Motivi della decisione Clausole campione

Motivi della decisione. E’ documentalmente provato (v. doc. 1 attoreo) che in data 16/03/2004 *** *** ha concluso un contratto denominato di “affiliazione commerciale” che è incontestato in giudizio essere intercorso con l’affiliante *** *** s.r.l. bella persona della legale rappresentante *** ***, sebbene nell’intestazione documento risulti indicata tal North Electric Vehicles (soggetto risultato inesistente). La società a fronte del versamento di un contributo di affiliazione ha concesso al xxxx il diritto non esclusivo di vender e noleggiare veicoli elettrici e relativi accessori; la società ha dichiarato di essere titolare del diritto all’utilizzazione del marchio depositato e degli altri segni distintivi indicati nell’allegato A; inoltre ha assunto con tal contratto nei confronti dell’affiliato plurimi obblighi specificatamente indicati ai punti 9.10.11 del contratto e negli allegati facenti parte del contratto ed altresì dato atto della esistenza di una “rete in forte sviluppo ed affermata sul mercato in partnership con i più importanti gruppi internazionali di autoveicoli”(v. doc 3 attoreo)- alle prove e documentali acquisite in giudizio è emersa senza ombra di dubbio l’ingannevolezza di quanto affermato in sede di trattative e poi trafuso nel contratto circa il fatto che si trattasse di “rete in forte sviluppo ed affermata sul mercato” (v. doc.3) e circa la titolarità del vantato marchio; la Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato con provvedimento di data 7/12/2005 ha accertato la sussistenza di pubblicità ingannevole in relazione ai suddetti profili, vietandone ulteriore diffusione ( v. doc. 1 attoreo prodotto nel sub procedimento cautelare) e tale provvedimento è divenuto definitivo per mancata impugnazione. In particolare il provvedimento de quo ha rilevato che non vi era alcun elemento che suffragasse l’esistenza delle rete di affiliati ed ha altresì constatato con riferimento al marchio vantato che risultava solo la “ semplice richiesta di registrazione di un marchio diverso da quello vantato in pubblicità e per giunta effettuata successivamente alla diffusione dei messaggi in oggetto”. Tali valutazioni sono state ampiamente suffragate dai fatti emersi dalla esperita istruttoria che ha dato contezza di una generale situazione di ingannevolezza dalle pubblicità e dalle informative contenute negli allegati al contratto essendo in particolare emerso dalla istruttoria orale in buona sostanza che la tanto reclamizzata consolidata rete di affiliati è risultata ne...
Motivi della decisione. Con il terzo motivo del ricorso, al cui esame va data precedenza logica, il Bulferetti deduce violazione dell’art. 2439, 1° comma, c.c., dolendosi che la corte di appello abbia attribuito al contratto di sottoscrizione delle azioni di nuova emissione natura consensuale, vale a dire la idoneità a porsi come fattispecie contrattuale realizzata per effetto della sola manifestazione del consenso, essendo il versamento del controvalore (ivi compresa la quota dei tre decimi) adempimento del contratto stesso e quindi suo momento esecutivo, non già elemento della sua formazione. In realtà, secondo il ricorrente, il fatto che la legge, almeno per i tre decimi, richieda la contestualità del versamento alla sottoscrizione implicherebbe che il versamento stesso non si limiti a costituire adempimento di un impegno contrattuale già perfezionato, ma attenga allo stesso insorgere della fattispecie contrattuale. La ratio di tale costruzione normativa consisterebbe nel fatto che il legislatore ha inteso, nel caso di aumento del capitale, dotare la società non di soli crediti verso i sottoscrittori, ma, almeno per tre decimi, di risorse già entrate nelle casse sociali. Questa corte, chiamata per la prima volta a risolvere tale questione, ritiene di poter condividere l’opzione consensualistica espressa dai giudici di merito nella presente controversia (e già, in precedenza, da altri tribunali e corti), confermando qualche spunto in tal senso che essa stessa aveva occasionalmente formulato (v., in particolare, sent. 639/76, Foro it., 1976, I, 1233). La lettera dell’art. 2439, 1° comma, c.c. non può dirsi univoca, perché l’espressione «all’atto della sottoscrizione», riferita al «dovere» del versamento dei tre decimi, potrebbe esprimere una sorta di concorso ontologico dei due elementi nella formazione del contratto, ma potrebbe anche semplicemente indicare una contemporaneità cronologica, o meglio la immediatezza del dovere di versamento rispetto alla sottoscrizione; tanto più che il verbo «dovere», usato dalla norma, sembra più allusivo ad un obbligo che non al fatto, per sé libero, di dar vita ai segmenti formativi del contratto (nei contratti reali classici la consegna della cosa è rappresentata come evento, mai come dovere: art. 1766, 1803, 1813, ecc.). Assunto dunque come non univoco il dato letterale, è allo scopo della norma che deve guardarsi. Esso viene indicato nella necessità di garantire la serietà della sottoscrizione dell’aumento nei riguardi sia dei soci e della...
