoABF Napoli, n. 16588 del 4 luglio 20191529/2013; ABF Roma, nn. 1836/2012 e 3160/2013), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui Con riferimento alla prima domanda del ricorrente, avente ad oggetto la cancellazione delle segnalazioni a “sofferenza”, il Collegio osserva innanzitutto che la situazione di segnalazione presso la CR della Banca d’Italia è ampiamente giustificata dalla circostanza che la stessa è avvenuta quando il numero di rate scadute e non pagate era oramai pari addirittura a 21 rate, con conseguente ampia plausibilità della valutazione circa la stabile e consolidata incapacità dei debitori di onorare i propri debiti (vedi Coll. Coordinamento, decisione n. 611/2014); mentre non v’è prova in atti della segnalazione presso i SIC e in particolare della tipologia di iscrizione effettuata presso i sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie natura “privata”. Com’è noto, inoltre, il preavviso ha finalità meramente informative e la sua omissione o tardività non è in materia grado di operazioni determinare l’illegittimità della segnalazione qualora sia comprovato il necessario presupposto sostanziale, potendo la violazione dell’obbligo informativo rilevare, tutt’al più, sul piano risarcitorio (cfr., ABF – Roma, decisione n. 1452/2013). Appare, inoltre, evidente che le ragioni (peraltro non dimostrate) che avrebbero originariamente indotto il ricorrente ad assumere la veste di cointestatario del mutuo sono del tutto irrilevanti rispetto alla sua corretta qualificazione come condebitore in solido, e servizi bancari pertanto inevitabilmente destinatario della segnalazione, al pari dell’altro cointestatario. Quanto al presunto accollo intervenuto il 4 aprile 2014 tra i due condebitori, deve osservarsi che l’accordo transattivo in atti risulta inidoneo a dimostrare l’esistenza di un vero e finanziari (proprio accordo liberatorio anche solo inter partes, quanto meno per il fatto che lo stesso ricorrente cita l’esistenza di un ulteriore accordo tra i condebitori, che non viene prodotto, con conseguente grave lacunosità del quadro probatorio allegato dalla ricorrente. Inoltre, non è contestato che a far data dal 14 febbraio 2017 la segnalazione è stata interrotta, a seguito di un successivo accordo intervenuto tra la Banca e il contestatario, che ebbe a trasferire su altra posizione di sua esclusiva pertinenza il debito residuo relativo al mutuo. Pertanto, il Collegio ritiene che la Banca abbia rispettato le previsioni di cui alla Circolare della Banca d’Italia, n. 139/1991, Cap. II, Sez. III1, § 4par. 3, secondo cui “La segnalazione in sofferenza di una cointestazione presuppone che tutti i cointestatari versino in stato di insolvenza”, e gli orientamenti dell’AFB (Coll. Coord., n. 611/2014), la composizione dell’organo giudicante secondo cui “costituisce orientamento costante di questo Arbitro Bancario e Finanziario quello secondo il quale, ai fini della segnalazione a sofferenza, l’intermediario è determinata dalla qualità soggettiva tenuto ad operare una valutazione complessiva dell’esposizione debitoria del ricorrentecliente, finalizzata a verificare se quest’ultima possa considerarsi alla stregua di una stabile e consolidata incapacità di costui di onorare i propri debiti”. In ogni caso, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio richiesta cautelare è stato infatti presentato da una persona fisicainammissibile, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» essendo pacifico (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord.vedi ABF Roma, decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016)2127/15) che l’Arbitro sia sprovvisto di tali poteri. Nel caso Quanto alla richiesta risarcitoria, deve effettivamente darsi conto che la lettera datata 6.9.2011, indipendentemente dalla correttezza o meno dell’indirizzo utilizzato dalla banca, non conteneva il preavviso di speciesegnalazione. Purtuttavia, la richiesta risarcitoria va rigettata, indipendentemente dall’eccezione di inammissibilità della banca per novità della questione rispetto al reclamo. Quanto al danno patrimoniale, non risulta agli atti del procedimento infatti provato che gli impedimenti nell’avanzamento in carriera e le difficoltà operative con altri intermediari siano dovute alla contestata segnalazione. Quanto al danno non patrimoniale, risulta determinante l’oggettivo stato di grave inadempimento in cui versava il rapporto, dovendosi applicare sul punto l’orientamento dell’Arbitro (vedi la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di MilanoCoordinamento, n. 16588 del 4 luglio 20193500/2012), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati secondo cui “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta invocata la lesione della reputazione di buon pagatore quando in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta atti non esistono elementi atti a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso convincere che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza il ricorrente sia tale” (Cassconf., sez. I, 12 dicembre 2017ABF Napoli, n. 298103884/14). Per le ragioni già chiaramente esposte Il ricorrente chiede inoltre informazioni rispetto ad altre operazioni creditizie intrattenute dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 Banca con il cointestatario, ma al riguardo risulta evidente il difetto di legittimazione attiva del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congetturaricorrente, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:titolo per chiedere dette notizie.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La domanda proposta dal ricorrente è relativa all’accertamento del proprio diritto alla restituzione di risoluzione stragiudiziale quota parte delle controversie voci commissionali relative a due finanziamenti anticipatamente estinti rispetto ai termini convenzionalmente pattuiti, in materia applicazione del principio di operazioni equa riduzione del costo degli stessi, sancita all’art. 125-sexies t.u.b. Occorre ricordare che la norma testé citata dà attuazione, nell’ordinamento italiano, all’art. 16 direttiva 2008/48/CE del Parlamento europeo e servizi bancari e finanziari del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori (Sez. III, § 4), che abroga la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/1387/102/CEE del Consiglio), del 5 aprile 1993la cui interpretazione è stata recentemente puntualizzata dalla Corte di Giustizia UE, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori11 settembre 2019 – causa C-383/18 (c.d. sentenza Lexitor), devono essere interpretati nel senso che: “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”, per tali intendendosi – al lume della definizione recata dall’art. 3, lett. g, della stessa direttiva – “tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che tale direttiva può essere applicata a un il consumatore deve pagare in relazione al contratto di garanzia immobiliare o credito e di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire cui il creditore è a conoscenza, escluse le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a un servizi accessori connessi con il contratto di credito, quando in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte”. Tale principio di diritto – statuito dalla Corte europea non soltanto sulla base argomenti testuali e sistematici, ma anche in virtù dell’esigenza di scongiurare pratiche elusive del diritto di rimborso anticipato del consumatore (propiziate dalla unilaterale determinazione dei costi e della loro ripartizione da parte degli intermediari) – è evidentemente incompatibile con l’orientamento sinora assunto da questo Arbitro: il quale, alla stregua degli indirizzi della Banca d’Italia rivolti agli intermediari nel 2009, nel 2011 e nel 2016, aveva invece stabilito – com’è noto – che la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring), che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; per converso, questo Xxxxxxx aveva reputato non rimborsabili le voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata del finanziamento (cc.dd. up front). Proprio al cospetto di tale persona fisica incompatibilità dell’interpretazione offerta dalla pronuncia pregiudiziale emessa dalla Corte europea con il pregresso orientamento di questo Arbitro, il Collegio palermitano (ABF Palermo, n. 21686/2019) ha agito rimesso al Collegio di coordinamento la valutazione delle conseguenze della lettura dell’art. 16 direttiva 2008/48/CE avvalorata dalla Corte di Giustizia sulla validità degli attuali orientamenti dell’Arbitro: valutazione resa vieppiù incerta da una recente decisione della giurisprudenza di merito che, proprio con riguardo alla questione qui in esame, è stata incline a negare efficacia diretta alla sentenza pregiudiziale e, di riflesso, a reputarla irrilevante per scopi il diritto interno, poiché interpretativa della sola norma della direttiva, non anche di quella nazionale, ossia dell’art. 125-sexies Tub (così, infatti, Trib. Napoli, 20.11.2019). Non può trascurarsi, d’altro canto, la natura dichiarativa che esulano suole attribuirsi alle sentenze emesse in sede di rinvio pregiudiziale, con conseguente applicabilità anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza, come appunto quello che ci occupa in questa sede. Ebbene, movendo dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (duplice premessa che “le sentenze interpretative della CGUE, 19 novembre 2015per unanime riconoscimento (v., C-74/15ex multis, Dumitru Cass. n.2468/2016; Cass.,5381/2017), hanno natura dichiarativa e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA di conseguenza hanno valore vincolante e altriretroattivo per il Giudice nazionale (non solo per quello del rinvio, sottolineatura aggiuntama anche per tutti quelli dei Paesi membri della Unione, e pertanto anche per gli Arbitri chiamati ad applicare le norme di diritto)” e che sussiste un indiscutibile primato del diritto europeo sul diritto nazionale, sancito dall’art. Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca11 Cost., il Collegio di coordinamento di questo Arbitro Arbitro, n. 26525 del 17 dicembre 2019, ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso ritenuto l’interpretazione avanzata dalla Corte di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel Giustizia “ineludibile anche nel caso di specie, sottoposto com’è sia all’art. 121, comma 1 lettera e) del TUB, che indica la nozione di costo totale del credito in piena aderenza all’art. 3 della Direttiva, sia all’art. 125 sexies TUB che, dal punto di vista letterale, appare a sua volta fedelmente riproduttivo dell’art. 16 par.1 della stessa Direttiva”; con il corollario che l’art. 125-sexies Tub, “integrando la esatta e completa attuazione” dell’art. 16 della Direttiva, “va letto e applicato nel senso indicato dalla CGUE, come se dicesse cioè (anzi, come se avesse detto fin dalla sua origine) che il diritto alla riduzione del costo del credito in caso di anticipata estinzione del finanziamento coinvolge anche i costi up front, al di là di ogni differenza nominalistica o sostanziale, pur esistente, con gli altri costi”. A tale interpretazione, ora condivisa dalla prevalente giurisprudenza di merito (v., ad es., Trib. Torino, 21.3.2020 e 22.9.2020; Trib. Xxxxxx, 0.0.0000, n. 1340, Trib. Milano, 3.11.2020, reperibili presso il sito xxx.xxxxxx.xx), questo Collegio deve evidentemente uniformarsi. La coincidente formulazione delle clausole dei due contratti di finanziamento ne rende possibile una trattazione congiunta. Posto quanto precede, va osservato che, dall’esame della documentazione contrattuale versata in atti dalle parti, la voce di costo di cui alle lett. B (commissioni della mandataria per la gestione (lett. b) del finanziamento) risulta già integralmente rimborsata nei due conteggi estintivi secondo il criterio pro rata temporis, avendo il ricorrente già conseguito a tale titolo: per la cessione del quinto, l’importo di euro 451,98 (eccedente di 0,02 i suoi diritti), tenuto conto dell’estinzione di tale finanziamento in questione in corrispondenza della quarantottesima rata di ammortamento (su centoventi complessive); per la delegazione di pagamento, l’importo di euro 271,36, tenuto conto dell’estinzione di quest’ultimo finanziamento in questione in corrispondenza della cinquantacinquesima rata di ammortamento (su centootto complessive). Sennonché, in applicazione del principio di diritto statuito dalla Corte di Giustizia (e, come si è detto, inevitabilmente recepito dal Collegio di coordinamento di questo Arbitro, n. 26525/2019), devono considerarsi rimborsabili anche le quote parti delle commissioni mandataria per il perfezionamento del contratto, di cui alla lett. a, corrisposte a fronte dello svolgimento di attività istruttorie e preparatorie dei due finanziamenti, nonché delle “provvigioni dovute all’intermediario del credito”, destinate, nel caso di specie, alla remunerazione di un agente in attività finanziaria che, per statuto, non è abilitato ad attività ulteriori rispetto all’offerta fuori sede di prodotti bancari. Come si evince dall’allegato al modulo SECCI, depositato dal resistente, le attività eventualmente espletate dall’intermediario ex 106 Tub (da intendersi come “il soggetto iscritto all’albo professionale ex Art. 106 del TUB, che distribuisce, anche attraverso una propria rete di agenzie e/o mediatori creditizi, i prodotti finanziari delle società intermediarie e può, se munito di procura, sottoscrivere i relativi contratti”) con il pagamento della suddetta commissione non avrebbero potuto estendersi oltre la sottoscrizione del contratto. Onde, vale qui ribadirlo, dalla documentazione in atti non risulta agli atti che il soggetto intervenuto nel collocamento del procedimento contratto possa qualificarsi come mediatore creditizio incaricato dal solo cliente e che, quindi, il suo intervento possa ritenersi esaurito in una fase cronologicamente antecedente alla stessa concessione del finanziamento. Acquisita dunque la rimborsabilità delle suddette voci di costo, va rilevato però che la ricorrente abbia agito nell’àmbito loro natura up-front incide, nel caso in esame, sul criterio di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata calcolo da alcun collegamento funzionale applicare per la loro restituzione. Ed infatti, non può trascurarsi l’ontologica diversità di queste commissioni “istantanee” rispetto agli oneri recurring per i quali la richiamata decisione del Collegio di coordinamento n. 6167/2014 ha ritenuto applicabile il criterio del c.d. pro rata temporis: viene in considerazione, in particolare, l’incompatibilità tecnico-matematica del criterio pro rata temporis “lineare” alle voci di costo corrisposte dal consumatore nella fase preliminare all’ammortamento del credito e perciò, per definizione, prive di qualsiasi legame con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione variabile temporale (il c.d. “fattore-tempo”). Sennonché, non prevedendo il contratto di cui si tratta. Facendo applicazione finanziamento in esame uno specifico criterio di rimborso dei principî sopra esposticosti up-front, si questo Collegio deve pertanto ritenere che, ai fini necessariamente procedere ad un’integrazione “giudiziale” secondo equità del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata regolamento contrattuale sul punto lacunoso (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 331374 c.c.) “per determinare l’effetto imposto dalla rilettura dell’art. 125 sexies TUB, 2° commacon riguardo ai costi up front, della effetto non contemplato dalle parti né regolamentato dalla legge o dagli usi” (in questi termini, Collegio di coordinamento, n. 287 del 1990 (e successive modificazioni26525/2019), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti . Ed il criterio preferibile per «le azioni quantificare la quota di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es.costi up front ripetibile pare, nella già citata decisione del Collegio di Milanospecie, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “analogo a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò quello che le parti avrebbero voluto non è hanno previsto per il riferimento a un dato reale ma solo una congetturaconteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non la riduzione dei costi up front può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimentostato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.d. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabilecurva degli interessi), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti come desumibile dal piano di pattuire ammortamento (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contrattocosì ancora Collegio di coordinamento di questo Arbitro n. 26525/2019). Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale precede che: 1) stante l’estinzione anticipata del finanziamento con cessione del quinto in corrispondenza della ricorrentequarantottesima rata di finanziamento (su centoventi complessive), volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal spettano al ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrenteeuro 294,33, a titolo di responsabilità extracontrattuale quota parte della commissione per il perfezionamento del finanziamento ed euro 125,25, a titolo di quota parte provvigioni intermediario; 2) stante l’estinzione anticipata del finanziamento con delegazione di pagamento in corrispondenza della cinquantacinquesima rata di finanziamento (Cass.su centootto complessive), sezspettano al ricorrente euro 145,75, a titolo di quota parte della commissione per il perfezionamento del finanziamento ed euro 364,37, a titolo di quota parte provvigioni intermediario. un.In considerazione dei motivi che precedono, 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fattoin parziale accoglimento del ricorso, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini Collegio dichiara l’intermediario tenuto a rimborsare al ricorrente a titolo di commissioni non maturate a seguito dell’estinzione anticipata dei due finanziamenti – al netto dei rimborsi già percepiti – l’importo complessivo di euro 929,48, oltre interessi legali dalla data del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:reclamo.
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DIRITTO. Secondo La controversia ha ad oggetto il riconoscimento del diritto della parte ricorrente alla restituzione di parte dei costi del finanziamento, a seguito della avvenuta estinzione anticipata di quest’ultimo rispetto al termine convenzionalmente pattuito, dalla quale deriva, come previsto dall’articolo 125-sexies del TUB, il diritto del soggetto finanziato ad ottenere una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”. La consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, ha affermato fino ad oggi che la concreta applicazione del principio di risoluzione stragiudiziale equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle controversie sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in materia favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di operazioni contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e servizi bancari e finanziari prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (Sezcc.dd. III, § 4up front), la composizione dell’organo giudicante . Si è ugualmente consolidato l’orientamento per il quale il criterio di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel calcolo della somma corrispondente alla “riduzione” dei costi retrocedibili in caso di specieestinzione anticipata deve essere individuato nel metodo proporzionale puro, comunemente denominato pro rata temporis. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, In questo quadro interpretativo si inserisce la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la recente decisione 11 settembre 2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e la successiva decisione 11 dicembre 2019 del Collegio di Coordinamento di questo ABF. Con domanda di pronuncia pregiudiziale in base all’articolo 267 TFUE il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e 2del Consiglio del 23 aprile 2008 sui contratti dei consumatori, lettera b), della direttiva 93/13/che ha abrogato la precedente Direttiva 87/102 CEE del Consiglio, ed in particolare di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso egli ha diritto ad una riduzione del 5 aprile 1993costo totale del credito, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti i costi del credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto. La Corte Europea, con i consumatorila già ricordata sentenza 11 settembre 2019, devono (c.d. sentenza LEXITOR), ha fornito risposta a tale quesito affermando che l’articolo 16 della Direttiva deve essere interpretati interpretato nel senso che tale direttiva può “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo ABF, investito della questione dal Collegio di Palermo con ordinanza del 16 settembre 2019 in relazione alle conseguenze della citata sentenza della CGUE sulla rimborsabilità dei costi non continuativi (c.d. up front), accogliendo parzialmente il ricorso, con decisione dell’11 dicembre 2019, ha enunciato il seguente principio di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere applicata a un contratto interpretato nel senso che, in caso di garanzia immobiliare o estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire tutte le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di componenti del costo totale del credito, quando tale persona fisica ha agito compresi i costi up front”. “Il criterio applicabile per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUEriduzione dei costi istantanei, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore in mancanza di una bancadiversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Quanto al criterio di riduzione dei costi, il Collegio di coordinamento afferma in primo luogo la nullità di questo Arbitro ha ulteriormente precisato ogni clausola che, “…sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari…”, in quanto segue: «Nel caso contraria a norma imperativa, nullità rilevabile d’ufficio in base al disposto degli articoli 127 TUB e 1418 c.c., clausola da ritenersi sostituita automaticamente per il disposto dell’articolo 1419, comma 2, c.c. con la norma imperativa che, già al momento della conclusione del contratto, come si deve necessariamente concludere, per la natura dichiarativa della decisione LEXITOR, imponeva la restituzione anche dei costi up front. In secondo luogo, il Collegio di coordinamento, rilevato che, quanto alla riduzione dei costi diversi da quelli recurring, si è in presenza di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialelacuna del regolamento contrattuale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali osserva che la legano CGUE non impone al riguardo un criterio di riduzione comune ed unico per tutte le componenti, ma ha affermato che il metodo di calcolo utilizzabile “consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione della durata residua del contratto”, intendendo la “totalità” non “…come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo…”. Le parti, quindi, potranno “…declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre ad un principio di (relativa) proporzionalità…”. Tuttavia, se ciò non accada, spetterà al giudicante, sempre secondo il Collegio di coordinamento, il compito di integrare il regolamento contrattuale incompleto, e, non potendosi procedere a tale societàfine in via interpretativa, quali l’amministrazione di quest’ultima o in relazione al contenuto del contratto, né in base ad una partecipazione disposizione normativa suppletiva, il Collegio afferma che “…non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» resta che il ricorso alla integrazione “giudiziale” secondo equità (ABF, art.1374 c.c.). A questo punto il Collegio di coord.coordinamento, premesso che spetterà ai singoli Collegi territoriali la valutazione dei casi concreti, passa alla decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016)del merito del ricorso, in relazione al quale “…ritiene peraltro che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento Ciò significa che la ricorrente abbia agito nell’àmbito riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.c. curva degli interessi) come desumibile dal piano di ammortamento…”, concludendo che si tratta della soluzione da ritenere “…allo stato la più idonea a contemperare equamente gli interessi delle parti contraenti perché, mentre garantisce il diritto del consumatore a una sua eventuale attività professionale ovvero riduzione proporzionale dei costi istantanei del finanziamento, tiene conto della loro ontologica differenza rispetto ai costi recurring e della diversa natura della controprestazione…”, e che sia legata da alcun “…essa, inoltre, trova un collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione puntuale nel richiamo alla portata del diritto all’equa riduzione del costo del credito sancito nell’abrogato art. 8 della Direttiva 87/102, di cui si trattal’art. Facendo applicazione dei principî sopra esposti16 della Direttiva 2008/48 costituisce una più precisa consacrazione evolutiva…”. Aggiunge, si deve pertanto ritenere cheinfine, che “…non ricorre invece alcuna ragione per discostarsi dai consolidati orientamenti giurisprudenziali dell’Arbitro bancario per quanto attiene ai fini del presente giudiziocosti ricorrenti e agli oneri assicurativi…”. Questo Collegio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione nel dare piena attuazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di MilanoCoordinamento, n. 16588 ed ai principi di diritto esposti nel suo dispositivo, ritiene appropriato, nel merito, in base alla sua autonoma valutazione, il criterio di calcolo adottato nel caso concreto dal Collegio di Coordinamento per la quantificazione dei costi up front da restituire, condividendo pienamente, e qui richiamando integralmente, le argomentazioni poste a fondamento di tale scelta, che individua nella previsione pattizia del 4 luglio 2019)conteggio degli interessi il referente normativo da utilizzare al fine di calcolare l’importo di tale restituzione in applicazione del principio di integrazione giudiziale secondo equità. Il Collegio ritiene inoltre, tale disposizione legislativa è applicabile alle domande sempre quale principio generale di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del dannodiritto, ma non alle domande di accertamento della nullità dei che analogo criterio debba essere utilizzato anche in relazione ai contratti stipulati “a valle” di tali inteseantecedentemente alla Direttiva 2008/48/CE relativa al credito ai consumatori, e nel vigore della precedente direttiva 87/102 CEE. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABIA tale riguardo, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato appare innanzitutto significativo l’espresso riferimento a tale intesa e un suo clienteDirettiva contenuto nel paragrafo 28 della sentenza LEXITOR, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere nel quale la Corte afferma che la questione l’articolo 16 della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 nuova Direttiva ha concretizzato il diritto del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini consumatore ad una riduzione del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 costo del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «credito in caso di nullità rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di “equa riduzione” quella “più precisa di “riduzione del contrattocosto totale del credito” e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare “gli interessi e i costi”, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate così come rilevato e ha facoltà confermato anche dal Collegio di pagare quanto dovuto a ratecoordinamento, come già riportato. A ciò si aggiunga che tale conclusione appare pienamente in accordo con l’orientamento espresso dal Collegio di coordinamento e dai Collegi ABF in merito ai principi che regolavano la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili»materia anche prima dell’introduzione dell’articolo 125-sexies del TUB. Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato Venendo al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la domanda di rimborso avanzata dalla ricorrente con riguardo alle spese e agli oneri non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistentematurati risulta riferita alle spese di istruttoria. Per quanto riguarda Secondo questo Collegio, in linea con la posizione condivisa dai restanti Collegi ABF, deve riconoscersi natura up front a tale commissione, riferibile ad attività e servizi destinati ad esaurirsi in una fase precedente la stipulazione del contratto (in senso analogo cfr. Collegio di Bologna, n. 6186/2017). Tale voce di costo deve pertanto essere rimborsata secondo il recesso dal contratto metodo di fideiussione riduzione progressiva in base alla curva degli interessi, analogamente a quello che la le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi (Collegio di Coordinamento, decisione n. 26525/2019). In linea con il richiamato orientamento e tenuto conto dei rimborsi già effettuati in sede di estinzione in conformità alle previsioni contrattuali, deve concludersi per l’accoglimento delle richieste del ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) nella misura riportata nella seguente tabella: Il Collegio precisa infine che, trattandosi di ricorso presentato successivamente all’entrata in virtù vigore delle nuove Disposizioni ABF, ai sensi di quanto statuito nell’artprevisto nella nota (3) di pag. 4 25 delle predette Disposizioni, l’importo finale contenuto nelle pronunce di accoglimento è arrotondato all’unità di euro (per eccesso se la prima cifra dopo la virgola è uguale o superiore a 5; per difetto, se la prima cifra dopo la virgola è inferiore a 5). All’accoglimento del suddetto contratto, ricorso nei termini sopra indicati consegue la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata corresponsione degli interessi legali dalla data del reclamo al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:saldo.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi L’intermediario ha sollevato eccezione di risoluzione stragiudiziale delle controversie improcedibilità del ricorso, non rivestendo più la qualifica di intermediario finanziario. Deve, tuttavia, rilevarsi come l’intermediario sia stato cancellato dall’albo di cui al TUB in materia data 23/10/2017, quindi successivamente alla presentazione del ricorso avvenuta il 24/05/2017. Il Collegio, nel richiamare sul punto la consolidata giurisprudenza dell’Arbitro, secondo cui la legittimazione passiva si radica al momento della proposizione del ricorso (tra le altre, Collegio di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIRoma, § 4decisione n. 12988/2017), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva ritiene che l’eccezione non possa essere accolta. Venendo al merito del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancaricorso, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel richiama il proprio costante orientamento secondo il quale, in caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni estinzione anticipata del prestito contro cessione del quinto della retribuzione: (a) sono, in principio, rimborsabili, per la parte non maturata, le commissioni bancarie (comunque denominate), così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote; (b) in assenza di una società commercialechiara ripartizione, spetta nel contratto, tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione, al Collegio giudicante determinare se fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare è stabilito secondo un criterio proporzionale, ratione temporis, tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è tenuto al rimborso a tale societàfavore del cliente di tutte le suddette voci, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» incluso il premio assicurativo (ABF, v. Collegio di coord.Coordinamento, decisione n. 5368 dell’8 giugno 20166167/2014). Nel caso Dalla disamina delle domande avanzate e alla stregua della documentazione in atti deve senz’altro affermarsi la natura recurring delle commissioni bancaria come delle commissioni di intermediazione; ciò emerge chiaramente dalla descrizione – sia pure sintetica e non già analiticamente dedicata a ciascuna voce commissionale, il che pure invera una opacità della relativa clausola negoziale – dei costi di cui le stesse sono state poste a copertura (tra cui quelli di “acquisizione provvista”), oltre che delle attività di cui dichiaratamente fungono corrispettivo, tra le quali “tutte le prestazioni e le attività preliminari, conclusive e successive indispensabili per il perfezionamento e l’esecuzione del contratto”. Con specifico riguardo, poi, alle commissioni bancarie, non ha pregio l’eccepito difetto di legittimazione passiva dell’intermediario; ciò, stante il chiaro orientamento interpretativo dell’Arbitro che ha al riguardo – ed in senso contrario alla sollevata eccezione - richiamato il principio dell’apparenza allorché, come nella specie, “il conteggio estintivo sia stato In ordine, infine, alla eccepita non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito retrocedibilità degli oneri assicurativi, in forza della previsione contenuta nella legge 212/2012, il Collegio ritiene di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata aderire pienamente all’indirizzo esplicitato, in precedenti in termini, da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione più Collegi territoriali, secondo cui detta disciplina, “pur estendendosi espressamente ai contratti «commercializzati precedentemente alla data di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito entrata in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, vigore della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullitàconversione» (art. 141922, comma 15-septies, D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012) non può trovare vigenza per quei contratti che alla data indicata risultavano già estinti: la data di entrata in vigore della nuova norma è il 19 dicembre 2012 (art. 1° comma, c.c.)comma 3, L. 221/2012) mentre il contratto oggetto di lite è stato estinto il 16 novembre 2011. Com’è stato più in generale chiarito in dottrinaIn linea, dunque, con il richiamato orientamento e tenuto conto delle posizioni condivise dai Collegi territoriali, rilevata altresì la natura recurring degli oneri assicurativi, il riferimento a ciò Collegio ritiene che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità richieste del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve cliente meritino di essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es.parzialmente accolte, secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della venditail prospetto che segue: rate pagate 100 rate residue 20 Importi Metodo pro quota Rimborsi già effettuati Residuo Commissioni bancarie 580,71 96,79 96,79 Commissioni di intermediazione 4.947,90 824,65 33,00 791,65 Rimborso premi assicurativi rischio vita 634,47 105,75 105,75 Rimborso premi assicurativi rischio di impiego 571,15 95,19 95,19 Non accoglibile è, ovvero l’art. 117infine, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrentevolta ad ottenere il ristoro delle spese legali, volta all’accertamento della nullità integrale stante la serialità del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi Rileva anzitutto il Collegio che le domande avanzate dai ricorrenti sono, di risoluzione stragiudiziale delle controversie fatto, riconducibili a una richiesta principale, ossia “concludere l’istruttoria avviata per la concessione del mutuo”, e a un’istanza subordinata – “in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993denegato mutuo” –, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata il ridimensionamento delle rate mensili versate a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto fronte delle prorogate aperture di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi da ricondurre a misura congrua alle condizioni economiche dei proponenti; al contempo, i clienti, sempre in via subordinata, chiedono all’Arbitro di dichiarare compensato, con quanto già pagato a titolo di “interessi elevati [...] ma non dovuti”, il residuo debito derivante dagli affidamenti. Ciò posto, si osserva preliminarmente che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore concessione o il diniego di una bancarichiesta di finanziamento comportano una valutazione discrezionale riservata agli istituti di credito, il Collegio ove una conclusione diversa finirebbe per violare la libertà di coordinamento iniziativa economica degli intermediari creditizi, riconosciuta dall’art. 41 della Costituzione, ossia la scelta di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialeaddivenire o meno alla conclusione dell’accordo (v., spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale societàtra le altre, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale socialeDecisione del 23 marzo 2011, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016590). Nel caso di specie, inoltre, non risulta agli si rinvengono in atti elementi idonei a integrare ipotesi di responsabilità precontrattuali della banca resistente nello svolgimento delle trattative con i clienti. Questa ha, infatti, espressamente chiarito ai ricorrenti – come peraltro dagli stessi affermato in ricorso –, le valutazioni di merito creditizio in base alle quali ha ritenuto di non accogliere la richiesta di mutuo presentata dagli istanti, rispetto alle quali peraltro non si evincono profili di illegittimità. Dai fatti così come ricostruiti dalle parti emerge, al contempo, la sollecitudine con cui l’intermediario ha accolto, al momento del procedimento che rogito, la ricorrente abbia agito nell’àmbito richiesta di apertura temporanea di credito, venendo così incontro alle esigenze di parte attrice di disporre di una sua eventuale attività professionale ovvero transitoria provvista, sufficiente per realizzare i lavori necessari a garantire l’agibilità del fabbricato e sbloccare l’istruttoria di mutuo, nonché a far fronte agli impegni assunti con il venditore. Quanto, poi, alla richiesta di riduzione degli oneri derivanti dall’apertura di credito, ritenuti dai clienti di “misura abnorme e con interessi elevati”, osserva, in primo luogo, il Collegio, come non sia rinvenibile nell’ordinamento – al di fuori di alcune ipotesi eccezionali che sia legata non riguardano tuttavia il caso di specie – un diritto in favore del mutuatario di fruire di rinegoziazioni di finanziamenti bancari. Come più volte precisato da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizioquesto Arbitro, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistentemodifica dei termini del contratto non può, si deve rilevare chepertanto, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, prescindere dal consenso della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es.banca, nella già citata decisione veste di controparte contrattuale (v., tra le altre, Dec. del Collegio di Milano20 aprile 2015, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 298103063). