Common use of DIRITTO Clause in Contracts

DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Si ritiene opportuno dare preliminarmente conto dei termini della transazione, poiché è in gran parte dall’inquadramento di questi che dipende l’esito della controversia. Nell’accordo transattivo era specificato che «in caso di puntuale ed esatto adempimento» delle prestazioni ivi stabilite, l’intermediario «nulla più avrà a pretendere in relazione al credito derivante dal rapporto precisato in oggetto» e provvederà alla cancellazione delle ipoteche «ove sia possibile applicare la procedura semplificata»; «qualora non fosse applicabile la normativa in tema di semplificazione del procedimento di cancellazione delle ipoteche […], la stessa avverrà solo a cura e spese del richiedente». Incontestato l’adempimento da parte dell’originario debitore delle prestazioni stabilite nell’atto transattivo, resta da verificare se abbia ragione la banca nell’affermare che, in ragione della natura giudiziale e non volontaria dell’ipoteca in questione, questa dovrebbe reputarsi esclusa dal «procedimento semplificato» di cancellazione ex art. 13, commi 8- sexies ss., del D.L. n. 7/2007. È decisivo evidenziare che al Collegio non sono stati prospettati elementi sufficienti per suffragare la tesi della resistente circa la natura giudiziale dell’ipoteca. Sul punto, avendo le parti regolato pattiziamente l’ipotesi della sua cancellazione, può darsi per provata la sussistenza di un’ipoteca a garanzia del mutuo, ma non la sua fonte. Ciò posto, non c’è dubbio che l’intermediario convenuto sia stato inadempiente rispetto all’obbligo volontariamente assunto di procurarne la cancellazione a seguito di transazione. Sull’inadempiente incombe l’onere di dimostrare la correttezza del proprio operato, provando – senza limitarsi ad affermare – che la specifica tipologia di ipoteca rendeva inapplicabile «la normativa in tema di semplificazione del procedimento di cancellazione delle ipoteche». Nel caso di specie, il convenuto non ha fornito alcun elemento indiziario utile a supportare l’antefatto indispensabile per provare la correttezza della propria inerzia. Deve perciò impegnarsi a procurare la cancellazione ipotecaria richiesta. Alla luce di tali acquisizioni, è superfluo approfondire l’argomento – logicamente dipendente – legato alla presunta inconciliabilità delle ipoteche giudiziali con il procedimento «semplificato». La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto soluzione negativa, sostenuta da un rappresentante parte della dottrina, non pare trovare conferma testuale nella Circolare dell’ex Agenzia Territorio del 1° giugno 2007, n. 5, che si limita ad affermare che le disposizioni di un’impresa cui all’art. 13, comma 8-sexies, D.L. n. 7/2007 «si applicano esclusivamente con riferimento alle ipoteche iscritte a garanzia di obbligazioni derivanti da contratti di mutuo stipulati con i soggetti sopra menzionati, con esclusione quindi, a titolo esemplificativo, delle ipoteche iscritte a garanzia di obbligazioni derivanti da contratti diversi da quello di mutuo, ovvero a favore di creditori diversi da quelli specificatamente individuati nelle disposizioni di cui trattasi». Ad ogni modo, va detto che commercializza macchinari per uso esteticol’art. 40-bis t.u.b. (in vigore dal 14 maggio 2011, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti quindi prima della transazione de qua) consente l’operatività della procedura "semplificata" per la condotta illegittima posta cancellazione delle ipoteche a garanzia di generici "finanziamenti" (qualunque finanziamento), senza specificazioni in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]ordine alla fonte dell’ipoteca. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataNon può trovare accoglimento, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione cancellazione della segnalazione in Centrale dei canoni di leasing versatirischi. In questa prospettivaAl riguardo, si segnala evidenzia che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla secondo la Circolare n. 139/1991 della Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova segnalazione in CR delle posizioni definite con accordo transattivo (artsez. 2697 c.c5.5.), il la banca è sempre tenuta a segnalare, a beneficio del “sistema”, i c.dd. «Crediti passati a perdita» anche all’esito di transazioni, per la parte non riscossa. Ad ogni modo, si evidenzia che i ricorrenti non hanno fornito la prova della natura della segnalazione, né della relativa decorrenza, non consentendo al Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente necessari approfondimenti comunque assoggettati all’onere di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto allegazione di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoparte. Conseguentemente, sono respinte tutte le domande risarcitorie.

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DIRITTO. La Prima di esaminare nel merito la controversia sembra opportuno riportare alcuni aspetti essenziali ai fini della decisione. Non è controverso che il cliente avesse sottoscritto, in data 20/11/2006, una richiesta di carta di credito con la convenuta. In tale sede, la modalità di rimborso mensile prevista era “100% del saldo”. Origine del presente ricorso è l’“offerta” proposta dall’intermediario nel corso di una telefonata commerciale avvenuta in data 19/11/12 e le modifiche delle condizioni contrattuali che ne sarebbero risultate “convenute” dalle parti. Sul punto si rileva che: • Non è chiaro se sia stato il cliente a contattare la Banca o viceversa: dalla narrativa proposta dalla parte istante, la chiamata parrebbe essere nata su iniziativa dell’intermediario. Di converso, la convenuta afferma la circostanza per cui sarebbe stato il ricorrente allega a chiamare la Banca, riportando trascrizione della chiamata effettuata. Si rileva che, dal tenore di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa quanto trascritto (che commercializza macchinari per uso esteticoparrebbe provenire dal ricorrente), il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinarisembrerebbe, liberamente risolvibile senza penaletuttavia, farsi riferimento ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti precedente contatto tra le parti. In particolare€ 500, ma non pare chiarirsi se tale rata faccia riferimento al mero rimborso della liquidità concessa (come inteso dal ricorrente) oppure anche all’ulteriore ed eventuale utilizzo della carta (come applicato dall’intermediario). Ciò premesso e venendo all’esame del merito della controversia, giova rammentare che – in uno dei due documenti si fa riferimento un quadro normativo ove la mancanza della forma scritta nei contratti di credito è sanzionata con il rimedio della nullità (seppure relativa) – le disposizioni della Banca d’Italia, emanate sulla base della delibera CICR del 4.3.2003 e del rinvio ad un contratto di “affitto/noleggio”essa dell’art. 117, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataco. 2, inveceTUB, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produceprevedono espressamente, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie normativa in materia di “Trasparenza delle operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia finanziari” (provvedimento del 12.12.2011sez. III, par. 2), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte la forma scritta non è obbligatoria: a) per le controversie aventi ad oggetto l’accertamento operazioni e i servizi effettuati in esecuzione di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferisconoprevisioni contenute in contratti redatti per iscritto”. Si registranoOra, pertantoad avviso di questo Collegio, orientamenti il mutamento della forma della restituzione del finanziamento erogato per mezzo della carta di credito da “restituzione integrale” a “restituzione revolving” non univoci può essere considerato operazione e/o servizio svolto in merito esecuzione delle previsioni contenute in contratti precedentemente redatti nella forma scritta – posto che il contratto stipulato tra le parti non pare prevedere alcun espresso riferimento alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivotale modifica – sicché la mancanza della forma scritta determina necessariamente la nullità delle relative pattuizioni. Ciò non Le conseguenze di menotale nullità impongono che l’intermediario proceda a riconteggiare le restituzioni reciproche, anche a voler ritenere che tale competenza possa tenendo in considerazione le previgenti condizioni contrattuali. Ne deriva che, essendo stato utilizzato l’affidamento, i debiti in linea capitale dovranno essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la restituiti all’intermediario secondo le condizioni originariamente stipulate. La domanda dell’attuale risarcitoria di € 500,00 formulata dal ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume può, invece, essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, accolta risultando non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigorosoassolutamente generica, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.cpriva di qualsiasi riscontro probatorio., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con questione sottoposta all’attenzione del Collegio concerne la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre legittimità del comportamento tenuto dall’intermediario nella fase delle trattative funzionali al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse perfezionamento di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova mutuo ipotecario; comportamento consistente nell’avere esitato la prevista istruttoria offrendo condizioni economiche diverse da quelle oggetto della richiesta di finanziamento da parte del cliente nonché – a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali detta del ricorrente – da quelle che la ricorrente afferma banca stessa avrebbe sulle prime prospettato alla controparte. Giova innanzitutto premettere come non sia ravvisabile, in capo all’intermediario, coinvolto in trattative prodromiche alla concessione di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]un finanziamento, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alcun obbligo a contrarre, la conclusione o meno del contratto, al pari delle condizioni offerte alla cliente e con quale finalità. In sostanzacontroparte, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma rientrando nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue partipiena sovranità negoziale del potenziale mutuante, senza che a nulla rilevi in senso contrario la sua firma sia stata disconosciutaveste istituzionale. InoltreTale aspetto è stato a in più di una occasione affrontato e chiarito da questo Arbitro, ribadendosi come il pur necessario rispetto della normativa di settore non scalfisca l’autonomia del giudizio in merito alla convenienza di un’operazione creditizia ( cfr. Collegio di Coordinamento, decisione n. 6182/2013), di guisa da doversi ritenere non accoglibili istanze provenienti dai ricorrenti e dirette ad ottenere una pronuncia di tipo costitutivo di un rapporto di finanziamento, o anche solo di accertamento del corrispondente diritto nei confronti dell'intermediario resistente. Resta viceversa assodato il gravare, su entrambe le parti, del generale dovere di comportamento secondo buona fede ex art. 1337 c.c. nonché, sulla sola banca, del dovere di fornire al consumatore – già in sede di trattative - “chiarimenti adeguati”, nonché “doverosa assistenza”, come previsto dall'art. 124 T.U.B. e dalle Disposizioni della Banca d'Italia sulla “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari. Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti”. Xxxxxx, nel caso in esameesame può certo dirsi circostanza acquisita quella dell’avvio, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle tra le parti. La ricorrente, di trattative intese alla concessione di un mutuo ipotecario; il ricorrente allega, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società copia di leasing [ZZ] diverse comunicazioni intercorse tra giugno e quest’ultima dichiara trattarsi novembre 2016, tanto con l’intermediario resistente quanto con l’agente in attività finanziaria successivamente intervenuto, afferenti a plurime richieste di un suo mero procacciatore d’affari invio di documentazione (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])tra cui buste paga, ma non di un suo rappresentante. In tal casovisure catastali, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cecc.). Tutto ciò premesso Lo stesso ricorrente produce inoltre copia di email datate giugno 2016, contenenti espliciti riferimenti alla documentazione per l’istruttoria del mutuo, nonché email risalenti al luglio del medesimo anno, con le quali espressamente chiedeva delucidazioni su eventuali “problemi per l’erogazione del mutuo”, senza nondimeno ricevere – stando almeno a quanto risulta agli atti – alcun riscontro; la richiesta di finanziamento risulta, invece, formalizzata in data 18.08.2016, ad inizio di ottobre 2016 l’immobile è stato sottoposto a perizia per la stima del valore mentre solo in data 12.01.2017 si è avuta comunicazione al cliente circa la delibera di concessione del mutuo, ancorché senza dettaglio circa le condizioni proposte. Di più però, incontroversa essendo del pari la circostanza che l’intermediario solo in data 01.02.2017 abbia comunicato al ricorrente un prospetto di mutuo a tasso variabile, poi riscontrato negativamente dal cliente, gli è che non può con altrettanta certezza dirsi provata la previa prospettazione – da parte della banca - di determinate condizioni contrattuali successivamente rettificate in peius, in spregio del ragionevole affidamento ingenerato su di esse. Nessun riscontro vi è, in altri termini, circa termini negoziali originariamente offerti, sui quali il ricorrente possa avere legittimamente confidato, al punto da impostare di conseguenza le proprie condotte e considerando le proprie relazioni con terzi. Quel che può riscontrarsi è semmai l’assenza, già nelle more delle trattative ma ancor più al termine dell’istruttoria, di adeguate interlocuzioni avviate dalla banca, volte ad illustrare al richiedente l’emergere delle criticità legate alla propria richiesta di concessione del credito; circostanza, questa ultima, la quale stride con la prescrizione dettata dall’art 124, comma 5, T.U.B., secondo cui “Il finanziatore o l’intermediario del credito forniscono al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle sue esigenze e alla sua situazione finanziaria (..) , ulteriormente arricchita di significato alla luce delle Comunicazioni della Banca d’Italia (Comunicazione del 22/10/2007 - Bollettino di Vigilanza n. 10 di ottobre 2007 e Comunicazione n. 993215 del 26/11/2012) che enfatizzano la pregnanza degli obblighi di assistenza al consumatore. Particolarmente la Comunicazione BdI dell’Ottobre 2007, al paragrafo 4.2.2.2, ribadisce la necessità che il finanziatore fornisca “al consumatore chiarimenti adeguati, in modo che questi possa valutare se il contratto di credito proposto sia adatto alle proprie esigenze” ; d’altra parte, la Comunicazione BdI del 2012 prescrive che sia dato sollecito riscontro alla richiesta presentata dal privato ed ancora, per il caso in cui l’intermediario decida di non accettarla, che, “anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema al fine di onere della prova (art. 2697 c.c.)salvaguardare la relazione con il cliente”, il Collegio ritiene medesimo soggetto verifichi “la possibilità di fornire indicazioni generali sulle valutazioni che hanno indotto a non provati accogliere la richiesta di credito”. Ebbene, considerato che l’intermediario ha, nel caso di specie, di fatto rigettato la richiesta formulatagli dal cliente – mutuo ipotecario di € 125.000,00 a tasso fisso e della durata di 25 anni – ad essa facendo seguire una ben diversa proposta, dal privato ritenuta non conforme ai propri interessi, va detto come non solo significativo sia stato il lasso di tempo utilizzato per l’ultimazione dell’istruttoria (dall’agosto del 2016 al febbraio 2017) ma soprattutto come nessuno specifico chiarimento, nessuna adeguata delucidazione, risulti essere fornita al privato, in ordine ai termini regolamentari prospettatigli. Tale condotta integra dunque, per quanto sopra detto, una deviazione dal canone comportamentale prescritto a carico dell’intermediario, foriera di potenziali danni riguardabili attraverso la lente dell’interesse negativo. Così, seppure la circostanza che, per stessa ammissione del ricorrente, rimanga ancora perfezionabile il contratto definitivo di compravendita rende la corrisposta caparra confirmatoria non annoverabile tra le poste di danno patite dal richiedente, poiché impregiudicata ne è allo stato la funzione, non altrettanto può dirsi per i fatti posti a fondamento costi della domanda della perizia, pari ad € 280,00 e sopportati dal ricorrente nella esclusiva prospettiva di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento un perfezionamento del contratto mutuo alle condizioni richieste ed auspicate; non supportati da evidenze probatorie appaiono invece le “altre spese” che il ricorrente lamenta di leasing avere sostenuto e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.di cui parimenti chiede la rifusione