Motivi della decisione. Xxxxx premettere che nella fattispecie la decisione sarà emessa secondo diritto ai sensi dell’art. art. 113 II° Co. c.p.c., cosi’ come modificato dalla legge 7/4/2003 n° 63. L’attore ha inoltre correttamente incardinato la controversia innanzi al giudice territorialmente competente, nella fattispecie luogo di residenza - o domicilio elettivo - del consumatore ai sensi dell’art. 1469 bis comma 3 n° 19, c.c.. che ha in sostanza introdotto, per le controversie relative ai contratti stipulati da consumatori con professionisti, un foro speciale rispetto a quelli previsti dagli art. 18 e 20 c.p.c., che esclude ogni altro foro previsto dalla legge. Cassazione civile, sez. I, 28.08 2001, n. 11282; Tribunale Roma, 19 luglio 2002; Tribunale Reggio Xxxxxx, 12 luglio 2002. Nel merito, la domanda attorea risulta fondata nei suoi assunti presupposti giuridici e di fatto e va pertanto accolta. Esaminati gli atti e gli scritti difensivi, emerge un dato riferito dall’attore e dal convenuto, cioè la notoria interruzione della somministrazione di energia elettrica avvenuta alle ore 03:25 della notte tra sabato 27 e domenica 28 settembre 2003 su tutto il territorio nazionale, che in Campania è durata circa 15 - 18 ore. E’preliminare per la risoluzione della fattispecie, la disamina della natura giuridica del contratto di somministrazione prevista dall’art. 1559 c.c.. Orbene, la somministrazione, detta anche fornitura, è il contratto con il quale una parte (somministrante) si obbliga, verso corrispettivo di un prezzo, ad eseguire, a favore dell’altre parte, (somministrato) prestazioni periodiche o continuative di cose. Il contratto di somministrazione è, quindi, destinato a soddisfare ad intervallo di tempo costante bisogni periodici e continuativi dell’utenza attraverso la costituzione di un rapporto durevole. Secondo l’insegnamento autorevole e consolidato della Corte di Cassazione (sentenza n° 2359/1968) il somministrante assume su di se l’obbligo di apprestare i mezzi necessari per adempiere la propria obbligazione contrattuale e, ovviamente il rischio (l’alea) connesso alla mancata fornitura. Correttamente l’Autorità per l’energia elettrica ed il gas, con delibera 112/03 ha ritenuto che avrebbe dovuto essere operativo un sistema di difesa contro le perturbazioni del sistema elettrico in grado di riconoscere preventivamente eventuali criticità. Al riguardo autorevole magistratura amministrativa (TAR Lombardia Milano, sez. II° 20/11/2002 n° 4515,) ha considerato che “ le pr...