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il Con riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, deve ulteriormente osservarsi che, dalla documentazione disponibile, non si evincono profili di illegittimità nel comportamento dell’istituto quanto alle condizioni economiche pattuite nei contratti di apertura di credito. Come eccepito dalla resistente, peraltro, i clienti, in ricorso, si limitano a formulare “una apodittica petizione circa gli interessi elevati pagati, ma non dovuti”, senza spiegare e tanto meno documentare la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistentepresunta illegittimità di tali interessi. Per In relazione a quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fattoprecede, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) chericorso non può, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contrattopertanto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:accolto.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie Le applicazioni più frequenti degli approdi giurispruden- ziali in materia di operazioni obbligo di segretezza sono state, peral- Nelle gare pubbliche, l’obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell’integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese concorrenti “discende necessaria- mente dalla ratio che sorregge e servizi bancari giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente, in quanto l’integrità dei plichi contenenti le offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della se- gretezza delle offerte e finanziari della par condicio di tutti i con- correnti, assicurando il rispetto dei principi di buon an- damento ed imparzialità, consacrati dall’articolo 97 del- la Costituzione, ai quali deve uniformarsi l’azione am- ministrativa” (Cons. St., Sez. IIIV, § 428 marzo 2012, n. 1862). L’art. 46, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici, nella sua nuova formulazione, prevede esplicitamente il principio di segretezza delle offerte, e adotta l’indirizzo giurisprudenziale più rigoroso secondo cui la composizione dell’organo giudicante sussistenza di questo Arbitro è determinata indici anche solo formali (cd. irregolarità) della vio- lazione di tale principio causa l’esclusione dalla qualità soggettiva del ricorrenteproce- dura della concorrente che ha dato luogo all’irregolari- tà. tro, la quale risulta dubbia nel quelle relative al diverso caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato commistione tra offerta tecnica ed offerta economica, con il corollario della necessaria assenza di conoscenza da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), parte dei com- missari degli elementi della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio seconda al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito momento della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016)valutazione della prima. Nel caso di specie, afferente ad una gara di appalto da aggiudicare con il criterio del maggior ribasso, la stazio- ne appaltante ha tratto la convinzione della violazione dell’obbligo di segretezza da una serie di elementi for- mali che, unitamente a quanto riscontrato nella proce- dura di appalto n. 37, hanno indotto la commissione giudicatrice a ritenere ragionevole l’assunto secondo cui le offerte delle due concorrenti fossero state elaborate di comune accordo. Fermo restando che gli elementi di natura formale sono tutti riconducibili alla collazione e invio delle offerte da parte della stessa società di servizi, non risulta agli atti del procedimento pare a questo Collegio che la modalità di predisposizione delle offerte utilizzata dalla società ricorrente abbia agito nell’àmbito sia di una per sé violativa del principio in discussione. Xxxxxx, l’obbligo generale di segretezza dell’offerta economica ha lo scopo, come visto, di preservare la commissione giudicatrice da con- dizionamenti nella sua eventuale attività professionale ovvero decisione, al fine di garantire la par condicio tra concorrenti e il buon andamento del- l’azione amministrativa. Il fatto che entrambi i raggrup- pamenti abbiano utilizzato la stessa società di servizi (soggetto ad essi estraneo) per la collazione e l’invio dei plichi non attesta di per sé né il pericolo di propalazio- ne delle notizie non divulgabili né un accordo elusivo della trasparenza della procedura da parte delle due con- correnti, in assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia legata da alcun collegamento funzionale con stato violato il principio di segretezza delle offerte”. Tali irregolarità nella procedura di appalto per cui è causa non vi sono state (le buste economiche erano correttamente sigillate e non sono state peraltro aperte) e ciò esclude la viola- zione sia formale che sostanziale del principio di segre- tezza, nei termini ipotizzati dalla stazione appaltante. Ne consegue che la società commerciale per ricorrente è stata illegittima- mente esclusa dalla gara di appalto n. 36, i cui profili valutativi avrebbero dovuto, in ogni caso, restare auto- nomi rispetto alle violazioni constatate in altre proce- dure. Quanto alla violazione del patto d’integrità, esclusa la quale ha prestato la fideiussione lesione dei principi di cui si trattalealtà, trasparenza e correttezza, che afferiscono direttamente a quello di segretezza delle offerte, l’unica disposizione da ritenersi concretamente applicabile al caso di specie è quella relativa alla dichia- rata assenza “di situazioni di controllo o di collegamen- to (formale e/o sostanziale) con altri concorrenti” e alla sussistenza o meno di “accordo” con altri partecipanti alla gara. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si Il Collegio osserva che deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità escludersi il ricorrere nel caso di consumatore; a ciò consegue la composizione specie di questo Collegioun collegamento formale o sostanziale tra le due concorrenti. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità Non vi è collegamento formale poiché gli assetti societari e di risarcimento amministrazione delle so- cietà mandanti e mandatarie dei due raggruppamenti in esame erano del dannotutto diversi, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza non vi è collegamento so- stanziale poiché ne mancano alcuni tra gli indici più si- gnificativi (tra cui, in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già dettovia esemplificativa, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente stesso luo- go di ubicazione delle sedi sociali, l’intreccio di parente- le reciproche o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810l’aver ricevuto l’attestazione SOA dal medesimo organismo). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019Decisiva, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2inoltre, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno circostanza che non siano previsti dalla legge strumenti state aperte le buste economiche; ne consegue che all’amministrazione era ex lege inibito di esprimere valutazioni in ordine ad un eventuale collega- mento sostanziale. Occorre a questo punto verificare se vi siano elementi di fatto tali da far desumere l’esistenza di un previo ac- cordo tra i due raggruppamenti nel coordinare tra di lo- ro le operazioni di gara, e, prima ancora, quale sia il concetto di “accordo” valorizzato dal patto d’integrità. Ritiene il Collegio che per integrare la sua lacuna (“accordo” tra partecipanti ad es.una stessa gara possano essere individuate due diver- se fattispecie, secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della venditauna afferente ad un’intesa volta alla co- mune, ovvero l’art. 117materiale predisposizione dei plichi, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà l’altra con- nessa più direttamente ad una modalità fraudolenta vol- ta ad assicurare ad una delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”due partecipanti il conse- guimento dell’appalto. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contrattoentrambi i casi, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed stazione appaltante è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesseonerata di fornire la prova, consegue tramite rilievi formali e deduzioni logi- che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previstegravi e concordanti, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207)dell’avvenuto accordo. Nel caso di specie, come si è già ampiamente detto, la ricorrente comune predisposizione dei plichi non è desumibile né dall’utilizzo da parte di entrambi i raggruppamenti della stessa agenzia di servizi per la collazione e l’invio dei plichi, né da elementi tratti da diversa e autonoma pro- cedura di appalto, in assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte” nell’ambi- to della procedura in esame, e in presenza di una busta economica integra e correttamente sigillata. Analogamente, non è possibile dedurre dagli elementi valorizzati dalla stazione appaltante un accordo fraudo- lento volto ad assicurare ad una delle due partecipanti il conseguimento dell’appalto. Escluso, infatti, che nella specie fosse emersa un’irrego- larità nella chiusura dei plichi, la verifica della stazione appaltante circa l’accordo fraudolento avrebbe dovuto riguardare il contenuto dell’offerta economica contenu- ta nei plichi medesimi. In altre parole, l’amministrazione, in contraddittorio con le società concorrenti, una volta proceduto all’e- sclusione, avrebbe dovuto verificare, tramite l’esperi- mento di una gara virtuale, e la conseguente apertura delle offerte economiche anche delle due concorrenti escluse, la sussistenza di ulteriori elementi di fatto, tali da suffragare l’ipotesi una combine tra due o più con- correnti. Nel caso di specie si sarebbe, ad esempio, potuta riscon- trare una distribuzione dei ribassi caratterizzata dalla presenza nella gara di valori concentrati soltanto in de- terminati intervalli, con assenza, cioè, di ribassi in am- pie fasce di valori, o la sussistenza di valori troppo vicini o troppo distanti per essere credibili sul piano tecnico- finanziario in rapporto alle commesse da affidare, il tut- to in armonia con il tentativo di porre in essere una c.d. cordata, sintomatica di una concorrenza soltanto fittizia. La stazione appaltante ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti tuttavia ritenuto di dovere procedere all’escussione della banca resistentecauzione senza chiedere chiarimenti alle imprese coinvolte od operare ulteriori approfondimenti sull’accertamento in concreto della sussistenza di un accordo fraudolento, nonostante lo stesso patto d’integrità postulasse come soltanto “possi- bile” l’inflizione di sanzioni a fronte di condotte lesive del corretto andamento della procedura. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione È chiaro al riguardo che la ricorrente afferma discrezionalità consentita al- l’amministrazione dal patto d’integrità non possa essere intesa come arbitrio nell’applicare le sanzioni ma come garanzia procedimentale per le concorrenti di aver esercitato adeguato coinvolgimento in contraddittorio nell’individuazione della sussistenza degli elementi di fatto da porre a partire dal 7 maggio 2018soste- gno della contestazione. La richiesta di escussione della fideiussione risulta dun- que illegittima per un duplice ordine di motivi tra di lo- ro inscindibili, da un lato afferenti alla mancata corretta individuazione della condotta lesiva del patto d’integri- tà, dall’altro discendenti dalla totale assenza di contrad- dittorio e di istruttoria che ha caratterizzato il sub-pro- cedimento di applicazione della sanzione. In altre parole, la banca resistente procedimentalizzazione dell’iter san- zionatorio sarebbe stata nel caso di specie non ha contestato specificamente tale fattouna inu- tile formalità garantistica ma una modalità di azione re- sa necessaria dal fatto che non erano stati acquisiti nel corso della gara elementi tali da poter sostenere né un’irregolarità formale nella chiusura dei plichi né un collegamento sostanziale, anche nei termini sopra enun- ciati di un accordo, tra le due concorrenti. Resta d’altra parte non comprensibile la ragione della mancata applicazione anche analogica alla fattispecie in esame della disciplina di cui all’art. 38, comma 2 del D.lgs. 163/2006, che prescrive che “la stazione appal- tante esclude i concorrenti per i quali accerta che le re- lative offerte sono imputabili ad un unico centro deci- sionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e l’e- ventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica”. Ciò, anche in considerazione della circostanza per cui il “comune accordo” va accertato in concreto, e non sem- plicemente presunto, così come statuito dalla giurispru- denza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel caso, da ritenersi speculare a quello esaminato, della sussistenza di un rapporto di controllo o collegamento tra imprese concorrenti (cfr. Sez. IV, 19 maggio 2009, in C-538/07). In definitiva, dunque, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini ricorso va integralmente accol- to, salva l’inammissibilità della domanda volta ad otte- nere l’annullamento della comunicazione del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù provvedi- mento di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:esclusione all’ANAC.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La domanda svolta dal ricorrente concerne l’accertamento della responsabilità della banca emittente in ordine all’avvenuto pagamento di risoluzione stragiudiziale delle controversie un assegno circolare non trasferibile, nonostante l’originale sia rimasto sempre in materia possesso del richiedente il titolo (come emerge da produzione documentale). Il pagamento del titolo da parte della banca negoziatrice è avvenuto, a seguito della consumazione di operazioni e servizi un truffa, oggetto di denuncia alle Autorità in data 6/7/2015, a seguito della presentazione, successiva ad un annuncio di vendita su un sito internet, di una “fotografia” del titolo inviata dallo stesso ricorrente al presunto venditore dell’ autoveicolo. In sede istruttoria, è stato accertato, a seguito dell’esibizione di copia/fronte retro dell’assegno, la evidente contraffazione del titolo, negoziato in data 1/7/2015 tramite procedura di “check truncation” presso diverso intermediario, peraltro non convenuto nel presente giudizio. Va, innanzi tutto, disatteso l’argomento difensivo della banca resistente, secondo cui trattandosi di titolo negoziato in “check truncation”, resterebbe rilevante la circostanza che l’esame della sua regolarità formale avrebbe dovuto essere condotta dalla banca negoziatrice presso cui la copia del titolo è stata presentata per l’incasso. Come è noto, tale procedura consente alla banca negoziatrice di assegni bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante circolari di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato chiederne il pagamento alla banca resistente una fideiussione trattaria ed emittente, mediante invio di un messaggio elettronico concernente le informazioni necessarie per garantire i debiti la sua estinzione, con la conseguenza che il titolo non viene trasmesso nella sua materialità alla stessa banca trattaria ed emittente (Circolare ABI Serie tecnica n. 33 del 7 ottobre 2010; Circolare ABI Serie tecnica n. 44 del 15 dicembre 2008). E’ evidente che se la predetta procedura resta funzionale, nell’esclusivo interesse delle banche partecipanti all’accordo e al quale resta completamente estraneo il richiedente, alla riduzione dei costi di negoziazione, non può ritenersi esclusa ogni responsabilità dell’emittente che ha pagato il titolo. Del resto, come emerso nel presente procedimento, il titolo in oggetto risulta evidentemente contraffatto, posto che l’originale è rimasto nella disponibilità del ricorrente e che si è proceduto al pagamento a seguito dell’invio di una società commerciale; si pone quindi il problema “fotografia” dello stesso. Ne consegue, trattandosi di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancaassegno pacificamente clonato, il richiamo al noto onere di professionalità e di diligenza, posto a carico della banca dalla giurisprudenza di legittimità (tra le tante: Xxxx. 2007, n. 13777; Cass. 2004, n. 3729) e dall’orientamento dell’ABF (tra le tante: Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord.Roma, decisione n. 5368 dell’8 giugno 20164108/2013; Collegio di Roma, decisione n. 261/2010). Nel , secondo cui compete all’intermediario l’obbligo di adottare ogni opportuna cautela volta ad evitare il rischio di clonazione dei titoli di pagamento dal medesimo emessi e la conseguente responsabilità patrimoniale – in difetto di prova della violazione del dovere di custodia degli stessi titoli imputabile al richiedente (nella specie, evidentemente insussistente) – in caso di specieloro clonazione. In sostanza, non risulta agli atti del procedimento la circostanza che la ricorrente abbia agito nell’àmbito banca accetti di una pagare il titolo “al buio” equivale a ometterne volontariamente la sua eventuale attività professionale ovvero verifica materiale, con ogni connessa conseguenza in caso di titoli che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione presentino irregolarità cartolari che solo l’esame materiale del documento consentirebbe di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata verificare (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, decisione n. 16588 2989/2015). Esame che, nel cso di specie, a seguito della materiale trasmissione del 4 luglio 2019titolo, sarebbe stato di tutta ed immediata evidenza. Orbene, se in questi termini può individuarsi una responsabilità della banca emittente (impregiudicato ogni diritto astrattamente vantabile da quest’ultima nei confronti della negoziatrice), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande non potendo ritenersi che gravi sul richiedente il rischio di accertamento della nullità clonazione di intese anticoncorrenziali titoli negoziati in “check truncation”, va comunque valutato il comportamento del ricorrente, il quale, con imprudenza, ha inviato la fotografia del titolo al presunto venditore a seguito dell’adesione ad una proposta di vendita, semplicemente appresa da un sito internet (come si ammette nel ricorso), in assenza di necessarie verifiche e di condanna al conseguente risarcimento ogni controllo. Tale comportamento ha sicuramente inciso sullo sviluppo causale degli eventi ed è rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 1227, comma 1°, c.c. (profilo richiamato anche nell’ipotesi di responsabilità extracontrattuale), a mente del quale “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, ma non alle domande il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l’entità delle conseguenze che ne sono derivate”. In sostanza, detto principio, alla stregua del costante insegnamento della Corte di accertamento della nullità dei contratti stipulati “legittimità (ex plurimis: Xxxx. 2010/6550; Cass. 2011/6529) può essere evocato anche in presenza di violazione di normali regole di prudenza, i quali impongano il comportamento di una determinata attività a valle” tutela di tali inteseun diritto altrui ovvero allorquando si realizzi un concorso colposo del danneggiato nella produzione del danno ( Collegio di Napoli, decisione n. 4842/2016). Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche Ne deriva che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta riconosciuto in questa sede. Ai fini favore del presente giudizioricorrente, si deve preliminarmente rilevare chel’intero importo rinveniente nell’assegno circolare clonato, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia ma che tale somma vada individuata, anche in applicazione di cui si è già dettocriteri equitativi, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi nella diversa misura di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810)Euro 2.500,00. Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrinamotivazioni innanzi esposte, il riferimento a ciò Collegio dispone che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del l’intermediario evocato nel presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata procedimento provveda al pagamento in favore del ricorrente della somma di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:Euro 2.500,00.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La controversia ha ad oggetto la domanda di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia risoluzione, ex art. 125-quinquies TUB, del contratto di operazioni finanziamento sottoscritto con l’intermediario e servizi bancari collegato al contratto di consegna e finanziari (Sez. IIIinstallazione di un impianto per il trattamento domestico dell’acqua potabile, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi stipulato con il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1fornitore inadempiente, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente la conseguente restituzione di tutte le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso rate già pagate. Si rappresenta che tale direttiva può essere applicata a un contestualmente al contratto di garanzia immobiliare o fornitura il cliente ha sottoscritto anche un “abbonamento all’assistenza ordinaria” di fideiussione stipulato tra una persona fisica durata dodecennale e un ente creditizio avente ad oggetto n. 12 interventi di assistenza e manutenzione. L’art. 125-quinquies TUB, introdotto dal D. Lgs. 141/2010 in recepimento della Direttiva 2008/48/CE, riconosce in capo al fine consumatore il diritto di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un domandare la risoluzione del contratto di creditoprestito finalizzato, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento collegato ad altro contratto di natura funzionale con la suddetta società» (CGUEfornitura di beni o servizi, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segueal ricorrere delle seguenti condizioni: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero - che sia legata da alcun collegamento funzionale con stata inutilmente effettuata la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione messa in mora del fornitore; - che l’inadempimento del fornitore possa qualificarsi come di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, non scarsa importanza ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV»1455 c.c. Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” In presenza di tali intesepresupposti, il finanziatore ha l’obbligo di rimborsare al consumatore le rate già pagate, mentre la risoluzione del contratto non comporta l’obbligo del cliente di rimborsare al finanziatore quanto versato al fornitore, che dovrà essere ripetuto dall’intermediario nei confronti del fornitore stesso. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità Consta in atti la seguente documentazione: - contratto di fornitura sottoscritto in data 1/08/2019 e avente ad oggetto la consegna e l’installazione di un impianto per il trattamento domestico dell’acqua potabile; - abbonamento di assistenza ordinaria anch’esso sottoscritto in data 1/08/2019; - prospetto delle condizioni finanziarie del 5/08/2019; - contratto di finanziamento sottoscritto l’08/10/2019. L’art. 11 delle Condizioni Generali del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo clientefinanziamento, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel meritorubricato “Inadempimento del Fornitore/Convenzionato”, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo riprendendo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata disposto dall’art. 2125- quinquies TUB, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta statuisce che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità inadempimento da parte del contrattofornitore di beni o servizi, il consumatore cliente, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del Contratto di credito e alla restituzione delle rate pagate. In merito è importante rilevare che il collegamento tra il contratto di finanziamento ed il contratto di acquisto del servizio non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili»è contestato tra le parti. Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato Con specifico riferimento al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione fornitura e al grave inadempimento del fornitore, in xxx xxxxxxxxxxx, xx rappresenta che la ricorrente afferma parte istante dichiara di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini diritto di recesso nel termine di 14 giorni dalla sottoscrizione del presente giudiziocontratto di fornitura. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù A riprova di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contrattoaffermato, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale ha depositato in atti la missiva inoltrata alla Società X in data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata 12/08/2019 e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:da quest’ultima ricevuta il 14/08/2019.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi In xxx xxxxxxxxxxx, xx osserva come il thema decidendum riservato alla cognizione del Collegio sia necessariamente limitato soltanto alla domanda relativa al pagamento della somma di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia € 20.220,65, oltre interessi legali, pari alle spese vive sostenute per procedere direttamente alla riscossione dei crediti che avevano formato oggetto di operazioni cessione al factor e servizi bancari e finanziari (Sezda questi retroceduti, risultando invece irricevibili tutte le ulteriori domande di pagamento di somme pure formulate nel ricorso. IIILe questioni sottese a tali domande non hanno, § infatti, formato oggetto del reclamo all’intermediario, sicché rispetto ad esse non è soddisfatta la condizione, di cui al combinato disposto dell’art. 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b)comma primo, della direttiva 93/13/CEE delibera CICR 275/2008 e delle disposizioni attuative della Banca d’Italia, che impongono la necessaria coincidenza tra l’oggetto del Consiglioricorso e quello del previo reclamo, quest’ultimo costituendo una condizione necessaria per adire l’Arbitro Bancario Finanziario. Così, sempre in via preliminare, deve osservarsi come estranea al perimetro della cognizione del 5 aprile 1993Collegio - e pertanto egualmente irricevibile - risulti altresì la domanda di risarcimento danni e di restituzione delle somme oggetto dell’anticipazione, concernente articolate soltanto nelle repliche alle controdeduzioni. Alla possibilità del loro esame ostano, infatti, sia le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatoriconsiderazioni poc’anzi svolte inerenti alla mancata prospettazione delle due questioni nella fase di reclamo, devono essere interpretati sia, più radicalmente, tanto la circostanza della loro tardività anche nel senso che tale direttiva può essere applicata contesto del procedimento innanzi all’ABF - non potendo evidentemente darsi ingresso a un contratto richieste in una fase in cui è oramai preclusa all’intermediario la possibilità di garanzia immobiliare o contraddire – quanto, rispetto alla richiesta di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancarisarcimento, il Collegio superamento dei limiti di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata valore stabiliti dall’art. 2, 2° comma, lett. a)comma quarto, della legge n. 287 delibera CICR 275/2008. Venendo all’esame dell’unica domanda per cui è soddisfatto il richiesto presupposto di ricevibilità, il Collegio ritiene che la stessa non sia fondata e pertanto non meritevole di accoglimento. Dalla documentazione acquisita in atti risulta invero con chiarezza come, all’indomani della scadenza delle due fatture che vengono in questa sede in rilievo, il factor si sia attivato per riscuotere il credito, sollecitandolo più volte stragiudizialmente il debitore ceduto a provvedere al pagamento (si veda lo scambio di corrispondenza intervenuto tra l’intermediario e il debitore). Quanto sopra è, allora, già eloquente della infondatezza della contestazione avversaria circa il difetto di diligenza dell’intermediario. Del resto la doglianza avversaria sottende una ricostruzione della disciplina dell’operazione di factoring pro solvendo - a mente della quale il factor per poter far valere la garanzia nei confronti del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere cedente (garanzia che, ai sensi dell’art. 1418poi si noti, 1° commaprima ancora che la solvenza del debitore ceduto investe l’esistenza del credito: il che era appunto ciò che veniva nella specie contestato dal debitore, x.x.nel momento in cui eccepiva, xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx.inter alia, sez. Ianche la falsità della propria firma sulle lettere a suo tempo inviate al factor) sarebbe prima obbligato ad agire nei confronti del debitore ceduto - che non trova riscontro in alcun dato normativo, 12 dicembre 2017e che finirebbe per equivalere ad un riconoscimento a favore del cedente, n. 29810). Si tratta dunque in operazioni siffatte, di una nullità parziale del contratto “prerogativa molto simile al beneficium excussionis. Un tipo di beneficio che il nostro ordinamento - salve alcune ipotesi tassativamente definite, che ovviamente non sono quelle di cui alla presente fattispecie - non accorda in via di principio, ma solo in presenza di espressa pattuizione. E tuttavia, anche volendo prescindere da quanto precede, non si può fare a valle”meno di osservare che ad escludere la possibilità di muovere addebiti di scarsa correttezza e diligenza all’operato dell’intermediario concorra anche la considerazione che nella presente vicenda nemmeno si può ragionare di una vera e propria attivazione, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella da parte del suo contenuto che factor, della garanzia pure spettantegli. La retrocessione dei crediti è colpita dalla nullità» (art. 1419stata, 1° commainfatti, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrinanon già oggetto dell’esercizio di un potere unilaterale dell’intermediario, il riferimento a ciò che quanto piuttosto - come riconosce lo stesso ricorrente – l’effetto di un’operazione concordata tra le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. che toglie allora definitivamente pregio alla pretesa della Società di potere ottenere un rimborso dei maggiori costi da cui essa è stata gravata per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale non aver potuto beneficiare del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il restoservizio di factoring; qualora invece appunto perché tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna mancato beneficio è conseguenza (ad esanche) di una propria libera scelta., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4)Come detto, la composizione dell’organo giudicante società ricorrente si duole essenzialmente del fatto che l’intermediario avrebbe applicato (i) commissioni non dovute e (ii) chiesto indebitamente il rimborso delle spese legali sostenute per il recupero del credito ceduto, spese che sarebbero invece già coperte dal corrispettivo contrattualmente pattuito. La prima doglianza, relativa al supposto carattere indebito della commissione “plus factoring” si presenta priva di questo Arbitro fondamento. Nel caso di specie è determinata dalla qualità soggettiva documentalmente attestato come le parti abbiano espressamente pattuito che sulla somma anticipata si sarebbe dovuta conteggiare, oltre quella base del ricorrente2,3%, una commissione aggiuntiva dello 0,30% a partire dal centottantesimo giorno successivo alla stipula del negozio di cessione; la commissione risulta dunque legittimamente applicata, ed anche correttamente calcolata. Né d’altra parte sembra potersi andare in contrario avviso per il solo fatto che l’intermediario ne abbia, erroneamente, omesso la rendicontazione, cogliendo nel segno il rilievo del resistente per cui tale errore, pur se si è tradotto in un deficit di trasparenza sull’andamento del rapporto e sul costo finale dell’anticipazione, non può di per sé bastare a far decadere l’intermediario dall’esercizio di un diritto che ha precisa e chiara fonte nel contratto, e della cui esistenza d’altronde non è immaginabile che la società non si fosse avveduta. Fondata appare, invece, la seconda doglianza avanzata dalla società, là dove lamenta il carattere indebito della richiesta di rimborso delle spese legali sostenute dal cessionario per il recupero del credito. Sotto questo profilo osserva il Collegio, per un verso, che essendo la funzione del factoring proprio quella di esternalizzare, affidandole al factor, le fasi della gestione e del recupero del credito è coerente, in via di principio, che il corrispettivo pattuito per il servizio, quando determinato in una misura percentuale pari all’ammontare del credito ceduto, vada a remunerare il servizio nel suo insieme, e dunque sia determinato, salva diversa contraria ed espressa pattuizione, già tenendo conto anche delle eventuali spese sostenute per lo svolgimento di tale attività. D’altra parte a queste considerazioni di ordine generale deve aggiungersi che nel caso di specie l’interpretazione delle clausole del contratto depone chiaramente nel senso che le spese per le attività legali di eventuale recupero del credito erano assorbite nella commissione c.d. base. Dirimente appare, sotto questo profilo, la pattuizione dell’art. 4 della scrittura integrativa se letta (come del resto impongono i generali principi di ermeneutica contrattuale) in connessione con il disposto dell’art. 8 della medesima: la circostanza, infatti, che le parti abbiano espressamente pattuito - a fronte dell’attribuzione al factor non solo della gestione amministrativa del credito ceduto, ma anche del potere di procedere al suo incasso e di promuovere le azioni giudiziarie necessarie per il recupero - che «la commissione del 2,3% sul valore nominale del credito (..) è da intendersi quale risulta dubbia importo spettante al cessionario per la gestione del credito e per tutte le attività connesse», non lascia adito a dubbi sul fatto che in tale ambito fossero, per espressa volontà delle parti, ricomprese anche quelle giudiziarie strumentali all’incasso del medesimo. Quanto precede sembra obiettivamente assorbente. Né a diversa conclusione si può giungere evocando – come vorrebbe il resistente – la disposizione dettata dall’art. 1267 c.c. Il richiamo alla norma del codice civile – che prevede che quando il cedente abbia garantito la solvenza, il cedente oltre a rispondere nei limiti di quanto ricevuto deve anche rimborsare al cessionario le spese sostenute per escutere il debitore ceduto – non è, all’evidenza, pertinente nel caso di specie. Il ricorso introduttivo Gli è che il naturale ambito di operatività della disposizione è rappresentato dal fatto che il cessionario debba attivare la garanzia in conseguenza dell’insolvenza del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicadebitore ceduto, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito ossia dal caso in qualità di consumatorecui quest’ultimo non paghi. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta Solo in questa sede. Ai fini del presente giudizioevenienza si giustifica, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congetturainfatti, che sfugge a ogni obiettivo accertamentoil cedente debba tenere indenne il cessionario delle spese sostenute per le attività volte all’escussione, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «appunto perché in caso di nullità insolvenza queste sono inutilmente sopportate; l’applicazione della disposizione non troverebbe, invece, alcuna giustificazione nell’ipotesi in cui il debitore ceduto, sia pure a seguito di un azione giudiziaria di recupero, paghi, appunto perché in questo caso il cessionario soddisfa attraverso l’incasso del contrattocredito un interesse esclusivamente proprio (come del resto nota, seppure ad altro fine, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rateresistente, con la stessa periodicità prevista nel contratto oil cessionario è il titolare del credito, sicché le attività per il recupero, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specieincasso del credito, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:sono svolte nell’interesse proprio).