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DIRITTO. La ricorrente allega Giova preliminarmente osservare come, riguardo alla questione relativa alla ritenuta usurarietà degli interessi previsti in contratto, la genericità della prospettazione e, soprattutto, la circostanza che essa non forma oggetto di essere specifica domanda escludono che il Collegio debba farsene carico, non essendo accessibile al merito in quanto carente sia nella causa petendi che nel petitum ed essendo il giudicante vincolato al principio di corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato ex art. 112 cod. proc civ. Sempre in via preliminare può, in accoglimento dell’eccezione formulata dalla parte resistente, dichiarasi la cessazione della materia del contendere sul capo di domanda relativa alla sospensione delle rate di mutuo nella parte in cui tale sospensione è stata vittima accordata fino al giugno 2014. Per il periodo futuro la domanda va invece respinta, sia per assenza del suo presupposto, come meglio precisato nel seguito, sia perché risulta precluso a questo Collegio potersi pronunciare a fronte della litispendenza derivante dalla prospettata sottoposizione della questione alla competente autorità giudiziaria. Premesso che non è dato al Collegio rendere decisioni costitutive (quali quelle di un raggiro messo in atto da un rappresentante annullamento o di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticorisoluzione del contratto di finanziamento), il quale le avrebbe prospettato ricorso sembra manifestamente infondato quanto alla domanda di accertamento della nullità del finanziamento. E ciò sia perché, diversamente da quanto apoditticamente affermato, non necessariamente viene nel caso di specie in considerazione un collegamento negoziale tra compravendita e mutuo fondiario determinativo della trasmissione degli effetti del primo contratto sul secondo, sia perché la nullità del contratto di affitto o noleggio compravendita non sembra affatto scontata alla luce del denunciato vizio. Sotto il primo versante è appena il caso di macchinariricordare che il mutuo fondiario non è mutuo di scopo, liberamente risolvibile senza penalepoiché, ad un canone mensile come affermato dalla giurisprudenza di 000 xxxxlegittimità, xx“di esso non è elemento essenziale la destinazione della somma mutuata a determinate finalità“ (Cass., xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta20 aprile 2007, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un n. 9511; Id., 26 marzo 2012, n. 4792). Aggiungasi che l’intervento del finanziatore nella verifica delle caratteristiche dell’immobile si presenta circoscritto alla costituzione della garanzia ipotecaria che connota l’operazione de qua (arg. ex art. 38 Tub). La nullità del contratto di leasing con compravendita è peraltro, nel caso di specie, almeno dubbia. Premesso che l’accertamento di patologie significative del contratto principale di compravendita (eventualmente destinate a riflettersi su quello di finanziamento) risulta estraneo al perimetro della cognizione di questo Collegio, di là anche della circostanza giuridicamente significativa che la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio afferma di voler convenire presso l’autorità giudiziaria ordinaria tanto i venditori quanto il notaio rogante per l’accertamento delle rispettive responsabilità (che traggono origine dagli stessi fatti oggetto di accertamento ai fini della declaratoria di nullità del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011negozio), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è dalla documentazione versata in atti non emerge prova che il lamentato abuso edilizio sia tale da determinare la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento nullità del riferito contratto, occorrerebbe altresì dimostrare avuto anche presente (sulla scorta della Circolare del Ministero dei lavori Pubblici del 18 luglio 1995) che “l’eventuale nullità degli atti di trasferimento è circoscritta soltanto agli immobili eseguiti in assenza di concessione o in totale difformità da essa … mentre non sono oggetto ad alcun limite alla commerciabilità gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente abusi di minore gravità che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.crestano assoggettati alle sanzioni di tipo amministrativo o penale”.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega L’ordinanza di essere stata vittima rimessione rileva un contrasto di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoorientamenti, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando formatosi tra i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientecollegi territoriali ABF, in cui si descrivono ordine ai criteri valutativi da adottare al fine di attribuire carattere di obbligatorietà ovvero di facoltatività alle polizze assicurative che i rapporti tra le particlienti degli intermediari stipulano collateralmente ai contratti di finanziamento. In particolare, in uno dei due documenti si fa l’ordinanza evidenzia che gli indici di obbligatorietà della polizza individuati dal Collegio di Roma, e che devono ricorrere congiuntamente al momento della erogazione del finanziamento, sono: (i) il carattere collettivo della polizza stipulata dall’intermediario con la compagnia assicurativa a copertura del rischio morte, invalidità, perdita involontaria d’impiego del soggetto finanziato; (ii) la contestualità rispetto alla erogazione del finanziamento; (iii) la coincidenza di durata tra finanziamento e copertura assicurativa; (iv) la previsione che il beneficiario dell’indennizzo assicurativo sia soltanto l’intermediario. Mentre, secondo un orientamento del Collegio di Milano, il carattere di facoltatività può prescindere dalla rigida applicazione di criteri precostituiti, e la questione deve essere risolta sempre con riferimento al caso di specie, facendo leva, ad un esempio, sugli elementi probatori necessari a denegare la qualifica di polizza facoltativa attribuita all’assicurazione dalle parti del contratto di “affitto/noleggio”finanziamento. Ad avviso dello scrivente Xxxxxxxx, il rilevato contrasto deve essere considerato nella prospettiva più generale della pluralità di orientamenti alla stregua dei quali la vexata quaestio può essere affrontata e risolta. Posto che, evidentemente, il problema può porsi solo con riferimento a quelle polizze assicurative rispetto alle quali sia identificabile un collegamento funzionale e non già solo occasionale con il finanziamento (su tale profilo si rinvia infra), si registra un primo orientamento tendente a prospettare la massima differenziazione tra collegamento e obbligatorietà. Quest’ultima, costituendo un elemento aggiuntivo e distinto rispetto alla accessorietà, dovrebbe essere provata sulla base di elementi che, ancorché in via presuntiva, depongano in quella direzione, laddove la maggior parte degli indici elaborati dalla giurisprudenza ABF sembrano giustificarsi in ragione del collegamento tra finanziamento e polizza CPI, non già della obbligatorietà del secondo al fine di conseguire il primo. Il difetto di questa impostazione è, tuttavia, la sostanziale impossibilità di provare la obbligatorietà. Un secondo orientamento, che prevede altresì il passaggio si potrebbe definire “intermedio” (maturato nel Collegio di proprietà Roma), sulla scorta di una valutazione caso per caso, propone di isolare quegli indici che, esprimendo un collegamento particolarmente 'rafforzato', consentono di presumere la obbligatorietà. Rispetto a questo approccio, potrebbe tuttavia osservarsi che non tutti gli indici appaiono determinanti al cliente dopo 59 mesi fine di utilizzo dei macchinari stabilire con certezza l’obbligatorietà, e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolatasuperare, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatequindi, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versatiqualificazione convenzionale ricavabile dalle pattuizioni contrattuali. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrenteAlcuni, infatti, non lo qualifica come rappresentante dicono molto sulla obbligatorietà (e.g.: durata e importo), essendo piuttosto indici del diverso requisito della società strumentalità della polizza rispetto all’ammortamento del prestito, e dunque potrebbero svolgere un ruolo di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi supporto rispetto a quelli maggiormente 'indicativi' (del resto, la prova presuntiva della obbligatorietà si risolve sostanzialmente nella prova di un collegamento particolarmente stretto). In una diversa prospettiva si colloca invece quell’orientamento che, valorizzando il dato della contestualità tra erogazione del finanziamento e stipulazione della polizza assicurativa, perviene essenzialmente al superamento della dicotomia obbligatorietà/facoltatività. Un superamento che, con particolare riguardo al TEG, e dunque alla disciplina anti-usura, trova il suo mero procacciatore d’affari presupposto ermeneutico e sistematico nell’art. 644, comma 5, c.p., che attrae nella fattispecie, quale solo requisito sufficiente, il collegamento, e in una diversa interpretazione delle “Istruzioni per la rilevazione dei tassi effettivi globali medi ai sensi della legge sull’usura” della Banca d’Italia, ove la contestualità è posta in alternativa alla obbligatorietà. La menzionata impostazione ha trovato recente espressione in un arresto della Corte di cassazione, che, stante la funzione nomofilattica delle decisioni del supremo Collegio, indica la direzione da seguire, e orienta la giurisprudenza successiva, compresa quella dell’ABF. Trattasi della sentenza n. 8806 del 5 aprile 2017 (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]Pres. Xxxxxxxx, Xxx. Xxxxxxxx), ma la quale, attribuendo centralità ermeneutica al dato normativo tratto dall’art. 644 c.p., e, in particolare, dal comma 5, giunge, come sopra si è anticipato, alla massima ed esaustiva valorizzazione del profilo del semplice “collegamento” fra finanziamento e polizza assicurativa. L’art. 644, comma 5, c.p. stabilisce infatti che «Per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito». La centralità sistematica della norma in questione, applicabile in ogni settore del diritto e non solo in ambito penalistico, è subito evidenziata dai Giudici supremi, a parere dei quali «detto carattere “onnicomprensivo” per la rilevanza delle voci economiche – nel limite esclusivo del loro collegamento all’operazione di un suo rappresentantecredito – vale non diversamente per la considerazione penale e per quella civile del fenomeno usurario. L’unitarietà della regolamentazione – così come la centralità sistematica della norma dell’art. 644 per la definizione della fattispecie usuraria sotto il profilo oggettivo, che qui specificamente interessa – si trova sottolineata, del resto, dallo stesso fatto che la legge n. 108/1996 viene a considerare pari passu entrambi questi aspetti (cfr., in particolare, la disposizione dell’art. 4)». Peraltro, il punto di ricaduta interpretativo della norma del codice penale si estende anche alle disposizioni regolamentari. Prosegue infatti la Cassazione: «la centralità sistematica della norma dell’art. 644 in punto di definizione della fattispecie usuraria rilevante non può non valere, peraltro, pure per l’intero arco normativo che risulta regolare il fenomeno dell’usura e quindi anche per le disposizioni regolamentari ed esecutive e per le istruzioni emanate dalla Banca d’Italia. Se è manifesta l’esigenza di una lettura a sistema di queste varie serie normative, pure appare chiaro che al centro di tale sistema si pone la definizione di fattispecie usuraria tracciata dall’art. 644, alla quale si uniformano, e con la quale si raccordano, le diverse altre disposizioni che intervengono in materia». In tal casoquesta prospettiva devono pertanto essere valutate le “Istruzioni” rese dalla Banca d’Italia, ai fini dell’annullamento il cui par. C4 della Sezione I, dedicato giustappunto al trattamento degli oneri e delle spese nel calcolo del contrattoTEG, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti così recita al contraente che ne ha tratto vantaggio comma 2, n. 5: «le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito ovvero a tutelare altrimenti i diritti del creditore (artad es. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso polizze per furto e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali incendio sui beni concessi in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.leasing o in ipoteca), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento se la conclusione del contratto avente ad oggetto il servizio assicurativo è contestuale alla concessione del finanziamento ovvero obbligatoria per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte, indipendentemente dal fatto che la polizza venga stipulata per il tramite del finanziatore o direttamente dal cliente. Le assicurazioni sul credito (le cosiddette CPI - Cost Protection Insurance o PPI - Payment Protection Insurance) e quelle per furto e incendio sono ritenute connesse con il finanziamento, e quindi incluse nel calcolo del TEG, anche nei casi in cui il beneficiario della polizza non sia l’ente creditore». La lettera delle “Istruzioni” prospetta pertanto una rilevanza alternativa tra contestualità e obbligatorietà le quali sembrano essere poste sullo stesso piano, lasciando spazio all’interpretazione secondo cui, se la stipulazione della polizza assicurativa non è contestuale alla concessione del finanziamento o non ne condiziona l’erogazione, il relativo costo non rientra nel calcolo dell’usurarietà dell’interesse. La Cassazione valorizza invece il solo dato della “contestualità”, lasciando sullo sfondo quello della “obbligatorietà”, anzi obliterandolo del tutto: «la Banca d'Italia ha tra l’altro precisato che restano incluse nel conto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento usurarietà “le spese per assicurazioni o garanzie intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del dannocredito ..., se la conclusione del contratto avente ad oggetto il servizio assicurativo è contestuale alla concessione del finanziamento”». Mentre, come sopra si è visto, il passo delle “Istruzioni” prosegue aggiungendo: «ovvero obbligatoria per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte».