Motivi della decisione. Preliminarmente, i ricorsi - principale ed incidentale - vanno riuniti ai sensi dell'art. 335 c.p.c.. Ricorso principale. (OMISSIS) Con il secondo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle clausole generali della buona fede, ed in particolare sulla pretesa insindacabilità degli atti di autonomia privata e della conseguente non applicabilità della figura dell'abuso del diritto all'esercizio del recesso ad nutum (art. 360 c.p.c., n. 3, in relazione agli artt. 1175 e 1375 c.c.). Con il terzo motivo denunciano la violazione e falsa applicazione dell'art. 2043 c.c.; contraddittorietà della motivazione sul punto (art. 360 c.p.c., n. 5). Con il quarto motivo denunciano la violazione e falsa applicazione delle disposizioni sull'agenzia ed errata valutazione della giurisprudenza tedesca in materia (art. 360 c.p.c., n. 3). Il secondo, terzo e quarto motivo, investendo profili che si presentano connessi in ordine alle questioni prospettate, vanno esaminati congiuntamente. Essi sono fondati, nei limiti di cui in motivazione, per le ragioni che seguono. Costituiscono principii generali del diritto delle obbligazioni quelli secondo cui la parti di un rapporto contrattuale debbono comportarsi secondo le regole della correttezza (art. 1175 c.c.) e che l'esecuzione dei contratti debba avvenire secondo buona fede (art. 1375 c.c.). In tema di contratti, il principio della buona fede oggettiva, cioè della reciproca lealtà di condotta, deve presiedere all'esecuzione del contratto, così come alla sua formazione ed alla sua interpretazione ed, in definitiva, accompagnarlo in ogni sua fase (Cass. 5.3.2009 n. 5348; Cass. 11.6.2008 n. 15476). Ne consegue che la clausola generale di buona fede e correttezza è operante, tanto sul piano dei comportamenti del debitore e del creditore nell'ambito del singolo rapporto obbligatorio (art. 1175 cod. civ.), quanto sul piano del complessivo assetto di interessi sottostanti all'esecuzione del contratto (art. 1375 cod. civ.). I principii di buona fede e correttezza, del resto, sono entrati, nel tessuto connettivo dell'ordinamento giuridico. L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza costituisce, infatti, un autonomo dovere giuridico, espressione di un generale principio di solidarietà sociale, la cui costituzionalizzazione è ormai pacifica (v. in questo senso, fra le altre, Cass. 15.2.2007 n. 3462). Una volta collocato nel quadro dei valori introdotto dalla Carta costituzionale, poi, il principio deve essere inteso come un...
Motivi della decisione. Con il primo motivo la ricorrente ribadisce la tesi secondo la quale la prova per testimoni del prezzo effettivamente pattuito non poteva essere ammessa in considerazione del disposto dell'art. 2722 cod. civ. La sentenza impugnata si è rifatta alla giurisprudenza meno recente di questa S.C. Si è, in proposito, affermato che, allorquando l'accordo simulatorio investe solo uno degli elementi del contratto (quale è il prezzo di una vendita immobiliare), per il quale è richiesta la forma scritta ad substantiam, il contratto simulato non perde la sua connotazione peculiare, ma conserva inalterati gli altri suoi elementi - ad eccezione di quello interessato dalla simulazione - con la conseguenza che, non essendo il contratto in tali termini simulato né nullo né annullabile, ma soltanto inefficace tra le parti, gli elementi negoziali interessati dalla simulazione possono essere sostituiti o integrati con quelli effettivamente voluti dai contraenti. Pertanto, la prova per testimoni del prezzo effettivo della vendita, versato o ancora da corrispondere, non incontra, tra alienante e acquirente, i limiti dettati dall'art. 1417 cod. civ. in tema di simulazione, in contrasto con il divieto posto dall'art. 2722 cod. civ., in quanto la pattuizione di celare una parte del prezzo non può essere equiparata, per mancanza di una propria autonomia strutturale, all'ipotesi di dissimulazione del contratto, così che la prova relativa ha scopo e materia semplicemente integrativa e può pertanto risultare anche da deposizioni testimoniali (sent. 24 aprile 1996 n. 3857; 23 gennaio 1988 n. 526).
Motivi della decisione. Da un’attenta analisi del caso di specie, emerge che la richiesta di parte istante merita un parziale accoglimento, considerato che non sono riscontrabili elementi di scorrettezza nella condotta del sig. Xxxxx, il quale ha fatto del servizio telefonico un utilizzo conforme al regolamento contrattuale. Di contro, diversi sono i profili di illegittimità ravvisabili nella condotta tenuta dall’operatore nel corso dell’esecuzione del rapporto contrattuale. Nel dettaglio, la valutazione della fattispecie che ci occupa è incentrata sulla problematica riguardante la legittimità dell’iniziativa della “messa in scadenza” del credito da autoricarica maturato entro il 31.12.2006. Su tale questione l’operatore H3G ha evidenziato che, in sostanza, la maturazione di somme notevolmente ingenti da parte dell’utente sembra derivare da un utilizzo improprio dell’utenza telefonica, in contrasto con il divieto contrattuale di uso dei servizi a scopo lucro prescritto dall’art. 12 delle Condizioni generali di abbonamento. Con riferimento alle argomentazioni addotte dal gestore a supporto della propria posizione, rileva in questa sede evidenziare che, al tempo della costituzione del rapporto contrattuale, nessuna clausola indicava limitazioni circa l’utilizzazione del credito residuo accumulato, né lo differenziava in alcun modo rispetto a quello frutto di versamento diretto di somme di denaro a favore del gestore. A ciò si aggiunga che la disciplina contrattuale, prevedendo apposite forme di autotutela, avrebbe consentito all’operatore di disporre rimedi quali la sospensione dei servizi ovvero la risoluzione del contratto per usi anomali o a scopo di lucro, conformemente a quanto disposto dall’art. 18 e dall’art. 20 delle Condizioni Generali di contratto. Non può trascurarsi, pertanto, la circostanza che la società H3G S.p.A., pur potendo, non ha attivato quelle clausole che le avrebbero permesso di tutelarsi per tempo senza far sorgere equivoci né aspettative di sorta rispetto ad un comportamento del cliente indubbiamente anomalo, che però era già oggettivamente riscontrabile da tempo. Sotto altro profilo interpretativo, poi, si deve aggiungere che l’assenza originaria, nel piano Super Tua Più, di qualsivoglia tetto massimo o limite per l’autoricarica e la recente previsione di tetti di autoricarica che ancora permettono l’accumulo di somme rilevanti, rappresentano un indice della volontà originaria del gestore di consentire accumuli anche ingenti di credito da autoricarica. Ta...