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi Ad avviso del Collegio il ricorso va rigettato. L’istanza del ricorrente di accertamento dell’avvenuta risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia del contratto di operazioni leasing per impossibilità sopravvenuta della prestazione esige, preliminarmente, di tratteggiare i confini della fattispecie che, notoriamente, ricalca la nozione di impossibilità su quella determinante l’estinzione dell’obbligazione ai sensi del combinato disposto degli artt. 1218 e servizi bancari 1256 cod. civ.: pur essendo il tema uno dei più delicati della civilistica, si può ritenere sostanzialmente condiviso che l’impossibilità rilevante debba essere assoluta e finanziari (Sezoggettiva. IIIQuanto al primo profilo, § 4)si può, qui, prescindere dalla scelta tra le varie declinazioni dell’esigibilità della prestazione, giacché è preminente nel caso concreto la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva valutazione del carattere oggettivo della dedotta impossibilità che, nella prospettazione del ricorrente, andrebbe ricondotta alla cessazione dell’attività professionale in forma associata, che avrebbe reso inutilizzabile il macchinario oggetto del contratto di leasing. Orbene, va, innanzitutto, rilevato che la quale risulta dubbia circostanza non è stata provata nel caso procedimento, ma, che, comunque, non avrebbe potuto integrare il presupposto della risoluzione ex artt. 1463 ss. cod. civ. In via generale, il carattere oggettivo è escluso allorquando l’impossibilità è conseguente ad un evento che rientra nella disponibilità del debitore; a ciò va aggiunto che, l’ipotesi di speciecessazione dell’attività di impresa in forma individuale o collettiva, che abbia fondamento in un atto volontario dell’imprenditore, si traduce di fatto in una decisione unilaterale di sottrarsi all’adempimento del contratto. In dottrina si è sottolineato che nessun pregiudizio colpisce la libertà del soggetto che esercita attività di impresa di scegliere di non proseguire l’attività fino alla cessazione dei contratti pendenti, atteso che egli, diversamente, può valutare la convenienza economica, e adottare le decisioni conseguenti, tra l’esecuzione del contratto posticipando la cessazione dell’attività o esporsi alle conseguenze dell’inadempimento. Il ricorso introduttivo ricorrente ha chiesto, inoltre, di inibire (rectius accertare l’insussistenza del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicadiritto) all’intermediario di azionare eventuali “pretese economiche”, senza tenere conto delle proprie contestazioni e del fatto che era stata tempestivamente offerta la restituzione del bene oggetto del leasing. Pur nella sua genericità, si può ritenere che il riferimento sia all’esercizio del locatore dei diritti contrattuali e risarcitori conseguenti all’inadempimento contestato all’istante, che presuppone, però, la quale correttezza dell’applicazione della clausola risolutiva espressa giusta lettera del 27 novembre 2013. Tuttavia, nessuna delle due parti ha rilasciato chiesto all’Arbitro di pronunciarsi sulla legittimità della risoluzione contrattuale invocata, questa volta, da parte resistente, pur essendo pacifico che una tale domanda sarebbe rientrata nella competenza dell’Arbitro, stante la natura dichiarativa della relativa cognizione (decisione ABF-Collegio di Napoli, n. 1923 del 2011). In ogni caso, si può procedere considerando che la circostanza del mancato pagamento dei canoni a partire dal mese di giugno 2013 è pacifica tra le parti; ed è in forza di tanto che l’intermediario si è avvalso dei criteri di liquidazione del danno previsti dall’art. 15 del contratto, che pongono a carico dell’utilizzatore inadempiente il pagamento dei canoni maturati fino alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti data della risoluzione, maggiorati degli interessi di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1mora, e 2di ogni ulteriore spesa sopportata dal locatore, lettera b)nonché i danni da deterioramento del bene oggetto del contratto, e quelli conseguenti all’anticipato scioglimento, quantificati nell’importo complessivo di tutti i canoni successivi alla risoluzione, attualizzati al tasso Euribor tre mesi. In vero, si potrebbe discutere dell’eccessivo ammontare di tale clausola penale, anche alla luce delle indicazioni recentemente formulate in giurisprudenza, secondo cui il concedente non può ricevere vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, tenuto conto che, anche alla stregua della direttiva 93/13/CEE del ConsiglioConvenzione di Ottawa sul leasing internazionale 28 maggio 1988, del 5 aprile recepita con legge 14 luglio 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancan. 259, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialerisarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da porlo nella stessa situazione in cui si sarebbe trovato se l'utilizzatore avesse esattamente adempiuto (Xxxx. 17 gennaio 2014, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016888). Nel caso di specie, non però, la stessa clausola contrattuale prevede che il locatore riconoscerà al conduttore quanto eventualmente conseguito disponendo del bene all’esito della restituzione, anche procedendo a compensazione con quanto dovuto dall’inadempiente: tale obbligo risulta agli atti del procedimento che idoneo a fondare la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero legittimità della clausola penale, ovviamente a condizione che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra espostieseguito correttamente, si deve pertanto ritenere il che comporta che, ai fini non potendosi configurare un obbligo di risultato a carico del presente giudiziolocatore di collocazione del bene, la ricorrente abbia agito quest’ultimo si sia, però, diligentemente attivato nella ricerca di un acquirente. Alla luce di tanto, pertanto, il ricorso va rigettato, invitando peraltro l’intermediario a porre in qualità essere tutte le iniziative necessarie al reperimento di consumatore; a ciò consegue la composizione un acquirente, o di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistentealtro conduttore, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità bene oggetto del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cassleasing cessato., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi 5. In via preliminare vanno respinte le eccezioni dell’intermediario secondo cui il ricorso qui esaminato sarebbe inammissibile perché volto ad ottenere dall’ABF solamente un’attività “di consulenza” (siccome volta a valutare la correttezza dell’operato dell’intermediario) che tale Arbitro evidentemente non potrebbe compiere, e comunque con oggetto del tutto generico (la "gestione del c/c"). Deve al riguardo replicarsi, tuttavia, come la funzione di risoluzione stragiudiziale alternativa delle controversie espletata da questo Arbitro – “alternativa” evidentemente a quella dell’autorità giudiziaria ordinaria – non possa che comportare, in materia via di operazioni principio, una competenza a conoscere e servizi bancari a pronunciarsi (seppure con effetti diversi) di pari estensione. Di talché, così come il giudice ordinario ben potrebbe essere richiesto di una pronuncia di accertamento (della violazione di obblighi di diligenza e finanziari buona fede nell’esecuzione del contratto) pur senza condanna (Sez. IIIseppure la prima eventualmente strumentale alla seconda, § 4da richiedersi in un secondo momento), allo stesso modo può esserlo questo Arbitro. D’altra parte, l’oggetto dell’accertamento richiesto a quest’Arbitro (l’accertamento della correttezza della condotta dell’Intermediario “durante tutto il rapporto riguardante la composizione dell’organo giudicante gestione del conto corrente”) seppure espresso in termini impropri e generici, risulta comunque sufficientemente chiarito e perimetrato, nel suo contenuto e nei suoi profili, dalle specifiche circostanze e dalle contestazioni rappresentate nel ricorso: dal quale, in effetti, risulta evidente come si invochi sostanzialmente la nota questione del cd. fido di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrentefatto: e cioè, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicacome noto, la quale ha rilasciato quella relativa alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti condotta di una società commerciale; si pone quindi il problema banca che, dopo aver concesso per un certo tempo uno sconfino sul conto corrente per un certo ammontare, inopinatamente e ingiustificatamente chieda al cliente l’immediata e integrale restituzione delle somme risultanti a debito (oltre alla chiusura di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità ogni servizio di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1cassa accessorio, e 2così la restituzione del carnet degli assegni, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto delle carte di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento etc.), così deludendo l’affidamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUEfatto ingenerato, 19 novembre 2015nel tempo, C-74/15nel cliente stesso. Si tratta, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altriquindi, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancaserie eterogenea di fattispecie tutte accomunate dalla concessione di credito alla clientela pur in assenza di un’espressa pattuizione tra le parti, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica e caratterizzate dalla natura occasionale ed eccezionale dell’erogazione che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) viene effettuata dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni assenza dei requisiti formali propri dell’ordinaria attività di nullità e concessione di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad escredito., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La questione sottoposta al Collegio attiene alla presunta vessatorietà (con conseguente nullità) della clausola che individua i costi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia intermediazione nell’ambito di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIun contratto di finanziamento, § 4)quale fonte di un significativo squilibrio, la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva a carico del ricorrente, fra i diritti e i doveri derivanti dal contratto (art. 33 Cod. cons.). In particolare, il ricorrente lamenta la quale risulta dubbia nel violazione dell’art. 34 Cod. cons. (ove si precisa, come dapprima ricordato, che il carattere vessatorio di una clausola non riguarda l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tale elemento risulti individuato in modo chiaro e comprensibile), nonché dell’art. 125-novies TUB (“Intermediari del credito”), ai sensi del quale, in caso di specie. Il ricorso introduttivo intervento di un intermediario del presente giudizio è stato infatti presentato credito, il consumatore deve essere informato dell’eventuale compenso da una persona fisicaversare a quest’ultimo per i suoi servizi e detto compenso deve costituire l’oggetto di un preventivo accordo con il consumatore, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), redatto su supporto cartaceo o altro supporto durevole prima della direttiva 93/13/CEE conclusione del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito. Ora, quando tale persona fisica ha agito per scopi con riferimento alla disposizione da ultimo citata, va dato atto che esulano dalla sua tra il consumatore e l’intermediario del credito intervenuto nella fase di collocamento del finanziamento (nella specie, un agente in attività professionale finanziaria e non un mediatore creditizio, come erroneamente affermato dal ricorrente) non risulta intercorso alcun accordo preventivo, in merito ai costi di intermediazione. È pur vero, tuttavia, che la norma in oggetto (art. 125-novies, comma 2, TUB), ancorché genericamente riferita all’intera categoria degli “intermediari del credito” - come tale comprensiva anche degli agenti in attività finanziaria – è destinata a disciplinare i soli casi in cui il cliente si rivolge ad un soggetto terzo per ottenere una consulenza nella scelta della più adeguata offerta di finanziamento e/o nell’individuazione di un finanziatore, ossia ad un mediatore creditizio. È solo in questo caso, infatti, che l’intermediario del credito (i.e., mediatore creditizio) ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» titolo per richiedere al cliente un compenso per i servizi offerti (CGUEessendo l’agente retribuito solo dall’intermediario per conto del quale opera, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiuntanon anche dal soggetto finanziato). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) Tale conclusione è suffragata dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata recente decisione del Collegio di Milanocoordinamento n. 9585 dell’1/08/2017, ove, con riferimento ad un caso analogo a quello in esame, si afferma – superando il precedente orientamento dell’Arbitro richiamato dal ricorrente (Coll. Roma, dec. n. 16588 8014/15) – che “Il rapporto di mandato con l’ente finanziatore, che caratterizza per definizione l’attività dell’agente, porta ad escludere, a pena di un’insanabile incoerenza con il dettato normativo, che tale soggetto, nella fase precontrattuale, possa agire per conto del 4 luglio 2019cliente e quindi che possa richiedere un compenso al cliente stesso per l’opera prestata prima della conclusione del contratto. Nel sistema operativo corrente, in effetti, la remunerazione è normalmente predeterminata nell’accordo che regola i rapporti fra agente e intermediario ed è da quest’ultimo corrisposta. Pertanto, in base al combinato disposto delle su citate norme del T.U. bancario, il Collegio ritiene che la previsione di cui all’art.125-novies, comma 2, del TUB riguardante la pattuizione diretta del compenso con il cliente, non possa trovare applicazione nei confronti dell’attività di agenzia in attività finanziaria. Tale conclusione è coerente con l’interpretazione espressa nelle disposizioni emanate dalla Banca d’Italia sulla “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari” (Sez. VII, § 4.2.5- Ed. aggiornata al 2011), tale disposizione legislativa in cui si legge: “Nei casi in cui l’intermediario del credito può richiedere al consumatore il pagamento di un compenso per i suoi servizi (mediazione creditizia), ai sensi dell’articolo 125-novies, comma 2, del T.U. il compenso è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna comunicato al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza consumatore e costituisce oggetto di un’accesa accordo su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, prima della conclusione del contratto di credito. Ne consegue che il disposto di cui all’art.125-novies, comma 2, del TUB trova piena applicazione nei confronti dei mediatori creditizi, i quali, a differenza degli agenti, operano su incarico del cliente, cui conseguentemente possono chiedere il pagamento di una provvigione, ma non nei confronti degli agenti in attività finanziaria, posto che questi ultimi agiscono esclusivamente su mandato dell’ente finanziatore”. Il Collegio di coordinamento, pertanto, conclude affermando che “la contestata violazione del disposto di cui all’art. 125-novies, comma 2, con riferimento al “compenso”, è infondata, posto che nella fattispecie i costi di intermediazione previsti nel contratto riguardano l’opera prestata da un agente in attività finanziaria”, dovendosi peraltro ritenere significativo che – come nel caso in esame – “il ricorrente non abbia in alcun modo dedotto di aver corrisposto direttamente un compenso a favore di un intermediario del credito, su richiesta di quest’ultimo”. Ritenuta dunque l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 125 novies TUB, resta da verificare se la vessatorietà della clausola relativa alle commissioni di intermediazione – considerate dal ricorrente particolarmente esose ed ingiustificate nell’ammontare - possa dipendere da una mancanza di chiarezza e sfaccettata discussione dottrinaledi comprensibilità delle relative previsioni contrattuali (art. 34 Cod. cons.). Questo Collegio, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sedealtri termini, è chiamato a verificare se il consumatore potesse o meno comprendere, sulla base del testo contrattuale, le conseguenze economiche derivanti dalla sottoscrizione della clausola (ossia, in sostanza, se abbia concluso il contratto in modo consapevole e informato), restando invece precluso ogni sindacato circa l’equilibrio economico del contratto (vale a dire una valutazione in merito al “giusto prezzo” delle prestazioni dedotte nel regolamento contrattuale). Ai fini del presente giudizioEbbene, a tale proposito, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia può osservare come la documentazione negoziale in atti contenga un’indicazione sufficientemente chiara ed intellegibile circa l’ammontare delle commissioni di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. aintermediazione (specificato sub B del prospetto contrattuale), circa l’intervento di un agente in attività finanziaria (comprovato da timbro e sottoscrizione del medesimo, apposti sul modulo contrattuale) e, infine, circa il tipo di attività svolta dall’intermediario del credito. Risulta per via documentale, inoltre, che il ricorrente abbia ricevuto il modulo relativo alle “Informazioni europee di Base sul Credito ai Consumatori”, contenente il set di informazioni utili che il consumatore ha diritto di ottenere, per poter comprendere e valutare adeguatamente l’offerta di credito. Considerato, dunque, che le disposizioni contrattuali consentivano al ricorrente di individuare in modo inequivoco l’importo destinato all’intermediario del credito, come anche la tipologia di attività remunerate da detto importo, a parere di questo Collegio non sussistono elementi tali da far ravvisare una mancanza di chiarezza e di intellegibilità della legge clausola negoziale relativa ai costi in esame, idonea a determinarne la vessatorietà (in senso analogo si veda ABF Milano, dec. n. 287 del 19906364/15; ABF Napoli, dec. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 298105194/13). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”sopra esposte, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); domanda formulata in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale ricorso non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.ctrovare accoglimento., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto Il ricorso è meritevole di accoglimento nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. Al riguardo, costituisce orientamento consolidato di questo Arbitro quello secondo cui: “La questione dei rimborsi spettanti in occasione dell’estinzione anticipata di prestiti concessi contro cessione del quinto e delegazione di pagamento è stata più volte portata all’attenzione dei tre Collegi dell’ABF (v. tra le altre, Decisione n. 4020 del 25 luglio 2013). Gli approfondimenti effettuati, da ultimo anche da parte del Collegio di coordinamento (v. dec. cit.), hanno consentito di ritenere che, in caso di estinzione anticipata: a) l’intermediario debba restituire, per la parte non maturata, le commissioni addebitate in sede di stipula; b) in assenza di una “chiara e congrua” ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci debba essere considerato soggetto a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale; c) in riferimento ai costi recurring, l’importo da rimborsare vada equitativamente stabilito dalle Disposizioni sui sistemi secondo un criterio proporzionale ratione temporis (in base al quale l’ammontare complessivo delle spese viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue), giacché trattasi di risoluzione stragiudiziale delle controversie corrispettivi allo svolgimento di attività amministrative il cui costo, al netto di fattori esogeni, è costante in materia pendenza di operazioni rapporto; d) l’onere economico del contratto di assicurazione, per il collegamento funzionale che lega tale contratto a quello di finanziamento, debba essere annoverato tra i “costi” del credito presi in considerazione dall’art. 125-sexies, comma 1, TUB ai fini della determinazione del diritto di rimborso del cliente; e) non sarebbe illegittimo, né irrazionale quantificare l’equa riduzione degli oneri assicurativi ponderando il rimborso della quota del premio in funzione del capitale residuo assicurato, purché l’applicazione di tale criterio di rimborso sia espressamente enunciata in contratto; f) in assenza di una siffatta previsione, sia ragionevole quantificare il diritto di rimborso del cliente applicando ai premi versati il principio di competenza economica, posto che si tratta di costi che maturano in ragione del tempo, e servizi bancari che di conseguenza sono da rilevare pro rata temporis” (ABF dec. 901 del 2015). Con riferimento, poi, al premio per la polizza assicurativa a copertura del rischio vita, va, parimenti disattesa l’ulteriore eccezione preliminare di carenza di legittimazione passiva formulata dall’intermediario, sia sotto il profilo processuale che di merito. In ordine al primo è sufficiente ricordare che “ la legittimazione ad causam consiste nella titolarità del potere e finanziari (Sezdel dovere – rispettivamente per la legittimazione attiva e per quella passiva – di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, secondo la prospettazione offerta dall’attore, indipendentemente dalla effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto stesso” e che quando, invece, “ le parti controvertono sulla effettiva titolarità, in capo al convenuto, della situazione dedotta in giudizio, ossia dell’accertamento di una situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della domanda attrice, la relativa questione non attiene alla legitimatio ad causam ma al merito della controversia, con la conseguenza che il difetto di titolarità deve essere provato da chi lo eccepisce e deve formare oggetto di specifica e tempestiva deduzione in sede di merito” ( ex plurimis, Cass. civ., sez. III, § 4)26 settembre 2006, la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiuntan.20819). Con riguardo riferimento al secondo profilo, la stessa eccezione deve essere superata alla fideiussione rilasciata luce del collegamento negoziale esistente tra i contratti de quibus. Nella ormai consolidata giurisprudenza dell’ABF, è infatti ampia casistica in cui si è riconosciuta la fondatezza della pretesa del cliente che abbia richiesto all’intermediario collocatore la restituzione di somme già corrisposte ad altro soggetto - anche – per un servizio assicurativo connesso al principale rapporto di finanziamento. Come persuasivamente rilevato “rispetto a favore queste fattispecie, si impone una considerazione unitaria dell’assetto degli interessi globalmente perseguito dalle parti in termini di una bancavalidità, efficacia e complessiva utilità delle prestazioni dedotte nei contratti. In particolare, le evoluzione del rapporto principale (finanziamento) non possono non riflettersi su quello accessorio (assicurazione) poiché, venuto meno il primo, la persistenza del rapporto assicurativo si rileverebbe, di fatto, privo di causa. Sul punto, si è già pronunciato più volte questo Collegio, riconoscendo – anche in forza del collegamento negoziale sussistente tra contratto di finanziamento e contratto di assicurazione – il diritto del cliente al rimborso della quota parte del premio assicurativo per il periodo di copertura non goduta in esito ad estinzione anticipata del relativo rapporto creditizio” ( ex plurimis, da ultimo anche con riferimento al criterio di calcolo, v. Collegio ABF di Napoli, decisioni nn. 2173/14, 873/13, 769/13, 298/13, 140/13, 46/13, 2613/12, 2612/12, 2610/12, 2280/12, 1720/12, 746/12; nello stesso senso Collegio ABF di Roma, decisioni nn. 1138/13, 1979/12, 491/12; Collegio ABF di Milano, decisioni nn. 2106/14, 980/13, 480/13, 432/13, 2730/12, 2055/12, 776/12, 195/12). Deve, altresì, precisarsi che l’entrata in vigore (il 19 dicembre 2012) dell’art. 22 del d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 (convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012 n. 221) è irrilevante ai fini della controversa de qua. Ed infatti può ribadirsi che “ gli obblighi ivi stabiliti in capo all’impresa di assicurazione non sembrano incidere sul profilo della legittimazione, non sottraendo il finanziatore alla concorrente responsabilità per la restituzione del dovuto a fronte di negozi collegati, rilevando invece ai fini della eventuale azione di regresso” (testualmente, Nel merito, dalla documentazione versata in atti emerge che la formulazione contrattuale della commissione bancaria non descrive analiticamente le attività ivi addebitate al cliente ed è dunque caratterizzata da opacità. Da tale opacità ne deriva, conformemente al più recente orientamento di questo Collegio, il riconoscimento del diritto al ricorrente alla restituzione della quota parte residua alla durata del finanziamento, pari (in applicazione del criterio proporzionale) a 358,28 euro.. Quanto alla commissione di intermediazione, nel caso in esame il ricorrente ne ha chiesto solo in via subordinata la restituzione in base al criterio di calcolo pro rata temporis, perché in principalità egli ne ha chiesto il totale rimborso, per violazione del principio di imparzialità ex art. 1754 c.c. e per mancanza di forma scritta del contratto di mediazione. Sostiene, infatti il ricorrente che non risulta dalla documentazione contrattuale l’intervento di un mediatore – la cui firma peraltro compare in calce al contratto di finanziamento - né che sia stato sottoscritto un contratto per il conferimento dell’incarico di mediazione creditizia. Da ciò il ricorrente deduce che non esistendo un documento scritto comprovante l’incarico che esso stesso avrebbe conferito al mediatore, il contratto stesso è nullo per difetto di forma con la conseguenza ultima che nessuna commissione è dovuta. Al riguardo, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro Coordinamento ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica osservato che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialeeffettivamente il Provvedimento dell’UIC del 20704/2005, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, emanato ai sensi dell’art. 335 comma 1 del D.P.R. n. 287/2000, 2° commastabilisce che il contratto debba rivestire la forma scritta dato che la mediazione sarebbe avvenuta tramite l’attività di un intermediario finanziario ex art.106 TUB, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto ma poiché il contratto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es.eseguito e risulta documentalmente che la provvigione mediatizia è stata pagata, nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della la pretesa nullità del contratto è solo il presupposto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” normale azione di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinaleripetizione dell’indebito, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sedeche svolgersi nei confronti del mediatore stesso. Ai fini Non sussiste infatti alcuna fonte idonea a configurare l’assunzione di una responsabilità dell’intermediario per l’ipotesi di invalidità del presente giudiziocontratto di mediazione; né a tale fine sarebbe idoneo configurare l’ipotesi del collegamento negoziale perché i contratti collegati rimangono contratti distinti ed il collegamento istituisce solo la loro interdipendenza conferendo una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, si deve preliminarmente rilevare cheper cui essi simul stabunt, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’artsimul cadunt (Cfr. 2, 2° comma, lettCass. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cassciv., sez. IIII, 12 dicembre 201722-03-2013, n. 29810)n..7255): eventualità che nel caso non sarebbe di alcuna utilità per il ricorrente. Diverso sarebbe il caso se a suo tempo il cliente, sulla base del difetto di forma scritta del contratto di mediazione, avesse chiesto o ingiunto all’intermediario di non procedere al pagamento della provvigione a favore del mediatore stesso. Ma una volta che l’intermediario a ciò delegato abbia provveduto al pagamento suddetto, l’azione di ripetizione dell’indebito, fondata sul difetto di forma scritta ad substantiam del contratto che è relativo solo al cliente ed al mediatore, non può rivolgersi nei confronti del solo intermediario che nella fattispecie ha assunto il ruolo di mandatario del cliente, perché diviene palese il difetto di legittimazione passiva del soggetto convenuto. Perciò la domanda principale formulata dal ricorrente a questo riguardo non può accogliersi. Per contro, la formulazione contrattuale della commissione di intermediazione comprende anche attività gestorie (incasso delle somme mensilmente ricevute dall’Ente mandatario) tipicamente recurring. Da tale opacità ex ante ne deriva, conformemente agli orientamenti più volte espressi da questo Collegio (v., tra le ragioni tante decisioni, nn. 4086/2012; 2178/2013; 2513/2014 e, in termini, la decisione 482/2014) il riconoscimento del diritto al ricorrente alla restituzione della quota parte residua alla durata del finanziamento, pari (in applicazione del criterio proporzionale ed al netto di quanto già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 rimborsato) a 2.310,52 euro. Anche in ordine alla quantificazione della quota parte del 4 luglio 2019premio assicurativo da retrocedere, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali troverà applicazione il metodo di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò all’orientamento dei Collegi ABF già richiamato supra che si richiede è quindi una valutazione stabilizzato – salvo eccezioni connesse a situazioni non ricorrenti – nel senso di compatibilità della modifica riconoscere un rimborso “parametrato alla durata residua del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenzialefinanziamento”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesseapplicazione di tali consolidati principi, consegue che egli può domandare la restituzione il diritto del cliente al rimborso della relativa quota di premio di copertura non goduto in esito all’estinzione anticipata del finanziamento, calcolata (sempre in applicazione del criterio proporzionale) in 1.154,65 euro. Così per il complessivo importo di 3.823,45 euro, oltre agli interessi legali dalla data del reclamo. Non viene riconosciuto il ristoro delle prestazioni ivi previstespese di assistenza difensiva, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum atteso il carattere seriale del ricorso in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.besame., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo Ad avviso del Collegio il ricorso non può essere accolto. Preliminarmente, appare opportuno sintetizzare le pattuizioni del contratto di L’oggetto del contratto è costituito dalla cessione da parte del cliente alla banca, in unica soluzione, secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi previsto dall’art. 3 della L. 52/91, dei crediti sorti e insorgendi nei confronti di risoluzione stragiudiziale clienti previamente selezionati sull’accordo delle controversie parti; successivamente, all’effettivo insorgere dei crediti, in materia corrispondenza con le prestazioni via via eseguite dal cedente, quest’ultimo ne conferma la cessione. La banca, acquistato il credito per un prezzo pari al suo valore nominale, ne cura la gestione e l’incasso, potendo altresì erogare anticipazioni (produttive di operazioni interessi) in favore del cedente; incassato il credito la banca provvede infine all’accredito della differenza tra l’anticipato (oltre competenze) e servizi bancari e finanziari (Sezl’incassato in favore del cliente. III, § 4), Su questo schema si innesta la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia possibilità – realizzata nel caso di speciespecie – per il cliente di richiedere al factor l’assunzione del rischio del mancato pagamento di un determinato debitore; in caso di accettazione, il factor indica al fornitore l’importo del plafond pro soluto accordato (nella presente controversia pari a € 200.000,00); superato il tetto massimo delle anticipazioni i successivi crediti ceduti si intendono con garanzia pro solvendo. Si tratta, peraltro, di un limite munito del carattere di rotatività, atteso che l’incasso dei crediti da parte del cessionario rende, di volta in volta, nuovamente disponibile l’accordato pro soluto. E’ opportuno, a questo punto, segnalare, nel fascio dei reciproci obblighi delineati a carico delle parti, le clausole rilevanti per la decisione della presente controversia: il fornitore è obbligato inderogabilmente a cedere tutti i crediti vantati nei confronti del debitore determinato (art. 12), e la sanzione per l’inadempimento di tale clausola è la revoca retroattiva del plafond pro soluto da intendersi come mai concesso (art. 15); in ogni caso, la cessione pro soluto è assoggettata ad un termine di scadenza e, comunque, alla facoltà di revoca della banca, con la conseguente vigenza della garanzia pro soluto per le fatture emesse in data antecedente alla cessazione, anche se inviate successivamente, entro il termine contrattuale di trenta giorni (art. 14); quanto all’inadempimento del debitore ceduto, solo su richiesta del fornitore il factor è tenuto all’esperimento delle azioni opportune per il recupero del credito. Ciò premesso, la domanda proposta dalla ricorrente, volta ad ottenere l’accertamento dell’obbligo dell’intermediario di provvedere all’anticipazione dei crediti recati dalle fatture trasmesse, presuppone la verifica della illegittimità della revoca della garanzia pro soluto su tutti i crediti ceduti, disposta dalla banca. Va ricordato, preliminarmente, che, con lettera del 28 febbraio 2013, l’intermediario aveva comunicato di revocare il plafond pro soluto, peraltro, in data coincidente con la naturale scadenza dello stesso, in forza del termine stabilito nella nota del medesimo intermediario del 31.7.2012, che concedeva la garanzia pro soluto richiesta dalla società ricorrente. In quella stessa data, la società ricorrente emetteva nei confronti del debitore ceduto la fattura contraddistinta dal n. 84/2013, la quale, pertanto, secondo le condizioni contrattuali – che estendevano la garanzia pro soluto ai crediti portati da fatture solo se emesse antecedentemente alla data di cessazione – sarebbe stata oggetto di una cessione pro solvendo. Il profilo dirimente della controversia, però, si colloca a monte del regime contrattuale cui assoggettare il credito di cui alla fattura in questione, giacché è contestata tra le parti la sua stessa consegna al factor: un aspetto di decisiva rilevanza, giacché è su tale circostanza che l’intermediario ha motivato la non operatività della garanzia pro soluto (nota del 2 agosto 2013). Il punto è che era stata la stessa ricorrente a riconoscere nei confronti della banca la circostanza del mancato invio: sono state prodotte dall’intermediario due comunicazioni (del 10 e del 17 luglio 2013), con le quali – a mezzo di un legale – l’odierna istante affermava di voler procedere al recupero dei crediti relativamente a due fatture, tra cui la n. 84, che dichiarava di non avere mai trasmesso al factor: da qui l’applicazione da parte di quest’ultimo della decadenza dalla copertura pro soluto. Successivamente, in sede di reclamo, così come di ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti procedimento e di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizioreplica alle controdeduzioni dell’intermediario, la ricorrente abbia agito in qualità ha modificato tale prospettazione ed ha sostenuto di consumatore; avere provveduto al regolare invio anche della fattura n. 84. Produce, a ciò consegue fondamento della sua diversa asserzione, la composizione di questo Collegiomodulistica compilata e sottoscritta dal proprio rappresentante legale per la conferma della cessione dello specifico credito (così come previsto dall’art. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità 3 del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. afactoring), della legge n. 287 e una mail del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate15 aprile 2013, con la stessa periodicità prevista nel contratto oquale – tuttavia – si accompagna un generico invio di documentazione relativa ad un credito ceduto in alcun modo identificato. Non può, peraltro, attribuirsi rilievo probatorio della circostanza controversa al fatto che il factor aveva inviato la modulistica per la determinazione del credito ceduto in data 12 aprile 2013, né che i precedenti invii di cessioni e relative fatture erano avvenute sempre a mezzo mail dal contenuto generico: sta di fatto che per gli altri crediti ceduti non vi era stata contestazione, mentre, ad avviso del Collegio, in mancanzapresenza della perdurante eccezione dell’intermediario, il riconoscimento della stessa ricorrente del mancato invio, in trentasei rate mensili»uno alla genericità della mail del 15 aprile, fa ritenere inevasa la prova contraria, di cui l’istante stessa si era onerata in virtù delle sue precedenti ammissioni. InoltreNe deriva la legittimità della condotta tenuta dall’intermediario. Peraltro, la parte va rilevato che quest’ultimo aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, provveduto a corrispondere alla società ricorrente – a titolo di responsabilità extracontrattuale anticipazioni sui crediti ceduti – l’importo di Euro 270.000,00, in forza delle uniche tre richieste inoltrate dal fornitore (Cass., sezche l’anticipazione fosse subordinata alla specifica richiesta era previsto nell’art. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, 10 del contratto e la ricorrente non ha esercitato alcuna prodotto documentazione attestante l’inoltro di ulteriore richieste inevase), ed ha precisato, altresì, che l’importo complessivo dei crediti ceduti alla data della cessazione della garanzia pro soluto era pari ad € 449.857,60, e, quindi, ad un importo di gran lunga superiore al tetto massimo previsto; di tale importo ne sono stati recuperati successivamente € 189.688,83, contabilizzati a credito del fornitore, riducendone l’esposizione debitoria. Tale circostanza – che non è stata contestata dalla ricorrente nelle repliche alle controdeduzioni dell’intermediario (dove impugna altri e diversi profili) – determina, in ogni caso, l’infondatezza della pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistentericorrente che invoca il disposto degli artt. 12 e 16 del contratto, a tenore dei quali il factor si obbligava a corrispondere l’importo dei crediti ceduti decorsi duecentodieci giorni dalla scadenza della fattura. Ciò in quanto la garanzia pro solvendo, alla luce dell’inadempimento del debitore, comportava il venire meno dei diritti patrimoniali del cedente; ma, anche a volere considerare, in via di ipotesi, vigente l’obbligo del factor di prestare la garanzia pro soluto, parimenti la ricorrente non aveva diritto ad ulteriori anticipazioni oltre quelle già percepite. Quanto al problema dell’insolvenza del debitore ceduto, molte delle affermazioni delle parti non sono sostenute da adeguata dimostrazione, mentre, in ogni caso, la documentazione prodotta non appare sufficientemente significativa per la valutazione della rispondenza al vero dei reciproci addebiti e della conseguente formulazione di un giudizio di responsabilità. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato concerne, poi, l’illegittimo addebito delle commissione previste a partire dal 7 maggio 2018fronte della concessione della garanzia pro soluto, la banca resistente non ha riconosciuto l’errore e ha dichiarato di avere provveduto al relativo riaccredito. Nelle repliche alle controdeduzioni, la ricorrente ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) circostanza che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contrattorealtà, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessionerisulta documentalmente provata dagli estratti conto prodotti dall’intermediario, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:non contestati dall’odierna istante.