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DIRITTO. La Il Collegio ritiene opportuno valutare preliminarmente la legittimazione passiva dell’intermediario convenuto rispetto alle domande formulate dal ricorrente. Il ricorrente allega chiede sia (a) “la risoluzione/cancellazione del contratto [di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari compravendita] per uso esteticoinadempienza del fornitore”, il quale le avrebbe prospettato un sia (b) “la risoluzione/cancellazione del contratto di affitto o noleggio finanziamento”. È con riguardo alla prima di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora tali domande – ossia la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affittorisoluzione/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamentocancellazione” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare di compravendita – che il Collegio ritiene non sussista la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitrolegittimazione passiva dell’intermediario convenuto, e pertanto valutando nel merito la ciò in quanto quest’ultimo non è parte del contratto di compravendita, che è stato stipulato dal ricorrente con una società terza, non convenuta avanti all’ABF. Come osservato in alcune precedenti decisioni (Pronuncia n. 1270/2011) “l’intermediario convenuto non può essere legittimato passivo rispetto alla domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di annullamento di un contratto di affittocui non è parte e, specularmente, la domanda di annullamento non può essere nemmeno delibata in assenza della controparte contrattuale Quanto invece alla domanda di “risoluzione/noleggiocancellazione” del contratto di finanziamento, sussiste la legittimazione passiva in capo all’intermediario convenuto che è parte del suddetto contratto. Né rappresenta Con riferimento a tale domanda, inoltre, non merita accoglimento neppure l’eccezione sollevata dalla convenuta, che invoca una prova a tal fine sufficiente sorta di litisconsorzio necessario con la produzione dei due moduli contrattuali società venditrice, che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante tuttavia non trova alcun fondamento normativo. L’accertamento dell’inadempimento della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente venditrice e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che della sussistenza dei presupposti per la stessa ricorrente ha prodotto in atti un risoluzione del contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che compravendita costituisce questione pregiudiziale per la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel decisione del caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante ma tale accertamento non fa ovviamente stato nei confronti della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle partivenditrice. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante Passando al merito della società domanda di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi “risoluzione/cancellazione” del contratto di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal casofinanziamento, ai fini dell’annullamento di una corretta decisione il Collegio ritiene di dover preliminarmente rilevare quanto segue: (i) l’oggetto del contratto di compravendita consiste nell’“opera editoriale multimediale” e nelle “merci in abbinamento”, segnatamente una TV 42” Samsung, un forno SMEG, un lettore DVD blu-ray, una PSP e 5 giochi per PSP; (ii) la clausola “AGG. GRATUITO” riportata nel contratto, occorrerebbe diversamente da quanto sostenuto dall’intermediario convenuto, parrebbe voler includere nell’oggetto del contratto altresì dimostrare l’aggiornamento dell’opera multimediale; (iii) dalla documentazione in atti emerge che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (artsoltanto l’opera multimediale e la TV Samsung sono state effettivamente consegnate dalla società venditrice. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)Date queste premesse, il Collegio ritiene che la mancata consegna del forno SMEG, del lettore DVD blu-ray, della PSP e di 5 giochi per PSP rappresenti un inadempimento grave della società venditrice alle proprie obbligazioni contrattuali, tale da legittimare la risoluzione del contratto ai sensi degli artt. 1453 e 1455 cod. civ. Ciò tenuto conto del numero e del valore economico dei beni non provati i fatti posti consegnati, rispetto a fondamento della domanda della quelli consegnati, ma soprattutto del fatto che in simili offerte l’acquirente è indotto all’acquisto proprio dalla molteplicità dei beni che compongono l’offerta, per cui è ragionevole ritenere che, in assenza dei beni non consegnati, il ricorrente non avrebbe concluso il contratto. Ciò detto, come dedotto dal ricorrente, il Collegio ritiene che nel caso di restituzione delle somme versate specie trovi applicazione l’art. 125-quinquies del TUB, secondo cui “Nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla convenuta in adempimento risoluzione del contratto di leasing credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile”. Il Collegio dichiara dunque risolto il contratto di finanziamento tra il ricorrente e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento l’intermediario convenuto, con il conseguente “obbligo del dannofinanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato”, ai sensi del secondo comma del citato art. 125-quinquies TUB. Per completezza, il Collegio rileva che i diritti sanciti a favore del consumatore dall’art. 125-quinquies TUB possono essere fatti valere a prescindere dalla sussistenza di un rapporto di esclusiva – che nel caso in esame non sussiste – tra il soggetto finanziatore e la società venditrice (Corte di Giustizia delle Comunità Europee, I sezione, 23 aprile 2009).

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DIRITTO. La In sede di controdeduzioni, l’intermediario fornisce alcune precisazioni in ordine al contestato recesso dall’accordo disciplinante i servizi RID, esercitato in forza dell’art. 23 delle relative condizioni generali in conseguenza di alcune presunte condotte infedeli dell’ex dipendente, che pure avevano costituito fondamento del licenziamento per giusta causa (peraltro tuttora sub iudice). Non produce le condizioni generali di contratto, mentre nelle note da ultimo pervenute offre qualche spunto in più circa l’“infedeltà” del ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]licenziato. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produceresistente, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa come pure sottolineato dal ricorrente in tutte sede di repliche, fa riferimento alla comunicazione, effettivamente notificata a mezzo raccomandata, inerente al recesso dall’apertura di credito: in essa, alcuna indicazione si coglie in merito ai servizi RID, per i quali quindi – sulla base della documentazione agli atti – non risulta effettuato alcun preavviso di revoca. Chiarito ulteriormente il quadro fattuale, il Collegio richiama l’art. 126-septies TUB, il cui comma 2 dispone che “il prestatore di servizi di pagamento può recedere da un contratto quadro a tempo indeterminato se ciò è previsto dal contratto e con un preavviso di almeno due mesi, secondo le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate modalità stabilite dalla Banca d’Italia d'Italia”. Le Istruzioni di vigilanza sulla trasparenza (provvedimento del 12.12.2011sez. VI, § 5.3), Sez. I, § 4, 2° commada parte loro, stabiliscono che “All’ABF l’intermediario può recedere da un contratto a tempo indeterminato se questa facoltà è prevista dal contratto, con un preavviso di almeno due mesi e senza alcun onere per il cliente. Il preavviso è dato in forma scritta, su supporto cartaceo o su altro supporto durevole concordato con il cliente”. La richiamata disciplina non sembra consentire il recesso senza preavviso, in presenza di giustificato motivo. Le prescrizioni nazionali così ricostruite riprendono testualmente il dettato del paragrafo 3 dell’art. 45 della direttiva PSD; ed invero, il legislatore europeo, al “considerando” n. 29, sottolinea comunque che la garantistica disciplina di tutela nei confronti dell’utilizzatore, con le forti limitazioni al diritto di recesso del prestatore che essa comporta, non può in ogni caso spingersi a esonerare il fornitore dall’obbligo di sciogliere il contratto “in circostanze eccezionali in base ad altra legislazione comunitaria o nazionale pertinente, ad esempio la legislazione in materia di riciclaggio di capitali e finanziamento del terrorismo, le azioni mirate al congelamento di fondi o le misure specifiche legate alla prevenzione e indagine di reati”. È chiaro, perciò, che in questi o analoghi casi, superiori esigenze di tutela aventi spiccati profili di rilevanza pubblicistica, non possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento aprioristicamente sacrificare in nome del pur assai meritevole obiettivo di dirittitutela della parte debole del rapporto, obblighi pena il rischio di vanificare la stessa ratio della direttiva, volta a rafforzare la sicurezza dei processi di pagamento, oltre che la loro efficienza e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivorazionalità. Ciò non posto, l’elemento risolutivo per la vertenza qui in esame risulta costituito, in primo luogo, dall’esistenza o meno di menoun giustificato motivo, tale da rendere inoperante il vincolo dei due mesi, e, in secondo luogo, la prova dell’invio del preavviso. Sotto quest’ultimo aspetto, pare inevitabile concludere, alla luce degli atti di causa, che il preavviso di cui parla l’intermediario sia quello relativo all’apertura di credito e nessun preavviso risulta essere stato trasmesso in relazione ai servizi di pagamento collegati al conto corrente. Quanto al giustificato motivo, dalle argomentazioni sostenute, sembra che il “giustificato motivo” del licenziamento – peraltro sub iudice – attenga a comportamenti imputati all’ex- dipendente e relativi a una gestione censurabile per quanto riguarda i rapporti di fido, cui egli in qualche modo presiedeva, attese le funzioni svolte presso l’intermediario. Tuttavia, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, giustificato motivo (e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima il Collegio non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti elementi decisivi per farlo), la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati giustificazione potrebbe, al più, valere per svincolarsi dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse rapporto di un contratto conto corrente e di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma apertura di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])credito, ma non anche dai servizi di pagamento. Ciò tanto più in una situazione dei rapporti assolutamente regolare, come ha affermato il ricorrente e non contestato l’intermediario. Insomma, il rischio è di confondere la posizione del dipendente con quella del cliente, la prima (secondo l’intermediario) di dubbia sostenibilità, ma la seconda del tutto ordinaria e regolare: l’incidenza sulla seconda di fatti attinenti alla prima deve essere attentamente valutata, evitando, appunto, il rischio di confusione di cui si è detto. Se, poi, si confronta il giustificato motivo addotto dall’intermediario con quelli indicati esemplificativamente nel considerando della direttiva, la distanza fra le fattispecie si fa incolmabile e la giustificazione del motivo difficilmente sostenibile. A ciò si aggiunga la distantia temporis fra la data della cessazione del rapporto con il ricorrente (13 gennaio 2013) e la revoca dell’apertura di credito (agosto-settembre 2013), distanza che fa pensare ad un non immediato e automatico ribaltamento del licenziamento sul mantenimento del rapporto di conto affidato (e di esecuzione dei pagamenti). Pertanto, l’assenza del preavviso e di un suo rappresentantegiustificato motivo rendono censurabile il comportamento dell’intermediario nella gestione del recesso dai servizi di pagamento. Quanto ai danni lamentati dal ricorrente, questi non ne offre la minima prova, rimettendosi al giudizio del Collegio. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)realtà, il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento può che prendere atto, da un lato, dell’assenza di ogni riferimento concreto al riguardo da parte del presunto danneggiato, e della domanda della “collaborazione” dell’intermediario che ha affermato (senza essere smentito dalla controparte) che ha comunque eseguito gli ordini di pagamento fino al 9 settembre 2013, data nella quale il ricorrente ha dichiarato di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento aver preso conoscenza del contratto recesso dall’apertura di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul credito. Di qui il mancato riconoscimento di ogni obbligo di risarcimento del dannodanno a carico della parte resistente.

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DIRITTO. La ricorrente allega questione riguarda il diritto a ottenere copia dei documenti da parte del cliente di essere stata vittima una banca. Si tratta di un raggiro messo in atto da un rappresentante cliente che riveste la qualifica di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto capitali (nella forma di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione società a responsabilità limitata) e di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di informazioni riguardanti anche operazioni in derivati. Più precisamente l’intermediario è disponibile a fornire i documenti richiesti (ciò risulta dalla lettera dalla banca datata 3 luglio 2015, nella quale si legge testualmente che annullamento” la richiesta documentale verrà evasa ai sensi dell’art. 119 del contratto D.L. 385 del 1° settembre 1993”), ma chiede in cambio il pagamento della somma di € 960,00 per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare 96 fotocopie. Non vi parrebbe dunque essere controversia fra le parti in merito alla debenza dei documenti. Può dunque considerarsi superata la questione se la richiesta di restituzione dei canoni documenti aventi a oggetto la prestazione di leasing versatiservizi di investimento possa essere effettuata ai sensi dell’art. In questa prospettiva119 comma 4 TUB (disposizione dettata per i contratti bancari). Una risposta positiva pare tuttavia possibile in considerazione già del tenore letterale dell’art. 119 comma 4 TUB, secondo cui si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie può ottenere copia della documentazione “inerente a singole operazioni poste in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferisconoessere”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci Le operazioni su derivati vengono poste in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse sulla base di un contratto di affitto/noleggioconto corrente (e sulla base di un precedente rapporto debitorio) sul quale vengono regolati i flussi determinati dal contratto derivato. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali Ritiene dunque questo Collegio che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalitàl’intermediario debba fornire anche i documenti relativi alle operazioni su derivati. In sostanzaaltri precedenti dell’Arbitro Bancario Finanziario è stato affermato il diritto del cliente a ottenere dalla banca copia di contratti diversi da quelli strettamente bancari (si veda ad esempio Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Milano, decisione n. 428 del 2013, per un caso concernente il contratto di assicurazione). Ritenuto dunque sussistere un obbligo di consegna anche dei contratti e dei documenti non aventi carattere strettamente bancario, purché collegati ai contratti bancari, la questione centrale per la decisione è quella relativa al costo dei documenti. Il costo di € 10,00 per foglio richiesto dalla banca potrebbe apparire eccessivo rispetto al mero costo di riproduzione dei documenti cartacei e troverebbe la propria giustificazione – secondo la tesi dell’intermediario – nel fatto che i fogli informativi stabiliscono un costo copia singolo documento archiviato in formato cartaceo di € 10,00. In realtà il foglio informativo si riferisce a costi per “documento” e non a costi per “pagina”. Siccome i documenti possono avere lunghezze variabili, il costo richiesto dovrebbe essere calibrato in relazione alle caratteristiche (essenzialmente alla lunghezza) del documento. Più in generale l’art. 119 comma 4 TUB fa riferimento a “costi di produzione” e nella applicazione giurisprudenziale dell’Arbitro Bancario Finanziario con tale espressione ci si riferisce ai costi vivi affrontati dall’intermediario per lo svolgimento essenzialmente delle seguenti tre operazioni: 1) recupero del materiale, 2) riproduzione del materiale e 3) invio dei documenti. Questo Arbitro ha già avuto modo di sanzionare il comportamento di banche le quali impongano un costo fisso per la dazione di documenti, dal momento che un sistema siffatto prescinde dal reale “costo di produzione” (si veda ad esempio Arbitro Bancario Finanziario, Collegio di Roma, decisione n. 7464 del 2015). La banca può applicare solo i raggiri capaci di integrare costi per il dolo contrattuale reperimento, la riproduzione e la spedizione dei documenti, costi che devono essere provati valutati nel caso concreto. D’altro canto, per ragioni organizzative, le banche possono preferire un meccanismo forfettario di calcolo dei costi di produzione. Nel caso di specie, in modo specifico e rigorosoeffetti, la banca chiede € 10,00 per ogni foglio. Questo Xxxxxxxx ritiene che detto meccanismo di calcolo dei costi possa essere ragionevole, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’artvada riferito a “documenti” e non a “pagine” (come del resto correttamente indica il foglio informativo). 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. InoltreDunque, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infattidi specie, non lo qualifica come rappresentante della società potranno essere chiesti € 10,00 per pagina, ma € 10,00 per ogni documento richiesto. Spetta alla banca accertare quanti siano i documenti richiesti nel caso di leasing [ZZ] specie dal proprio cliente e quest’ultima dichiara trattarsi formulare una richiesta di un suo mero procacciatore d’affari pagamento conforme. A titolo esemplificativo per documento si intende: 1) il contratto di conto corrente; 2) il contratto-quadro per la prestazione di servizi di investimento; 3) l’estratto conto completo. Se ad esempio il contratto-quadro si compone di 15 pagine, non potranno essere addebitati costi per € 150,00 (legittimato a collocare i contratti di leasing ossia € 10,00 per contro della società di leasing [ZZ]pagina), ma bensì di soli € 10,00, rappresentando detto contratto un unico documento. Per quanto concerne infine i costi di spedizione, costi del genere non potranno essere applicati laddove i documenti vengano ritirati direttamente in filiale; altrimenti, se si ha vera e propria spedizione e non mera consegna, può essere applicato solamente il costo della spedizione (l’Arbitro non può pronunciarsi in dettaglio al riguardo, non sapendo quale sia il mezzo di spedizione e il peso del plico). Infine ritiene questo Xxxxxxx che la banca non possa subordinare la dazione dei documenti al previo pagamento della somma richiesta. Il cliente ha un suo rappresentantediritto pieno all’informazione bancaria, con la conseguenza che i documenti devono essere rilasciati previa la sola richiesta da parte dell’interessato. Salvi casi manifesti di abuso nell’esercizio del diritto, la banca non può condizionare il rilascio dei documenti al previo pagamento dei costi di produzione. Dunque i documenti dovranno prima essere forniti al cliente, e la banca potrà successivamente addebitare il conto nella misura indicata sopra (laddove sia ancora aperto un conto presso l’intermediario) oppure chiedere al cliente il versamento della somma. In tal casovia riassuntiva, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio la banca può chiedere solo € 10,00 per singolo documento (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.non per foglio), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente cui vanno aggiunte le spese vive di restituzione delle somme versate spedizione. L’intermediario deve inoltre provvedere immediatamente alla convenuta consegna dei documenti senza poter subordinare la dazione degli stessi al pagamento di alcuna somma, somma che dovrà poi essere pagata dal cliente in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannotempi ragionevoli.