Motivi della decisione. Il resistente ha addotto l'inammissibilità del ricorso per Cassazione, ritenendolo tardivo in quanto non sarebbe possibile cumulare due sospensioni dei termini per il periodo feriale. Tale eccezione (in senso lato, in quanto attinente a profilo rilevabile anche d'ufficio) non è fondata. La sentenza impugnata fu depositata il 17 luglio 2000. Da tale data prese a decorrere il termine annuale di decadenza ex art 327 c.p.c. (in quanto essa non risulta notificata, com'è incontroverso), termine da calcolare ex nominatione dierum. cioè prescindendo dal numero dei giorni da cui è composto ogni singolo mese o anno, ai sensi dell'art. 155, comma 2, del codice di rito civile (Cass., 11 agosto 2004, n. 15530; 3 giugno 2003, n. 8850; 7 luglio 2000, n. 9068). n detto termine, dunque, veniva a scadere il 17 luglio 2001, ma esso doveva essere prolungato di 46 giorni (calcolati ex numeratione dierum. ai sensi del combinato disposto degli artt. 155, comma 1, c.p.c. e 1 comma 1, L. n. 742 del 1969: v. giurisprudenza ora cit.) per la sospensione durante il periodo feriale. Pertanto, dopo i primi 14 giorni (17/31 luglio 2001), i residui 32 giorni non giunsero a compimento il 1 Settembre 2001 (ricadente nel c.d. periodo feriale) ma presero a decorrere dopo la detta sospensione, cioè dal 16 settembre 2001 (incluso), giungendo a compimento il 17 ottobre 2001. Poiché il ricorso per Cassazione risulta notificato il 10 ottobre 2001, l'impugnazione si rivela tempestiva. La tesi del resistente, secondo cui non sarebbe possibile cumulare due periodi di sospensione, non può essere condivisa. Essa non trova riscontro nel dettato normativo ed anzi contrasta con la ratio della legge n. 742 del 1969, che - salve le eccezioni previste - ha comunque inteso evitare il decorso dei termini processuali nell'arco di tempo considerato da tale legge. Il punto, del resto, è stato già trattato da questa Corte, la quale ha affermato il principio secondo cui il termine annuale di decadenza dall'impugnazione che, qualora sia iniziato a decorrere prima della sospensione dei termini durante il periodo feriale, deve essere prolungato di 46 giorni (non dovendosi tenere conto del periodo compreso tra il 1 agosto e il 15 settembre di ciascun anno) è suscettibile di ulteriore analogo prolungamento quando l'ultimo giorno di detta proroga venga a cadere dopo l'inizio del nuovo periodo feriale dell'anno successivo (Cass., 8 gennaio 2001, n. 200; 20 marzo 1998, n. 2978). Ed a tale principio il collegio intende dare...
Motivi della decisione. Xxxxx identità e confondibilità del nome a dominio
Motivi della decisione. Il ricorso è infondato.
Motivi della decisione. Nel primo motivo viene dedotta la violazione dell'art. 1283 c.c., in combinato disposto con il D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161, nonchè il vizio di motivazione per avere la Corte d'Appello ritenuto che l'applicabilità degli interessi anatocistici fosse consentita per legge nel contratto di muto fondiario senza considerare che il contratto in questione è assoggettato alla disciplina normativa introdotta dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 161, con il quale è stato abrogato il precedente T.U. n. 646 del 1905. Alla luce del nuovo regime giuridico i contratti di mutuo fondiario sono interamente assoggettati al T.U.B..