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DIRITTO. Secondo La Commissione, preso atto della memoria di parte resistente di cui alle premesse in fatto, rileva in parte l’improcedibilità del ricorso per cessazione della materia del contendere quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi ai documenti inviati dall’amministrazione. Quanto ai dati contenuti nell’archivio dei rapporti finanziari, il ricorso deve essere accolto, in considerazione del fatto che viene in rilievo il cosiddetto accesso difensivo, vale a dire l’accesso preordinato all’acquisizione di risoluzione stragiudiziale delle controversie documenti la cui conoscenza è necessaria ai fini della cura e della difesa degli interessi giuridici dell’accedente, garantito dal comma 7 dell’art. 24 della legge n. 241/1990, avendo parte ricorrente dedotto ed allegato all’istanza di accesso documentazione inerente alla pendenza dinanzi al Tribunale di ….. del giudizio di separazione personale, iscritto al n. …../….., riunito al n. …../….. Ad avviso della Commissione l’accesso ai documenti amministrativi, previsto e tutelato dalla legge 241/90, deve essere consentito in materia presenza di operazioni un interesse diretto, concreto ed attuale in capo all’accedente e servizi bancari con riferimento ad una strumentalità tra l’interesse dedotto e finanziari la documentazione richiesta in ostensione - requisiti questi che devono dirsi entrambi sussistenti nel caso in esame - e può essere escluso solo nei casi previsti dalla legge. Deve pertanto conservarsi la possibilità per il privato di ricorrere agli ordinari strumenti offerti dalla L. n. 241 del 1990 per ottenere gli stessi dati che il giudice potrebbe intimare all'Amministrazione di consegnare. La Commissione sottolinea che con sentenza n. 6825 il Consiglio di Stato (Sez. IIIIV, § 403-12-2018) ha recentemente sostenuto che “tutte le informazioni risultanti dai documenti inseriti nell'archivio dei rapporti finanziari devono, pertanto, ritenersi pienamente accessibili per la tutela in giudizio delle proprie posizioni giuridiche, tanto più che si tratta di atti e documenti di fatto utilizzati dalla stessa Amministrazione finanziaria per l'esercizio delle proprie funzioni istituzionali (Cons. St., IV, 14 maggio 2014, n. 2472), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie”. Il ricorso introduttivo del presente giudizio Tale orientamento è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti confermato dal Consiglio di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rateStato, con la stessa periodicità prevista sentenza n. 5347/2019, nonché da ultimo dall’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le sentenze nn. 19,20 e 21 del 2020, senza necessità di ulteriori specificazioni, bastando l’indicazione della causa già pendente. La giurisprudenza è d’altronde ferma nel contratto oritenere che il controllo che l'amministrazione deve effettuare al fine della verifica dell'ostensibilità degli atti per la tutela giurisdizionale o per la cura di posizioni soggettive debba essere meramente estrinseco; infatti, tra le tante, il Consiglio di Stato, Sez. V, 30-08-2013, n. 4321 ha affermato che "Il limite di valutazione della P.A. sulla sussistenza di un interesse concreto, attuale e differenziato all'accesso agli atti della P.A. (che è pure il requisito di ammissibilità della relativa azione) si sostanzia nel solo giudizio estrinseco sull'esistenza di un legittimo e differenziato bisogno di conoscenza in mancanzacapo a chi richiede i documenti", in trentasei rate mensili»senza che l'amministrazione possa scendere nella valutazione intrinseca della effettiva utilità ai fini difensivi della documentazione richiesta (sul punto cfr. Inoltrealtresì Consiglio di Stato n. 461 del 29 gennaio 2014). In conclusione, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato Commissione ritiene di dare seguito al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata proprio costante orientamento e conseguentemente deve essere pertanto accolta. Al fine affermato il diritto della ricorrente ad ottenere l'accesso ai documenti in questione relativi al coniuge, detenuti dall'Agenzia delle entrate, senza necessità di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:integrazione documentale.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie Il Collegio osserva innanzitutto che è intervenuta in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIcessione del quinto, § 4)come è noto, la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue11/09/2019, causa C-383/18, che è stata chiamata a rispondere al seguente quesito del giudice del rinvio: «Gli articoli 1“se l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 [“Il consumatore ha il diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e 2i costi dovuti per la restante durata del contratto”] debba essere interpretato nel senso che il diritto ad una riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include anche i costi che non dipendono dalla durata del contratto”. Pare opportuno richiamare i fondamentali passaggi motivazionali della pronuncia della Corte e l’interpretazione dell’art.125 sexies TUB che, a seguito della suddetta sentenza, è stata offerta dal Collegio di Coordinamento di questo Arbitro con la recente decisione 11/12/2019 n. 26525. La Corte di Giustizia ha premesso che: - sul piano normativo il citato articolo 16 “letto alla luce del considerando 39 [della direttiva] prevede il diritto per il consumatore di procedere al rimborso anticipato del credito e di beneficiare di una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. Per quanto riguarda la nozione di «costo totale del credito», l’articolo 3, lettera bg), di detta direttiva la definisce come riguardante tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il soggetto concedente il credito è a conoscenza, escluse le spese notarili. Tale definizione non contiene dunque alcuna limitazione relativa alla durata del contratto di credito in questione”; - “…la direttiva 2008/48...mira a garantire un’elevata protezione del consumatore… Al fine di garantire tale protezione, l’articolo 22, paragrafo 3, della direttiva 93/13/CEE 2008/48 impone agli Stati membri di provvedere affinché le disposizioni da essi adottate ... non possano essere eluse attraverso particolari formulazioni dei contratti”. La CGUE ha osservato, fra l’altro, che: - “l’effettività del Consigliodiritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto”; - occorre infatti evitare “il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito”, riducendo “al minimo i costi dipendenti dalla durata del 5 aprile 1993contratto”; - è “molto difficile la determinazione, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto”; - “includere nella riduzione del costo totale del credito i consumatoricosti che non dipendono dalla durata del contratto non è idoneo a penalizzare in maniera sproporzionata il soggetto concedente il credito” poiché “l’articolo 16, devono paragrafo 2, della direttiva … prevede, a beneficio del mutuante, il diritto ad un indennizzo per gli eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito” e che “nel caso di un rimborso anticipato...il mutuante recupera in anticipo la somma data a prestito, sicché quest’ultima diventa disponibile per la conclusione…di un nuovo contratto di credito”. La Corte è pervenuta pertanto alle seguenti conclusioni: “occorre rispondere alla questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 deve essere interpretati interpretato nel senso che tale direttiva può essere applicata il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a un contratto carico del consumatore”. A seguito della suddetta sentenza, la Banca d’Italia, con le “linee orientative” oggetto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio comunicazione del 4/12/2019 - al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a “favorire un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale pronto allineamento al quadro delineatosi e non ha alcun collegamento di natura funzionale preservare la qualità delle relazioni con la suddetta società» clientela” - ha fornito il seguente “punto di riferimento per gli intermediari che offrono contratti di credito ai consumatori”: “Nel caso in cui il cliente eserciti il diritto al rimborso anticipato di finanziamenti…gli intermediari sono chiamati a determinare la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. Quanto ai costi...definiti...‘upfront’ il criterio di rimborso dovrà essere “proporzionale rispetto alla durata (CGUEad esempio, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiuntalineare oppure costo ammortizzato)”. Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, Nella menzionata decisione n. 26525/19 il Collegio di coordinamento Coordinamento, con riferimento alla sentenza della CGUE, ha enunciato i seguenti principi di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto seguediritto: «Nel - “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front”. - “Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una società commercialediversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, spetta al deve essere determinato in via integrativa dal Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. Quanto alle modalità di riduzione dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, costi istantanei il Collegio di coord.Coordinamento, decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016)dopo avere premesso (cfr. Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento motivazione) che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere “occorre depurare il documento contrattuale dalla inserzione della clausola che, ai fini del presente giudiziosia pure in modo implicito, abbia escluso la ricorrente abbia agito ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari, in qualità quanto contraria a norma imperativa…e perciò affetta da nullità (di consumatore; a ciò consegue la composizione protezione) rilevabile di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ufficio ai sensi degli artt. 1346 ss. 127 TUB e 1418 c.c.; dev’essere peraltro fatta salva ”, ha ritenuto in particolare che “il criterio preferibile per quantificare la volontà delle quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti contraenti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di pattuire riduzione progressiva (espressamente ovvero tacitamenterelativamente proporzionale appunto) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenzialeè stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.d. curva degli interessi), come desumibile dal piano di ammortamento”. In base Circa le conseguenze dell’interpretazione della Corte di Giustizia sui ricorsi ABF, già decisi o ancora pendenti, nella pronuncia n. 26525/19 si è precisato che: - “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. - “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Tutto ciò premesso, nel caso di specie la cliente risulta aver presentato in pari data un altro ricorso, avente ad oggetto lo stesso contratto e gli stessi oneri commissionali (prot. 111449/20). Tale ricorso è stato poi oggetto di rinuncia, e ciò consente l’esame da parte del Collegio del presente ricorso. La ricorrente ha proposto una domanda principale avente per oggetto la restituzione integrale delle commissioni di intermediazione, sul presupposto che il soggetto che ha sottoscritto il contratto di finanziamento in nome e per conto dell’intermediario fosse in effetti un mediatore creditizio (in violazione degli artt. 2 DPR 287/2000 e 128 sexies TUB. Sul punto si osserva che il contratto risulta sottoscritto in nome e per conto del finanziatore, da parte di un soggetto [A. S.r.l.], formalmente diverso dal soggetto giuridico che è indicato nel contratto come intermediario del credito a tale criteriocui è stato conferito l’incarico di mediazione [B S.p.A.]. Tale ultimo soggetto ha firmato per identificazione del cliente. Non risulta quindi prodotta in atti documentazione a supporto del fatto che il soggetto che ha sottoscritto il contratto di finanziamento in nome e per conto dell’intermediario fosse in effetti un mediatore creditizio. La cliente ha allegato infatti una visura riferita tuttavia all’intermediario finanziario a cui è stato conferito l’incarico di mediazione [B S.p.A.] e non al soggetto che ha sottoscritto il contratto. L’eventuale legame economico e di partecipazione, oltre a non esser stato provato, non integrerebbe di per sé una violazione del principio di terzietà del mediatore. Nel contratto di intermediazione sottoscritto con la cliente l’intermediario finanziario [B S.p.A.] assume un incarico di “mediazione creditizia”, nel quale figura non solo come “intermediario finanziario”, ma anche come “mediatore creditizio”. Ne consegue che la domanda di nullità della clausola di intermediazione, fondata sulla sottoscrizione del contratto, da parte di un mediatore, in nome e per conto del finanziatore, non risulta meritevole di accoglimento. Relativamente alla domanda subordinata di restituzione degli oneri pro quota, la cliente ha allegato un conteggio estintivo da quale risulta l’estinzione anticipata del finanziamento al 30/09/2017, con 73 rate scadute su 120, e un rimborso di commissioni di gestione per € 324,87. Ha allegato, altresì, la liberatoria che attesta l’avvenuta estinzione del prestito. I costi secondari del credito per cui vi è contestazione da parte della cliente sono i seguenti: “A) € 300,00 spese di istruttoria dovute per le prestazioni e gli oneri preliminari connessi alla concessione del prestito, quali esemplificativamente, l’istruttoria della pratica e l’esame della documentazione presentata”; Nelle condizioni contrattuali, per il caso di estinzione anticipata, è indubbio cheprevisto il rimborso della voce commissionale sub lett. C (“commissioni di gestione pratica”), ai fini per la quota non maturata, e il rimborso da parte della Compagnia di Assicurazioni dei premi assicurativi secondo quanto previsto dalle condizioni di polizza. In merito alla commissione di intermediazione, come già indicato si osserva che sul contratto di finanziamento si menziona un intermediario finanziario, [B S.p.A.], a cui risulta che la cliente abbia conferito incarico di intermediazione, per il compimento di attività prodromiche alla conclusione del presente giudiziofinanziamento. La cliente domanda la restituzione della quota non maturata dei seguenti oneri, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come calcolata secondo il criterio pro rata: - commissioni di attivazione (B), che secondo il consolidato orientamento dei Collegi hanno natura recurring in virtù della presenza dell’inciso “accessoriepassaggio ad altri enti pensionistici”. - commissioni di gestione (C), cosicché la loro nullità che secondo il consolidato orientamento dei Collegi hanno natura recurring (v. anche contratto, cui non si estende è allegato un piano di rimborso); - costi di intermediazione (G), che - secondo il consolidato orientamento dei Collegi - hanno natura up front, in quanto è agli atti il mandato conferito dal cliente al resto mediatore creditizio, con riferimento ad attività prodromiche alla conclusione del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sedeconcerne il premio assicurativo vita, si deve rilevare chel’intermediario ha prodotto la quantificazione del rimborso del premio pervenuto dalla compagnia, ove ma non le condizioni generali e il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’artmodulo di adesione sottoscritto dalla cliente. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso Secondo il costante orientamento interpretativo di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fattoquesto Arbitro, il quale può dunque considerarsi pacifico è stato ribadito nella decisione del Collegio di coordinamento n. 6167/2014, in forza del collegamento negoziale sussistente tra contratto di finanziamento e contratto di assicurazione l’intermediario-finanziatore è legittimato alla restituzione dei premi assicurativi già pagati dal cliente, ma non ancora maturati al giorno in cui egli rimborsa anticipatamente il finanziamento. Come precisato, da ultimo, dal Coll. di Xxxxxxxxxxxxx nella menzionata decisione n. 10003/2016, la determinazione dell’importo offerto in restituzione a opera dell’impresa di assicurazioni in applicazione di un criterio diverso da quello proporzionale è legittima, a condizione che il criterio di calcolo sia chiarito ex ante, condizione che non risulta si sia verificata nel caso di specie (con la conseguenza che anche agli oneri assicurativi si deve applicare il criterio pro rata temporis). Applicando ai fini costi recurring il criterio pro rata temporis ed ai costi up front il criterio equitativo applicato dal Collegio di Coordinamento (decisione n. 26525/19) e tenuto conto di eventuali restituzioni già intervenute in sede di estinzione, si ottiene il seguente risultato (riferito alla domanda subordinata): Numero di pagamenti all'anno 12 Quota di rimborso pro rata temporis 39,17% Data di inizio del presente giudizioprestito 01/07/2011 Quota di rimborso piano ammortamento - interessi 16,94% rate pagate 73 rate residue 47 Importi Natura onere Percentuale di rimborso Importo dovuto Rimborsi già effettuati Residuo Commissione di attivazione (B) 561,77 Recurring 39,17% 220,03 220,03 commissione di gestione (C) 1.024,91 Recurring 39,17% 401,42 324,87 76,55 Commissioni di intermediazione (G) 3.600,00 Upfront 16,94% 609,82 609,82 Premi assicurativi (E) 345,60 Recurring 39,17% 135,36 135,36 TOTALE: 1.041,76 L’importo totale dovuto è inferiore alla richiesta della cliente, in quanto quest’ultima ha richiesto l’applicazione del criterio pro rata temporis anche per la commissione di intermediazione. La banca resistente ricorrente ha tuttavia obiettato (domanda anche il pagamento degli interessi legali dal giorno dell’estinzione a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’artquello del rimborso. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessioneIn linea con il proprio consolidato orientamento, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî ritiene di diritto:dover riconoscere gli interessi legali sulle somme oggetto di rimborso dal reclamo al saldo (cfr. Collegio di Coordinamento, decisione n. 5304/13).
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DIRITTO. Secondo I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi connessi. La parte ricorrente G.A., con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di risoluzione stragiudiziale delle controversie punti decisivi della controversia in materia relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di operazioni prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e servizi bancari e finanziari la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (Sez. III, § 4quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la composizione dell’organo giudicante somma necessaria all'operazione di questo Arbitro L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è determinata dalla qualità soggettiva evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del ricorrentedanno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la quale risulta dubbia funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti pagamento di una società commerciale; rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si pone quindi potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatorecarrozziere della controparte. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso non concesso che tale direttiva può essere applicata a un contratto norma potesse trovare applicazione in tema di garanzia immobiliare o assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di fideiussione stipulato tra una persona fisica intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiuntatalune lettere). Con riguardo il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla fideiussione rilasciata cancellazione e ciò anche se a favore tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di una banca, il Collegio manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica incolpevolezza del loro avvocato (che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta pertanto avrebbe dovuto restare assolto al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito pari della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016compagnia assicuratrice). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento Peccato che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale tale ragionamento cozzasse con la società commerciale per statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la quale ha prestato situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la fideiussione di cui si trattaparte ricorrente denuncia "violazione dell'art. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 1917 c.c. (Cassart. 360 c.p.c., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 1419360 c.p.c., 1° comman. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) attivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, l'assicurato non può far nulla per evitare i danni che si sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Com’è Ben diversa, come già esposto (e per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato più ipotizzabile in generale chiarito diritto neppure in dottrinavia di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il riferimento che implica che egli era in grado di far giungere la situazione "... a ciò che le parti avrebbero voluto soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non è averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere quarto motivo la validità o invalidità del contrattoparte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c360 c.p.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una n. 5) per omessa valutazione di compatibilità documento in relazione ad un punto decisivo della modifica del contratto con la causa concreta controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di esso, dovendosi gestione della lite in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle partiquanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 1917 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere .. A parte il fatto che, qualora per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la nullità parziale Corte ha omesso di esaminare il documento 4 del contratto “a valle” riguardi fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole accessorie, esso resti valido d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenzialiquale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, esso astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia integralmente nullo, civile che penale a meno nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano previsti dalla legge strumenti da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per integrare un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua lacuna condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancarianche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non fossero state apposte espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato Giudice dell'appello (o almeno determinabileche in effetti non parla di detta clausola), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la volontà delle parti contraenti prima volta in sede di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contrattotratti di questioni rilevabili d'ufficio. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare chePertanto, ove il ricorrente faccia valere proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la nullità veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (parziale ovvero integrale) Cass. N. 05150 del contratto, dovrà a sua volta restituire 03/04/2003; v. tra le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguitesuccessive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; resta peraltro fermo che, secondo e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto statuito dall’artsopra esposto il ricorso va respinto. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «Non si deve provvedere sulle spese in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente intimata non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:svolto attività difensiva.
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DIRITTO. Secondo Sul gravame presentato dalla sig. la Commissione precisa preliminarmente che il ricorso deve dirsi inammissibile quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi alla richiesta di risoluzione stragiudiziale una pronuncia relativa alla decisione già resa nella seduta del ….., poichè la stessa non è dotata di poteri di ottemperanza, osservando per il resto quanto segue. La ricorrente in qualità di partecipante alle procedure di interpello di cui in oggetto ha diritto di accedere agli atti delle controversie relative procedure, vantando un interesse endoprocedimentale in materia tal senso, previsto e tutelato dagli artt. 7 e 10 della legge 241/’90. Nonostante la scelta della amministrazione avvenga non tramite “valutazione comparativa cui la pubblica amministrazione si è vincolata, ma essendo la scelta basata sulla sua discrezionalità” i partecipanti hanno diritto di operazioni accedere ai documenti delle relative procedure e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIdelle fasi alle quali hanno preso parte, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di speciedovendo l’agire della pubblica amministrazione essere sempre improntato al canone della trasparenza. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato deve dirsi pertanto fondato e meritevole di accoglimento con riferimento alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni documentazione di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019punti 1), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali 2), 3) e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese4) delle istanze presentate. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia Le richieste degli ulteriori documenti di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ai rimanenti punti delle istanze (dal 5 al 10) appaiono invece sovrabbondanti e/o non relative alle fasi procedimentali alle quali la richiedente ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’artpartecipato e quindi non sorrette dall’interesse endoprocedimentale. 2, 2° comma, lett. a), La richiesta della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, comunicazione dell’esclusione può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorsocon riferimento a quella relativa all’istante medesima. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, Quanto alla doglianza relativa alla mole dei documenti richiesti la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare Commissione ricorda che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) in attuazione del contrattoprincipio di buon andamento della P.A. ex art. 97 Cost, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso l’esercizio del diritto di nullità del contratto, il consumatore accesso non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate ostacolare l’ordinario svolgimento dell’attività della amministrazione acceduta e ha facoltà che pertanto quest’ultima ben può ricorrere ad una ostensione graduale e scaglionata della documentazione oggetto di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili»istanza. Inoltre, qualora i documenti richiesti siano soggetti ad obbligo di pubblicazione, l’amministrazione può soddisfare la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo richiesta ostensiva tramite l’invio all’istante dei relativi link di responsabilità extracontrattuale (Cassconsultazione sul sito istituzionale., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito La questione sottoposta all’attenzione del Collegio concerne la legittimità del comportamento tenuto dall’intermediario nella fase delle trattative funzionali al perfezionamento di un contratto di mutuo ipotecario; comportamento consistente nell’avere esitato la prevista istruttoria offrendo condizioni economiche diverse da quelle oggetto della richiesta di finanziamento da parte del cliente nonché – a detta del ricorrente – da quelle che la banca stessa avrebbe sulle prime prospettato alla controparte. Giova innanzitutto premettere come non sia ravvisabile, in capo all’intermediario, coinvolto in trattative prodromiche alla concessione di un finanziamento, alcun obbligo a contrarre, la conclusione o meno del contratto, al pari delle condizioni offerte alla controparte, rientrando nella piena sovranità negoziale del potenziale mutuante, senza che a nulla rilevi in senso contrario la sua veste istituzionale. Tale aspetto è stato a in più di una occasione affrontato e chiarito da questo Arbitro, ribadendosi come il pur necessario rispetto della normativa di settore non scalfisca l’autonomia del giudizio in merito alla convenienza di un’operazione creditizia ( cfr. Collegio di Coordinamento, decisione n. 6182/2013), di guisa da doversi ritenere non accoglibili istanze provenienti dai ricorrenti e dirette ad ottenere una pronuncia di tipo costitutivo di un rapporto di finanziamento, o anche solo di accertamento del corrispondente diritto nei confronti dell'intermediario resistente. Resta viceversa assodato il gravare, su entrambe le parti, del generale dovere di comportamento secondo buona fede ex art. 1337 c.c. nonché, sulla sola banca, del dovere di fornire al consumatore – già in sede di trattative - “chiarimenti adeguati”, nonché “doverosa assistenza”, come previsto dall'art. 124 T.U.B. e dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale della Banca d'Italia sulla “Trasparenza delle controversie in materia di operazioni e dei servizi bancari e finanziari finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”. Xxxxxx, nel caso in esame può certo dirsi circostanza acquisita quella dell’avvio, tra le parti, di trattative intese alla concessione di un mutuo ipotecario; il ricorrente allega, infatti, copia di diverse comunicazioni intercorse tra giugno e novembre 2016, tanto con l’intermediario resistente quanto con l’agente in attività finanziaria successivamente intervenuto, afferenti a plurime richieste di invio di documentazione (Seztra cui buste paga, visure catastali, ecc.). IIILo stesso ricorrente produce inoltre copia di email datate giugno 2016, § 4)contenenti espliciti riferimenti alla documentazione per l’istruttoria del mutuo, nonché email risalenti al luglio del medesimo anno, con le quali espressamente chiedeva delucidazioni su eventuali “problemi per l’erogazione del mutuo”, senza nondimeno ricevere – stando almeno a quanto risulta agli atti – alcun riscontro; la composizione dell’organo giudicante richiesta di questo Arbitro finanziamento risulta, invece, formalizzata in data 18.08.2016, ad inizio di ottobre 2016 l’immobile è determinata stato sottoposto a perizia per la stima del valore mentre solo in data 12.01.2017 si è avuta comunicazione al cliente circa la delibera di concessione del mutuo, ancorché senza dettaglio circa le condizioni proposte. Di più però, incontroversa essendo del pari la circostanza che l’intermediario solo in data 01.02.2017 abbia comunicato al ricorrente un prospetto di mutuo a tasso variabile, poi riscontrato negativamente dal cliente, gli è che non può con altrettanta certezza dirsi provata la previa prospettazione – da parte della banca - di determinate condizioni contrattuali successivamente rettificate in peius, in spregio del ragionevole affidamento ingenerato su di esse. Nessun riscontro vi è, in altri termini, circa termini negoziali originariamente offerti, sui quali il ricorrente possa avere legittimamente confidato, al punto da impostare di conseguenza le proprie condotte e le proprie relazioni con terzi. Quel che può riscontrarsi è semmai l’assenza, già nelle more delle trattative ma ancor più al termine dell’istruttoria, di adeguate interlocuzioni avviate dalla qualità soggettiva banca, volte ad illustrare al richiedente l’emergere delle criticità legate alla propria richiesta di concessione del ricorrentecredito; circostanza, questa ultima, la quale risulta dubbia stride con la prescrizione dettata dall’art 124, comma 5, T.U.B., secondo cui “Il finanziatore o l’intermediario del credito forniscono al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria (..) , ulteriormente arricchita di significato alla luce delle Comunicazioni della Banca d’Italia (Comunicazione del 22/10/2007 - Bollettino di Vigilanza n. 10 di ottobre 2007 e Comunicazione n. 993215 del 26/11/2012) che enfatizzano la pregnanza degli obblighi di assistenza al consumatore. Particolarmente la Comunicazione BdI dell’Ottobre 2007, al paragrafo 4.2.2.2, ribadisce la necessità che il finanziatore fornisca “al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle proprie esigenze” ; d’altra parte, la Comunicazione BdI del 2012 prescrive che sia dato sollecito riscontro alla richiesta presentata dal privato ed ancora, per il caso in cui l’intermediario decida di non accettarla, che, “anche al fine di salvaguardare la relazione con il cliente”, il medesimo soggetto verifichi “la possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non accogliere la richiesta di credito”. Ebbene, considerato che l’intermediario ha, nel caso di specie, di fatto rigettato la richiesta formulatagli dal cliente – mutuo ipotecario di € 125.000,00 a tasso fisso e della durata di 25 anni – ad essa facendo seguire una ben diversa proposta, dal privato ritenuta non conforme ai propri interessi, va detto come non solo significativo sia stato il lasso di tempo utilizzato per l’ultimazione dell’istruttoria (dall’agosto del 2016 al febbraio 2017) ma soprattutto come nessuno specifico chiarimento, nessuna adeguata delucidazione, risulti essere fornita al privato, in ordine ai termini regolamentari prospettatigli. Il ricorso introduttivo Tale condotta integra dunque, per quanto sopra detto, una deviazione dal canone comportamentale prescritto a carico dell’intermediario, foriera di potenziali danni riguardabili attraverso la lente dell’interesse negativo. Così, seppure la circostanza che, per stessa ammissione del presente giudizio ricorrente, rimanga ancora perfezionabile il contratto definitivo di compravendita rende la corrisposta caparra confirmatoria non annoverabile tra le poste di danno patite dal richiedente, poiché impregiudicata ne è allo stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di speciefunzione, non risulta agli atti altrettanto può dirsi per i costi della perizia, pari ad € 280,00 e sopportati dal ricorrente nella esclusiva prospettiva di un perfezionamento del procedimento mutuo alle condizioni richieste ed auspicate; non supportati da evidenze probatorie appaiono invece le “altre spese” che la il ricorrente abbia agito nell’àmbito lamenta di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione avere sostenuto e di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, parimenti chiede la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:rifusione
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi on il primo motivo del ricorso si denuncia viola- zione e falsa applicazione degli articoli 1326, 1328 e 1335 Codice civile in relazione agli arti- coli 112, 113, 115 e 116 Codice di risoluzione stragiudiziale procedura civile e 2697 Codice civile, nonché omessa, insufficiente o con- traddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Deduce il ricorrente che la corte di appel- lo non ha esaminato il diverso contenuto ed i diversi ef- fetti delle controversie in materia due lettere di operazioni revoca e servizi bancari di accettazione e finanziari non ha considerato che, a fronte della coincidenza delle date (Sez19 settembre 1987) della spedizione della prima e della ricezione della seconda, non vi era alcuna prova che l’ac- cettazione fosse pervenuta prima dell’invio della revoca. IIIL’onere della prova incombeva a chi aveva invocato la conclusione del contratto, § 4)ossia alla Ferretticasa, la composizione dell’organo giudicante qua- le avrebbe dovuto provare che esso Xxxxxxx, prima del- l’invio della revoca, fosse stato a conoscenza dell’accet- tazione. Comunque, tenuto conto della detta coinciden- za di questo Arbitro date, doveva essere svolta un’indagine per stabilire quale delle due posizioni fosse più tutelata e prevalente. Pertanto è determinata omissiva, insufficiente o contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata in relazione al punto secondo cui l’accettazione sarebbe pervenuta pri- ma della revoca. Il motivo non è fondato. Deve in via preliminare rilevarsi che è passato in giudi- cato il capo dell’impugnata sentenza con il quale è stata risolta la questione, dibattuta tra le parti nei giudizi di merito, relativa alla qualifica da attribuire alla proposta contenuta nell’atto sottoscritto dal Nespoli in data 13 maggio 1987, ossia se trattasi di proposta revocabile o ir- revocabile. Il giudice di secondo grado, contrariamente a quanto sostenuto dalla qualità soggettiva del ricorrenteFerretticasa nel giudizio di appel- lo, ha ritenuto revocabile la quale risulta dubbia nel detta proposta svolgendo in proposito specifiche argomentazioni avverso le quali la citata società, pur se risultata vittoriosa per altre ragioni, non ha sollevato censure a mezzo di apposito ricorso in- cidentale che avrebbe dovuto proporre, anche se in via condizionata, per ottenere sul punto una riforma della decisione della corte territoriale. La Ferretticasa si è in- vece limitata a chiedere la rettifica della motivazione della detta decisione «laddove contiene inesatte consi- derazioni giuridiche in tema di irrevocabilità della pro- posta». Al riguardo è appena il caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio osservare che il potere correttivo previsto dall’articolo 384 Codice di procedura civile non è stato infatti presentato esercitabile nella specie dovendo applicarsi ad un capo della sentenza coperto da una persona fisica, giudica- to e di cui si tratterebbe non di modificare e correggere la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti motivazione (in quanto errata) posta a base di una società commerciale; de- cisione (comunque esatta) ma di riformare la stessa solu- zione data ad una questione dibattuta tra le parti e non oggetto di specifica impugnativa. La questione relativa alla tempestività della revoca della proposta contrattuale al fine di impedire la conclusione del contratto - questione che consiste essenzialmente nell’accertare se il detto effetto impeditivo si pone quindi produca al- lorché la revoca della proposta sia stata emessa e tra- smessa prima che il problema proponente abbia avuto conoscenza dell’accettazione, ovvero se sia necessario all’indicato scopo che essa giunga a conoscenza della controparte prima di stabilire tale momento - è stata numerose volte affron- tata in giurisprudenza (anche se la ricorrente abbia agito in qualità non di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, recente) e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati risolta prevalentemente nel senso che tale direttiva la proposta può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni re- vocata finché il proponente non abbia conoscenza del- l’accettazione dell’altra parte e, quindi, prima che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile l’ac- cettazione pervenga al suo capitale sociale, recapito o se abbia agito per scopi al suo indirizzo: di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che conseguenza il proponente può impedire la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica conclusione del contratto con la causa concreta di essosola spedizione della revoca a pre- scindere dal momento in cui questa sia ricevuta dall’o- blato (tra le tante, dovendosi in definitiva accertare se sentenze 9 luglio 1981; 9 aprile 1981; 5 aprile 1976 n. 1198; 3 febbraio 1972 n. 282). La detta soluzione si basa essenzialmente su quanto di- sposto dall’articolo 1328 Codice civile che mentre con- sente la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del revoca della proposta «finché il contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso non sia integralmente nulloconcluso» - e, a meno norma dell’articolo 1326 Codice ci- vile, il contratto è concluso al momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’al- tra parte - prevede espressamente che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es.revoca dell’ac- cettazione deve giungere «a conoscenza del proponente prima dell’accettazione». Pertanto, secondo quanto prevede l’artaf- fermato nelle citate sentenze pronunciate in sede di le- gittimità, per la revoca della proposta vale la regola del- la «spedizione» e non quella della «ricezione» anche se la dichiarazione di revoca giunga all’oblato dopo il rice- vimento, da parte del proponente, dell’accettazione. 1474 c.c. a proposito Autorevole parte della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte dottrina ha però criticato il riferi- to orientamento giurisprudenziale rilevando che l’argo- mento letterale di cui al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo citato articolo 1328 Codice ci- vile - con riferimento alla specifica menzione sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato della possibilità che la domanda principale proposta venga revocata fino al mo- mento della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) conclusione del contratto, sia della neces- sità che la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore revoca dell’accettazione pervenga al propo- nente prima dell’accettazione - non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate ritenuto decisivo in quanto la detta previsione normativa deve essere valutata non isolatamente ma nel contesto com- plessivo della disciplina dettata dagli articoli 1334 e ha facoltà 1335 Codice civile in tema di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto oatti recettizi e, in mancanzapartico- lare, di proposta, accettazione e loro revoca. In proposi- to il primo dei citati articoli dispone che gli atti unilate- rali recettizi producono effetto dal momento in trentasei rate mensili». Inoltrecui per- vengono a conoscenza del destinatario, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda mentre il recesso dal contratto di fideiussione secon- do precisa che la ricorrente afferma proposta, l’accettazione e la loro revoca si reputano conosciute al momento in cui giungono al- l’indirizzo del destinatario. Alle dette obiezioni è stato replicato, da altra parte della dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018legittimità, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, sostenendo in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di dirittoparticolare:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La questione oggetto di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia controversia riguarda le conseguenze derivanti dall’assunto inadempimento di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un fornitura sul contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta)credito al consumo ad esso collegato. Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizioIn via principale, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma chiede l’accertamento della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche finanziamento ai sensi dell’art. 117 del TUB, per mancanza della sua sottoscrizione. In proposito si rileva che, diversamente da quanto sostenuto, al contratto (allegato agli atti dall’intermediario) è apposta la firma della Cliente, la quale, del resto, ne ha dato esecuzione pagando le relative rate per circa due anni. Quanto al disconoscimento della propria firma, si deve evidenziare che hanno partecipato tale eccezione non solo è formulata dalla Ricorrente solo in sede di repliche, ma che in ogni caso esula dalla cognizione di questo Arbitro, il quale non dispone dei necessari mezzi istruttori per accertare siffatta falsità, salvi i casi di alterazione grossolana e immediatamente rilevabile icu oculi, circostanza non ravvisabile nella specie (confrontando la sottoscrizione apposta al contratto e la firma della Cliente sul documento di identità allegato al ricorso). Accertata l’assenza di vizi di forma del contratto di finanziamento; evidenziato che nessun rilievo può assumere, ai fini della validità del contratto, la contestata mancata consegna del testo negoziale, oltretutto contraddetta dalle prove offerte dalla controparte, il Collegio è tenuto a verificare la sussistenza, nella specie, dei requisiti per l’operatività dell’art. 125 quinquies TUB, avendo la ricorrente denunciato l’inadempimento del fornitore e, quindi, chiesto, in via subordinata, la risoluzione del contratto di credito. L’Intermediario contesta, con riferimento a tale intesa domanda, la sua stessa legittimazione passiva, in quanto la pretesa della ricorrente si baserebbe sul collegamento fra il contratto di finanziamento, da un lato, e l’inadempimento di un suo clienterapporto di fornitura di energia, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente dall’altro, al quale lo stesso è palesemente infondata e deve essere pertanto respintadel tutto estraneo. Nel L’eccezione non trova fondamento in quanto la questione attiene all’applicabilità o meno al caso di specie dell’art. 125-quinquies TUB, il quale, in presenza di un credito al consumo caratterizzato dal collegamento negoziale, pone a carico del soggetto finanziatore il rischio dell’inadempimento di non scarsa importanza da parte del fornitore, consentendo al consumatore di liberarsi da ogni vincolo restitutorio nei confronti dello stesso. Venendo, quindi, al merito, si deve anzitutto premettere rilevare che se è vero, come da descrizione offerta dalla Ricorrente, che il fornitore le aveva proposto un “pacchetto unico”, composto sia dall’acquisto di due climatizzatori che dalla fornitura di energia e gas, è altrettanto vero che ciò non emerge dal contratto di finanziamento di € 11.000 in cui sono indicati come beni ai quali il prestito è finalizzato soltanto i climatizzatori e la pompa di calore, senza alcun riferimento all’erogazione del servizio di fornitura di energia elettrica e gas; anche la fattura rilasciata alla Cliente dalla società fornitrice per l’importo di € 11.000 segnala la sola fornitura e installazione del “climatizzatore”. I riferimenti alla fornitura di energia compaiono solo in altri documenti allegati dalla ricorrente, oltretutto dal carattere generico (uno reca le tariffe di una ipotetica fornitura di energia; l’altro è una lettera del 6.11.2018 con cui la E. & S. dà alla Cliente il benvenuto nella nuova fornitura di energia elettrica). Dai testi negoziali emerge, in definitiva, che oggetto della fornitura erano i soli climatizzatori e che, di conseguenza, il finanziamento era collegato soltanto al loro acquisto. In tale prospettiva è, quindi, evidente che nella specie non possano ravvisarsi gli estremi dell’inadempimento del fornitore, poiché la fornitura di energia elettrica e gas, cessata da aprile 2019, non rientrava nell’oggetto negoziale e non era quindi ricompresa nel finanziamento dell’intermediario. Dal momento che il fornitore sembra avere regolarmente adempiuto alla (unica) prestazione cui risultava contrattualmente tenuto, posto che la questione della validità ricorrente nulla eccepisce con riguardo alla consegna dei contratti stipulati “a valle” climatizzatori o alla esistenza di intese anticoncorrenziali eventuali difetti, non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990ravvisandosi gli estremi per poter applicare l’art. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale125 quinquies TUB, la quale il ricorso non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizioaccolto (nello stesso senso, si deve preliminarmente rilevare cheCollegio di Milano, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. adecisioni n. 5899/21 e n. 939/219), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La questione che questo Collegio deve affrontare per la soluzione del caso in esame riguarda gli effetti dell’inadempimento dell’obbligo di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia consegna del bene da parte del fornitore, quando sia stato contestualmente stipulato un contratto di operazioni finanziamento tra l’intermediario resistente e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del il ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore, finalizzato all’acquisto del bene medesimo. A tale propositoIn merito alla vicenda all’origine della presente vertenza, pare utile, ai fini della decisione, rammentare i seguenti aspetti: • non risulta contestato il fatto che il contratto sia stato stipulato (in data 31.5.2010 e dunque) prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 141/2010; • le parti non hanno prodotto il contratto, ma l’intermediario ha allegato alle proprie controdeduzioni unicamente talune clausole specificatamente approvate dal cliente, ai sensi degli art. 1341 e 1342 del codice civile; • il cliente ha allegato al ricorso le due lettere di xxxxxxx, ai sensi dell’art. 1454 del codice civile, inviate, rispettivamente, al fornitore cessato e al fornitore subentrato e poi fallito. Dette lettere sono datate 16.2.2011 e al ricorso non sono allegate le eventuali lettere di risposta; • come confermato dalla convenuta, tutte le rate, nel frattempo maturate, risultano pagate; • la Corte società fornitrice originaria è cessata a fine agosto 2010; • la società fornitrice dei beni (che è subentrata alla società che ha originariamente stipulato il contratto di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1fornitura dei beni) è stata dichiarata fallita con sentenza del 20.4.2011. Venendo ora all’esame del merito della controversia, paragrafo 1giova ricordare, com’è noto, che in ipotesi quale quella appena descritta, ci si trova in presenza di un mutuo di scopo, e 2cioè di un mutuo concesso esclusivamente per la finalità dedotta in contratto, lettera bovvero l’acquisto di un determinato bene che viene fornito dal venditore convenzionato con il finanziatore. L’operazione negoziale trilaterale prevede che l’ammontare del finanziamento sia versato direttamente al fornitore, che si impegna a consegnare il bene oggetto della fornitura, mentre il mutuatario-acquirente si obbliga alla restituzione rateale della somma oggetto del finanziamento. E’ dato ormai pacifico, sia in dottrina sia in giurisprudenza, che sussista un collegamento negoziale tra il contratto di finanziamento e il contratto di vendita del bene al mutuatario, con la conseguenza che i due distinti contratti (mutuo e compravendita), della direttiva 93/13/CEE del Consigliopur mantenendo la loro autonomia causale, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato appaiono tra una persona fisica e un ente creditizio loro coordinati al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a realizzare un contratto di creditorisultato economico unitario. Ora, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento può dubitarsi che la ricorrente abbia agito nell’àmbito ricorra il collegamento negoziale tra il contratto di una sua eventuale attività professionale ovvero fornitura di servizi ed il contratto di finanziamento, essendo pacifico che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto il secondo è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio proposto dal fornitore di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento servizi ed accettato dal ricorrente in occasione della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità stipulazione del contratto di fideiussione stipulato fornitura. Né può avere particolare rilievo che – come sostenuto dall’intermediario resistente per argomentare la propria istanza di rigetto delle domande formulate dal ricorrente – il rapporto tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa il fornitore e un suo clienteil finanziatore fosse o meno “esclusivo”, l’eccezione pregiudiziale sollevata in quanto, come già si è avuto modo di rilevare in altre occasioni, partendo dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere considerazione che la questione della validità dei contratti stipulati direttiva 102/87/CE e la conseguente normativa interna di attuazione hanno un intento volutamente protettivo nei confronti del consumatore, deve concludersi che “a valleil rapporto di esclusiva” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza tra fornitore e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate considerato un presupposto la cui mancanza determinerebbe una modifica in peius della posizione del consumatore, come la Sentenza della Corte di giustizia CE n. 509 del 2009 ha già chiaramente sancito. Più precisamente, questo Collegio ha già ribadito (cfr. Pronuncia n. 187 del 26.1.2011 e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà Pronuncia n. 917 del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni10.9.2010) che, in virtù anche quando art. 125 quinquies TUB non sia applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta all’origine della controversia, non può non tenersi conto che la norma citata rappresenta comunque il punto terminale di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento una evoluzione giuridica di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:cui non può non tenersi conto.