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DIRITTO. La ricorrente allega lamenta l’inadempimento dell’obbligazione di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato erogare credito (a determinate condizioni “agevolate”) assunta dall’intermediario convenuto con un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione transazione stipulato per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con regolare una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie lite in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia contratti derivati (provvedimento swap). Chiede quindi la risoluzione del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggiotransazione “con ogni consequenziale declaratoria anche rispetto alla reviviscenza della pretesa” relativa ai contratti derivati oggetto di transazione. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte Circa le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)questioni pregiudiziali sollevate dalla convenuta, il Collegio ritiene che possa essere accolta, in primo luogo, quella relativa all’assenza di reclamo circa l’applicazione di tassi di interesse asseritamente usurari sui mutui in essere. Parimenti il Collegio ritiene che, visto il tenore della domanda, tesa a ottenere la reviviscenza dei contratti derivati, sia degna di pregio la tesi della convenuta, secondo la quale l’ABF difetterebbe di competenza per materia. Nel complesso, quindi, il ricorso deve dirsi inammissibile. Ciò premesso, il Collegio osserva che, nel merito, non provati parrebbero comunque sussistere elementi sufficienti per l’accoglimento del ricorso. In particolare: - il punto n. 1 della premessa dell’accordo transattivo descrive la vicenda oggetto della transazione, rappresentato da una serie di contratti derivati (swap) in precedenza conclusi tra le parti e via via estinti, sino all’ultimo contratto derivato, stipulato a febbraio 2007 con scadenza febbraio 2017 ed estinto contestualmente alla transazione; - il punto n. 6 della premessa indica l’intenzione delle parti, “anche al fine di preservare pro futuro i rapporti commerciali tra loro intercorrenti” di “definire transattivamente ogni possibile contenzioso circa la validità e/o efficacia” delle operazioni contrattuali descritte nella premessa; - l’art. 2 della transazione descrive le “reciproche rinunce e/o concessioni”: in sintesi, da un lato la ricorrente rinuncia a far valere qualsivoglia diritto/pretesa circa la validità e/o efficacia delle operazioni contrattuali descritti in premessa e si fa carico di una quota del costo necessario ad estinguere anticipatamente l’ultimo contratto derivato, in essere al momento della transazione; dall’altro lato, l’intermediario si obbliga a concedere credito nelle forme e alle condizioni “agevolate” indicate in dettaglio all’art. 2.3 e si fa carico dell’altra quota di costo per l’estinzione anticipata dell’ultimo derivato (avvenuta contestualmente alla transazione, come si evince dalla documentazione versata in atti con le controdeduzioni); - l’art. 3 della transazione esplicita espressamente la “valenza novativa” della transazione; - nel contratto di transazione non risulta pattuito il diritto alla risoluzione per inadempimento. Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., da ultimo, Cassazione civile, Sez. III, sentenza del 24/02/2015 n. 3598), occorre distinguere la transazione novativa da quella semplice: “nella prima si verifica l'estinzione del rapporto preesistente e la sostituzione di esso con altro oggettivamente diverso per contenuto e fonte costitutiva; nella seconda rimangono fermi il precedente rapporto e la relativa fonte, ma si introducono mutamenti dell'assetto sostanziale dei diritti e degli obblighi che sul piano processuale si configurano come fatti posti modificativi, impeditivi o estintivi del diritto azionato”. Esaminato il contratto di transazione di cui al ricorso in esame e le pattuizioni in esso contenute, il Collegio ritiene che esso abbia contenuto novativo, il che esclude in ogni caso la reviviscenza dei contratti derivati, da considerarsi definitivamente estinti e sostituiti dal nuovo rapporto concluso con la transazione, costitutivo di autonome e oggettivamente diverse obbligazioni (cfr. 15444/2011, Cass. 4455/2006, 7830/2003). Ciò premesso, quanto all’asserito inadempimento dell’intermediario circa il contratto di transazione, dalla documentazione versata in atti risulta un prospetto con le varie linee di credito in conto corrente concesse dall’intermediario (tra cui un’apertura di credito a fondamento revoca per € 850.000). I tassi di interesse originariamente pattuiti (nel giugno 2008) sono stati modificati a mano, con sottoscrizione specifica da parte della domanda della ricorrente ricorrente, in attuazione dell’accordo transattivo. Circa la mancata erogazione di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento nuovi mutui entro il plafond contrattualmente indicato, l’art. 2.3 lett. a) del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame transazione subordina l’accoglimento delle richieste di mutuo all’esito positivo della domanda sul risarcimento del dannorelativa istruttoria da condurre secondo il principio di buona fede, la cui violazione non appare provata. Per quel che concerne, infine, la linea di credito per anticipazioni di fatture, non risulta parimenti provata la presentazione di fatture per importo complessivamente eccedente il plafond esistente (per € 400.000) e, quindi, l’esistenza di un rifiuto ingiustificato della banca all’incremento della linea esistente.

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DIRITTO. La I termini in fatto della controversia appaiono chiari e non si rilevano contrasti tra le parti nella relativa narrazione. Nel 1986 e nel 1987 tre soggetti (la odierna ricorrente allega e altri due soggetti deceduti nel frattempo), sottoscrissero due buoni postali fruttiferi “con pari facoltà di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]rimborso”. La ricorrente, pur avendo onorato davanti al diniego del rimborso chiesto dalla stessa iure proprio, quale cointestataria, in virtù della clausola della pari facoltà di rimborso, chiede tutela all'ABF, ritenendo indebite le richieste dell'intermediario che non riconosce la efficacia della prescrizione contrattuale dalla stessa azionata, a causa dell'avvenuto decesso degli altri due cointestatari. A tale proposito, corre immediatamente l'obbligo di osservare che, per entrambi i buoni postali fruttiferi, nelle more del procedimento ABF, sono decorsi i termini trentennali di maturazione. Ciò chiarito, questo Collegio è in sostanza chiamato a valutare se le ragioni giuridiche sostenute dall'intermediario per opporsi al rimborso dei due buoni postali siano valide o meno. Esse possono essere così sintetizzate: l'evento morte di un cointestatario determina, per effetto delle norme contenute nel DPR 256/89 (in vigore per i buoni oggetto del ricorso, sebbene abrogate), l'inefficacia della clausola di pari facoltà di rimborso, sì da imporre all'intermediario, al fine di liquidare il contratto di leasing in questione per circa due annidovuto, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento quietanza congiunta di tutti i danni subiti per legittimati (compresi quindi gli eredi/successori mortis causa del cointestatario defunto); l'evento morte fa sì che i buoni postali fruttiferi entrino nell'asse ereditario del defunto e, dunque, l'intermediario è obbligato, a' sensi della legge fiscale, a richiedere la condotta illegittima posta presentazione della dichiarazione debitamente registrata presso la competente Agenzia delle Entrate, in essere mancanza della quale le somme contenute nei titoli sono sottoposte al ben noto vincolo di indisponibilità a carico degli intermediari. Così riassunte, si deve far presente che le motivazioni fornite dall'intermediario al diniego di pagare alla cointestataria le somme contenute nei buoni postali sono state fatte proprie da un rappresentante alcuni pronunciamenti ABF, al fine di respingere le istanze dei ricorrenti (ci si riferisce ad esempio a Collegio di Roma n. 11308/2016). Ciò premesso, questo Xxxxxxxx ritiene di non condividere le valutazioni già fatte proprie dai Collegi territoriali e che la domanda della società fornitrice [YY]ricorrente sia meritevole di tutela, legittimato dalla società anche alla luce della copiosa produzione della giurisprudenza ordinaria (di leasing [ZZ]merito e di legittimità) e della prassi ministeriale in materia. A suffragio della propria ricostruzioneSi osserva in proposito quanto segue. L'intermediario ritiene che ai buoni postali fruttiferi con pari facoltà di rimborso sia applicabile, ratione temporis, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati normativa contenuta nel combinato disposto degli articoli 187 e privi dell’indicazione 203 del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le partiDPR 256/89. In particolare, tale provvedimento, sebbene caducato a' sensi del DM 19 dicembre 2000, continuerebbe ad avere vigenza per i due buoni postali fruttiferi (emessi negli anni ottanta). Sul punto, il Collegio osserva che la ricostruzione in tema di successione temporale dei citati provvedimenti normativi sia corretta ma che non sia condivisibile l'estensione ai buoni postali fruttiferi di una norma, quella contenuta nell'art. 187 DPR 256, dedicata in verità ai libretti postali. A mente di tale articolo, infatti, si prevede(va) che “il rimborso a saldo del credito del libretto intestato a persona defunta oppure cointestato anche con la clausola della pari facoltà a due o più persone, una delle quali sia deceduta, viene eseguito con quietanza di tutti gli aventi diritto”. Tuttavia, ritiene questo Collegio che tale norma non sia applicabile ai buoni postali fruttiferi, neppure attraverso il rinvio di cui all'art. 203 DPR 256 (rinvio, in realtà, non esteso all'intera disciplina dei libretti come testimonia l'inciso “in quanto applicabili” ivi contenuto), trattandosi di una disposizione limitativa di diritti e, come tale, da interpretare in modo tassativo e, dunque, da limitare alla sola fattispecie negoziale per la quale è stata formulata, ossia quella dei libretti postali cointestati (anche con clausola della pari facoltà di rimborso). Ne deriva che, come già accertato dalla giurisprudenza ordinaria (cfr. Tribunale di Lecco 20 febbraio 2015), la clausola di pari facoltà di rimborso “costituisce vera e propria obbligazione contrattuale alla quale l'intermediario non si può sottrarre” che si conserva pure in caso di morte, anche in considerazione del fatto che l'articolo citato (art. 187 DPR 256) “nulla dice(va) circa i buoni fruttiferi”. Una tale posizione non è, a ben vedere, estranea neanche ai pronunciamenti dell'ABF. Ci si riferisce alla decisione n. 4540/14 del Collegio di Napoli (confermata nel principio giuridico espresso da successiva decisione del medesimo Collegio n. 6048/16), laddove si legge che “l’importo da rimborsare potrebbe ritenersi infatti retrocedibile al cointestatario sulla base del suo potere dispositivo e indipendentemente dalla successione ereditaria, dovendo piuttosto porsi un problema di cointestazione con eventuali altri coeredi subentranti, risolvibile, però, sulla base delle normali regole di solidarietà interna. La giurisprudenza di legittimità – richiamata da parte ricorrente – ha precisato che non si può “unilateralmente modificare una clausola inserita nel titolo, posto che il vincolo contrattuale tra l'emittente ed il sottoscrittore dei titoli si forma sulla base dei dati risultanti dal testo dei buoni di volta in volta sottoscritti" (Cass. civ. sez. Un. 15.6.2007 n. 13979). La scarsa giurisprudenza di merito esistente sul punto pare confermare questo orientamento, condannando al rimborso del titolo nei confronti del contitolare superstite in casi in cui il buono postale fruttifero è dotato della clausola P.F.R. (Trib. Cosenza 2.7.2010; Trib. Cosenza 31.1.2011, richiamate dalla ricorrente; cfr. anche Trib. Genova, sez. VI, 27.02.2006)”. In tema, dunque, di legittimazione alla richiesta di rimborso per l'intero dell'ammontare dei buoni postali fruttiferi, questo Collegio ritiene che al cointestatario con pari facoltà di rimborso, il quale, nonostante il decesso di altro cointestatario, agisca iure proprio, sulla base delle condizioni contrattuali pattuite al momento dell'emissione del buono, l'intermediario non possa richiedere la quietanza di tutti gli aventi diritto (ossia anche i successori mortis causa dei cointestatari defunti), in quanto richiesta non fondata su una specifica norma di legge e basata su una illegittima e surrettizia modificazione delle condizioni contrattuali (conclusione, questa, lo si sottolinea, perfettamente coerente con quanto statuito dal Collegio di Coordinamento nella decisione n. 5305/13), condizioni che, come ben noto, hanno forza di legge tra le parti e che, del pari, possono essere modificate solo a seguito di loro libero accordo modificativo (art. 1372 c.c.). È del tutto evidente che, in tal modo, l'intermediario si libererà nei confronti del creditore (ossia del singolo cointestatario con pari facoltà di rimborso) versando l'intero dovuto recante dai buoni, in omaggio alla disciplina generale in tema di obbligazioni solidali attive (cfr. art. 1292 c.c.), essendo confinata ai soli rapporti interni tra contitolari – sfera esulante dal sindacato dell'intermediario - la ripartizione di quanto pervenuto dall'esercizio dei diritti garantiti dalla pari facoltà di rimborso (in questo senso si è espressa anche la giurisprudenza ordinaria con specifico riferimento ai buoni postali, cfr. Tribunale di Ascoli Xxxxxx 1 marzo 2016. In generale, cfr. Cassazione n. 15231/2002). La seconda ragione con la quale viene opposto il diniego alla liquidazione dei buoni alla ricorrente è costituita dalla necessità di presentazione, a suo carico, della dichiarazione di successione dei contititolari defunti. In assenza, l'intermediario sarebbe impossibilitato a effettuare alcun tipo di pagamento, in quanto sulle somme si sarebbe impresso, a seguito dell'evento morte di uno dei due documenti cointestatari, un vincolo di indisponibilità, a mente dell'art. 48 d.lgs. 346/90. Non sfugge a questo Collegio che, in sede ABF, il Collegio di Coordinamento (la già richiamata decisione n. 5305/13) ebbe a statuire, in relazione però alla fattispecie (diversa da quella attuale ed è circostanza questa, lo si fa riferimento ad un contratto vedrà, dirimente) dei libretti di “affitto/noleggio”risparmio, che prevede altresì l'art. 48 d.lgs. 346 “non incide sul profilo relativo alla legittimazione dei cointestatari, che resta regolata dalle disposizioni del codice civile; essa, peraltro, impone un adempimento che può essere qualificato alla stregua di un vero e proprio vincolo di indisponibilità della somma. Da ciò deriva che la presentazione della denuncia di successione da parte degli eredi, ovvero della c.d. “dichiarazione negativa” di cui all’art. 28 del medesimo t.u., costituisce una condizione senza la quale il passaggio debitore può legittimamente opporre il mancato pagamento nei confronti del creditore, pur legittimato ad esigere la liquidazione della intera somma portata dal libretto. Tenuto conto di proprietà ciò, la permanenza della legittimazione in capo ai cointestatari nonostante la morte di uno di essi, dunque, è vicenda che attiene esclusivamente al cliente dopo 59 mesi rapporto negoziale inter partes, che non può pregiudicare le posizioni dei terzi, quale in questo caso, deve essere considerata l’Amministrazione finanziaria. Tanto più se i diritti dei terzi siano riconosciuti da una disposizione avente natura imperativa, qual è certamente quella in materia tributaria. È infatti agevole osservare che, ragionando a contrario, l’insussistenza di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per tale vincolo consentirebbe facili pratiche elusive della normativa fiscale, consentendo agli eredi di evitare il cliente pagamento della imposta sulla successione, semplicemente cointestando un libretto di contrarre un apposito finanziamento con una banca localedeposito a risparmio. Nel secondo documento vi è regolataLa disposizione di cui all’art. 48, comma 4, invece, un’opzione impone al debitore un vincolo dal quale deriva per l’intermediario un vero e proprio divieto di acquisto dei macchinari esecuzione della prestazione (alla stregua di una impossibilità giuridica sopravvenuta, come descritta dall’ordinanza di rimessione), in funzione di interessi pubblici ritenuti preminenti dal legislatore, almeno sino al momento in cui non sia soddisfatta la condizione rappresentata dalla presentazione della denuncia di successione; non a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatecaso, la domanda non può che essere interpretata come richiesta normativa speciale prevede l’applicazione delle sanzioni di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versaticui all’art. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c53 t.u., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esamecui l’istituto di credito provveda comunque alla liquidazione della quota ereditaria. Proprio per questa ragione, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante deve ritenersi che il vincolo di indisponibilità che grava sulla quota caduta nell’asse ereditario, possa essere fatto valere anche nei confronti degli altri contestatari, pur legittimati, fin tanto che gli eredi non provvedano alla presentazione della società fornitrice [YY] documentazione successoria”. Conscio di questo orientamento, questo Collegio ritiene che è terza rispetto alle partiesso vada articolato (nella fedeltà all'insegnamento ivi contenuto) e modulato a seconda della fattispecie negoziale che viene in rilievo di volta in volta. La ricorrenteOrbene, infattiil ricorso odierno attiene a buoni postali fruttiferi, non lo qualifica come rappresentante della società ossia a una forma importante di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])investimento del risparmio, ma non di un suo rappresentante. In tal casoequiparata, ai fini dell’annullamento dell'imposta di successione, ai titoli di stato, perciò pienamente rientrante nel novero di quei titoli che non entrano nell'attivo ereditario, a' sensi dell'art. 12 lett. i) d.lgs. 346/90. Tale esenzione dalla massa attiva (fiscalmente rilevante e su cui si paga l'imposta di successione, al ricorrere delle condizioni di legge) è gravida di conseguenze a livello di redazione della dichiarazione di successione, come testimoniato dalla Risoluzione 13 luglio 1999 n. 115/E del contrattoMinistero delle Finanze – Dipartimento delle Entrate, occorrerebbe altresì dimostrare la quale così si è pronunciata in subiecta materia: “chiarito […] il contesto normativo in cui si è pervenuti alla equiparazione dei buoni postali ai titoli di Stato e alla conseguente loro esenzione dal tributo successorio, per quanto riguarda più specificamente la questione […] relativa alla eventuale inclusione o meno di detti titoli nella dichiarazione di successione, si osserva quanto segue. Con risoluzione n. 400203 del 15 luglio 1989, in vigenza quindi dell'art. 49 (diritti ed obblighi a carico di terzi) del più volte citato D.P.R. n. 637 del 19721, la Scrivente ribadiva quanto deliberato [...] in merito alla non tassabilità dei Buoni Ordinari del Tesoro e all'inesistenza di un obbligo da parte del contribuente di denunciarli nella dichiarazione di successione. Al riguardo, considerato che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (il più volte citato art. 143948 del vigente Decreto Legislativo 31 ottobre 1990 n. 346, 2° commafatta eccezione per le disposizioni innovative di cui ai commi 1 e 7 che non rilevano ai fini della questione in esame – riproduce il contenuto dell'art. 49 del D.P.R. n. 637 del 1972 e tenuto conto della cennata equiparazione a tutti gli effetti tra i buoni postali e i titoli di Stato, c.c.)non v'è ragione di ritenere sussistente un obbligo da parte dell'erede di includere detti buoni nella dichiarazione di successione”. Tutto ciò premesso e considerando Ne consegue che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono l'inesistenza di un obbligo giuridico a carico del contribuente (ossia di quei soggetti che sono gravati dal relativo incombente: fondamentalmente i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.chiamati all'eredità2), di inserimento dei buoni postali nel documento fiscale prescritto dall'art. 28 d.lgs. 346/90 fa sì che, nei confronti dell'intermediario, non si formi, limitatamente a tali titoli, il ben noto vincolo di indisponibilità di cui parla il richiamato Collegio ritiene di Coordinamento. In questo senso, la lettura dell'art. 48 comma 4 del d.lgs. 346/90 dà conforto all'interpretazione testè fornita, laddove si specifica che “le aziende e gli istituti di credito [...] non provati possono provvedere ad alcuna annotazione nelle loro scritture ne' ad alcuna operazione concernente i fatti posti titoli trasferiti per causa di morte, se non e' stata fornita la prova della presentazione [...] della dichiarazione della successione [...] con l'indicazione dei suddetti titoli”. È di tutta evidenza che tale norma lega il dovere di controllo della presentazione della dichiarazione di successione in capo agli intermediari finanziari al solo caso in cui i titoli dagli stessi emessi vadano indicati nel predetto documento tributario. La non debenza dell'indicazione dei titoli fa sì che l'intermediario non possa richiedere legittimamente (e sottoporre a fondamento un relativo obbligo anche, in ipotesi, una persona estranea alla delazione ereditaria, come ben potrebbe essere il caso del ricorso odierno) l'esibizione della domanda della ricorrente dichirazione di restituzione delle somme versate alla convenuta successione, in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoquanto l'ordinamento non richiede che essa contenga alcun riferimento ai titoli in vertenza.

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DIRITTO. La Il ricorrente allega ha chiesto al Collegio di essere stata vittima pronunciarsi, innanzitutto, sul diritto ad ottenere la liberazione dalla garanzia fideiussoria prestata a favore dell’intermediario, in primo luogo per l’accollo di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa terzo. Nella ricostruzione del fatto, si deve innanzitutto rilevare che commercializza macchinari per uso estetico, il quale dalla documentazione prodotta emerge che le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clienteparti avevano concluso, in cui si descrivono i rapporti realtà, un accollo interno, peraltro comunicato all’intermediario solo a valle dell’insorgere della controversia tra le parti, in data 19 gennaio 2015. Ciò premesso, va richiamata quindi la disciplina dell’accollo, in forza della quale, ai fini della liberazione del debitore originario, è necessaria non solo l’adesione del creditore, ma anche la pattuizione avente ad oggetto la liberazione del debitore originario come condizione espressa della stipulazione ovvero la dichiarazione espressa del creditore di liberarlo (art. 1273 cod. civ.): come ripetutamente ricordato anche da questo Collegio “la convenzione di accollo – che si configura come un contratto a favore del creditore, riconducibile dunque, almeno nell’opinione della prevalenza degli interpreti, al paradigma del contratto a favore di terzo - produce come effetto tipico solo quello di aggiungere al debito dell’accollato anche l’obbligazione dell’accollante, ma non vale anche automaticamente a liberare il primo, l’effetto liberatorio nei confronti del debitore accollante producendosi solo in presenza di una espressa manifestazione di volontà del creditore beneficiario della pattuizione; e ciò del resto in coerenza con la regola generale per cui il contratto stipulato inter alios (com’è appunto la convenzione di accollo, che è sottoscritta solo dal debitore accollato e dal terzo accollante, ma senza la partecipazione del creditore) può produrre a favore di chi vi rimane estraneo solo effetti favorevoli e giammai effetti svantaggiosi” (ex pluribus ABF Napoli decisione n. 1207/2010; conforme n. 2904/2014, e nella giurisprudenza di legittimità Xxxx. 24 giugno 2009, n. 14780). Per altro verso, il ricorrente ha invocato l’estinzione della fideiussione per la sussistenza dei presupposti dell’art. 1956 cod. civ., assumendo che l’accordo transattivo stipulato dall’intermediario, a valle dell’intimazione a rientrare dall’esposizione debitoria con atto di precetto notificato al debitore e ai garanti, si sarebbe realizzato con la sostanziale concessione di un nuovo finanziamento. In particolarerealtà, dal testo della transazione contenuta nella lettera del 10 novembre 2014, risulta che l’intermediario ha concesso “la remissione del debito, derivante dal mutuo n. […], dietro versamento a saldo e stralcio di € 1.220.000,00 da versarsi nelle seguenti modalità…”, con la precisazione di non voler attribuire all’accordo alcun effetto novativo; non vi è alcun elemento che autorizzi a ritenere che il debitore principale sia stato destinatario di un nuovo finanziamento, avendo, invece, goduto di una remissione parziale del debito e di una rinegoziazione di elementi accessori, quali la rateizzazione e le scadenze dei pagamenti. Un insieme di condizioni che – in mancanza di una diversa e univoca prova incombente sul ricorrente (Cass. 23 maggio 2005, n. 10870) – non evidenzia nemmeno un peggioramento dell’oggetto e delle condizioni della fideiussione. Proprio recentemente il Tribunale di Milano, nella sentenza del 28 luglio 2015 ha affermato, in uno una fattispecie sovrapponibile al caso in decisione, che “la gestione del rapporto con la debitrice principale dopo la data di scadenza dell'apertura di credito garantita non ha comportato un aggravamento in senso proprio della esposizione della debitrice principale, in particolare né essendo state concesse nuove aperture di credito né essendo stato tollerato un ulteriore sconfinamento di quella originaria, ma, al contrario, la convenuta avendo escusso tempestivamente la debitrice principale ed i garanti ed avendo poi accettato i due successivi piani di rientro proposti dalla correntista nel tentativo di favorire il rientro autonomo della debitrice, così realizzando una gestione del rapporto da valutare ex ante: né irragionevole né connotata in danno dei due documenti garanti, ma invece idonea alla sistemazione della esposizione, (...). E, del resto, a riprova della conclusione cui si fa riferimento ad un è pervenuti, può ancora osservarsi come l'attrice neppure abbia prospettato una situazione patrimoniale della debitrice principale tale per cui, ove la banca non avesse dato seguito ai piani di rientro del 2010 e del 2011 ma avesse posto in essere immediate iniziative giudiziali nei confronti della debitrice principale sfocianti in titoli anche provvisoriamente esecutivi, condotta quest'ultima che in sostanza l'attrice rimprovera appunto alla convenuta di aver omesso, le possibilità di soddisfazione della convenuta avrebbero potuto essere migliori di quelle dipendenti dalla parziale esecuzione dei piani di rientro, con conseguente maggior alleggerimento dell'obbligazione di garanzia: ed, anzi, dal complessivo materiale probatorio sono ricavabili indici in senso contrario, con conseguente valutazione della condotta della convenuta quale di per sé non pregiudizievole per i garanti”. Va anche aggiunto che la clausola contrattuale invocata dal ricorrente – l’art. 7, capo B, del contratto di finanziamento – a tenore della quale la dilazione di pagamento può essere concessa previa affitto/noleggiosemplice preventiva comunicazione scritta ai garanti”, indica che prevede altresì nel rapporto con il passaggio garante non è ritenuta necessaria una autorizzazione, ma è sufficiente una comunicazione. Profilo diverso è quello delle conseguenze della violazione di proprietà un simile obbligo, giacché nel caso di specie non risulta che l’intermediario abbia mai provveduto a inviare comunicazioni al cliente dopo 59 mesi ricorrente non solo relativamente all’accordo transattivo, ma anche precedentemente alla stipula di utilizzo tale atto e relativamente all’andamento del rapporto obbligatorio: infatti, emergono dalla stessa documentazione presentata dalla resistente i tentativi di inoltro postale con esito negativo, peraltro indirizzati a un domicilio non corrispondente a quello reale del ricorrente, né a quello dichiarato negli atti contrattuali. A tale proposito, è noto come sia tuttora aperto il dibattito sull’estensione al fideiussore degli obblighi di informazione dell’intermediario nei confronti della clientela descritti negli artt. 119 ss. t.u.b., che vede contrapposta la tesi a favore dell’applicabilità, sul presupposto che la disposizione riguarda tutti i contratti di durata (ABF Milano decisione n. 4986/2014), a quella opposta che si fonda sulla diversità della situazione tra debitore e garante nel rapporto con l’intermediario, nonché su un onere del secondo di assumere dal debitore le informazioni necessarie (Xxxx. 9 novembre 2007, n. 23391; ABF Roma decisione n. 665/2015); nel caso di specie, tuttavia, il punto dirimente è che la violazione dei macchinari doveri di informazione non appare suscettibile di inficiare la validità della fideiussione perché esula dal perimetro della fattispecie dell’art. 1956 cod. civ. La prima domanda formulata dal ricorrente, e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localetendente ad ottenere la liberazione dalla fideiussione, non merita accoglimento. Nel secondo documento vi capo delle conclusioni del ricorso, l’istante ha chiesto “conseguentemente” di ordinare all’intermediario la cancellazione della segnalazione nella Centrale dei Rischi presso la Banca d’Italia, inquadrandola quale effetto della liberazione; tuttavia, dalla lettura della causa petendi emerge diversamente che oggetto di contestazione è regolatail mancato preavviso della segnalazione al debitore. Sul punto, inveceperò, un’opzione le censure del ricorrente non colgono nel segno, giacché l’intermediario si è attenuto alle indicazioni della Circolare della Banca d’Italia n. 139/91, secondo cui la segnalazione del garante, che va compresa nella categoria di acquisto dei macchinari a favore censimento denominata “garanzie ricevute”, cessa quando si estingue l’obbligazione del potenziale acquirente allo scadere del periodo garante oppure quando viene meno il rapporto garantito (così nel Cap. II, sez. II, par. 3); in concreto l’evidenza depositata dall’intermediario espone una segnalazione con codice identificativo 179, che corrisponde, quindi, alla “garanzia non attivata”, di provaguisa che, la segnalazione appare legittima. ProduceE non può in alcun modo essere pregiudizievole per il ricorrente, inoltregiacché non fa che attestare l’esistenza di una obbligazione di garanzia, ma non anche una ipotetica qualità di “cattivo pagatore”. Pertanto, anche sotto tale profilo, il contratto di leasing stipulato con la convenutaricorso deve essere rigettato. Non merita accoglimento, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulateinfine, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consensorisarcimento dei danni, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di menoquanto, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitroprescindere dall’insussistenza di responsabilità dell’intermediario, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima il ricorrente non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]allegato e provato l’esistenza del danno, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe necessaria anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contrattodi una liquidazione equitativa, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (artcome quella richiesta. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.IL PRESIDENTE