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DIRITTO. Secondo 1. La questione interpretativa rimessa al vaglio del Collegio si concentra, sostanzialmente, sul tema dell’applicabilità agli agenti in attività finanziaria del disposto di cui all’art.125- novies del T.U. bancario (d.lgs. n.385/1993), posto che nel contratto oggetto di ricorso risulterebbe questa la veste giuridica dell’intermediario del credito cui si riferiscono le contestate “commissioni” (o provvigioni). In questo senso, del resto, deve essere letta la domanda del ricorrente con riferimento all’asserita violazione della suddetta norma di legge, posto che la stessa si riferisce agli “intermediari del credito” e che nel contratto in esame l’intermediario del credito è indicato come “agente in attività finanziaria” (cfr. documento “Informazioni europee di base sul credito ai consumatori”, allegato al contratto, quadro 1 – identità e contatti del finanziatore/intermediario del credito). Appaiono invece in ogni caso esclusi da tale ambito applicativo i costi (Euro 1.246,44) riferibili all’attività prestata dalla società “mandataria”, rappresentante dell’ente finanziatore, non avendo quest’ultima assunto nel contratto la qualifica di “intermediario del credito”, come correttamente segnalato dal Collegio di Roma. Ciò premesso, si osserva che l’art. 125-novies prevede (al comma 2) che: “Il consumatore è informato dell'eventuale compenso da versare all'intermediario del credito per i suoi servizi. Il compenso è oggetto di accordo tra il consumatore e l'intermediario del credito su supporto cartaceo o altro supporto durevole prima della conclusione del contratto di credito”. Gli intermediari del credito, in forza dell’ art.121, comma 1, lett. h, sono definiti nella legge bancaria come segue: "”Intermediario del credito" indica gli agenti in attività finanziaria, i mediatori creditizi o qualsiasi altro soggetto, diverso dal finanziatore, che nell'esercizio della propria attività commerciale o professionale svolge, a fronte di un compenso in denaro o di altro vantaggio economico oggetto di pattuizione e nel rispetto delle riserve di attività previste dal Titolo VI-bis, almeno una delle seguenti attività: 1) presentazione o proposta di contratti di credito ovvero altre attività preparatorie in vista della conclusione di tali contratti; 2) conclusione di contratti di credito per conto del finanziatore”. Quindi, in via generale e astratta la norma in questione si rivolge anche agli agenti in attività finanziaria, in quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi intermediari del credito, come confermato dall’art.144, comma 5-bis del TUB, richiamato nell’Ordinanza del Collegio di risoluzione stragiudiziale Roma, che prevede: “Nel caso in cui l'intermediario mandante rilevi nel comportamento dell'agente in attività finanziaria ( … ) l'inosservanza degli obblighi previsti dall'articolo 125-novies ( … ) adotta immediate misure correttive e trasmette la documentazione relativa alle violazioni riscontrate, anche ai fini dell'applicazione dell'articolo 128-duodecies, all'Organismo di cui all'articolo 128-undecies”. Sennonché l’art. 125-novies va letto in combinato disposto con la norma di legge che regola specificamente l’attività di agenzia in attività finanziaria (art. 128-quater), nella quale è stabilito: - (comma 2) “L'esercizio professionale nei confronti del pubblico dell'attività di agente in attività finanziaria è riservato ai soggetti iscritti in un apposito elenco tenuto dall'Organismo previsto dall'articolo 128-undecies”. (comma 4)- Gli agenti in attività finanziaria svolgono la loro attività su mandato di un solo intermediario o di più intermediari appartenenti al medesimo gruppo (…)”. E’ prevista, in linea di principio, una “riserva di attività“ con riguardo all’agenzia in attività finanziaria, come espressamente confermato nel successivo comma 7 (“La riserva di attività prevista dal presente articolo non si applica agli agenti che prestano servizi di pagamento per conto di istituti di moneta elettronica o istituti di pagamento comunitari”.); inoltre la citata norma stabilisce che l’attività stessa è svolta (necessariamente) su mandato di uno o più intermediari. Il rapporto di mandato con l’ente finanziatore, che caratterizza per definizione l’attività dell’agente, porta ad escludere, a pena di un’insanabile incoerenza con il dettato normativo, che tale soggetto, nella fase precontrattuale, possa agire per conto del cliente e quindi che possa richiedere un compenso al cliente stesso per l’opera prestata prima della conclusione del contratto. Nel sistema operativo corrente, in effetti, la remunerazione è normalmente predeterminata nell’accordo che regola i rapporti fra agente e intermediario ed è da quest’ultimo corrisposta. Pertanto, in base al combinato disposto delle controversie su citate norme del T.U. bancario, il Collegio ritiene che la previsione di cui all’art.125-novies, comma 2, del TUB riguardante la pattuizione diretta del compenso con il cliente, non possa trovare applicazione nei confronti dell’attività di agenzia in materia di attività finanziaria. Tale conclusione è coerente con l’interpretazione espressa nelle disposizioni emanate dalla Banca d’Italia sulla “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari finanziari” (Sez. IIIVII, § 44.2.5- Ed. aggiornata al 2011), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini legge: “Nei casi in cui l’intermediario del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità credito può richiedere al consumatore il pagamento di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata un compenso per i suoi servizi (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare chemediazione creditizia), ai sensi dell’art. 33dell’articolo 125-novies, comma 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I T.U. il compenso è comunicato al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza consumatore e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinaleaccordo su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sedeprima della conclusione del contratto di credito. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia Ne consegue che il disposto di cui si è già dettoall’art.125-novies, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. comma 2, 2° commadel TUB trova piena applicazione nei confronti dei mediatori creditizi, letti quali, a differenza degli agenti, operano su incarico del cliente, cui conseguentemente possono chiedere il pagamento di una provvigione, ma non nei confronti degli agenti inattività finanziaria, posto che questi ultimi agiscono esclusivamente su mandato dell’ente finanziatore. a), della legge n. 287 La sicura riferibilità al rapporto cliente/mediatore del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di “compenso” cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli arttriferisce l’art. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 125-novies è del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi resto confermata dal disposto dell’art. 1418128-sexies, 1° commacomma 3-bis in cui - con riferimento alla nuova figura di mediatore creditizio, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate prevista nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 comma 2-bis, ult“che presta professionalmente in via esclusiva servizi di consulenza indipendente avente a oggetto la concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma” - precisa che: “Per queste attività è remunerato esclusivamente dal cliente” (i commi 2-bis e 3-bis sono stati inseriti dal d.lgs. comma21 aprile 2016, t.u.bn.70)., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La controversia ha ad oggetto la domanda di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sezrisoluzione, ex art. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio125-quinquies TUB, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare finanziamento sottoscritto con l’intermediario e collegato al contratto di acquisto di un’autovettura del 2016. L’art. 125-quinquies TUB, introdotto dal D.Lgs. 141/2010 in recepimento della Direttiva 2008/48/CE, riconosce in capo al consumatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto di prestito finalizzato, collegato ad altro contratto di fornitura di beni o servizi, al ricorrere delle seguenti condizioni: − che sia stata inutilmente effettuata la messa in mora del fornitore; − che l’inadempimento del fornitore possa qualificarsi come di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c. In presenza di tali presupposti, il finanziatore ha l’obbligo di rimborsare al fine consumatore le rate già pagate, mentre la risoluzione del contratto non comporta l’obbligo del cliente di garantire le obbligazioni rimborsare al finanziatore quanto versato al fornitore, che una società commerciale ha contratto dovrà essere ripetuto dall’intermediario nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016)del fornitore stesso. Nel caso di specie, il preteso inadempimento del venditore all’obbligo di eseguire la trascrizione dell’atto di acquisto al Pubblico Registro Automobilistico (PRA) non risulta agli atti del procedimento è stato provato. Invero, tale obbligo non può avere fonte legale, dato che la ricorrente abbia agito nell’àmbito legge lo accolla all’acquirente. Né una diversa regolamentazione pattizia emerge documentalmente, non potendosi attribuire valore di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale piena prova agli elementi emergenti dalla corrispondenza intrattenuta dall’acquirente con la società commerciale per la il titolare dell’agenzia di pratiche auto innanzi al quale il venditore ha prestato la fideiussione stipulato con il compratore l’atto di cui si trattavendita dell’autovettura. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò Ne consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione domanda della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale parte ricorrente non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cassaccolta., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo Il Collegio ritiene opportuno valutare preliminarmente la legittimazione passiva dell’intermediario convenuto rispetto alle domande formulate dal ricorrente. Il ricorrente chiede sia (a) “la risoluzione/cancellazione del contratto [di compravendita] per inadempienza del fornitore”, sia (b) “la risoluzione/cancellazione del contratto di finanziamento”. È con riguardo alla prima di tali domande – ossia la “risoluzione/cancellazione” del contratto di compravendita – che il Collegio ritiene non sussista la legittimazione passiva dell’intermediario convenuto, e ciò in quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi quest’ultimo non è parte del contratto di risoluzione stragiudiziale delle controversie compravendita, che è stato stipulato dal ricorrente con una società terza, non convenuta avanti all’ABF. Come osservato in materia alcune precedenti decisioni (Pronuncia n. 1270/2011) “l’intermediario convenuto non può essere legittimato passivo rispetto alla domanda di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIannullamento di un contratto di cui non è parte e, § 4)specularmente, la composizione dell’organo giudicante domanda di questo Arbitro annullamento non può essere nemmeno delibata in assenza della controparte contrattuale Quanto invece alla domanda di “risoluzione/cancellazione” del contratto di finanziamento, sussiste la legittimazione passiva in capo all’intermediario convenuto che è determinata parte del suddetto contratto. Con riferimento a tale domanda, inoltre, non merita accoglimento neppure l’eccezione sollevata dalla qualità soggettiva convenuta, che invoca una sorta di litisconsorzio necessario con la società venditrice, che tuttavia non trova alcun fondamento normativo. L’accertamento dell’inadempimento della società venditrice e della sussistenza dei presupposti per la risoluzione del ricorrentecontratto di compravendita costituisce questione pregiudiziale per la decisione del caso in esame, la quale risulta dubbia nel caso ma tale accertamento non fa ovviamente stato nei confronti della società venditrice. Passando al merito della domanda di specie. Il ricorso introduttivo “risoluzione/cancellazione” del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicacontratto di finanziamento, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti ai fini di una società commerciale; si pone quindi corretta decisione il problema Collegio ritiene di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito dover preliminarmente rilevare quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE (i) l’oggetto del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra compravendita consiste nell’“opera editoriale multimediale” e nelle “merci in abbinamento”, segnatamente una persona fisica TV 42” Samsung, un forno SMEG, un lettore DVD blu-ray, una PSP e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni 5 giochi per PSP; (ii) la clausola “AGG. GRATUITO” riportata nel contratto, diversamente da quanto sostenuto dall’intermediario convenuto, parrebbe voler includere nell’oggetto del contratto altresì l’aggiornamento dell’opera multimediale; (iii) dalla documentazione in atti emerge che una soltanto l’opera multimediale e la TV Samsung sono state effettivamente consegnate dalla società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta)venditrice. Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancaDate queste premesse, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali ritiene che la legano a tale societàmancata consegna del forno SMEG, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° commalettore DVD blu-ray, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità PSP e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019)5 giochi per PSP rappresenti un inadempimento grave della società venditrice alle proprie obbligazioni contrattuali, tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità da legittimare la risoluzione del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss1453 e 1455 cod. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) civ. Ciò tenuto conto del numero e del valore economico dei beni non consegnati, rispetto a quelli consegnati, ma soprattutto del fatto che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterioin simili offerte l’acquirente è indotto all’acquisto proprio dalla molteplicità dei beni che compongono l’offerta, per cui è indubbio ragionevole ritenere che, ai fini del presente giudizioin assenza dei beni non consegnati, le clausole specificamente contestate dalla il ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del avrebbe concluso il contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della Ciò detto, come dedotto dal ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale il Collegio ritiene che nel caso di specie trovi applicazione l’art. 125-quinquies del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo cheTUB, secondo quanto statuito dall’art. 125 biscui “Nei contratti di credito collegati, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità inadempimento da parte del contrattofornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile”. Il Collegio dichiara dunque risolto il contratto di finanziamento tra il ricorrente e l’intermediario convenuto, con il conseguente “obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato”, ai sensi del secondo comma del citato art. 125-quinquies TUB. Per completezza, il Collegio rileva che i diritti sanciti a favore del consumatore dall’art. 125-quinquies TUB possono essere fatti valere a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di esclusiva – che nel caso in esame non può essere tenuto a restituire più sussiste – tra il soggetto finanziatore e la società venditrice (Corte di Giustizia delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rateComunità Europee, con la stessa periodicità prevista nel contratto oI sezione, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass23 aprile 2009)., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIconsolidato orientamento, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specieestinzione anticipata, va restituita la quota delle commissioni e del premio assicurativo non maturata nel tempo. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicaDebbono, infatti, reputarsi contrarie a norma imperativa le condizioni contrattuali che stabiliscono la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati non ripetibilità tout court dei costi applicati al contratto nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialeestinzione anticipata (cfr., spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABFex multis, Collegio di coord.Milano, decisione n. 5368 dell’8 giugno 20162055/12; Collegio di Roma, n. 1121/12; Collegio di Napoli, n. 1858/12). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si trattaL’art. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33125, 2° comma, della legge D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 287 del 1990 385, (e successive modificazioniDisposizioni varie a tutela dei consumatori), prevedeva che “le sezioni specializzate facoltà di adempiere in materia d’impresa sono esclusivamente competenti via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità spettano unicamente al consumatore senza possibilità di patto contrario. Se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, ha diritto a un'equa riduzione del costo complessivo del credito, secondo le modalità stabilite dal CICR”. Su questa linea, l’art. 125-sexies TUB, introdotto dal D.lgs. n. 141/2010, dispone che “il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso, il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per «le azioni la vita residua del contratto”. Nello stesso senso, con Comunicazione del Governatore della Banca d’Italia del 10 novembre 2009, si dispone che in caso di nullità estinzione anticipata del mutuo “l’intermediario dovrà restituire, nel caso in cui tutti gli oneri relativi al contratto siano stati pagati anticipatamente dal consumatore, la relativa quota non maturata”. Tale disciplina attua l’art. 8 della direttiva 87/102/CEE, ai sensi del quale "il consumatore deve avere la facoltà di adempiere in via anticipata agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito" e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza "in relazione alla violazione conformità delle disposizioni degli stati membri, egli deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito". La ratio di cui ai titoli tale norma a tutela del consumatore è stata ribadita dalla Direttiva 2008/48/CE del 23.4.2008, recentemente recepita dal I D.Lgs. n. 141/2010, per i contratti di credito al IV»consumo, che sostituisce la norma comunitaria dell’87. Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro Quanto alla restituzione dei premi assicurativi, viene in rilievo l’accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008 (ad es., nella già citata decisione del Collegio ‘Linee guida per le polizze assicurative connesse a mutui e altri contratti di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019finanziamento’), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna in base al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati quale: “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del caso in cui il contratto di fideiussione stipulato tra mutuo o di finanziamento venga estinto anticipatamente rispetto all’iniziale durata contrattuale, ed esso sia assistito da una delle banche che hanno partecipato copertura assicurativa collocata dal soggetto mutuante ed il cui premio sia stato pagato anticipatamente in soluzione unica ..., il soggetto mutuante restituisce al cliente – sia nel caso in cui il pagamento del premio sia stato anticipato dal mutuante sia nel caso in cui sia stato effettuato direttamente dal cliente nei confronti dell’assicuratore – la parte di premio pagato relativo al periodo residuo per il quale il rischio è cessato”. Su questa linea, l’art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010 prevede che; “nei contratti di assicurazione connessi a tale intesa mutui e ad altri finanziamenti per i quali sia stato corrisposto un suo clientepremio unico il cui onere è sostenuto dal debitore/assicurato le imprese, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel meritonel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, si deve anzitutto premettere che restituiscono al debitore/assicurato la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” parte di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza calcolata per il premio puro in funzione degli anni e costituisce oggetto frazione di un’accesa anno mancanti alla scadenza della copertura nonché del capitale assicurato residuo; per i caricamenti in proporzione agli anni e sfaccettata discussione dottrinalefrazione di anno mancanti alla scadenza della copertura. Le condizioni di assicurazione indicano i criteri e le modalità per la definizione del rimborso. Le imprese possono trattenere dall’importo dovuto le spese amministrative effettivamente sostenute per l’emissione del contratto e per il rimborso del premio, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio condizione che le clausole contrattuali stesse siano indicate nella proposta, nella polizza ovvero nel modulo di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale adesione alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.xcopertura assicurativa”., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo Per quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi concerne la contestazione dell’intermediario circa la qualifica del ricorrente come consumatore, si osserva che la presente controversia verte sull’accertamento della nullità di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti omnibus rilasciata a garanzia delle obbligazioni di una società commerciale; si pone quindi il problema cooperativa di stabilire se cui la parte ricorrente abbia agito risultava socia. Secondo le affermazioni di parte ricorrente, tale società era stata costituita dai promissari acquirenti di immobili in qualità di consumatore. A tale propositocostruzione, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base ottenerne l’assegnazione a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta)seguito del fallimento del costruttore. Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, In proposito il Collegio di coordinamento di questo Arbitro Xxxxxxxxxxxxx, nella decisione n. 5368/2016 ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel stabilito che “nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» ”. Nella fattispecie allora esaminata, il Collegio ha rilevato che “non risultano agli atti elementi tali da indurre a contestare l’esposizione del ricorrente, che come anticipato si è autoqualificato come “consumatore”. Non emerge il possesso al momento del rilascio della garanzia di una partecipazione non trascurabile al capitale della società, oppure l’assunzione di cariche sociali. Al contrario, la natura di cooperativa edilizia della società garantita e le finalità stesse della garanzia (ABFagevolare la concessione di un finanziamento alla società per la realizzazione degli immobili programmati) lascia ipotizzare che il garante non sia stato mosso esclusivamente da favor societatis ma anche dall’interesse mutualistico a diventare proprietario di un immobile. Più di recente, il Collegio di coord., Coordinamento ha ribadito tali principi (decisione n. 5368 dell’8 giugno 201614555/20), richiamando il proprio precedente del 2016 e l’ordinanza della Corte di Giustizia UE del 19 novembre 2015 nella causa C-74/15. Nel In tal senso va anche il recente intervento della Suprema Corte (ord. 742/2020) che ha considerato consumatore “il fideiussore persona fisica che, pur svolgendo una propria attività professionale (a anche più attività professionali), stipuli il contratto di garanzia per finalità non inerenti allo svolgimento di tale attività, bensì estranee alla stessa, nel senso che si tratti di atto non espressivo di questa, né strettamente funzionale al suo svolgimento (c.d. atti strumentali in senso proprio)”. Orbene, nel caso di specie, risulta in atti copia della visura della società cooperativa aggiornata al 17/07/2020, dalla quale non risulta agli atti possono desumere gli indici presuntivi della qualifica di “non consumatore” indicati dal Collegio di Coordinamento (“l’amministrazione” della società o “una partecipazione non trascurabile alla società”). La ricorrente non è infatti amministratrice della società; i soci di quest’ultima sono 47. Ne deriva in conclusione che parte ricorrente può effettivamente essere considerata alla stregua di un consumatore. Tanto precisato, l’intermediario, sebbene non abbia formulato una specifica eccezione di inammissibilità del procedimento che ricorso per incompetenza ratione materiae dell’ABF, ha poi richiamato, nelle proprie controdeduzioni, un orientamento del Collegio di Bologna, espresso nella decisione n. 18418/2019, secondo cui la ricorrente abbia agito nell’àmbito domanda di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale nullità della fideiussione per violazione della normativa antitrust esulerebbe dalla competenza ratione materiae dell’ABF. Sulla questione è intervenuto il Collegio di Coordinamento, con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra espostidecisione n. 14555/20, si deve pertanto ritenere rilevando che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, : “ … ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione La posizione del Collegio di MilanoCoordinamento è stata avallata dalle più recenti decisioni assunte dai Collegi ABF: ex multis Collegio di Bologna, n. 16588 del 4 luglio 201917928/2021e Collegio di Bari n. 13895/2021. L’eccezione è dunque infondata. Infine, in merito all’eccepita genericità delle richieste di parte ricorrente, si rammenta che nel procedimento ABF “il ricorrente è tenuto a formulare una domanda che sia articolata nel petitum (il provvedimento o il bene della vita richiesto) e nella causa petendi (la situazione giuridica giustificatrice della domanda) e a produrre la documentazione dimostrativa” (cfr. Collegio di Coordinamento con la decisione n. 10929/16), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande potendo, al più, ribadire e puntualizzare, in sede di accertamento repliche, la domanda già formulata in sede di ricorso, non essendo ammessa una mutatio libelli (cfr. Collegio di Bologna, n. 21459/2021; Collegio di Torino, n. 4374/2020; Collegio di Roma, decisione n. 4821/2019, Collegio di Milano n. 20926/2021). Orbene, nel caso di specie, la parte ricorrente, in sede di ricorso, chiede l’accertamento della nullità della fideiussione, lamentando che la mancata concessione del mutuo da parte della banca le avrebbe precluso di intese anticoncorrenziali riacquistare l’immobile oggetto di contratto preliminare di compravendita. In sede di reclamo, l’odierna ricorrente rilevava unicamente la nullità della fideiussione “alla luce della ormai unanime giurisprudenza della cassazione” e lamentava di condanna al conseguente risarcimento non essere riuscita ad acquistare l’immobile a causa della mancata concessione del dannofinanziamento. L’intermediario riscontrava il reclamo, ma non alle domande interpretando il riferimento all’“ormai unanime giurisprudenza della cassazione” come richiamo agli orientamenti giurisprudenziali in tema di accertamento della nullità dei contratti stipulati di fideiussione che riproducono le clausole del modello ABI ritenute lesive della libertà di concorrenza. Orbene, in sede di ricorso, parte ricorrente non ha fornito alcuna precisazione in merito alle ragioni del fondamento della nullità. È soltanto nelle memorie di replica che la parte ricorrente ha fornito precisazioni in ordine alle cause di nullità della fideiussione: Orbene, tenuto conto che la mancanza di causa, quale ragione di nullità, è stata contestata unicamente in sede di repliche. Il Collegio ritiene pertanto che essa non sia ammissibile in quanto tardiva – siccome non presente nel reclamo, generico, né nel ricorso, del pari inidoneo a fornire delucidazioni in merito, malgrado la chiara presa di posizione dell’intermediario unicamente con riferimento alla nullità di cui al precedente punto 1) – e non possa essere presa in considerazione ai fini del decidere. Per quanto concerne invece il primo motivo di asserita nullità del contratto, si rammenta che con il Provvedimento n. 55 del 2.5.2005, la Banca d’Italia ha disposto che “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo gli articoli 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI per la fideiussione a garanzia delle operazioni bancarie (fideiussione omnibus) contengono disposizioni che, nella misura in cui vengano applicate in modo uniforme, sono in contrasto con l’articolo 2, comma 2, lettera a), della legge n. 287/90”. Si riportano, di seguito, le clausole contrattuali in questione: Analizzando il testo della fideiussione oggetto di ricorso emerge che gli artt. 2, c.1, 6 c. 1, e 9 c. 1. riproducono sostanzialmente le clausole di cui agli artt. 8, 2, e 6 del modello predisposto dall’ABI: In materia, ma il Collegio di Coordinamento, con decisione n. 14555 del 19.08.20 ha enunciato i seguenti principi di diritto: «1. Qualora un contratto riproduca uniformemente i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni contrattuali che un’intesa anticoncorrenziale ha fissato in precedenza, le relative clausole contrattuali sono nulle. Si riporta, di seguito, uno stralcio della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. motivazione: «Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, cosìXxxxxx, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte riferimento al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, si evidenzia che la parte ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda afferma che il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accoltaassoggettato alla sanzione della nullità totale “perché la gravità delle violazioni in esame, – che incidono pesantemente sulla posizione del garante, aggravandola in modo significativo […] ben giustifica che sia sanzionato l’intero agire dei responsabili di quelle violazioni”. Al Non ha di contro fornito specifici elementi atti a dimostrare il carattere essenziale delle anzidette clausole. Il Collegio ritiene in conseguenza che debba essere dichiarata la nullità parziale delle sole clausole della fideiussione prese in esame e che non osti a tal fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessionela domanda formulata, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:avente ad oggetto la nullità integrale (cfr. Coll. Milano, decisione n. 6498/21; Coll. Bologna, decisione n. 4935/21; Coll. Napoli, decisione n. 19916/20).