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DIRITTO. 1. – La domanda principale proposta dalla parte ricorrente allega mira ad ottenere la declaratoria di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” nullità del contratto per vizio del consensocarenza di forma. Sia la ricorrente sia l’intermediario hanno prodotto la medesima documentazione contrattuale, quale presupposto idoneo a fondare la ovvero copia della “richiesta di restituzione prestito personale e di apertura di linea di credito” recante la sola sottoscrizione del finanziato e del suo garante. La richiesta reca la sottoscrizione della ricorrente a conferma di “…aver ricevuto copia completa della presente richiesta, compilata in ogni sua parte e corredata da documento di sintesi…”. Alla luce della documentazione in suo possesso, parte ricorrente si duole, in xxx xxxxxxxxxx, xxxxx xxxxxxx del contratto per mancanza di uno dei canoni di leasing versatirequisiti essenziali, la forma scritta ad substantiam ex art. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie 117 TUB e più precisamente la mancanza della sottoscrizione per accettazione da parte dell’intermediario. Pone a sostegno della sua tesi cita alcune recenti pronunce della Cassazione in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sezcontratti c.dd. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferisconomonofirma”. Si registranoL’intermediario eccepisce l’infondatezza della contestazione, pertanto, orientamenti non univoci in ricordando come la consolidata giurisprudenza di merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrentericonosca validità al contratto bancario quand’anche firmato dal solo cliente su modulo stampato dalla banca: Al riguardo, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone al contratto in esame (“prestito personale e di apertura di linea di credito”, garantito da fideiussione e finalizzato all’ “acquisto abitazione”) risulta senz’altro applicabile l’art. 117 TUB. È pertanto prevista la forma scritta ad substantiam, mentre il principio della libertà delle forme è circoscritto a fondamentocasi eccezionali. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse materia di un nullità del contratto di affitto/noleggiofinanziamento per difetto di accettazione scritta dalla banca sussisteva un contrasto giurisprudenziale, posto in luce dalle stesse parti, sulla rilevanza della mancanza di sottoscrizione dell’intermediario ai fini del rispetto dell’obbligo della forma scritta sancito, a pena di nullità, dall’art. Né rappresenta una prova 117 T.U.B (in materia di contratti bancari) e dall’art. 125-bis T.U.B. (in materia di contratti di credito al consumo). Parte della giurisprudenza di merito affermava la sufficienza della sola sottoscrizione del cliente, facendo leva sulla finalità della forma scritta dei contratti bancari e finanziari, volta a tal fine sufficiente garantire il recupero di simmetria informativa a protezione del contraente debole, che sarebbe comunque realizzata. Altro orientamento, avallato anche da sentenze della Suprema Corte, riteneva equipollenti all’omessa sottoscrizione le manifestazioni dell’intento di avvalersi del contratto successivamente esternate dall’intermediario, tra le quali si menziona la produzione dei due moduli contrattuali che in giudizio del documento contrattuale firmato dal solo cliente. Infine, parte della giurisprudenza di merito si esprimeva nel senso della necessità della sottoscrizione dell’intermediario a pena di nullità non sanabile da successivi atti esecutivi, costituendo il documento firmato dal cliente mera proposta contrattuale non accettata. Stanti i contrasti rilevati, con l’ordinanza n. 10447 del 27.4.2017 la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante Prima Sezione della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalitàCassazione rimetteva gli atti al Primo Presidente per l’assegnazione alle SS.UU. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che della decisione concernente la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal casonecessità, ai fini dell’annullamento della validità del contratto quadro di negoziazione titoli (“contratto quadro di gestione, consulenza ed amministrazione di portafogli”), della firma dell’intermediario finanziario. Pronunciandosi sulla questione, la Cassazione, a SS.UU., ha infine recentemente affermato il seguente principio di diritto: «…il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (disposto dal D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, art. 143923, 2° commaè rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente, c.ced è sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell'intermediario, il cui consenso ben si può desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti» (Cassazione, SSUU., sentenza n. 898 del 16.1.2018). Tutto ciò premesso e considerando che Tale principio, sicuramente applicabile anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema ai contratti bancari, ha confermato anche l’orientamento assunto dall’Arbitro nella materia di onere della prova competenza (artex multis, Coll. 2697 c.cMilano, dec. n. 5070/16). Per tali motivi, la domanda principale non può essere accolta.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega presente controversia verte sulla legittimità della modifica delle disposizioni contrattuali relative al costo annuo di essere stata vittima una carta di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticodebito, unilateralmente disposta dalla resistente. La questione va decisa, pertanto, sulla base dell’art. 118 TUB, secondo il quale nei contratti a tempo indeterminato può essere convenuta, con clausola approvata specificamente dal cliente, la facoltà della banca di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le avrebbe prospettato altre condizioni previste qualora sussista un contratto giustificato motivo, salvo il diritto del cliente di affitto o noleggio recedere senza spese dal contratto, ove non intenda accettare la modifica che, con anticipo di macchinarialmeno due mesi, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]gli sia stata preventivamente sottoposta. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Producenorma prevede, inoltre, che le variazioni contrattuali per le quali non siano state osservate le suddette prescrizioni sono inefficaci, se sfavorevoli per il cliente. Nel caso di specie, è incontestato fra le parti che il contratto attribuisse all’intermediario la facoltà di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (modifica unilaterale delle condizioni ex art. 1439 c.c.) e118, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”comma 1, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versatiTUB (cd. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011jus variandi), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse abbia ricevuto la comunicazione relativa alle variazioni contrattuali (indubbiamente peggiorative, considerata l’introduzione ex novo di un canone annuo per l’uso di una carta fino ad allora gratuita) nel rispetto del termine di preavviso minimo. Nel contesto della predetta comunicazione, inoltre, la modifica delle condizioni di contratto viene giustificata richiamando l’introduzione del limite alle commissioni interbancarie sulle operazioni di affitto/noleggiopagamento con carta stabilito dal Regolamento UE 2015/751, nonché l’aumento dei costi di emissione e gestione delle carte, conseguente agli investimenti effettuati dall’intermediario per migliorare i sistemi di sicurezza e adeguarli alle più evolute modalità di utilizzo di tali strumenti (ad es., per operazioni via internet o in modalità contactless). Né rappresenta una prova Così inquadrati i termini della questione, è innanzitutto opportuno precisare che, in mancanza di più precise indicazioni normative, il “giustificato motivo” richiesto dalla legge per l’esercizio dello jus variandi viene usualmente identificato con un evento a tal fine sufficiente carattere specifico, in grado di produrre comprovabili effetti sul rapporto bancario. Tale evento, inoltre, non deve essere imputabile a “scelte di politica commerciale o comunque gestionale che non pongano tanto l’esigenza di mantenere l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni contrattuali delle parti contraenti, quanto piuttosto siano rivolte a salvaguardare il margine di profitto della stessa banca” (su tale profilo v. ABF Torino, dec. n. 4845/17; ABF Roma, dec. n. 1722/15). Si ritiene, infine, che anche la produzione dei due moduli comunicazione della modifica unilaterale debba avere contenuto sufficientemente preciso, tale da consentire al cliente di valutare la congruità della variazione contrattuale rispetto alla motivazione posta a base della stessa (Coll. coord., dec. n. 1889/16). In quest’ottica, dunque, l’Autorità di vigilanza ha stigmatizzato il ricorso a motivazioni (delle variazioni contrattuali) esposte alla clientela in termini del tutto generici o scarsamente intellegibili, o l’incoerenza fra le modifiche contrattuali proposte e le relative giustificazioni, richiedendo che la ricorrente afferma preventiva informativa ai clienti sia chiara, sintetica e completa, verificabile e coerente con la programmata variazione contrattuale, nonché attenta al livello di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non alfabetizzazione finanziaria che è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalitàragionevole attendersi dai destinatari (comunicazione Banca d’Italia del 5 settembre 2014). In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. InoltreEbbene, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante può assumersi che l’intermediario abbia indicato, quale giustificato motivo della società fornitrice [YY] che è terza modifica contrattuale, una serie di circostanze sufficientemente specifiche (limite alle commissioni interbancarie introdotto con Regolamento UE 2015/751 del 29 aprile 2015, nonché aumento dei costi operativi derivante da investimenti in campo tecnologico) e intellegibili (anche perché accompagnate da idonee esemplificazioni o spiegazioni), tali quindi da permettere al cliente una valutazione di congruità della modifica rispetto alle partimotivazioni addotte e di optare, se del caso, per l’eventuale recesso dal contratto. La Più in particolare, la resistente afferma che l’imposizione ex lege di un tetto alle commissioni interbancarie (cioè le commissioni riconosciute, per ogni operazione di pagamento, dalla banca che ha convenzionato l’esercente a quella che ha emesso la carta) abbia determinato la necessità di adeguare i costi di rilascio della carta di debito, in conseguenza di un’inevitabile contrazione dei propri ricavi (ricostruzione peraltro non contestata dalla ricorrente, la quale si limita ad obiettare che, per non frustrare lo spirito della legge, la diminuzione dei profitti degli operatori non possa tradursi in uno svantaggio economico per gli utenti). Orbene, è stato chiarito dalle autorità di settore che gli eventi idonei a configurare il giustificato motivo ex art. 118 TUB “possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di interesse, inflazione ecc.)” (v. circolare del Ministero dello Sviluppo Economico n. 5574/17); ed ancora, che le modifiche unilaterali possono essere giustificate, fra l’altro, da “costi sopravvenuti alla stipula dei contratti interessati” (delibera del Direttorio della Banca d’Italia n. 197/2017 del 28 marzo 2017). Posto dunque che, nella specie, l’aumento dei costi a carico della ricorrente trova origine in un provvedimento normativo sopravvenuto (ossia in un fattore esterno ed oggettivo, indipendente dalla volontà dell’intermediario e non riconducibile ad inefficienze gestionali del medesimo), in grado di incidere in modo continuativo sugli aspetti economici del rapporto bancario, si può ravvisare la presenza di quel giustificato motivo che legittima la variazione delle originarie condizioni contrattuali. Né può assumere rilevanza, in senso contrario, l’assunto – richiamato anche da recenti decisioni di quest’Arbitro - secondo cui “un intervento normativo (…) non può, di per sé, rappresentare un evento idoneo a costituire un giustificato motivo oggettivo”, difettando, per un verso, del carattere dell’imprevedibilità (ravvisabile, al più, nei soli provvedimenti necessari e urgenti, come ad es. i decreti legge), e dovendosi considerare, per altro verso, che le nuove norme si limitano talvolta a fissare dei meri obiettivi, per il cui raggiungimento l’intermediario resta libero di organizzarsi nel modo più opportuno (così, ABF Torino, dec. 4845/17). A parere di questo Collegio, invero, la stessa formulazione di tale principio (secondo cui un provvedimento normativo non rappresenta, “di per sé”, un giustificato motivo) implica che il medesimo debba essere interpretato ed applicato non in modo assolutistico, ma in base alle circostanze del singolo caso (valutando, ad es., se all’epoca della stipula di un determinato contratto fosse stato già avviato e pubblicizzato l’iter di produzione di un determinato atto normativo, del quale l’intermediario avrebbe potuto tenere conto). In caso contrario, d’altronde, si giungerebbe alla discutibile conclusione - contrastante, peraltro, con le indicazioni fornite dalle autorità cui sopra si è accennato - secondo cui gli intermediari, salvo casi del tutto eccezionali, non potrebbero validamente invocare un provvedimento normativo sopravvenuto ai fini di una modifica contrattuale, essendo comunque tenuti a prevederne l’adozione (anche se intervenuta, in ipotesi, a distanza di numerosi anni dalla conclusione del contratto con il cliente). Ciò premesso, va dato atto che, nel caso in esame: i) nessun elemento autorizza a ritenere che, all’epoca della stipula del contratto di conto corrente e di rilascio della carta, la resistente fosse in condizione di conoscere o di ipotizzare la futura adozione del regolamento sulle interchange fees; ii) detto regolamento non lascia liberi gli intermediari di conseguire determinati obiettivi secondo autonome strategie imprenditoriali, ma li obbliga ad un comportamento puntuale e specifico (contenere le commissioni interbancarie entro limiti quantitativi prefissati), che non consente alcun margine di autonomia. Anche sotto tali profili, dunque, la variazione contrattuale sembra sorretta da un’adeguata motivazione. Né pare corretto affermare che l’aumento dei costi a carico del titolare della carta comporti, di fatto, un’elusione delle norme dettate dal Reg. UE 2015/751, neutralizzando i potenziali vantaggi previsti per i consumatori: nell’ottica del legislatore europeo, infatti, non lo qualifica come rappresentante i benefici per questi ultimi paiono collegati, oltre che all’incremento dei livelli di concorrenza e di integrazione del mercato europeo delle carte di pagamento, all’auspicato effetto di una generale riduzione dei prezzi al consumo, derivante dal contenimento delle interchange fees. I prezzi di beni e servizi, invero, incorporano le commissioni pagate dagli esercenti agli intermediari convenzionatori per ogni transazione con carta, ma tali commissioni sono a loro volta determinate sulla base delle commissioni interbancarie versate dagli intermediari acquirer agli intermediari emittenti le carte (v. il preambolo al Reg. UE 2015/751, punti 10 e 11). La riduzione di queste ultime, dunque, dovrebbe volgere a favore dei consumatori, agevolando un calo del prezzo finale delle merci. Più dubbia appare, invece, l’ulteriore argomentazione addotta dalla resistente al fine di giustificare l’introduzione del canone annuo per l’uso della società carta di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari debito (legittimato a collocare i contratti di leasing il riferimento è ai maggiori costi per contro della società di leasing [ZZ]investimenti tecnologici, sostenuti per garantire la sicurezza d’uso dello strumento), ma non potendosi in questo caso rilevare, da un lato, che l’adeguamento alle nuove tecnologie rappresenta una voce di un suo rappresentantecosto normale e prevedibile, di cui l’intermediario deve anticipatamente tenere conto (essendo peraltro tenuto a garantire, nel tempo, la massima sicurezza dei servizi offerti, conformandosi agli standard tecnici più evoluti); dall’altro, che l’incremento degli oneri per il cliente dipenda sostanzialmente da decisioni dell’intermediario di natura commerciale, miranti a preservare i suoi margini di profitto (così, ABF Roma, dec. In tal cason. 1722/15, ai fini dell’annullamento con riferimento, tra l’altro, alle spese per l’introduzione del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.microchip nelle carte di credito). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)Considerati, nondimeno, il tenore complessivo delle motivazioni poste a base della modifica contrattuale in questa sede esaminata e le modalità della relativa comunicazione al cliente, questo Collegio ritiene che lo jus variandi sia stato esercitato, nella specie, in conformità con il disposto dell’art. 118 TUB. Il ricorso, pertanto, non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannopuò essere accolto.

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DIRITTO. I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati insieme in quanto connessi. La parte ricorrente allega G.A., con il primo motivo, denuncia "violazione o falsa applicazione dell'art. 1914 c.c. in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3; motivazione omessa e/o contraddittoria su di punti decisivi della controversia in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 5 (anche per omesso esame di prove decisive)" esponendo doglianze che possono essere stata vittima sintetizzate come segue. Il Tribunale, prima e la Corte poi, hanno ritenuto applicabile alla fattispecie di causa la disciplina dell'obbligo di salvataggio statuito dall'art. 1914 c.c. L'avv. G., secondo il giudizio dei giudici di merito, avrebbe dunque colpevolmente omesso di attivarsi per evitare il radicamento della causa principale (quella promossa dal terzo proprietario dell'immobile gravato dall'ipoteca apparente), non provvedendo cioè a cancellare tempestivamente quest'ultima da lui iscritta sui beni dell'attore in nome e per conto dei convenuti (allora) clienti R. e Ru. e soprattutto non mettendo immediatamente a loro disposizione la somma necessaria all'operazione di L. 6.201.000. Si contesta detta l'interpretazione. L'obbligo di salvataggio è evidentemente riferibile solo a comportamenti in grado di elidere o diminuire la materialità del danno nell'ambito della diversa assicurazione sulle cose. Infatti l'art. 1914 c.c., riferendosi alle spese di salvataggio, le pone a carico dell'assicuratore significativamente anche oltre i limiti della somma "assicurata", laddove tale nozione di "somma assicurata" può avere senso e significato solo se riferita all'assicurazione contro i danni a cose e non certo a quella di responsabilità civile (alla quale non può ovviamente essere estesa la funzione della regola proporzionale che la locuzione "somma assicurata" invece sottende). Anche però ammettendo il contrario (e cioè che pure nell'assicurazione di r.c. valesse la regola dell'obbligo di salvataggio), è evidente che nell'obbligo di salvataggio mai potrebbe rientrare un comportamento consistente nel pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare per la ragione che l'ipoteca era solo apparente e non in grado di determinare danni giuridicamente rilevanti. Sarebbe come se, ad esempio, nell'ambito dell'assicurazione di r.c.a., si potesse riconoscere una qualche responsabilità al proprietario dell'auto assicurata che non si attivasse personalmente a definire l'incidente pagando di tasca propria il carrozziere della controparte. Che l'assicurato non avesse per niente violato l'art. 1914 c.c. (ammesso e non concesso che tale norma potesse trovare applicazione in tema di assicurazione della r.c.) era anche provato dalle sue reiterate richieste al proprio assicuratore di intervenire nella gestione della lite, nonchè con dal puntuale invio delle lettere di diffida ricevute e di copia dell'atto giudiziario (la parte ricorrente cita il contenuto di talune lettere). Con il secondo motivo la parte ricorrente denuncia "motivazione ancora illogica su di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante punto decisivo della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti controversia (art. 1439 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte scriveva che in ogni caso l'avv. G. avrebbe dovuto attivarsi alla cancellazione e ciò anche se a tal scopo sarebbe servita la volontà dei propri clienti (titolari dell'iscrizione de qua). Tale circostanza (quella della necessaria partecipazione dei clienti che avrebbero dovuto recarsi da un notaio a presentare tempestivamente la rinuncia all'iscrizione, pagandone i relativi ingenti costi) avrebbe semmai potuto determinare - secondo la Corte - la reiezione della domanda di manleva avanzata dagli ex clienti e quindi la conseguente pronuncia di incolpevolezza del loro avvocato (che pertanto avrebbe dovuto restare assolto al pari della sua compagnia assicuratrice). Peccato che tale ragionamento cozzasse con la statuita pronuncia di responsabilità professionale dell'avvocato contenuta proprio nella stessa sentenza di prime cure e non impugnata nè dall'avvocato nè dalla di lui assicuratrice. Solo quando l'avvocato ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare le determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione. Con il terzo motivo la parte ricorrente denuncia "violazione dell'art. 1917 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3) ed omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., n. 5)" esponendo doglianze che possono essere riassunte come segue. Era stato dedotto che il tener indenne l'assicurato avrebbe comportato l'obbligo per l'assicuratore di trattare in prima persona il sinistro, interloquendo con il danneggiato e gestendo direttamente la lite. TENERE INDENNE non significa difatti RIMBORSARE, ma preservare il patrimonio dell'assicurato da esborsi: vuoi dire che l'assicuratore doveva mettere a disposizione i propri denari per definire il sinistro, senza poter pretendere che lo facesse il proprio assicurato. La tesi non è stata oggetto della pronuncia. I tre motivi sopra riassunti non possono essere accolti. Le argomentazioni fondate sul rilevo che nella specie si trattava di un "... comportamento necessariamente connotato proprio dal pagamento di una rilevante somma di danaro che invece costituiva tipico obbligo di pertinenza dell'assicuratore e che quest'ultimo, nella fattispecie, per di più riteneva di non dover nemmeno sopportare ..." sono prive di pregio. Quindi è del tutto immune da vizi logici o giuridici l'assunto dei Giudici di merito secondo cui l’assicurato avv. G., una volta emerso il suo errore non poteva ormai far nulla per evitare i danni (già) derivati dall'erronea iscrizione ma ben poteva e doveva (ex art. 1914 c.c.) eattivarsi per evitare la causa con la conseguenza che la Allianz non era tenuta a rimborsargli quanto pagato per le spese legali. Il richiamo a quanto accade nella assicurazione r.c.a. negli incidenti stradali è privo di pregio in quanto (di regola) in tali casi il fatto produttivo del danno si è ormai (del tutto) realizzato, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda l'assicurato non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto far nulla per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere evitare i danni che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente sono prodotti (factum infectum fieri nequit) e la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché compagnia assicuratrice deve quindi rimborsare all'assicurato (sia pur nei limiti del massimale) tutto quanto costui deve pagare al danneggiato (non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, potendo trovare dunque concreta applicazione l'art 1914 c.c.). Tutto ciò premesso Ben diversa, come già esposto (e considerando per le ragioni sopra indicate), era la situazione nel caso in questione. Nella specie, una volta scoperto l'errore, scattava l'obbligo in questione in capo all'avvocato e non l'obbligo di gestione della lite (non emergente da alcuna norma) in capo alla compagnia assicuratrice. Quanto poi al ragionamento della Corte d'Xxxxxxx, asseritamente contraddittorio, oggetto del secondo motivo, è palese che detto Xxxxxxx ha inteso semplicemente affermare l'impossibilità (pure in astratto e quindi a prescindere da giudicati) per l'appellante di addurre a suo favore (nei rapporti con la compagnia assicuratrice) l'eventuale responsabilità dei suoi clienti in quanto in una siffatta ipotesi l'obbligo di detta compagnia non sarebbe stato ipotizzabile in diritto neppure in via di mera ipotesi (ha cioè esposto una affermazione del tutto immune dai vizi lamentati). Quanto poi alla dedotta impossibilità per il professionista di procedere alla cancellazione senza la collaborazione dei suoi clienti, basta rilevare che secondo l'evidente (anche se parzialmente implicita) tesi dei Giudici di merito la responsabilità del professionista è consistita proprio nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali non aver assunto (per tempo) alcuna iniziativa concreta e fattiva; è a tal proposito significativo che secondo lo stesso ricorrente "... Solo quando questi ritenne di pagare di tasca sua (senza cioè aspettare te determinazioni della propria assicuratrice) la situazione potè rapidamente giungere a soluzione ..."; il che implica che egli era in tema grado di onere della prova far giungere la situazione "... a soluzione ..." pagando "... di tasca sua ..."; nel non averlo fatto tempestivamente consiste (secondo la tesi di detti giudici, come già esposto parzialmente implicita, ma del tutto immune dai vizi in questione) la violazione dell'obbligo di salvataggio. Con il quarto motivo la parte ricorrente denuncia "vizio di motivazione (art. 2697 360 c.p.c., n. 5) per omessa valutazione di documento in relazione ad un punto decisivo della controversia" esponendo doglianze che possono essere sintetizzate come segue. La Corte ha ritenuta l'inesistenza dell'obbligo di gestione della lite in quanto non ricompreso in quello più generale di cui all'art. 1917 c.c... A parte il fatto che, per quanto già detto sub il motivo 3), l'obbligo gestionale pareva davvero già ricompreso in quello di tener indenne l'assicurato, la Corte ha omesso di esaminare il Collegio ritiene documento 4 del fascicolo documenti dell'avv. G., costituito dalla fotocopia della polizza con relative clausole d'assicurazione al cui art. 2 (Cosa deve fare l'assicurato) c'era un paragrafo denominato "GESTIONE DELLE VERTENZE" per il quale che "in caso di sinistro concernente il settore d - responsabilità l'assicurato deve inviare alla Società nel più breve tempo possibile le notizie i documenti e gli atti giudiziari relativi al sinistro adoperandosi per l'acquisizione degli elementi di difesa o per un componimento amichevole, astenendosi da qualsiasi riconoscimento di responsabilità. La società può assumere la gestione delle vertenze tanto in sede stragiudiziale che giudiziale sia civile che penale a nome dell'assicurato designando ove occorra legali o tecnici ed avvalendosi di tutti i diritti ed azioni spettanti all'assicurato stesso. Sono a carico della Società le spese sostenute per resistere all'azione promossa contro l'assicurato entro il limite di un importo pari al quarto del massimale stabilito in polizza per il danno cui si riferisce la domanda. Qualora la somma dovuta al danneggiato superi detto massimale le spese vengono ripartite tra la Società e l'Assicurato in proporzione del rispettivo interesse. La Società non provati riconosce spese sostenute dall'assicurato per legali o tecnici che non siano da essa designati e non risponde di multe, ammende e delle spese di giustizia. Il diritto di transigere con i fatti posti danneggiati spetta esclusivamente alla Società. L'Assicurato decade da ogni diritto qualora senza preventivo benestare della Società prenda accordi che impegnino la Società stessa pregiudicandone gli interessi". Qualora la Corte "... avesse potuto esaminare ..." questa è l'espressione - di contenuto ambiguo - contenuta nel ricorso tale documento, certamente avrebbe dovuto scendere al merito della richiesta di condanna dell'assicuratore al rimborso dei costi pagati dall'assicurato, riconoscendone la debenza proprio anche sulla base del tenore di tale xxxxxxxx. Se la clausola contrattuale de qua da un lato imponeva all'assicurato di "adoperarsi per un componimento amichevole" della controversia, ma dall'altro gli vietava tassativamente di riconoscersi responsabile e di stipulare transazioni pregiudizievoli per l'assicuratore, è evidente che la sua condotta di iniziale non accettazione di pagare L. 6.201.000 fosse coartata proprio dal rispetto da parte sua del dovere di non intraprendere azioni che significassero supina accettazione delle richieste avversarie o confessione della propria colpa (anche perchè il costo di cancellazione avrebbe poi dovuto essere sborsato dal proprio assicuratore). Il motivo è inammissibile poichè la parte ricorrente non espone (chiaramente e ritualmente) di averlo già prospettato (negli stessi termini sostanziali) innanzi al Giudice dell'appello (che in effetti non parla di detta clausola), va infatti ribadito il seguente principio di diritto: "I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a fondamento pena d'inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio. Pertanto, ove il ricorrente proponga detta questione in sede di legittimità, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della domanda censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della ricorrente questione avanti al giudice del merito, ma anche di restituzione delle somme versate indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla convenuta Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito". (Cass. N. 05150 del 03/04/2003; v. tra le successive conformi: Cass. n. 1101 del 20/01/2006; e Cass. n. 21497 del 07/11/2005). Sulla base di quanto sopra esposto il ricorso va respinto. Non si deve provvedere sulle spese in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoquanto la parte intimata non ha svolto attività difensiva.