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La controversia sottoposta all’esame del Collegio verte sulla ormai nota questione del mancato rimborso da parte dell’intermediario dell’importo della quota non maturata delle commissioni bancarie e finanziarie nonché degli oneri assicurativi corrisposti in occasione della stipulazione di risoluzione stragiudiziale delle controversie contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio e con delegazione di pagamento, a seguito dell’estinzione anticipata degli stessi contratti. In via preliminare il Collegio è tenuto ad esaminare l’eccezione relativa al valore liberatorio della quietanza sottoscritta dal ricorrente in materia sede di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIestinzione del contratto di finanziamento; sul punto, § 4), la composizione dell’organo giudicante il Collegio di questo Arbitro Coordinamento si è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, pronunciato nella seduta del 5 aprile 19932017 con la decisione n. 8827/2017, concernente in occasione della quale ha affermato che: “Ad avviso del Collegio, all’atto di quietanza sottoscritto dal ricorrente non può essere ricondotta l’efficacia preclusiva propria dei negozi rinunciativi o transattivi. La quietanza liberatoria sottoscritta dal ricorrente relativamente al contratto in esame ha contenuto analogo a quella rispetto alla quale si è pronunciato il Collegio di Coordinamento per cui in ossequio a tale pronuncia, questo Collegio ritiene che la quietanza sottoscritta dal ricorrente non abbia valore liberatorio sicché le clausole abusive nei contratti stipulati domande formulate dal ricorrente possono essere esaminate nel merito. Il Collegio richiama il costante orientamento dell’ABF secondo il quale, in caso di estinzione anticipata del prestito contro cessione del quinto della retribuzione/pensione / con delegazione di pagamento: (a) sono rimborsabili, per la parte non maturata, le commissioni bancarie (comunque denominate) così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote; (b) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare viene stabilito secondo un criterio proporzionale ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è tenuto al rimborso a favore del cliente di tutte le suddette voci, incluso il premio assicurativo (v. Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014). Il Collegio richiama, altresì, come il Collegio di Coordinamento, successivamente, abbia espresso i consumatoriseguenti princìpi generali: (a) l’art. 125-sexies t.u.b. è una norma imperativa che esplicita un criterio di competenza economica non derogabile; (b) di conseguenza, devono essere interpretati «il ricorso all’autonomia negoziale non può spingersi fino ad escludere ex ante – attraverso la negoziazione di un criterio di rimborso alternativo a quello pro rata temporis – il rimborso di costi versati dal cliente e dovuti per attività o prestazioni non erogate per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento»; (c) fermo restando quanto precede, nonché la ribadita esigenza di una chiara distinzione tra costi up front e costi recurring, l’autonomia negoziale delle parti può esplicarsi nella individuazione del criterio di maturazione dei costi definiti come recurring, nel senso che tale direttiva maturazione può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare «avere uno sviluppo non strettamente lineare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio proporzionale»; (d) quando ciò avviene, anche il rimborso dovuto al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente soggetto finanziato in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale estinzione anticipata può – coerentemente – seguire il criterio adottato per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione maturazione dei principî sopra esposticosti recurring, si deve pertanto ritenere cheossia può risultare «non strettamente lineare o proporzionale (come normalmente avviene)»; (e) in conclusione, ai fini del presente giudiziodunque, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni parti sono libere di nullità determinare i futuri costi recurring e di risarcimento la loro distribuzione nel corso del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del dannotempo, ma non alle domande la quota di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce quei costi oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «rimborso in caso di nullità estinzione anticipata del contrattofinanziamento, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto ocui determinazione è, in mancanzaogni caso, in trentasei rate mensili»regolata dal principio di competenza economica, da intendersi quale criterio legale di rimborso ex art. Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale 125-sexies TUB» (Cassdecisione n. 10035/2016)., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La questione dianzi riassunta e sottoposta alla decisione di risoluzione stragiudiziale questo Collegio rientra in ipotesi disciplinata dall’art. 125 quinquies del testo unico delle controversie leggi in materia bancaria e creditizia – TUB (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385) a norma del quale “1. Nei contratti di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIcredito collegati, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel in caso di specie. Il ricorso introduttivo inadempimento da parte del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicafornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la quale costituzione in mora del fornitore, ha rilasciato diritto alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE risoluzione del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile. 2. La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha agito per scopi il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso. …”. Il dettato della norma evoca, affinché possa pronunciarsi la risoluzione del contratto di credito al consumo, la necessaria ricorrenza, oltre che esulano dalla sua attività professionale e dell’avvenuta messa in mora del fornitore, della condizione di cui all’art. 1455 cod. civ. (ai sensi del quale “Il contratto non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore si può risolvere se l'inadempimento di una bancadelle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”) ossia la gravità dell’inadempimento. In proposito, può dirsi che certamente ricorre la prima delle condizioni richieste, poiché il Collegio ricorrente ha dato prova di coordinamento aver inutilmente messo in mora il debitore. Riguardo alla seconda condizione richiesta - ossia l’accertamento circa la gravità dell’inadempimento ed anzi ancor prima l’accertamento circa la stessa ricorrenza di un inadempimento del fornitore - deve ricordarsi che la natura strettamente documentale del procedimento che si svolge innanzi a questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso implica che sia preclusa l’esperibilità di una persona fisica mezzi istruttori quali, per tutti, la Consulenza Tecnica. Ne consegue che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni ai fini della pronuncia sulla risoluzione del contratto di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che finanziamento la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta gravità dell’inadempimento del fornitore deve essere agevolmente rilevabile dai documenti versati agli atti del procedimento che e quindi la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale ricorrenza delle condizioni per la quale ha prestato la fideiussione risoluzione del collegato contratto di cui si trattafornitura. Facendo applicazione dei principî sopra espostiIn proposito vi è da osservare che è tutt’altro che chiaramente dimostrato, si deve pertanto ritenere che, ai fini nell’ambito del presente giudizioprocedimento, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 l’inadempimento del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad esfornitore., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo La controversia ha ad oggetto il riconoscimento del diritto della parte ricorrente alla restituzione di parte dei costi del finanziamento, a seguito della avvenuta estinzione anticipata di quest’ultimo rispetto al termine convenzionalmente pattuito, dalla quale deriva, come previsto dall’articolo 125-sexies del TUB, il diritto del soggetto finanziato ad ottenere una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”. La consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, ha affermato fino ad oggi che la concreta applicazione del principio di risoluzione stragiudiziale equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle controversie sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in materia favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di operazioni contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e servizi bancari e finanziari prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (Sezcc.dd. III, § 4up front), la composizione dell’organo giudicante . Si è ugualmente consolidato l’orientamento per il quale il criterio di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel calcolo della somma corrispondente alla “riduzione” dei costi retrocedibili in caso di specieestinzione anticipata deve essere individuato nel metodo proporzionale puro, comunemente denominato pro rata temporis. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, In questo quadro interpretativo si inserisce la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la recente decisione 11 settembre 2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e la successiva decisione 11 dicembre 2019 del Collegio di Coordinamento di questo ABF. Con domanda di pronuncia pregiudiziale in base all’articolo 267 TFUE il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e 2del Consiglio del 23 aprile 2008 sui contratti dei consumatori, lettera b), della direttiva 93/13/che ha abrogato la precedente Direttiva 87/102 CEE del Consiglio, ed in particolare di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso egli ha diritto ad una riduzione del 5 aprile 1993costo totale del credito, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti i costi del credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto. La Corte Europea, con i consumatorila già ricordata sentenza 11 settembre 2019, devono (c.d. sentenza LEXITOR), ha fornito risposta a tale quesito affermando che l’articolo 16 della Direttiva deve essere interpretati interpretato nel senso che tale direttiva può “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo ABF, investito della questione dal Collegio di Palermo con ordinanza del 16 settembre 2019 in relazione alle conseguenze della citata sentenza della CGUE sulla rimborsabilità dei costi non continuativi (c.d. up front), accogliendo parzialmente il ricorso, con decisione dell’11 dicembre 2019, ha enunciato il seguente principio di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere applicata a un contratto interpretato nel senso che, in caso di garanzia immobiliare o estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire tutte le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di componenti del costo totale del credito, quando tale persona fisica ha agito compresi i costi up front”. “Il criterio applicabile per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUEriduzione dei costi istantanei, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore in mancanza di una bancadiversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Quanto al criterio di riduzione dei costi, il Collegio di coordinamento afferma in primo luogo la nullità di questo Arbitro ha ulteriormente precisato ogni clausola che, “…sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari…”, in quanto segue: «Nel caso contraria a norma imperativa, nullità rilevabile d’ufficio in base al disposto degli articoli 127 TUB e 1418 c.c., clausola da ritenersi sostituita automaticamente per il disposto dell’articolo 1419, comma 2, c.c. con la norma imperativa che, già al momento della conclusione del contratto, come si deve necessariamente concludere, per la natura dichiarativa della decisione LEXITOR, imponeva la restituzione anche dei costi up front. In secondo luogo, il Collegio di coordinamento, rilevato che, quanto alla riduzione dei costi diversi da quelli recurring, si è in presenza di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialelacuna del regolamento contrattuale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali osserva che la legano CGUE non impone al riguardo un criterio di riduzione comune ed unico per tutte le componenti, ma ha affermato che il metodo di calcolo utilizzabile “consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione della durata residua del contratto”, intendendo la “totalità” non “…come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo…”. Le parti, quindi, potranno “…declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre ad un principio di (relativa) proporzionalità…”. Tuttavia, se ciò non accada, spetterà al giudicante, sempre secondo il Collegio di coordinamento, il compito di integrare il regolamento contrattuale incompleto, e, non potendosi procedere a tale societàfine in via interpretativa, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione contenuto del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta né in base ad una disposizione normativa suppletiva, il Collegio afferma che i contraenti “…non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto resta che è colpita dalla nullità» il ricorso alla integrazione “giudiziale” secondo equità (art. 1419, 1° comma, art.1374 c.c.). Com’è stato più A questo punto il Collegio di coordinamento, premesso che spetterà ai singoli Collegi territoriali la valutazione dei casi concreti, passa alla decisione del merito del ricorso, in generale chiarito in dottrina, relazione al quale “…ritiene peraltro che il riferimento criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a ciò quello che le parti avrebbero voluto non è hanno previsto per il riferimento a un dato reale ma solo una congetturaconteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non la riduzione dei costi up front può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. stato utilizzato per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:gli interessi corrispettivi
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DIRITTO. Secondo Il Collegio è chiamato preliminarmente ad esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto. Sul punto occorre rilevare, in primo luogo, che il reclamo della parte ricorrente è stato indirizzato all’intermediario non convenuto con il quale è stato stipulato il contratto di pegno oggetto della controversia. Tale reclamo, tuttavia, è stato riscontrato, come emerge dagli atti versati nel procedimento, dall’intermediario convenuto che, peraltro, sul punto nulla ha rilevato. È evidente, pertanto, che tale circostanza abbia ingenerato una situazione di apparenza con conseguente affidamento della parte ricorrente sulla circostanza che il soggetto legittimato passivo del ricorso fosse l’intermediario che, pur non essendo il destinatario del reclamo, aveva dato a questo riscontro. A ciò si aggiunga, per un verso, l’appartenenza di entrambi i soggetti al medesimo gruppo bancario; per altro verso, il collegamento funzionale corrente tra il contratto di leasing garantito e quello di concessione del pegno; per altro verso ancora, la natura del procedimento dinanzi all’ABF. L’eccezione di difetto di legittimazione passiva, quindi, non merita accoglimento. Venendo al merito della controversia, il Collegio reputa opportuno muovere dal dato testuale del contratto costitutivo di pegno su titoli e, segnatamente, dall’art. 6 che sotto la rubrica “Realizzazione del pegno” dispone che “[…] In caso di inadempimento delle obbligazioni garantite [l’intermediario garantito], senza pregiudizi per qualsiasi altro suo diritto od azione, può far vendere, con preavviso, dato in forma scritta, di 3 giorni – anche ove il costituente sia un soggetto diverso dal debitore – in tutto o in parte ed anche in più riprese, con o senza incanto, i titoli costituiti in pegno a mezzo intermediari autorizzati o di altra persona autorizzata a tali atti, ovvero, in mancanza, di ufficiale giudiziario. […] sul prezzo netto ricavato [l’intermediario garantito] si rimborsa di ogni suo credito per capitale, interessi, spese, imposte, tasse e ogni altro accessorio, sempre fermo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie disposto dall’art. 6 […]”. Ebbene, facendo corretto uso dei canoni ermeneutici in materia di operazioni contrattuale codificati dagli artt. 1362 ss. cod. civ. e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIvalorizzando non solo il testo, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva ma anche il contesto del ricorrente, la quale risulta dubbia dato negoziale non pare corretto attingere alla conclusione che nel caso di speciespecie sia configurabile un patto commissorio e, conseguentemente, se ne debba affermare la sua invalidità. Il ricorso introduttivo È ormai consolidato l’orientamento della giustizia ordinaria e dell’ABF secondo il quale il divieto di patto commissorio trova principale fondamento nell’esigenza di tutelare il debitore da eccessive pressioni del presente giudizio è stato infatti presentato creditore, come avviene ogni volta in cui il trasferimento del bene sia rimesso alla discrezionalità di questi, in particolare per quanto concerne l’entità del corrispettivo, senza assicurare la necessaria proporzionalità tra il valore del bene così costituito in garanzia e l’ammontare del credito garantito. La giurisprudenza è, inoltre, ferma nel ritenere nullo qualsiasi negozio, quale che ne sia la forma, che venga impiegato per conseguire il risultato dell’illecita coercizione del debitore da una persona fisicaparte del creditore, come accade ogni volta in cui sia ravvisabile un nesso funzionale diretto tra l’obbligazione garantita e il negozio stesso, mentre, come ugualmente noto, non integra il divieto di cui all’art. 2744 cod. civ. l’analogo accordo in cui sia però incluso il c.d. “patto marciano”, in forza del quale la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale propositovendita del bene, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire soddisfare il creditore, deve effettuarsi al valore stimato da un terzo scelto di comune accordo tra le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti parti e con obbligo di detto ente in base a un contratto di creditoversamento dell’eventuale eccedenza al soggetto (già) debitore (cfr., quando tale persona fisica ha agito tra le tante, Xxxx. 9 maggio 2013 n. 10986 e, per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABFgiurisprudenza dell’ABF, Collegio di coord.Roma, decisione n. 5368 dell’8 giugno 20163724/2013). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistenteprimo luogo, si deve rilevare che il contenuto di significato del dato negoziale deve essere ricostruito nel senso che in caso di escussione del pegno la vendita dei titoli debba essere eseguita con modalità che precludono di configurare la diretta acquisizione della loro titolarità in capo al creditore garantito e, soprattutto, permettono al debitore di ottenere l’eventuale residuo del ricavato dopo la soddisfazione delle ragioni creditorie. A ciò si aggiunga che non vi è alcuna sproporzione tra il valore dei titoli concessi in pegno e il credito garantito che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel meritoanzi, si deve anzitutto premettere presenta, originariamente, di importo inferiore a quello della garanzia. Neppure condivisibile è l’argomento della parte ricorrente che, focalizzando l’attenzione solo sulla frase “può far vendere”, inferisce da ciò la conclusione che le modalità di vendita dei titoli descritte dal contratto siano alternative all’acquisizione diretta degli stessi da parte del creditore e che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” scelta sia rimessa alla discrezionalità di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990quest’ultimo. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinalePiuttosto, coglie nel segno la ricostruzione semantica dell’intermediario resistente che vi individua, semplicemente, la quale possibilità o meno di escutere la garanzia; come, peraltro, avvenuto nel caso di specie in cui, nonostante l’esistenza della posizione debitoria, l’intermediario garantito non ha provveduto ad avvalersi della garanzia reale, auspicando un ripianamento del debito. Quanto sopra esposto, e richiamato l’orientamento giurisprudenziale sopra citato, nel caso di specie è configurabile non un patto commissorio, bensì un patto marciano la cui validità non può essere neanche sommariamente riassunta messa in questa sede. Ai fini discussione con conseguente rigetto del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cassricorso., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La ricorrente lamenta la mancata ricezione della documentazione di risoluzione stragiudiziale modifica unilaterale delle controversie in materia condizioni contrattuali, contestando l’applicazione della Commissione di operazioni scoperto di conto (CSC) e servizi bancari e finanziari la Commissione di istruttoria veloce (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiuntaCIV). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare cheCome noto, ai sensi dell’art. 33118 TUB, 2° commaqualunque modifica “unilaterale” delle condizioni contrattuali oltre ad essere sorretta da un giustificato motivo, deve essere comunicata espressamente al cliente con forme e tempi specificamente disciplinati dalla norma. Tanto premesso, il Collegio ritiene, in considerazione dei fatti esposti dalle parti e dalla documentazione prodotta, necessario esaminare separatamente la legittima applicazione delle commissioni in esame da parte dell’intermediario. Con specifico riferimento all’applicazione della legge n. 287 CSC, nel caso di specie non vi è prova che la banca abbia provveduto a comunicare le modificazioni aventi ad oggetto tale commissione. Xxxxxx, infatti, all’intermediario dimostrare di aver provveduto alla prescritta comunicazione stante la dichiarazione di controparte di non averla ricevuta. Non vale in proposito rilevare che nel periodo oggetto di contestazione la società ricorrente abbia ricevuto tutti gli estratti conto e che le contestazione mosse sono state sollevate trascorsi 6 anni dall’addebito delle commissioni. Infatti, la semplice asserzione di non contestazione da parte del 1990 ricorrente delle condizioni applicate è insufficiente a dimostrare l’accettazione delle medesime, non operando sul punto alcun meccanismo di silenzio assenso (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del termini analoghi Collegio di Milano, decisione n. 16588 8494/2015). A conferma di questa lettura, si rileva che il Collegio di coordinamento, con la decisione n. 8226/2015, citata dalla resistente, non esamina l’ipotesi di assenza di un’informativa sulle modifiche unilaterali del 4 luglio 2019contratto ma prende in considerazione la diversa ipotesi dell’introduzione di una nuova commissione (nella specie la Commissione di disponibilità fondi) al posto della precedente commissione di massimo scoperto attraverso il meccanismo di cui all’art. 118 TUB. In tale pronuncia, pertanto, viene valorizzato il ruolo della comunicazione in esame che, quindi, non può mancare, quale proposta di modifica delle condizioni contrattuali, ancorché incapace di innovare ex se l’assetto contrattuale preesistente, considerata accettata dalla controparte per il decorso del tempo. In conclusione si considera fondata la richiesta di restituzione di euro 1.806. Diversamente deve concludersi per quanto riguarda la somma di euro 112,46 per la CIV addebitate dal 31/03/2013 al 31/03/2014. Infatti l’intermediario allega un accordo datato 2 settembre 2013, con cui le parti hanno pattuito consensualmente la modifica di talune condizioni economiche tra cui la CIV. La domanda in questo caso non può trovare accoglimento. Tuttavia, sempre con riferimento alla CIV, se ne contesta l’applicazione in senso non conforme all’art. 117 bis TUB. In particolare, si lamenta la mancata indicazione nell’estratto conto degli addebiti che determino il superamento dell’importo affidato. In verità, dall’esame della documentazione in atti e in particolare dalla lettura delle varie parti che compongono l’estratto conto, risultano a disposizione del correntista tutte le informazioni necessarie ad individuare il numero di volte in cui la CIV ha trovato applicazione. Ad ogni buon conto nello svolgimento di un generale esame di compatibilità con la normativa di riferimento dell’applicazione della commissione in esame da parte dell’intermediario, si precisa che, come già osservato da questo Collegio, è onere della banca dimostrare di aver compiuto l’istruttoria veloce, per ogni singola applicazione della relativa commissione, nonché di aver commisurato il relativo addebito ai costi medi a tale titolo sostenuti (Collegio di Roma, decisione nn. 592/15 e 3197/2014), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche onere che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali nella controversia in esame non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990stato assolto. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento In assenza della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), predetta prova da parte della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019resistente, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui dover riconoscere alla ricorrente il diritto alla restituzione di euro 112,46, somma corrispondente alle CIV percepite nel periodo in riferimento in contrasto con quanto prescritto dalla legge. Non si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano ravvisano, invece, gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. estremi per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare concedere la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.bspese di spedizione delle raccomandate inviate dalla ricorrente., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito I fatti ed i comportamenti tenuti dalle Disposizioni parti nel corso del rapporto di cui è causa non sono in contestazione. Deve pertanto ritenersi provato, ai fini del decidere, che: - la società ricorrente ha stipulato con la banca resistente un contratto di factoring avente ad oggetto la cessione di pacchetti (o plafond) di crediti non ancora venuti a scadenza; - le modalità di cessione e di garanzia sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato crediti ceduti alla banca resistente una fideiussione sono regolate dagli articoli 12 e 13 del contratto; - ai sensi di tali previsioni negoziali era la banca ad indicare le condizioni alle quali era disposta a concedere la garanzia pro soluto sui crediti ceduti; - tra le condizioni indicate dalla banca vi era la scadenza dei crediti, che non doveva superare i 120 giorni; - i crediti sui quali la ricorrente invoca la garanzia della banca scadevano invece a 180 giorni; - la banca ha applicato su tali crediti le commissioni previste per garantire la cessione di crediti pro soluto; - la banca ha provveduto a rimborsare la ricorrente delle maggiori commissioni applicate sulla cessione di crediti pro soluto, per un importo pari ad euro 5.095,16, solo dopo la presentazione del ricorso. Questi essendo i debiti di una società commerciale; fatti ed i comportamenti come dedotti dalle parti, si pone quindi il problema tratta allora di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità cessione del plafond di consumatorecrediti da parte della società sia avvenuta pro soluto, come sostiene la ricorrente, ovvero pro solvendo, come eccepisce la banca per sottrarsi alla richiesta della cliente. A tale propositoStando alle disposizioni contrattuali che regolano il rapporto, l’assunzione della garanzia sui crediti ceduti da parte della banca (i.e. cessione pro soluto) risulta subordinata al rispetto da parte del cedente delle condizioni indicate dal factor, tra le quali figurano i termini di pagamento delle fatture incluse nel plafond. Pertanto, laddove tali requisiti non siano rispettati, i crediti inclusi nel plafond non saranno assistiti dalla garanzia della banca. Orbene, nel caso che occupa, è pacifico che la Corte scadenza dei crediti inseriti nel plafond fosse difforme da quella indicata dalla banca, essendo di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto 180 giorni anziché di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale 120; con la suddetta società» conseguenza che per essi la banca non risponde pro soluto. La circostanza, anch’essa pacifica, che l’intermediario abbia sempre applicato alla cessione di tali crediti le (CGUEpiù elevate) commissioni previste per la cessione dei crediti pro soluto, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che indotto la ricorrente abbia agito nell’àmbito di a configurare una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale modifica del contratto per la quale ha prestato la fideiussione di cui si trattafatti concludenti. Facendo applicazione dei principî sopra espostiTuttavia, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) come puntualmente eccepito dalla banca resistente, si deve rilevare chebanca, ai sensi dell’art. 33117 t.u.b. i contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi bancari e finanziari devono essere redatti per iscritto a pena di nullità. Pertanto, 2° commaalla luce di tale precetto, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni sembra da escludere che il contenuto di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni un contratto come quello di cui ai titoli dal I al IV»si discute possa essere modificato dalle parti attraverso comportamenti concludenti che stabiliscano un regime diverso da quello indicato nel testo da esse originariamente approvato e sottoscritto. Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una Alla luce delle banche considerazioni che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale precedono il ricorso non può essere neanche sommariamente riassunta accolto, in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento i crediti inclusi dalla società nel plafond non rispondevano ai requisiti indicati dalla banca per poter fruire della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimentogaranzia pro soluto. Ciò che si richiede è quindi una valutazione posto, appare comunque censurabile il comportamento della banca la quale, per tutta la durata del rapporto, ha applicato alla cliente le commissioni previste dal contratto per la cessione dei crediti pro soluto e solo dopo la presentazione del ricorso ha provveduto a restituire l’eccedenza. Sussistono dunque i presupposti per rivolgere all’intermediario la raccomandazione di compatibilità della modifica del contratto rispettare nei rapporti con la causa concreta di esso, dovendosi clientela le condizioni economiche indicate in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad escontratto., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez1. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancaIn xxx xxxxxxxxxxx, il Collegio evidenzia come la domanda si inserisca nell'ambito del ben noto filone della retrocessione proporzionale degli oneri applicati a prestiti verso cessioni del quinto della retribuzione, nel momento in cui questi finanziamenti vengono estinti anticipatamente rispetto al normale decorso del piano di coordinamento ammortamento. Tuttavia, il ricorrente, ed è ciò che caratterizza detto ricorso, spezza le domande in due segmenti: l'uno, principale, tende a richiedere, accanto alla retrocessione proporzionale delle altre commissioni e oneri, anche la declaratoria di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso invalidità (con conseguente obbligo di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni retrocessione dell'intero importo versato al momento della contrazione del prestito) della commissione per l'intermediario del credito, frappostosi nel perfezionamento del finanziamento (e si vedrà tra un istante come occorra distinguere, all'interno di una società commercialetali operatori, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale tra agenti finanziari, mediatori creditizi, enti iscritti negli appositi albi di cui all'art. 106 TUB o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016semplici mandatari del finanziatore). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); Più in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contrattoparte ricorrente assume che detta clausola sarebbe contrastante con norme inderogabili di legge, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» costituite dall'art. 125 novies T.U.B. (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, di cui viene postulata l'applicabilità ratione temporis) e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta normativa in tema di essotutela del consumatore e segnatamente con le norme di cui agli artt. 33 e 34, dovendosi commi 2 e 4. Il ricorrente allega la vessatorietà della previsione contrattuale relativa alla commissione qui ricordata, in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle relazione al significativo squilibrio tra le prestazioni, con particolare riferimento all’importo dovuto, alla carenza di informazione ed alla mancanza di trattativa tra le parti. Il criterio coincideLa domanda subordinata ulteriore, cosìsottoposta all'attenzione del Collegio, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale nel caso in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale cui venisse rigettata detta interpretazione del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criteriodettato normativo in merito alla commissione dell'intermediario, è indubbio cheuna ben nota domanda di retrocessione degli oneri e delle commissioni applicate al finanziamento, ai fini inclusa quella in favore dell'intermediario del presente giudiziocredito, le clausole specificamente contestate sulla base del principio proporzionale, come ritenuto elaborato dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.bgiurisprudenza ABF., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di risoluzione stragiudiziale incompetenza dell’ABF formulata dall’intermediario convenuto, il quale sostiene che la richiesta di annullamento “avrebbe dovuto essere proposta avanti all’Autorità Giudiziaria”, stante il collegamento contrattuale tra il finanziamento e il contratto con la società di arredamento, nonché l’asserita necessità di estendere il contraddittorio nei confronti di quest’ultima, alla quale viene imputato dalla ricorrente il comportamento doloso contestato. Xxxxxx, al riguardo, il fatto che la ricorrente si è limitata a chiedere l’annullamento per dolo del contratto di finanziamento, mentre non ha formulato alcuna domanda avente ad oggetto il contratto stipulato con la società di arredamento, né ha ricollegato l’annullamento del contratto di finanziamento ad una richiesta di annullamento del contratto con tale società. Gli addebiti mossi dalla ricorrente all’intermediario convenuto – e le ragioni poste a fondamento della richiesta di annullamento – prescindono da ogni valutazione sul contratto stipulato con la società di arredamento, riguardando “le evidenti violazioni delle controversie disposizioni in materia di operazioni trasparenza bancaria e servizi bancari di offerta fuori sede” in relazione alle modalità di promozione e finanziari (Seznegoziazione del contratto di finanziamento da parte degli agenti della società di arredamento, a ciò autorizzati dalla banca. IIIAlla luce di tali considerazioni, § 4)il Collegio non accoglie l’eccezione di incompetenza formulata dall’intermediario convenuto. Quanto al merito della controversia in oggetto, il Collegio ritiene che la documentazione prodotta in giudizio attesti con ogni evidenza che le modalità di presentazione e offerta dell’operazione di finanziamento da parte degli agenti della società di arredamento sono in effetti state tali da aver potuto seriamente pregiudicare la capacità di giudizio della ricorrente inducendola in errore e, comunque, sono state tali da integrare una palese e grave violazione delle disposizioni vigenti in tema di trasparenza bancaria e offerta fuori sede. In questa prospettiva, rileva in particolare la circostanza che la documentazione preliminare fatta sottoscrivere alla ricorrente e, in primis, l’ordine emesso per l’acquisto di merce dalla società di arredamento, per un valore pari a € 2.880,00 stabiliva modalità di pagamento dilazionato, e nello specifico n. 60 rate di pari importo, senza alcuna indicazione relativa a eventuali interessi dovuti. Più precisamente, va sottolineato come, pur essendo previsto nel suddetto modulo d’ordine uno spazio specificatamente dedicato all’indicazione di T.A.N. e T.A.E.G. applicabili all’operazione, tale spazio veniva nel caso di specie lasciato in bianco. Ad avviso del Collegio, si tratta di circostanze tali da ingenerare, anche secondo la percezione del buon padre di famiglia, un serio affidamento che l’operazione di finanziamento venisse offerta a interessi zero. Analogamente, rileva il fatto che il testo del contratto di finanziamento apparentemente stipulato con l’intermediario – di cui la ricorrente dichiara di non avere ricevuto copia al momento della sottoscrizione, senza che l’intermediario abbia dimostrato il contrario – riporta un T.A.N. e un T.A.E.G. non leggibili. Detto testo contrattuale, inoltre, è privo dell’indicazione del luogo e della data di stipulazione e, seppur debitamente sottoscritto in ogni sua parte dalla ricorrente, è stato predisposto con un carattere così piccolo che risulta di fatto illeggibile a questo Collegio. Sul punto, la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrentedifesa dell’intermediario si incentra sulla corrispondenza con cui, in data 23.6.2010, la quale banca comunicava alla ricorrente la propria accettazione del finanziamento, con indicazione delle principali condizioni economiche di tale operazione. È vero che detta comunicazione conteneva l’esatta e chiara indicazione di XXX e XXXX; tuttavia, il Collegio ritiene che, a tale data, la ricorrente era già stata indotta in errore a causa del comportamento dei soggetti autorizzati dalla banca alla presentazione, promozione e negoziazione del relativo strumento di finanziamento ed aveva già prestato il proprio consenso, che doveva dunque dirsi viziato. Ciò che rileva, infatti, non sono le comunicazioni della banca successive alla stipulazione, bensì quelle ad essa precedenti; e, al riguardo, risulta dubbia che prima della stipulazione non sono state fornite alla ricorrente le informazioni previste dalla normativa in materia di trasparenza per assicurare una scelta consapevole da parte della cliente e che, di contro, la ricorrente abbia invece ricevuto informazioni o comunque abbia sottoscritto documentazione in grado di ingenerare in lei falsi affidamenti. Alla luce delle difese svolte e della documentazione prodotta, dunque, il Collegio ritiene che, nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, sussistano i presupposti per accogliere la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi domanda della ricorrente e conseguentemente annullare il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o finanziamento per dolo determinate ai sensi dell’art. 1439 cod. civ.: sussistono infatti (i) sia l’animus decipiendi, che si estrinseca nelle modalità di fideiussione stipulato offerta e presentazione dell’operazione di finanziamento, intenzionalmente poco chiare e fuorvianti, oltre che aggressive, (ii) sia la caduta del deceptus in errore, (iii) sia un nesso di causalità tra una persona fisica e un ente creditizio i due citati elementi. Quanto al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare primo requisito è peraltro opportuno osservare che, ai sensi del secondo comma dell’art. 331439 cod. civ., 2° commail contratto di finanziamento oggetto del ricorso deve ritenersi invalido a prescindere dal fatto che “i raggiri sono stati usati da un terzo”, essendo evidente che l’intermediario non poteva non conoscere le modalità di offerta e presentazione dell’operazione da parte degli agenti della società di arredamento, essendo anzi tenuto per legge n. 287 a vigilare sull’attività svolta da tutti i soggetti che operano quali intermediari dei propri servizi, e che esso ne ha al contempo certamente tratto vantaggio. Si ricorda, in tale ultima prospettiva, il Provvedimento del 1990 Governatore della Banca d’Italia del 10 novembre 2009, che ribadisce la piena responsabilità del soggetto erogante sulla complessiva attività di collocamento posta in essere dalla catena distributiva e la necessità di presidiare i rischi operativi e reputazionali insiti in comportamenti anomali o irregolari posti in essere. Si richiama, inoltre, il Provvedimento della Banca d’Italia del 29 luglio 2009 sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, la cui Sezione II (Pubblicità e successive modificazioni)informazione precontrattuale) stabilisce che “Nel caso di offerta fuori sede, le sezioni specializzate anche se realizzata attraverso soggetti terzi, i fogli informativi riportano, oltre alle informazioni sull’intermediario committente, i dati e la qualifica del soggetto che entra in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro rapporto con il cliente (ad es.esempio, nella già citata decisione dipendente, promotore finanziario, agente in attività finanziaria) ed eventuali costi ed oneri aggiuntivi derivanti da tali modalità di offerta. Il soggetto che procede all'offerta deve consegnare al cliente, in tempo utile prima che il contratto sia concluso o che il cliente sia vincolato da un’offerta, il documento generale denominato "Principali diritti del Collegio cliente" e il foglio informativo; se per il servizio offerto è prevista una Guida ai sensi del paragrafo 2, questa deve essere consegnata in luogo del documento generale denominato "Principali diritti del cliente". In caso di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e finanziamento, viene consegnato al cliente anche un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata documento contenente i Xxxxx Effettivi Globali Medi (TEGM) previsti dalla legge n. 287 108/1996 (c.d. “legge antiusura”). L’intermediario committente acquisisce un'attestazione del 1990cliente circa l'avvenuta consegna e la conserva agli atti. Essa (…) L’intermediario committente verifica che il soggetto incaricato dell'offerta rispetti gli obblighi di trasparenza previsti dalla presente sezione. In particolare, se il foglio informativo e i documenti previsti dal paragrafo 2 sono predisposti dal soggetto incaricato dell'offerta, l’intermediario committente ne accerta la conformità alle disposizioni vigenti e l’idoneità a conseguire pienamente le finalità della disciplina in materia di trasparenza”. Per concludere, a conferma delle considerazioni cui è giunto il Collegio, non si può evitare di rammentare che l’attività di promozione e negoziazione svolta dalla società di arredamento Jolly S.p.A. è già stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza oggetto del provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e costituisce oggetto del Mercato, nell’adunanza del 5.8.2010, ha disposto nei confronti di un’accesa tale società la sospensione “di ogni attività diretta a promuovere, mediante telemarketing e sfaccettata discussione dottrinalesuccessive visite al domicilio dei consumatori, una tessera sconti gratuita che celerebbe la vendita di articoli per la casa del professionista, nonché nel sottoporre ai consumatori moduli che non riportano adeguate informazioni circa la loro natura di contratti d’acquisto”. L’Autorità ha valutato che “la suddetta pratica potrebbe, per un verso, considerarsi ingannevole in quanto al consumatore sarebbero fornite informazioni inesatte, incomplete o non veritiere con specifico riferimento alle caratteristiche generali dell’offerta promossa, nonché al prezzo e agli oneri da sostenere per aderire alla stessa; per altro verso, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta pratica potrebbe risultare aggressiva in questa sede. Ai fini del presente giudizioquanto, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di per le modalità con cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:vengono fatti
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DIRITTO. Secondo La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto stabilito dalle illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. IIII, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della legge n. 287 del 1990 (società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e successive modificazioni)con quale finalità. In sostanza, le sezioni specializzate non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità modo specifico e di risarcimento del dannorigoroso, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV»ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es2729 c.c., nella già citata decisione del Collegio soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di Milanolocazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, n. 16588 del 4 luglio 2019senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo clienterappresentante. In tal caso, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini dell’annullamento del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta occorrerebbe altresì dimostrare che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che è colpita dalla nullità» ne ha tratto vantaggio (art. 14191439, 12° comma, c.c.). Com’è stato più Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in generale chiarito in dottrinatema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il riferimento Collegio ritiene non provati i fatti posti a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica adempimento del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad esdanno., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi il motivo del ricorso principale censura la violazione degli artt. 1455 e 1375 x.x., xxx xxxxx xx xxxxx xxxxxxxxxxxx xxxxxx nell'applicazione delle norme di riferimento con riguardo alla valutazione del presupposto della gravità dell'inadempimento ai fini della declaratoria di risoluzione stragiudiziale del contratto; - la corte avrebbe errato nel ricondurre alla violazione delle controversie obbligazioni principali ed essenziali della vendita immobiliare promessa fra le parti, l'asserito inadempimento relativo alla tettoia ed al locale adibito a legnaia; così facendo la corte avrebbe omesso il giudizio di gravità dell'inadempimento riferito sia alle due suddette pertinenze che alla conformità del comportamento dei contraenti al canone di correttezza e buona fede, rispetto all'obbligazione principale avente ad oggetto la vendita di una casa elevata su due piani, respingendo, peraltro, la richiesta di ctu che, diversamente da quanto sostenuto dalla corte territoriale, aveva ad oggetto l'accertamento dell'incidenza dei lamentati inadempimenti rispetto all'oggetto principale ed alla destinazione del bene promesso in materia vendita; ciò in quanto lo stesso P. aveva attribuito alla parziale non sanabilità delle due pertinenze il valore economico di operazioni Euro 15.000,00 rispetto ad un prezzo di vendita di Euro 125.000,00; - la censura è fondata; le sentenze per esteso - è noto che, ai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, l'indagine circa la gravità della inadempienza deve tener conto del valore complessivo del corrispettivo pattuito in contratto, determinabile mediante il criterio di proporzionalità che la parte dell'obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso (cfr. Cass. 24003/2004; id. 3742/2006; id. 15052/2018); LA GIURISPRUDENZA: - nel caso in cui, come quello di specie, si deduce a fondamento della domanda di risoluzione per inadempimento la presenza di due manufatti (garages e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4legnaia), pertinenze dell'immobile oggetto del preliminare, che non risultano conformi alle norme urbanistiche, occorre procedere a valutare se la composizione dell’organo giudicante difformità dei manufatti realizzati rispetto a quello autorizzato possa essere considerata parziale e non preclusiva della possibilità di questo Arbitro è determinata chiedere la sentenza ex art. 2932 c.c.; - ciò in quanto in tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di compravendita, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c., a condizione che il vizio di regolarità urbanistica non oltrepassi la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, dovendosi distinguere, anche quando sia stata presentata istanza di condono edilizio con versamento della somma prevista per l'oblazione e la pratica, come nel caso del recesso del P., non sia stata ancora definita, tra ipotesi di abuso primario, relativo a beni immobili edificati o resi abitabili in assenza di concessione, e abuso secondario, caratterizzato dalla qualità soggettiva del ricorrentecircostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia subito modifica o mutamento di destinazione d'uso (cfr. Cass. 8081/2012; id. 11659/2018); - ciò posto, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo , tale valutazione risulta del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicatutto omessa dalla Corte d'appello di Torino e, pertanto, la quale ha rilasciato sentenza impugnata va cassata con rinvio alla banca resistente una fideiussione medesima corte, in diversa composizione, per garantire i debiti il riesame dell'appello alla luce dei principi di una società commercialediritto sopra enunciati; si pone quindi - passando ad esaminare il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito ricorso incidentale del promissario acquirente P., il primo motivo denuncia, in qualità di consumatorerelazione all'art. A tale proposito360 c.p.c., comma 1, n. 3, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, violazione e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo falsa applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli degli artt. 2, 6 1385 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. 1453 c.c., l’artper avere la corte d'appello statuito che i promettenti venditori non dovessero essere condannati alla restituzione del doppio della caparra ed avere respinto la domanda di risarcimento dei danni; - il secondo motivo del ricorso incidentale denuncia, in relazione all'art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es360 c.p.c., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della venditacomma 1, ovvero l’art. 117n. 3, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi la violazione e falsa applicazione degli artt. 1346 ss. c.c91 e 92 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente statuito sulle spese al di sotto dei minimi previsti dalle tariffe secondo i parametri del 2012 e del 2014; dev’essere peraltro fatta salva - l'accoglimento del ricorso principale e la volontà delle parti contraenti conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola Torino comporta l'assorbimento del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini ricorso incidentale dovendo il giudice del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che rinvio riesaminare la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato di risoluzione e le domande ed eccezioni formulate dalle parti in logica connessione con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguiteessa; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto- infine, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà giudice del rinvio provvederà anche alle spese del giudizio di pagare quanto dovuto a ratelegittimità. LA GIURISPRUDENZA: le sentenze per esteso Così deciso in Roma, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo nella Camera di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti consiglio della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fattoSezione Seconda Civile, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio3 marzo 2020. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, Depositato in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:Cancelleria il 23 novembre 2020
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DIRITTO. La domanda proposta dal ricorrente è relativa all’accertamento del diritto alla restituzione di quota parte delle voci commissionali relative al finanziamento anticipatamente estinto rispetto al termine pattuito, in applicazione del principio di equa riduzione del costo dello stesso di cui all’art. 125 sexies T.U.B. Occorre ricordare che la norma appena citata dà attuazione, nell’ordinamento italiano, all’art. 16 della direttiva n. 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori (che ha abrogato la direttiva 87/102/CEE del Consiglio). L’interpretazione di questa disposizione è stata recentemente offerta dalla Corte di Giustizia UE, con la sentenza dell’11 settembre 2019 n. C-383/18 (c.d. sentenza Lexitor), con la quale la CGUE ha affermato che: “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”, per tali intendendosi – alla luce della definizione recata dall’art. 3, lett. g), della stessa direttiva – “tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte”. È utile far rilevare che tale principio di diritto – sancito dalla Corte europea previa applicazione di canoni di interpretazione testuali e sistematici, nonché tenuto conto dell’esigenza di scongiurare pratiche elusive del diritto di rimborso anticipato riconosciuto al consumatore – è risultato incompatibile con l’orientamento assunto precedentemente da questo Arbitro, che aveva applicato la norma di equa riduzione del costo del finanziamento quale obbligo di restituzione secondo il criterio proporzionale del pro rata temporis della sola quota delle commissioni e dei costi soggetti a maturazione nel tempo (costi recurring), al fine di evitare, a causa dell’estinzione anticipata del prestito, un’ingiustificata attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore, con esclusione delle voci di costo relative alle attività preliminari alla concessione del prestito (costi up front). Alla luce della suddetta pronuncia della Corte europea, il Collegio di Coordinamento, investito della questione relativa agli effetti della stessa derivanti, ha statuito che “(…) l’art.125 sexies T.U.B. deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front” (decisione n. 26525/2019). D’altro canto, non sembra condivisibile l’interpretazione data con la sentenza n. 10489/2019 dal Tribunale di Napoli, che, proprio con riguardo alla questione qui in esame, è stato incline a negare efficacia diretta alla sentenza pregiudiziale e, di riflesso, a reputarla irrilevante per il diritto interno, poiché interpretativa della sola norma della direttiva, non anche di quella nazionale, ossia dell’art. 125 - sexies T.U.B. Non può trascurarsi, infatti, la natura dichiarativa che suole attribuirsi alle sentenze emesse in sede di rinvio pregiudiziale, con conseguente applicabilità anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza, come appunto quello oggetto di decisione. Tra l’altro, sempre il Tribunale di Napoli, con la recente sentenza n. 1340/2020, è tornato ad occuparsi di questi temi, giungendo alla conclusione, quanto alla efficacia della sentenza n. C-383/18 della Corte di Giustizia UE, “(…) che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in base al rimborso anticipato del finanziamento include tutti i costi posti a carico del consumatore, senza distinguere tra costi up front e recurring.” Muovendo dalla duplice premessa che le sentenze interpretative della CGUE, per opinione unanime (v., ex multis, Cass. n. 2468/2016; Cass.,n. 5381/2017), hanno natura dichiarativa e di conseguenza hanno valore vincolante e retroattivo per il Giudice nazionale e che si dà prevalenza al diritto europeo rispetto a quello nazionale secondo quanto previsto dall’art. 11 della Costituzione, questo Collegio condivide l’interpretazione data CGUE con la sentenza Lexitor, poi recepita dal Collegio di Coordinamento con la decisione n. 26525 del 17 dicembre 2019, in base alla quale il diritto alla riduzione del costo del credito in caso di anticipata estinzione del finanziamento coinvolge non solo i costi recurring, ma anche quelli up front. Ciò, con la precisazione che - come statuito dallo stesso Collegio di Xxxxxxxxxxxxx nella decisione citata - il criterio per la riduzione dei costi up front, in mancanza di una diversa previsione pattizia comunque fondata su di un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità ex art. 1374 c.c., mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi permane il criterio del pro rata temporis. Premesso quanto sopra, va rilevato che lo schema contrattuale riporta distintamente due componenti di costo, entrambe dovute a titolo di corrispettivo alla società mandataria e, precisamente, la commissione per il perfezionamento del contratto relativa ad attività istruttorie e preparatorie [lett. a) del contratto] e la commissione di gestione relativa a prestazioni ricorrenti nel corso dell’intera durata del rapporto di cui alla lett. b dello stesso. Secondo la regola contrattuale, è dovuta la retrocessione pro quota solo della seconda componente in caso di estinzione anticipata, in quanto stabilito la commissione per il perfezionamento ha natura up front, come confermato dai consolidati orientamenti dei Collegi. Anche le provvigioni dell’intermediario devono ritenersi una voce di costo up front, posto che si riferiscono ad attività inerenti alla fase di instaurazione del rapporto contrattuale, come si evince dalle definizioni contrattuali. In considerazione della natura up front delle suddette voci di costo, e che il contratto di finanziamento in esame non prevede uno specifico criterio di rimborso delle stesse, questo Collegio deve necessariamente procedere ad una integrazione secondo equità del contratto ex art. 1374 c.c. “per determinare l’effetto imposto dalla rilettura dell’art. 125 sexies TUB, con riguardo ai costi up front, effetto non contemplato dalle parti né regolamentato dalla legge o dagli usi” (in questi termini, Collegio di coordinamento, n. 26525/2019). Sul punto, aderendo ancora una volta al condivisibile orientamento del Collegio di Coordinamento n. 26525/2019, il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile appare, nella specie, analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata per via negoziale. Ciò significa che l’importo della riduzione dei costi up front può quantificarsi secondo il metodo di riduzione proporzionale pattuito per gli interessi corrispettivi (c.d. curva degli interessi). Per quanto concerne, invece, le imposte e gli oneri erariali, sulla base del più recente orientamento condiviso dai Collegi, si ritiene che non siano rimborsabili, trattandosi di un costo non ristorabile per sua intrinseca natura (considerato anche l’art. 14 della Direttiva sul credito ai consumatori). Voci di costo queste non dirette a remunerare l’intermediario, né oggetto di quantificazione unilaterale da parte di quest’ultimo. Infine, in merito alla richiesta di restituzione degli interessi, si osserva che lo schema contrattuale in esame, con disposizione controversa (cfr. punto 4 di pag. 3 del modulo SECCI), prevede espressamente che “il Cliente avrà diritto al rimborso della quota di interessi e di oneri non ancora maturata; tale quota viene calcolata in proporzione al tempo che rimane tra la richiesta di estinzione e la scadenza naturale del contratto, dividendo ciascun importo massimo per il numero di quote previste dal finanziamento e moltiplicandolo per il numero di rate residue”, alludendo ad una distribuzione lineare degli interessi nel tempo, senza relazione con il capitale che li genera. Tale disposizione contrasta però con altra previsione contenuta nel medesimo SECCI, dove, invece, viene specificato che il rimborso avverrà secondo un piano di ammortamento alla francese con rate che hanno, lungo la durata del rapporto, quote interessi decrescenti e sorte capitale crescente. Tale antinomia contrattuale, configura un “dubbio giuridico” sul senso da assegnare alla disposizione negoziale che appunto regola la retrocessione degli interessi in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il quale dubbio, derivando da un contratto standard (perché concluso mediante il ricorso a condizioni generali e/o moduli e formulari), è destinato ad essere sciolto in via ermeneutica mediante l’applicazione dell’art. 1370 c.c. recante il canone “interpretatio contra stipulatorem”. Ciò, tenendo anche in considerazione l’orientamento condiviso dai Collegi ABF, che, nel caso di clausole contrasti, ritengono necessario da parte dell’intermediario lo storno degli interessi nella misura più favorevole per il cliente, riconoscendo a quest’ultimo l’integrazione dello storno già operato, fino a concorrenza di quanto dovuto secondo il criterio pro rata temporis. Sulla base di ciò, si rileva che l’intermediario in sede di conteggio estintivo ha correttamente decurtato l’importo di € 654,69 a titolo di commissioni mandataria per il perfezionamento/gestione e l’importo di € 487,18 a titolo di provvigioni per l’intermediario. Nulla era dovuto a titolo di imposte e tasse. Per quanto concerne invece la richiesta di rimborso degli interessi corrispettivi, l’intermediario avrebbe dovuto decurtare in sede di conteggio estintivo la quota di interessi pari ad € 3.430,75, calcolata secondo il criterio pro rata temporis, anziché mediante applicare il criterio c.d. della curva degli interessi. Per tale motivo, è diritto del ricorrente ottenere il pagamento della somma di € 1.396,37 a titolo di restituzione degli interessi corrispettivi, al netto dell’importo già decurtato pari ad € 2.033,89 La somma riconosciuta è inferiore rispetto a quella richiesta dal ricorrente in quanto l’ulteriore importo di € 534,53 è stato da quest’ultimo determinato erroneamente mediante l’applicazione del criterio pro rata temporis in relazione a tutte le voci di costo, anche quelle avventi natura up front. Non può trovare accoglimento, infine, la domanda di rifusione delle spese legali, in considerazione del fatto che le “Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sezfinanziari”, che regolano il presente procedimento, non contemplano alcuna espressa previsione al riguardo, considerata la natura alternativa del procedimento instaurabile. IIIInoltre, § 4)le spese di assistenza professionale non hanno carattere di accessorietà rispetto alla domanda principale, con la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia conseguenza che non sono automaticamente rimborsabili nel caso di specieaccoglimento della medesima. Il ricorso introduttivo Infine, non è stata allegato e men che meno provato il fatto della funzionalità dell’intervento del professionista coinvolto ai fini della decisione del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicaprocedimento avente, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale propositotra l’altro, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coordseriale., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito La questione sottoposta all’esame del Collegio concerne la presunta violazione, da parte dell’intermediario convenuto, degli obblighi di trasparenza delle condizioni contrattuali, previsti dal Tub e dalla normativa regolamentare della Banca d’Italia, nonché di correttezza e buona fede in sede di stipulazione di modificazioni contrattuali ad un accordo di factoring, intercorrente tra la banca e la società ricorrente. Oggetto delle modifiche contestate è la previsione del servizio c.d. Maturity, consistente in ciò, che l’intermediario si impegna ad assicurare al cedente l’incasso dei crediti ad una data certa e prefissata, così permettendogli di ottimizzare la gestione dei flussi finanziari, e ad contempo ad offrire al debitore ceduto la possibilità di ottenere una ulteriore dilazione del credito originario, con onere finanziario a proprio carico previamente concordato con il factor. Trattasi, dunque, di un servizio accessorio al contratto di factoring che assicura al cedente, tra l’altro, l’indubbio vantaggio della certezza e della stabilizzazione dei propri flussi finanziari in entrata. Tanto premesso, dalle Disposizioni sui sistemi risultanze istruttorie non emergono elementi idonei ad attestare una violazione dei doveri di risoluzione stragiudiziale delle controversie correttezza e buona fede nella fase precontrattuale e/o nell’esecuzione del contratto. Ed invero, i contenuti, gli effetti e le condizioni del servizio accessorio offerto dall’intermediario sono, nella specie, chiaramente e compiutamente illustrati nel documento sottoscritto dalla ricorrente; d’altra parte, il servizio accessorio in materia questione non prospetta, per il cliente, rischi anomali rispetto ad una normale operazione di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIIfactoring, § 4)sicché priva di pregio è la doglianza secondo cui l’intermediario non avrebbe, la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie, rispettato le norme “volte a prestare assistenza al cliente, la trasparenza e la correttezza nella commercializzazione dei prodotti, e quelle organizzative e di controllo interno che assicurino una valutazione dei rischi (...)”. Depone in tal senso anche la previsione del diritto del cedente di recedere dall’accordo […]: onde la ricorrente, qualora si fosse successivamente avveduta di un ipotetico pregiudizio derivante dalle modifiche contrattuali convenute con l’intermediario e debitamente accettate e sottoscritte, avrebbe potuto comunque esercitare il recesso entro i termini previsti dal contratto. Il ricorso introduttivo Collegio ritiene altresì pienamente conforme alle previsioni contrattuali sottoscritte dalla ricorrente il comportamento assunto dall’intermediario convenuto nell’esecuzione del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicacontratto. In particolare, la comunicazione inviata al cedente del 18.4.2016 con cui la banca convenuta provvedeva al recesso dall’accordo Maturity, successivamente all’istanza di fallimento promossa dal debitore, avvenuta in data 18.3.2016, e la successiva comunicazione del 27.6.2016, con la quale ha rilasciato la medesima banca comunicava all’istante il riaddebito, sono pienamente conformi al disposto dell’art. 4 delle condizioni regolanti il servizio Maturity, secondo cui “In caso di eventuale mancato pagamento da parte del Debitore ceduto del credito entro la scadenza prorogata, siete fin d’ora autorizzati a riaddebitarne il relativo importo, con valuta pari alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti data di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se scadenza originaria del credito, sul conto corrente anticipi a noi intestato presso la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale propositoVostra Banca, la Corte cui esposizione ci impegniamo fin d’ora a rimborsarVi a Vostra semplice richiesta, ogni eccezione rimossa ferma restando l’eventuale rinuncia alla garanzia di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto seguesolvenza da parte Vostra”. Del resto, dalle risultanze in atti emerge chiaramente che l’intermediario convenuto si è avvalso della facoltà prevista da tale clausola soltanto in data 18.4.2016, ossia un mese dopo la presentazione dell’istanza di fallimento […] ed alcuni giorni dopo il deposito […] della domanda di concordato del debitore ceduto: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere eventi che, ai fini per definizione, consacravano la sua impossibilità di regolare adempimento delle proprie obbligazioni. Né vale, ad avviso del presente giudizioCollegio, imputare all’intermediario convenuto la ricorrente abbia agito sua presunta conoscenza della situazione economico-finanziaria in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistentecui versava il debitore ceduto e, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contrattodi “non aver colto in anticipo i segnali d’allarme”: ciò in quanto, dall’esame della documentazione allegata in atti, non emergono elementi univoci in tal senso, soprattutto se risulta si considera che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:pagamenti sono
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DIRITTO. Secondo La controversia ha ad oggetto il riconoscimento del diritto della parte ricorrente alla restituzione di parte dei costi del finanziamento, a seguito della avvenuta estinzione anticipata di quest’ultimo rispetto al termine convenzionalmente pattuito, dalla quale deriva, come previsto dall’articolo 125-sexies del TUB, il diritto del soggetto finanziato ad ottenere una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”. Venendo al merito della controversia, la consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, ha affermato fino ad oggi che la concreta applicazione del principio di risoluzione stragiudiziale equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle controversie sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in materia favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di operazioni contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e servizi bancari e finanziari prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (Sezcc.dd. III, § 4up front), la composizione dell’organo giudicante . Si è ugualmente consolidato l’orientamento per il quale il criterio di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel calcolo della somma corrispondente alla “riduzione” dei costi retrocedibili in caso di specieestinzione anticipata deve essere individuato nel metodo proporzionale puro, comunemente denominato pro rata temporis. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, In questo quadro interpretativo si inserisce la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la recente decisione 11 settembre 2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e la successiva decisione 11 dicembre 2019 del Collegio di Coordinamento di questo ABF. Con domanda di pronuncia pregiudiziale in base all’articolo 267 TFUE il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e 2del Consiglio del 23 aprile 2008 sui contratti dei consumatori, lettera b), della direttiva 93/13/che ha abrogato la precedente Direttiva 87/102 CEE del Consiglio, ed in particolare di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso egli ha diritto ad una riduzione del 5 aprile 1993costo totale del credito, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti i costi del credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto. La Corte Europea, con i consumatorila già ricordata sentenza 11 settembre 2019, devono (c.d. sentenza LEXITOR), ha fornito risposta a tale quesito affermando che l’articolo 16 della Direttiva deve essere interpretati interpretato nel senso che tale direttiva può “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo ABF, investito della questione dal Collegio di Palermo con ordinanza del 16 settembre 2019 in relazione alle conseguenze della citata sentenza della CGUE sulla rimborsabilità dei costi non continuativi (c.d. up front), accogliendo parzialmente il ricorso, con decisione dell’11 dicembre 2019, ha enunciato il seguente principio di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art. 125 sexies TUB deve essere applicata a un contratto interpretato nel senso che, in caso di garanzia immobiliare o estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire tutte le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di componenti del costo totale del credito, quando tale persona fisica ha agito compresi i costi up front”. “Il criterio applicabile per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUEriduzione dei costi istantanei, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore in mancanza di una bancadiversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Quanto al criterio di riduzione dei costi, il Collegio di coordinamento afferma in primo luogo la nullità di ogni clausola che, “…sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari…”, in quanto contraria a norma imperativa, nullità rilevabile d’ufficio in base al disposto degli articoli 127 TUB e 1418 c.c., clausola da ritenersi sostituita automaticamente per il disposto dell’articolo 1419, comma 2, c.c. con la norma imperativa che, già al momento della conclusione del contratto, come si deve necessariamente concludere, per la natura dichiarativa della decisione LEXITOR, imponeva la restituzione anche dei costi up front. In secondo luogo, il Collegio di coordinamento, rilevato che, quanto alla riduzione dei costi diversi da quelli recurring, si è in presenza di una lacuna del regolamento contrattuale, osserva che la CGUE non impone al riguardo un criterio di riduzione comune ed unico per tutte le componenti, ma ha affermato che il metodo di calcolo utilizzabile “consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione della durata residua del contratto”, intendendo la “totalità” non “…come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo…”. Le parti, quindi, potranno “…declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre ad un principio di (relativa) proporzionalità…”. Tuttavia, se ciò non accada, spetterà al giudicante, sempre secondo il Collegio di coordinamento, il compito di integrare il regolamento contrattuale incompleto, e, non potendosi procedere a tale fine in via interpretativa, in relazione al contenuto del contratto, né in base ad una disposizione normativa suppletiva, il Collegio afferma che “…non resta che il ricorso alla integrazione “giudiziale” secondo equità (art. 1374 c.c.)”. A questo Arbitro punto il Collegio di coordinamento, premesso che spetterà ai singoli Collegi territoriali la valutazione dei casi concreti, passa alla decisione del merito del ricorso, in relazione al quale “…ritiene peraltro che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.c. curva degli interessi) come desumibile dal piano di ammortamento…”, concludendo che si tratta della soluzione da ritenere “…allo stato la più idonea a contemperare equamente gli interessi delle parti contraenti perché, mentre garantisce il diritto del consumatore a una riduzione proporzionale dei costi istantanei del finanziamento, tiene conto della loro ontologica differenza rispetto ai costi recurring e della diversa natura della controprestazione…”, e che “…essa, inoltre, trova un collegamento puntuale nel richiamo alla portata del diritto all’equa riduzione del costo del credito sancito nell’abrogato art. 8 della Direttiva 87/102, di cui l’art. 16 della Direttiva 2008/48 costituisce una più precisa consacrazione evolutiva…”. Aggiunge, infine, che “…non ricorre invece alcuna ragione per discostarsi dai consolidati orientamenti giurisprudenziali dell’Arbitro bancario per quanto attiene ai costi ricorrenti e agli oneri assicurativi…”. Questo Collegio, nel dare piena attuazione alla decisione del Collegio di Coordinamento, ed ai principi di diritto esposti nel suo dispositivo, ritiene appropriato, nel merito, in base alla sua autonoma valutazione, il criterio di calcolo adottato nel caso concreto dal Collegio di Coordinamento per la quantificazione dei costi up front da restituire, condividendo pienamente, e qui richiamando integralmente, le argomentazioni poste a fondamento di tale scelta, che individua nella previsione pattizia del conteggio degli interessi il referente normativo da utilizzare al fine di calcolare l’importo di tale restituzione in applicazione del principio di integrazione giudiziale secondo equità. Il Collegio ritiene inoltre, sempre quale principio generale di diritto, che analogo criterio debba essere utilizzato anche in relazione ai contratti stipulati antecedentemente alla Direttiva 2008/48/CE relativa al credito ai consumatori, e nel vigore della precedente direttiva 87/102 CEE. A tale riguardo, appare innanzitutto significativo l’espresso riferimento a tale Direttiva contenuto nel paragrafo 28 della sentenza LEXITOR, nel quale la Corte afferma che l’articolo 16 della nuova Direttiva ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di una persona fisica rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di “equa riduzione” quella più precisa di “riduzione del costo totale del credito” e aggiungendo che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialetale riduzione deve riguardare “gli interessi e i costi”, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, così come rilevato e confermato anche dal Collegio di coord.coordinamento, decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016)come già riportato. Nel A ciò si aggiunga che tale conclusione appare pienamente in accordo con l’orientamento espresso dal Collegio di coordinamento e dai Collegi ABF in merito ai principi che regolavano la materia anche prima dell’introduzione dell’articolo 125-sexies del TUB. Venendo al caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale il Collegio riconosce, in linea con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione gli orientamenti del Collegio di MilanoCoordinamento e dei Collegi territoriali, n. 16588 la natura up front delle “commissioni di istruttoria” e delle “commissioni per l’intermediario del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali credito” e di condanna stabilisce che al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e ricorrente deve essere pertanto respinta. Nel meritoriconosciuta la loro restituzione secondo il metodo di riduzione progressiva in base alla curva degli interessi, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “analogamente a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò quello che le parti avrebbero voluto non è hanno previsto per il riferimento a un dato reale ma solo una congetturaconteggio degli interessi corrispettivi (Collegio di Coordinamento, che sfugge a ogni obiettivo accertamentodecisione n. 26525/19); dall’altro lato, il Collegio riconosce la natura recurring della “Commissione per attività post erogazione”, delle “spese richieste dall’Ente Pensionistico” e dalla quale non può quindi dipendere delle “Spese amministrative forfettarie e di notifica” e ne stabilisce la validità o invalidità restituzione secondo il criterio pro rata temporis, in rapporto alle 42 rate residue del contrattocontratto anticipatamente estinto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c.Quindi, l’art. 1419 c.c. nel caso qui in discussione la domanda deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella accolta parzialmente nella misura di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti euro 338,32 come risulta dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di dirittoseguente tabella:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi Nota il Collegio che, secondo un orientamento ormai consolidato, il ius variandi riconosciuto agli intermediari – ancorché l’art. 118, comma 2, del D.Lgs. n. 385/1993preveda la formula “proposta di risoluzione stragiudiziale modifica unilaterale del contratto” – configura un diritto potestativo, che attribuisce il potere di modificare la sfera giuridica della controparte, indipendentemente dall’accettazione o del rifiuto di quest’ultima. Gli effetti sono risolutivamente condizionati all’esercizio del recesso, potere riconosciuto in capo al cliente che subisca la modifica, in senso a sé sfavorevole, delle controversie in materia condizioni contrattuali. Va ricordato che il nuovo testo dell’art. 118 del D.Lgs. n. 385/1993 – risolvendo problemi di operazioni e servizi coordinamento tra la disciplina dei contratti bancari e finanziari (Sezil Codice del consumo – richiede espressamente l’indicazione di un “giustificato motivo” con la proposta di modifica. III, § 4), Sull’esercizio del ius variandi e sulla nozione di giustificato motivo appare utile la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva Circolare del ricorrente, Ministero dello Sviluppo Economico del 21/2/2007 la quale risulta dubbia nel caso – risolto il giustificato motivo in “eventi di speciecomprovabile effetto sul rapporto bancario” – ha precisato che “tali eventi possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.)”. “Il cliente deve essere informato circa il giustificato motivo alla base della modifica unilaterale, in maniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base”. Dall’esame dei documenti in atti emerge che,nella “proposta di modifica delle condizioni contrattuali” si fa genericamente riferimento ad un “andamento sfavorevole della congiuntura economica e della qualità del credito”. Non sono allegati fatti o circostanze concrete tali da poter essere verificate, sicché non appare soddisfatto il requisito essenziale del giusto motivo. Donde l’inefficacia della variazione unilaterale. Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione e dispone che l’intermediario provveda a corrispondere al ricorrente quanto incassato in più a titolo di aumento degli addebiti per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore“incasso rata”. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare chedispone inoltre, ai sensi dell’art. 33della vigente normativa, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione che l’intermediario corrisponda alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia la somma di cui si è già detto€ 200,00, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), quale contributo alle spese della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamentoprocedura, e dalla al ricorrente la somma di € 20,00, quale non può quindi dipendere la validità o invalidità rimborso della somma versata alla presentazione del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.cricorso., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi Il ricorso ha ad oggetto la domanda di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del parte ricorrente, la quale risulta dubbia lamenta l’applicazione al prestito ottenuto di un TAEG superiore a quanto testualmente indicato nel caso contratto di speciefinanziamento stipulato con la resistente in data 02/09/2016, e dal quale sarebbe stato erroneamente escluso il costo sostenuto per la sottoscrizione della polizza assicurativa denominata Creditor Protector. Il ricorso introduttivo del presente giudizio contratto oggetto dell’odierna controversia è stato infatti presentato sottoscritto successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 141/2010, attuativo della Direttiva CE 2008/48 e da una persona fisica, ciò discende che la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire disciplina applicabile ratione temporis è quella data dal combinato disposto dell’art. 121 (“Nel costo totale del credito sono inclusi anche i debiti di una società commerciale; si pone quindi costi relativi a servizi accessori connessi con il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per scopi che esulano dalla sua attività professionale ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte”) e – quanto al rimedio – dall’art. 125 bis TUB (“Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera e), non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il sono Il tema è stato profondamente affrontato nel 2017 dalle chiarificatrici pronunce del Collegio di coordinamento Coordinamento (Decisioni nn. 10617/17, 10620/17, 10621/17, 11870/17, 11871/17, 13316/17 e 11869/17) che hanno consentito di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso individuare i punti cruciali e indispensabili per garantire l’uniformità dell’interpretazione normativa da applicare in ambito territoriale, in tema di una persona fisica riparto dell’onere probatorio e di prova liberatoria. Quanto al primo fondamentale aspetto le pronunce di tutti i Collegi territoriali, infatti, sono ormai consolidate nel senso di ritenere che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni “in presenza di una società commerciale, un contratto di finanziamento nel quale le parti hanno indicato come facoltativa la polizza assicurativa abbinata spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali mutuatario dimostrare che essa rivesta invece carattere obbligatorio, quantomeno nel senso che la legano conclusione del contratto di assicurazione abbia costituito un requisito necessario per ottenere il credito alle condizioni concretamente offerte, è consentito al ricorrente assolvere l’onere della prova attraverso presunzioni gravi precise e concordanti desumibili dal concorso delle seguenti circostanze: - che la polizza abbia funzione di copertura del credito; - che vi sia connessione genetica e funzionale tra finanziamento e assicurazione, nel senso che i due contratti siano stati stipulati contestualmente e abbiano pari durata; - che l’indennizzo sia stato parametrato al debito residuo”. Anche con riferimento al contenuto della prova liberatoria che il mutuante è tenuto a tale societàfornire, quali l’amministrazione i Collegi territoriali sono concordi nel ritenere che “per contrastare il valore probatorio di quest’ultima tali presunzioni, ancor più rilevanti quando contraente e beneficiario sia stato lo stesso intermediario e a questo sia stata attribuita una significativa remunerazione per il collocamento della polizza, la resistente è tenuta a fornire elementi di prova di segno contrario attinenti alla fase di formazione del contratto, in particolare documentando, in via alternativa: - di aver proposto al ricorrente una comparazione dei costi (e del TAEG) da cui risulti l’offerta delle stesse condizioni di finanziamento con o una partecipazione non trascurabile al suo capitale socialesenza polizza;- ovvero di avere offerto condizioni simili, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABFsenza la stipula della polizza, ad altri soggetti con il La pronuncia dell’anno successivo del Collegio di coord., Coordinamento (decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016)16291/2018) ha consentito ai Collegi territoriali di raggiungere una sostanziale omogeneità interpretativa della casistica specifica, consentendo di individuare i parametri comparativi in presenza dei quali possa dirsi integrata la prova liberatoria posta a carico dell’intermediario, precisando che “per quanto attiene alla prova “di aver offerto condizioni simili, senza la stipula della polizza, ad altri soggetti con il medesimo merito creditizio: - è sufficiente la mera dichiarazione dell’intermediario circa l’uguaglianza del merito creditizio degli altri soggetti; - è necessario che l’intermediario produca almeno due contratti; - i soli cinque parametri e i rispettivi scostamenti dal benchmark da riscontrare al fine di ritenere raggiunta detta prova sono: 1. TAN: scostamento marginale ±50bp; 2. durata: ±25%; 3. Nel caso di specie, il ricorrente, in particolare, ha sottolineato alcuni significativi indici in grado di dimostrare la natura obbligatoria della polizza, evidenziando: 1) la contestualità della sottoscrizione della polizza rispetto al prestito; 2) la funzione della garanzia, prestata per la riduzione del rischio derivante da circostanze in grado di incidere sulla capacità di rimborso del mutuatario; 3) la durata e la prestazione della polizza, legate – rispettivamente – alla durata e al debito residuo del prestito; 4) la previsione di una commissione (pari al 30% del premio al netto delle imposte) in favore dell’intermediario per la collocazione della stessa. A fronte di ciò, l’intermediario ha prodotto copia di due contratti comparativi, sovrapponibili – per presupposti e condizioni applicate – al contratto oggetto della presente controversia e dai quali si può desumere la natura facoltativa della polizza assicurativa. In ragione di ciò, dovrebbe ritenersi soddisfatto l’onere dell’intermediario, così come individuato dal Collegio di Coordinamento con la decisione n. 16291/2018, avendo questi fornito prova della natura non obbligatoria della polizza e della legittima esclusione del premio dal calcolo del TAEG. Tuttavia, nella casistica sviluppatasi successivamente rispetto all’evoluzione giurisprudenziale sinteticamente riportata, sono emerse nuove divisioni interpretative tra i Collegi territoriali, specie con riferimento alla sorte delle provvigioni percepite dal mutuante per la collocazione della polizza assicurativa e alla legittimità o illegittimità della loro esclusione dal calcolo del TAEG; l’adesione all’uno o all’altro orientamento emerso sul punto è in grado di incidere profondamente sulla valutazione del caso concreto. Infatti, non vi è dubbio che – una volta accertata la natura obbligatoria della polizza sottoscritta contestualmente al prestito – l’intero costo del premio versato debba essere incluso nel calcolo del TAEG, coerentemente a quanto previsto dall’art. 121 T.U.B. Va, tuttavia, chiarito in questa sede se l’applicazione del principio in senso opposto (ovvero l’integrale esclusione del costo della polizza dal calcolo del TAEG nel caso in cui ne fosse accertata la natura facoltativa) sia o meno coerente con la funzione informativa sintetica stessa dell’indice e con le raccomandazioni fornite dalla Banca d’Italia in tema di modalità di calcolo del TEG. In particolare, le Disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011 alla Sez. VII Art. 4.2.4, includono nel calcolo del TAEG “gli interessi e tutti i costi, inclusi gli eventuali intermediari del credito, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza, escluse le spese notarili” e limitano l’inclusione ai “costi, di cui il finanziatore è a conoscenza, relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito e obbligatori per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte”. L’esclusione del premio assicurativo dal TAEG, pertanto, appare giustificato proprio dalla natura non obbligatoria del contratto assicurativo stipulato contestualmente al prestito. Non vi è dubbio della legittimità di tale esclusione per il premio puro versato dal cliente; è però necessario in questa sede chiarire se la medesima esclusione possa o meno estendersi anche a quella parte di costo che rappresenti la provvigione percepita dal mutuante collocatore della polizza, tenendo a questo proposito in considerazione che – seppure in materia di TEG – le FAQ della Banca d’Italia prevedono al punto C4 (Trattamento degli oneri e delle spese ) “che, laddove sia consentito escludere dal TEG una polizza assicurativa stipulata contestualmente al finanziamento, l’esclusione deve essere limitata all’importo effettivamente versato alla compagnia di assicurazione. Di conseguenza, se l’intermediario erogante trattiene parte delle somme ricevute dal cliente a titolo di polizza assicurati, gli importi trattenuti vanno inclusi nel TEG”. Ciò chiarito, risulta indispensabile acclarare – in conseguenza della rimessione a questo Collegio – se il diverso trattamento riservato alle provvigioni incassate dal mutuante per la collocazione della polizza non obbligatoria si giustifichi sulla base delle diverse finalità perseguite da TAEG e TEG. La giurisprudenza dei Collegi territoriali si è espressa in maniera non univoca sul punto. Alcuni precedenti del Collegio di Napoli, in particolare, hanno evidenziato l’incoerenza che emerge dalle diverse modalità di rilevamento del TAEG e del TEG. Con la decisione n. 11397/2017 del 20.09.2017, il Collegio di Napoli – premettendo che “allorquando l’intermediario erogante trattenga parte delle somme ricevute dal cliente a titolo di premio assicurativo, dette somme devono essere incluse nel computo del TEG (cfr. FAQ, Banca d’Italia, in materia di rilevazione dei TEG ai sensi della legge sull’usura, novembre 2010, cit.), trattandosi di costi collegati all’erogazione del credito” – ha precisato che “sebbene la regola citata sia dettata per la rilevazione dei tassi effettivi a fini antiusura appare parimenti applicabile per la determinazione del TAEG posto che le componenti del primo indicatore (TEG), necessariamente collegate all’erogazione del credito, sono tutte ricomprese nel secondo e più ampio indicatore (TAEG), per definizione normativa “rappresentativo del costo totale del credito” che annovera anche oneri ulteriori, significativi ai più estesi fini di trasparenza […]”. Il Collegio di Napoli ha quindi concluso che nell’ipotesi in cui il TAEG non abbia incluso il costo delle provvigioni incassate dall’intermediario “il TAEG non risulta agli atti correttamente computato”. Lo stesso principio è stato ribadito successivamente dal Collegio di Napoli (decisione n. 23878/2018 e n. 21410/2019) che ha così statuito: “allorquando l’intermediario erogante trattenga parte delle somme ricevute dal cliente a titolo di premio assicurativo, dette somme devono essere incluse nel computo del procedimento TEG (cfr. FAQ, Banca d’Italia, in materia di Alla luce di quanto appena illustrato è quindi necessario che questo Collegio si esprima sul punto, al fine di stabilire se l’indicazione fornita dalla Banca d’Italia in materia di TEG e contenuta nelle FAQ al punto C4 circa l’inclusione delle provvigioni incassate dall’intermediario del credito per la collocazione della polizza facoltativa debba o meno estendersi anche alle modalità di determinazione del TAEG. Ciò premesso, questo Xxxxxxxx ritiene di dover concludere per l’esclusione dal computo del TAEG della parte di premio assicurativo che sia stato retrocesso all’intermediario finanziatore per le ragioni che verranno qui di seguito illustrate. Non può anzitutto sottacersi che lo stesso Collegio di Napoli in pronunce ben più recenti pare avere adottato una posizione diversa rispetto a quella più risalente (richiamata nell’ordinanza di rimessione), affermando che la domanda subordinata di inclusione nel TAEG delle provvigioni relative alla polizza deve ritenersi assorbita nella domanda principale con cui si chieda l’inclusione nel TAEG dell’intero premio, essendo le provvigioni una parte del premio e non una voce di costo distinta da esso (cfr. Collegio di Napoli, decisione n. 9463 del 08.04.2021 , secondo cui “(…) la domanda dell’istante di computo nel TAEG delle commissioni percepite dall’Intermediario per l’intermediazione della polizza assicurativa (…) resta comunque assorbita da quella principale (mancato computo delle polizze nel TAEG contrattuale), in quanto tale compenso non costituisce una voce di costo separata dall’assicurazione sul credito, risultando piuttosto compresa nel premio assicurativo complessivamente corrisposto dal ricorrente abbia agito nell’àmbito (così anche ABF Milano, n. 14338/2020; ABF Napoli, n. 1052/2021). In considerazione delle ragioni che precedono, la domanda di accertamento della nullità della clausola del TAEG non può trovare accoglimento”; conf. Collegio di Napoli, decisione n. 1052 del 14.01.2021,nella quale si legge: “sulla questione – comune ai due contratti in esame – relativa alla rilevanza, nel Sempre nel senso che la provvigione percepita dall’intermediario non costituisca un costo ulteriore, ma una sua eventuale attività professionale ovvero mera componente del premio assicurativo, del quale subisce dunque la medesima sorte ai fini del computo nel TAEG, si sono espressi anche il Collegio di Palermo e quello di Milano (cfr. Collegio di Palermo decisione n. 25754 del 21.12.2021, secondo cui “La domanda proposta in via subordinata dal ricorrente e relativa alla mancata inclusione nel calcolo del TAEG della provvigione trattenuta dall’intermediario sul premio non può trovare accoglimento. Il Collegio rileva sul punto che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione a differenza di quanto previsto in tema di calcolo del TEG, l’importo della provvigione relativa al collocamento del prodotto assicurativo non va inserito nel TAEG. La provvigione percepita dall’intermediario non rappresenta un costo ulteriore rispetto a quello delle polizze assicurative (di cui è una componente.)”; Collegio di Milano, decisione n. 14338 del 14.08.2020, ove si trattalegge: “Il Collegio rileva che, in relazione alla suddetta domanda di computo nel TAEG delle commissioni percepite dall’Intermediario per l’intermediazione della polizza assicurativa, essa resta comunque assorbita da quella principale (mancato computo delle polizze nel TAEG contrattuale), in quanto tale compenso non costituisce una voce di costo separata dall’assicurazione sul credito, bensì risulta compresa nel premio assicurativo complessivamente corrisposto dal ricorrente”). Facendo applicazione dei principî sopra espostiVi è di più. Lo stesso Collegio rimettente, in una non risalente decisione, ha espresso lo stesso principio (cfr. Collegio di Roma, decisione n. 9060 del 5.04.2021, secondo cui “Risulta infine infondata la doglianza della parte ricorrente che lamenta la mancata inclusione nel calcolo del TAEG del costo delle provvigioni di collocamento a favore dell’intermediario. Premesso che, vista la non obbligatorietà della copertura assicurativa CPI, si deve pertanto ritenere chetratterebbe comunque di un costo non rilevante, nel caso di specie, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistentecalcolo del TAEG, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), osserva che le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni Disposizioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento trasparenza della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio cheriferiscono, ai fini del presente giudiziodell’inclusione nel calcolo, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come ai “accessoriecosti relativi a servizi accessori connessi al contratto di credito”, cosicché la loro nullità dovendosi pertanto intendere per tali i costi specifici del servizio assicurativo, e quindi il premio e non si estende le provvigioni correlate al resto collocamento del contrattoprodotto. Discende da quanto fin qui osservato Vale comunque aggiungere che la domanda principale della ricorrentemodalità di calcolo del TAEG e quelle del TEG non sono coincidenti, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto vista la diversa funzione e natura di tali tassi. Il ricorso non merita pertanto di essere accolto”). Come già accennato, questo Xxxxxxxx ritiene di dover aderire alla tesi da essa stipulato ultimo illustrata. Non vi è chi non veda, infatti, che TEG e TAEG hanno funzioni diverse, sono calcolati in maniera non così dissimile, ma assolutamente non sovrapponibile (non prendendo in considerazione le medesime voci di costo) e le norme loro dedicate sono formulate con significative differenze. Cominciando dalle profonde differenze che riguardano la banca resistentefunzione dei due indici, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali va ricordato che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contrattolegge nel “Glossario della Banca d'Italia” disponibile online), il consumatore non può essere tenuto “TAEG rappresenta lo strumento principale di trasparenza nei contratti di credito al consumo. E’ un indice armonizzato a restituire più delle somme utilizzate livello comunitario che nelle operazioni di credito al consumo rappresenta il costo totale del credito a carico del consumatore, comprensivo degli interessi e ha facoltà di pagare quanto dovuto a ratetutti gli altri oneri da sostenere per l’utilizzazione del credito stesso. […]”. Il TAEG è, con la stessa periodicità prevista nel contratto odunque, uno strumento di trasparenza nei contratti di credito al consumo esprimendo, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato termini percentuali rispetto al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fattocapitale erogato, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini costo totale effettivo del presente giudiziocredito a carico del consumatore. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) cheAnche la sua collocazione normativa non va sottovalutata, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 trovandosi, infatti, regolato nel Titolo VI, Capo II del suddetto contrattoTUB, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata intitolato “Credito al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:consumo”.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi La Commissione, 30/09/2016 contiene anche un’istanza di risoluzione stragiudiziale delle controversie accesso agli atti ai sensi della legge 241/90, ritiene di poter decidere nel merito il ricorso. Sotto un primo profilo la Commissione evidenzia che l’Ispettorato Territoriale ha dichiarato che, in materia relazione all’istanza di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sezaccesso del 30/09/2016 non è in possesso di nessun documento, di xxxxxx, nei confronti del citato Ufficio il ricorso risulta inammissibile a causa della dichiarata inesistenza dei documenti richiesti, rilevando, sul punto che non spetta alla Commissione nessuna valutazione in ordine alla veridicità degli elementi addotti dall’Amministrazione, per il cui sindacato il ricorrente deve rivolgersi all’Autorità giudiziaria competente in ragione dei diritti o interessi asseritamente lesi. IIIResta inteso che, § 4)anche in relazione al predetto Ufficio, il ricorso è meritevole di accoglimento in relazione a tutti quegli atti che l’Amministrazione dichiara di aver già osteso all’istante, in quanto, sotto tale profilo, in presenza di un’ulteriore istanza di accesso, la composizione dell’organo giudicante precedente consegna non appare ostativa alla reiterazione della domanda, anche laddove, in ipotesi, i documenti fossero stati smarriti. Ciò posto, in mancanza di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrentechiarimenti da parte dell’Ispettorato della in merito all’esistenza o meno della documentazione richiesta questa Commissione rileva che, la quale risulta dubbia nel caso in via di specieprincipio, sussiste il diritto di accesso della società istante che ha lamentato una situazione di interferenza della propria frequenza radio con quella di titolarità della RAI (fx ….. Mhz) ed ha, pertanto, sufficientemente delineato una situazione di interesse differenziato rispetto all’ostensione della documentazione richiesta, come descritta nella parte in fatto della presente decisione. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisicaSi precisa a riguardo che, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata relazione a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancatali atti, il Collegio diritto di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commercialeaccesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti dalla pubblica amministrazione, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art.2, comma 2 del D.P.R. 184/2006 non è, comunque, tenuta ad elaborare dati in suo possesso al fine di soddisfare le richieste di accesso. Parimenti il ricorso appare inammissibile nella parte in cui l’istanza di accesso risulta finalizzata ad una generica richiesta di informazioni, come tale inammissibile ai sensi dell’art. 3322, 2° comma, comma 4 della legge n. 287 del 1990 (241/90 e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° commacomma 2 del D.P.R. 184/2006. Fatte tali precisazioni il ricorso merita accoglimento e, lett. a)pertanto, della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma l’Amministrazione è finalizzata invitata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.xriesaminare l’istanza di accesso presentata dalla ricorrente., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIICome desumibile dalla narrativa, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto seguechiede che l’Arbitro voglia: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13dichiarare la nullità del contratto e/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le o delle clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare chedeterminazione degli interessi ultralegali, ai sensi dell’art. 33117 del T.U.B., 2° commae: A) contestualmente far applicare gli interessi con “il tasso nominale minimo dei buoni ordinari del tesoro annuali…emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto” ai sensi dell’art. 117, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° commacomma 7, lett. a) del T.U.B., con la restituzione delle somme già corrisposte in eccesso relativi agli interessi; B) la restituzione delle spese di “commissione massimo scoperto e messa a disposizione”, delle spese di “tenuta e liquidazione e gestione c/c”, dei “bolli” e dei “Diritti di segreteria e spese affidamento” oltre agli interessi anatocistici corrisposti». Il resistente chiede che il ricorso sia: 1) dichiarato inammissibile, a) in via principale, per genericità delle doglianze e carenza di prova; b) in via subordinata, per incompetenza temporale, con riguardo ai finanziamenti del luglio 2008; 2) dichiarato improcedibile con riguardo alla domanda relativa alla restituzione delle voci di costo e degli interessi anatocistici, per mancata proposizione in sede di reclamo; 3) in via subordinata, rigettato. Ora, prima di passare ad esaminare la questione oggetto del presente ricorso, giova procedere ad una ricostruzione dei rapporti intercorsi tra le parti, alla luce delle evidenze documentali in atti. Invero, dalla documentazione versata in atti, emerge quanto segue: a) il 17/07/2008 l’intermediario concedeva alla società ricorrente una apertura di credito in c/c per € 100.000,00, garantita da una fideiussione sino a € 130.000,00 costituita, in pari data, dall’amministratore della società medesima, nonché da un pegno su strumenti finanziari (per un valore di circa € 100.000,00), della legge n. 287 costituito, sempre in pari data, dalla società; b) il 02/02/2009 veniva concessa una ulteriore apertura di credito in c/c per €80.000,00, non garantita, nonché un finanziamento di € 10.000,00 per – a quanto sembra ricavarsi – anticipazione su assegno girato all’incasso; c) il 9/2/2009 la fideiussione veniva estesa sino a € 270.000,00 e venivano inseriti nuovi strumenti finanziari nel dossier a garanzia, il cui valore veniva portato a oltre € 200.000,00; d) il 19/02/2009, l’apertura di credito veniva rimodulata in € 180,000,00 interamente garantiti, fermo l’altro finanziamento, non garantito, di € 10.000,00. In pari data, veniva ribadita l’estensione delle garanzie effettuata pochi giorni prima. Agli atti, si rinvengono altresì: una comunicazione, datata 14/09/2009, con cui la società ricorrente dichiarava di aver inserito nel dossier a garanzia nuovi strumenti finanziari, in vista di una estensione dell’apertura di credito; ulteriori comunicazioni (31/05/2010; 29/10/2010; 08/02/2011), concernenti proposte di modifica unilaterale del 1990tasso debitorio. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso In sintesi, sembra che essa vieti altresì tra le parti vi sia stato un iniziale contratto di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi apertura di acquisto o credito risalente al luglio 2008. Successivamente sono intervenuti, a brevissima distanza l’uno dall’altro, due accordi modificativi (febbraio 2009), cui sono seguite alcune modifiche unilaterali negli anni successivi. Circoscritta nei termini sopra descritti la situazione fattuale, si può passare all’esame delle questioni pregiudiziali sollevate dall’intermediario resistente. Sul punto, va innanzitutto rilevata, accogliendo l’eccezione formulata dall’intermediario, l’inammissibilità di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza alcune delle domande svolte dal ricorrente per mancanza del preventivo reclamo (Cass.Disp. ABF, sez. IVI, 12 dicembre 2017, n. 29810par. 1). Per Quest’ultimo, infatti, aveva ad oggetto esclusivamente la richiesta di ricalcolo degli interessi con applicazione del tasso sostitutivo ex art. 117 TUB, come conseguenza della mancata indicazione del TAEG/ISC. Pertanto, le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 domande del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini ricorrente sopra indicate sub B) e relative alla restituzione degli interessi anatocistici e di alcune voci di costo vanno dichiarate inammissibili. Parimenti va dichiarata inammissibile la domanda relativa alla mancata/erronea indicazione del presente giudizio che le clausole contrattuali TAEG/ISC e di cui si tratta siano quella relativa alla mancata indicazione del TAN in caso di fido assistito da garanzie reali (quest’ultima comunque non oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. areclamo), della legge n. 287 nella parte in cui riguardano il finanziamento stipulato nel luglio 2008. Si tratta infatti di vizi genetici di un contratto stipulato prima del 1990limite di competenza temporale dell’Arbitro (01/01/2009; cfr. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercatoDisp. ABF, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sezSez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810par. 4). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”Ad abundantiam, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo va rilevato che la modifica doglianza relativa alla mancata indicazione del contenuto sia tale TAN per fidi assistiti da garanzie reali, da un lato non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica sfocia in alcuna richiesta espressa , dall’altro va dichiarata inammissibile anche con riguardo al contratto del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o19.02.2009, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo quanto non oggetto di responsabilità extracontrattuale (Casspreventivo reclamo., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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DIRITTO. Secondo A parere del Collegio giova metter conto all’eccezione di carenza di legittimazione passiva formulata dall’intermediario convenuto, il quale ritiene che l’obbligo restitutorio debba gravare sul soggetto cui sarebbe stato ceduto il finanziamento de quo. L’eccezione è infondata e non merita accoglimento: in premessa, risulta per tabulas che parte resistente abbia sottoscritto un contratto quadro con altro intermediario nel mese di aprile 2005 ai sensi del quale – contrariamente a quanto sostenuto nelle controdeduzioni – si impegnava a cedere non già i contratti bensì i “crediti” rivenienti dai finanziamenti di cessione di quote dello stipendio che lo stesso avrebbe, in un certo arco di tempo futuro, collocato. In tale accordo si precisava, peraltro, che la gestione del rapporto e degli incassi delle somme dovute dal cliente ceduto rimanesse a carico del cedente. A fronte di tali risultanza documentali, va altresì sottolineato che parte convenuta non ha neppure fornito la prova relativa alla circostanza che il finanziamento in esame (recte il credito derivante da detto contratto) fosse stato effettivamente oggetto di trasferimento. A fronte di ciò, emerge invece che, ancora alla data del 24 giugno 2009, in occasione del rilascio del conteggio estintivo, l’intermediario abbia chiesto il versamento del debito residuo su un conto a sé intestato, senza precisare che l’incasso sarebbe avvenuto in nome e per conto di parte terza. In considerazione delle evidenze documentali, dunque, non solo risulta che l’operazione di cessione abbia riguardato i crediti e non già i contratti, ma anche che l’intermediario convenuto abbia continuato a mantenere – nei confronti del ricorrente – la gestione del rapporto negoziale anche nella sua fase esecutiva. Quanto al primo rilievo, la consolidata giurisprudenza di questo Collegio ha più volte sottolineato l’irrilevanza – sotto il profilo giuridico – delle intervenute cessioni del credito ovvero del contratto, ben potendo il consumatore – in forza della norma di cui all’art. 125-septies t.u.b. – opporre le eccezioni relative al contratto tanto al cedente quanto al cessionario. Tale considerazione, che si attesta sul piano della ricostruzione giuridica dei rapporti emergenti nei confronti del contraente ceduto, appare viepiù avvalorata anche da una considerazione che invece si attesta sul piano fattuale, e che si fonda sul principio dell’apparenza: risulta, infatti, documentalmente che l’intermediario resistente abbia continua a gestire i rapporti con il ricorrente sino al momento dell’anticipata estinzione, per provvedere alla quale quest’ultimo ha versato le somme necessarie sul conto intestato al primo, in tal guisa mostrandosi di fatto il dominus del rapporto (posto che non aveva mai comunicato l’intervenuta cessione e, quindi, la conseguente gestione in nome e per conto del cessionario). Per le riferite ragioni, dunque, deve essere rigettata l’eccezione di carenza di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario resistente. La domanda del ricorrente è relativa all’accertamento del proprio diritto alla restituzione di quota parte degli oneri economici connessi al finanziamento anticipatamente estinto rispetto al termine convenzionalmente pattuito, in applicazione del principio di equa riduzione del costo dello stesso, sancita all’art. 125-sexies t.u.b. In conformità alla ormai consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, si è affermato che la concreta applicazione del principio di risoluzione stragiudiziale equa riduzione del costo del finanziamento determina la rimborsabilità delle controversie sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in materia favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (cc.dd. up front). Dall’esame della documentazione contrattuale risulta che gli importi commissionali siano stati corrisposti “per la conversione e convertibilità da variabile in fisso del saggio degli interessi, per la copertura del relativo rischio per tutta la durata dell’operazione, per le operazioni di acquisizione della provvista, per le perdite dovute alla differenza di valuta tra erogazione iniziale e servizi bancari decorrenza dell’ammortamento, per l’eventuale ritardo di adeguamento dei tassi e finanziari (Sezdella commissione nel periodo di preavviso del mutamento delle condizioni di mercato; considerano inoltre tutte le prestazione e le attività preliminari, conclusive e successive indispensabili per il perfezionamento e l’esecuzione del contratto quali …. IIIil reperimento e l’esame della documentazione, § 4)l’istruttoria della pratica, la composizione dell’organo giudicante le spese postali e di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva notificazione, gli oneri della rete di distribuzione del ricorrenteservizio, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1l’elaborazione dei dati anche ai fini della L. n. 97/1991, e 2le attività prescritte dalla normativa vigente, lettera b)il costo dell’advertising e dei mezzi di comunicazione, della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati l’incasso l’elaborazione dei dati ed i controllo dei versamenti periodici delle quote di ammortamento con i consumatorirelativi adempimenti contabili e amministrativi, devono essere interpretati gli adempimenti per l’eventuale estinzione anticipata, i corrispettivi dovuti alla rete esterna di distribuzione, comprese le provvigione al mediatore creditizio o all’agente in attività finanziaria cui i Cedente ha ritenuto discrezionalmente di rivolgersi, i corrispettivi per gli adempimenti relativi all’attivazione delle garanzie e la loro successiva gestione, l’assistenza fornita al Cedente dopo la stipulazione del contratto, ogni altro servizio e costo dipendente dalla esecuzione di quanto previsto dal presente contratto anche se imprevisto o sopravvenuto” (cfr. art. 14 del contratto). La molteplicità degli adempimenti ivi previsti, senza la necessaria ripartizione delle quote relative alle varie voci commissionali tra quelli preliminari alla conclusione del contratto e quelli soggetti a maturazione nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra tempo, determina una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di creditocomplessiva opacità della formulazione della clausola, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano aggravata dalla sua attività professionale formulazione unitaria e non ha alcun collegamento di natura funzionale riferibile alle diverse commissioni previste nel contratto, con la suddetta società» (CGUEconseguenza che vada riconosciuto il diritto del ricorrente alla restituzione dell’importo di euro 142,48 con riferimento alle commissioni bancarie e di euro 612,38 con riferimento a quelle di intermediazione. Da ultimo, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo con riferimento alla fideiussione rilasciata a favore domanda di una bancarestituzione del premio assicurativo, il Collegio non può che confermare il proprio consolidato orientamento, viepiù avvalorato dalla decisione del Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione cfr. dec. n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni6167/2014), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento ordine alla sussistenza del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del collegamento negoziale tra contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa finanziamento e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinalepolizza assicurativa, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della trova nella legge n. 287 221/2012 il suo riconoscimento normativo; va pertanto disposto il rimborso della quota non maturata del 1990premio, calcolata in misura proporzionale alla vita residua del finanziamento anticipatamente estinto, per euro 449,86. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì Così per il complessivo importo di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi euro 1.204,72 da ridursi alla minor somma di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato euro 1.204,28 espressamente richiesto dal ricorrente, in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione ossequio al principio della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (domanda ex art. 1419, 1° comma, c.c.)115 c.p.c. Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:P.Q.M.
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi Deve esaminarsi innanzitutto l’eccezione di risoluzione stragiudiziale inammissibilità del ricorso. Essa appare fondata. Costituisce principio sufficientemente consolidato, anche nella giurisprudenza della Suprema Corte, che nell’ambito delle controversie in materia azioni di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez. IIImero accertamento, § 4)quale è quella proposta nella specie, la composizione dell’organo giudicante condizione essenziale dell’azione rappresentata dall’esistenza dell’interesse ad agire possa considerarsi soddisfatta solo se il richiesto accertamento sia essenziale per evitare un danno attuale a chi agisce, e non anche quando esso sia strumentale alla soluzione soltanto in via di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti massima o accademica di una società commercialequestione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche (così si esprime Cass. 24434/2007; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito ma in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e termini non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione dissimili Cass n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore12548/2002; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 2981010558/2002). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contrattoXxxxxx, se risulta si muove da tali premesse, sembra al Collegio che i contraenti la domanda formulata dalla società non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» (artsoddisfi il richiesto requisito. 1419Gli è, 1° commainfatti, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativacome rammentato, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “stessa ricorrente a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato sottolineare che la domanda principale di accertamento formulata all’Arbitro è funzionale a «dissipare ogni possibile incertezza e a consentire anche per il futuro il pacifico svolgimento del rapporto», collocandosi così proprio su quel terreno di soluzione meramente ipotetica o astratta della ricorrentecontroversia, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con che avvicina la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorsodomanda proposta ad una sollecitazione al Collegio a svolgere una funzione di fatto consulenziale. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore D’altra parte non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà nemmeno dimenticarsi che se è vero, come sottolineato anche dal Collegio di pagare quanto dovuto a rateCoordinamento nella decisione 3169/2014, con che il limite di valore fissato dalle disposizioni che disciplinano lo svolgimento del procedimento davanti l’ABF è formalmente previsto solo per le domande che abbiano ad oggetto la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata condanna al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione una somma di denaro, vero è fondata anche che «l’interpretazione sistematica delle varie disposizioni (128 bis TUB, Regolamento CICR e deve essere pertanto accolta. Al fine Disposizioni di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:Banca d’Italia) alla luce delle
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DIRITTO. Secondo quanto stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari (Sez1. III, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una bancaIn xxx xxxxxxxxxxx, il Collegio evidenzia come la domanda si inserisca nell'ambito del ben noto filone della retrocessione proporzionale degli oneri applicati a prestiti verso cessioni del quinto della retribuzione, nel momento in cui questi finanziamenti vengono estinti anticipatamente rispetto al normale decorso del piano di coordinamento ammortamento. Tuttavia, il ricorrente, ed è ciò che caratterizza detto ricorso, spezza le domande in due segmenti: l'uno, principale, tende a richiedere, accanto alla retrocessione proporzionale delle altre commissioni e oneri, anche la declaratoria di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso invalidità (con conseguente obbligo di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni retrocessione dell'intero importo versato al momento della contrazione del prestito) della commissione per l'intermediario del credito, frappostosi nel perfezionamento del finanziamento (e si vedrà tra un istante come occorra distinguere, all'interno di una società commercialetali operatori, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale tra agenti finanziari, mediatori creditizi, enti iscritti negli appositi albi di cui all'art. 106 TUB o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016semplici mandatari del finanziatore). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad ottenere provvedimenti di urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal I al IV». Secondo quanto è stato già chiarito da questo Arbitro (ad es., nella già citata decisione del Collegio di Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e di condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo cliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. Nel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); Più in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contrattoparte ricorrente assume che detta clausola sarebbe contrastante con norme inderogabili di legge, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità» costituite dall'art. 125 novies T.U.B. (art. 1419, 1° comma, c.c.). Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, di cui viene postulata l'applicabilità ratione temporis) e dalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta normativa in tema di essotutela del consumatore e segnatamente con le norme di cuiagli artt. 33 e 34, dovendosi commi 2 e 4. Il ricorrente allega la vessatorietà della previsione contrattuale relativa alla commissione qui ricordata, in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle relazione al significativo squilibrio tra le prestazioni, con particolare riferimento all’importo dovuto, alla carenza di informazione ed alla mancanza di trattativa tra le parti. Il criterio coincideLa domanda subordinata ulteriore, cosìsottoposta all'attenzione del Collegio, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale nel caso in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale cui venisse rigettata detta interpretazione del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criteriodettato normativo in merito alla commissione dell'intermediario, è indubbio cheuna ben nota domanda di retrocessione degli oneri e delle commissioni applicate al finanziamento, ai fini inclusa quella in favore dell'intermediario del presente giudiziocredito, le clausole specificamente contestate sulla base del principio proporzionale, come ritenuto elaborato dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.bgiurisprudenza ABF., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:
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