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima questione concerne la responsabilità degli intermediari a seguito del mancato pagamento di un raggiro messo in atto assegno circolare oggetto di contraffazione, dopo la presentazione all’incasso. Nel merito della controversia, si rileva che i fatti a fondamento della stessa sono sostanzialmente pacifici tra le parti: l’avvenuta emissione del titolo, da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoparte dell’intermediario A, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome su richiesta del cliente, in cui data 16/05/2018; il fraudolento incasso presso B del titolo tramite presentazione di clone da parte del beneficiario in data 17/05/2018;la negoziazione del titolo tramite a mezzo procedura interbancaria Check Image Truncation (CIT); la ripresentazione del titolo originale all’emittente (A) da parte della cliente in data 28/05/2018 e contestuale segnalazione di impagato tardivo del titolo da parte dell’emittente (A). Il Collegio ritiene che deve, anzitutto, essere valutato il comportamento della società che ha richiesto l’emissione del titolo, la quale, con imprudenza, ha inviato la fotografia dello stesso (come emerge dalla denuncia alle autorità di P.S.) o, perlomeno, i dati identificativi (come, poi, si descrivono i rapporti afferma in sede di ricorso) al presunto venditore, a seguito dell’adesione ad una proposta di vendita, semplicemente appresa da un’inserzione on line, senza aver effettuato le necessarie verifiche. Tale contegno ha sicuramente inciso, sotto il profilo causale, alla verificazione dell’evento dannoso, quanto meno ai sensi dell’art. 1227, comma 1, C.C. Il Collegio ha più volte ravvisato il concorso di colpa del danneggiato per avere inviato una copia fotostatica dell’assegno a terzi. Questo Collegio non può, dunque, ignorare la circostanza, anch’essa pacifica tra le parti, che la contraffazione dell’assegno circolare è stata agevolata dall’invio per via telematica da parte della ricorrente a soggetto sconosciuto di copia dello stesso. La stessa ricorrente ha, quindi, contribuito, con il proprio negligente contegno, alla perpetrazione della truffa di cui è caduta vittima, laddove ha volontariamente fornito al malfattore copia dell’assegno che ha consentito la contraffazione. Quanto alla responsabilità degli intermediari, si rappresenta che una recente pronuncia del Collegio di Coordinamento (decisione n. 7283 del 05 aprile 2018) ha risolto i contrasti sorti sul punto tra i vari Collegi, individuando quali siano i comportamenti che devono tenere le gli intermediari emittenti e negoziatori di assegni circolari al fine di non incorrere in responsabilità, nell’ipotesi di contraffazione e/o clonazione dei titoli. A tal proposito, il Collegio di Xxxxxxxxxxxxx ha precisato che le Banche autorizzate ad emettere assegni circolari al fine di non incorrere in responsabilità hanno l’obbligo di garantire assetti organizzativi e controlli interni in grado di assicurare la regolare gestione dello strumento di pagamento; mentre incorre in responsabilità l’intermediario negoziatore che, davanti a indizi di irregolarità dell’assegno, non ponga in essere almeno le cautele sopra indicate, necessarie a ridurre il rischio di frode. Alla luce di tali principi va valutato il comportamento degli intermediari convenuti. In particolareprimo luogo giova rilevare che l’assegno è stato presentato all’incasso il 17/05/2018 in data successiva all’adozione della CIT (procedura interbancaria Check Image Truncation), operativa dal 29 gennaio 2018, in uno dei due documenti virtù della Circolare ABI - Serie Tecnica n. 12 - 4 luglio 2018 con la quale si fa riferimento ad un contratto realizza, nella sempre più diffusa prospettiva della dematerializzazione, una forma di “affitto/noleggio”presentazione elettronica del titolo, dapprima avviata in via sperimentale nel marzo 1990, successivamente regolata su base convenzionale dall’Accordo interbancario per il servizio di incasso assegni emanato dall’ABI in data 1° luglio 1993 ed infine riconosciuta equivalente alla presentazione al pagamento in forma cartacea dal D.L. 31 maggio 2011, n. 70, c.d. Decreto Sviluppo, così come convertito dalla L. 12 luglio 2011, n. 106, che prevede altresì ha modificato l’art. 31 del X.X. 00 dicembre 1933, n. 1736. In considerazione del fatto che l’utilizzo della procedura di check truncation, finalizzata ad obiettivi di economicità e di maggiore snellezza nella negoziazione dei titoli, esclude la possibilità per l’emittente o la trattaria di visionare l’assegno e saggiarne la correttezza cartolare, l’orientamento che si è formato nei Collegi dell’ABF è nel senso che il passaggio rischio connesso al minor livello di proprietà controllo che essa comporta debba ricadere prevalentemente, nell’ottica di una corretta distribuzione dei rischi derivanti dal ricorso al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localesuddetto sistema, sull’operatore bancario che da tale servizio trae vantaggio. Nel secondo documento vi caso di specie, tuttavia, integrandosi la contraffazione dell’assegno circolare nella clonazione del medesimo, senza alcuna modifica dei dati riportati nel titolo originale, è regolataevidente che nessuna responsabilità può essere riconosciuta all’intermediario emittente. Infatti quest’ultimo ha prodotto copia dei flussi informatici ricevuti in sede di procedura di check truncation, che attestano come tutti i dati indicati dalla legge come necessari per poter provvedere al pagamento dell’assegno a seguito di tale procedura fossero stati correttamente inoltrati dalla banca negoziatrice e ricevuti dalla resistente che, pertanto, non aveva alcun motivo per rifiutare tale pagamento. Il Collegio non ritiene, dunque, di poter accogliere la domanda di rimborso avanzata dalla ricorrente nei suoi riguardi. Esaminando, invece, un’opzione la posizione dell’intermediario negoziatore, si è detto che la procedura CIT consenta agli intermediari di acquisto presentare al pagamento gli assegni in forma elettronica nel rispetto di quanto previsto dalla normativa vigente; in particolare è previsto che la presentazione al pagamento in CIT degli assegni circolari/vaglia postali/titoli speciali della Banca d’Italia senza limiti di importo, avvenga mediante i soli dati contabili; la trasmissione dell’immagine è prevista solo laddove il negoziatore rilevi delle incoerenze/anomalie sul titolo che rendono necessaria la valorizzazione del flag “Alert” o il data entry manuale della codeline CMC7. Nel caso specifico, da un confronto delle immagini del titolo originale e di quello contraffatto, non emergono difformità ictu oculi rilevabili tali da indurre la banca negoziatrice ad attivare i prescritti meccanismi di allerta. Tuttavia, ciò non vale a far andare esente da responsabilità la banca negoziatrice. Le circolari ABI Serie Tecnica n. 21 del 12 giugno 2014 e Circolare ABI Serie Tecnica n. 5 del 22 marzo 2016, tra i vari requisiti tecnici e presidi antifrode da esse previsti, introducono l’obbligo di apporre sui titoli di nuova emissione un QR CODE. Il Data Matrix, da inserire, è un codice bi-dimensionale il cui contenuto è leggibile in fase di acquisizione dell'immagine. E’ previsto che, sulla nuova materialità degli assegni, tutte le banche stampino un codice bidimensionale Data Matrix. Sempre la Circolare ABI - Serie Tecnica n. 5 - 22 marzo 2016 aveva fatto obbligo agli intermediari negoziatori di provvedere alla lettura del codice Data Matrix e di segnalare al trattario/emittente le eventuali anomalie riscontrate “quali ad esempio l’assenza o impossibilità di leggere il codice”, e di trasmettere, in tali casi, “al trattario/emittente l’immagine dell’assegno per consentire lo svolgimento delle verifiche di competenza”. La Circolare ABI - Serie Tecnica n. 5 - 22 marzo 2016, sulla Digitalizzazione degli assegni, ha prescritto che a decorrere dal 1° luglio 2016 gli intermediari dovranno obbligatoriamente consegnare alla clientela solo materialità di assegni a nuovo e che, in caso di “nuovi” assegni il negoziatore dovrà svolgere, con la dovuta diligenza, una serie di attività che derivano dall’introduzione dei macchinari a favore nuovi requisiti di sicurezza e precisamente: - lettura del potenziale acquirente allo scadere codice Data Matrix e comunicazione al trattario/emittente delle informazioni in esso contenute o segnalazione di eventuali anomalie riscontrate quali ad esempio l’assenza o impossibilità di leggere il codice o l’incoerenza tra i dati presenti nel codice e quelli presenti in chiaro sul titolo. La segnalazione di eventuali anomalie dovrà essere effettuata dal negoziatore mediante valorizzazione di apposito campo (“Alert”) del periodo messaggio di provapresentazione al pagamento della nuova procedura CIT (cfr. Producesuccessivo parag. 7). Nei casi di specie, inoltreanche se l’importo del titolo ammette la presentazione al pagamento mediante i soli dati contabili, il contratto negoziatore dovrà obbligatoriamente trasmettere al trattario/emittente l’immagine dell’assegno per consentire lo svolgimento delle verifiche di leasing stipulato con la convenutacompetenza. L’assegno oggetto di causa, recante la firma era di nuova emissione e conteneva tutti gli elementi prescritti dalla Circolare ABI n. 5 del 22.03.2016, compreso il codice Data Matrix. Ad avviso del Collegio, ove l’intermediario negoziatore avesse effettuato le opportune verifiche su tale codice, semplicemente dandone lettura come prescritto, si sarebbe potuto accorgere della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio contraffazione del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) etitolo ed evitare, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatecosì, la domanda truffa perpetrata ai danni della ricorrente. Ciò non può che risulta essere interpretata come richiesta avvenuto né l’intermediario negoziatore ha mai sostenuto di “annullamento” del contratto per vizio del consensoaver controllato il Codice Data Matrix; infatti, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versatinon è presente in atti l’evidenza della segnalazione interbancaria effettuata all’emittente dalla banca negoziatrice. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranoLa banca negoziatrice, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali contravvenuta all’obbligo prescritto in tema di onere della prova (art. 2697 c.crequisiti standard per la stampa degli assegni e misure antifrode, prescritti dalla Circolare ABI serie tecnica n. 21 del 12 giugno 2014.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Si ritiene opportuno dare preliminarmente conto dei termini della transazione, poiché è in gran parte dall’inquadramento di questi che dipende l’esito della controversia. Nell’accordo transattivo era specificato che «in caso di puntuale ed esatto adempimento» delle prestazioni ivi stabilite, l’intermediario «nulla più avrà a pretendere in relazione al credito derivante dal rapporto precisato in oggetto» e provvederà alla cancellazione delle ipoteche «ove sia possibile applicare la procedura semplificata»; «qualora non fosse applicabile la normativa in tema di semplificazione del procedimento di cancellazione delle ipoteche […], la stessa avverrà solo a cura e spese del richiedente». Incontestato l’adempimento da parte dell’originario debitore delle prestazioni stabilite nell’atto transattivo, resta da verificare se abbia ragione la banca nell’affermare che, in ragione della natura giudiziale e non volontaria dell’ipoteca in questione, questa dovrebbe reputarsi esclusa dal «procedimento semplificato» di cancellazione ex art. 13, commi 8-sexies ss., del D.L. n. 7/2007. È decisivo evidenziare che al Collegio non sono stati prospettati elementi sufficienti per suffragare la tesi della resistente circa la natura giudiziale dell’ipoteca. Sul punto, avendo le parti regolato pattiziamente l’ipotesi della sua cancellazione, può darsi per provata la sussistenza di un’ipoteca a garanzia del mutuo, ma non la sua fonte. Ciò posto, non c’è dubbio che l’intermediario convenuto sia stato inadempiente rispetto all’obbligo volontariamente assunto di procurarne la cancellazione a seguito di transazione. Sull’inadempiente incombe l’onere di dimostrare la correttezza del proprio operato, provando – senza limitarsi ad affermare – che la specifica tipologia di ipoteca rendeva inapplicabile «la normativa in tema di semplificazione del procedimento di cancellazione delle ipoteche». Nel caso di specie, il convenuto non ha fornito alcun elemento indiziario utile a supportare l’antefatto indispensabile per provare la correttezza della propria inerzia. Deve perciò impegnarsi a procurare la cancellazione ipotecaria richiesta. Alla luce di tali acquisizioni, è superfluo approfondire l’argomento – logicamente dipendente – legato alla presunta inconciliabilità delle ipoteche giudiziali con il procedimento «semplificato». La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto soluzione negativa, sostenuta da un rappresentante parte della dottrina, non pare trovare conferma testuale nella Circolare dell’ex Agenzia Territorio del 1° giugno 2007, n. 5, che si limita ad affermare che le disposizioni di un’impresa cui all’art. 13, comma 8-sexies, D.L. n. 7/2007 «si applicano esclusivamente con riferimento alle ipoteche iscritte a garanzia di obbligazioni derivanti da contratti di mutuo stipulati con i soggetti sopra menzionati, con esclusione quindi, a titolo esemplificativo, delle ipoteche iscritte a garanzia di obbligazioni derivanti da contratti diversi da quello di mutuo, ovvero a favore di creditori diversi da quelli specificatamente individuati nelle disposizioni di cui trattasi». Ad ogni modo, va detto che commercializza macchinari per uso esteticol’art. 40-bis t.u.b. (in vigore dal 14 maggio 2011, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti quindi prima della transazione de qua) consente l’operatività della procedura "semplificata" per la condotta illegittima posta cancellazione delle ipoteche a garanzia di generici "finanziamenti" (qualunque finanziamento), senza specificazioni in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]ordine alla fonte dell’ipoteca. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataNon può trovare accoglimento, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione cancellazione della segnalazione in Centrale dei canoni di leasing versatirischi. In questa prospettivaAl riguardo, si segnala evidenzia che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla secondo la Circolare n. 139/1991 della Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova segnalazione in CR delle posizioni definite con accordo transattivo (artsez. 2697 c.c5.5.), il la banca è sempre tenuta a segnalare, a beneficio del “sistema”, i c.dd. «Crediti passati a perdita» anche all’esito di transazioni, per la parte non riscossa. Ad ogni modo, si evidenzia che i ricorrenti non hanno fornito la prova della natura della segnalazione, né della relativa decorrenza, non consentendo al Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente necessari approfondimenti comunque assoggettati all’onere di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto allegazione di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoparte. Conseguentemente, sono respinte tutte le domande risarcitorie.

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DIRITTO. La ricorrente allega Per quanto concerne la domanda di essere stata vittima cancellazione della segnalazione a sofferenza in CR, l’intermediario ha dichiarato di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole avere già provveduto e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta ha fatto pervenire quattro evidenze relative a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la nullitàRettifica posizione globale”, chiedendo con data contabile 30/06/2015, 31/07/2015, 31/08/2015 e 30/09/2015. Sul punto, pertanto, deve essere dichiarata la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante cessazione della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]materia del contendere. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataEsula, invece, un’opzione dall’oggetto di acquisto questa controversia la presenza di eventuali ulteriori segnalazioni presso sistemi di informazione creditizia diversi dalla Centrale dei macchinari rischi. Il riferimento a favore questi ultimi, presente nelle conclusioni del potenziale acquirente allo scadere del periodo ricorso, non è infatti assistito da alcuna contestazione specificamente rivolta a eventuali segnalazioni ivi presenti. Lo scrutinio della legittimità della segnalazione effettuata in CR si impone, ciò nondimeno, sulla scorta della domanda risarcitoria parimenti avanzata dal ricorrente. Sulla base della documentazione in atti e dalle affermazioni delle parti il Collegio rileva che: - nel dicembre 2013 il ricorrente ha concordato con la banca un piano di prova. Producerientro, inoltreche è stato regolarmente rispettato con il versamento delle somme alle scadenze pattuite; - al momento delle controdeduzioni, il contratto ricorrente aveva versato n. 19 rate da € 250,00 (per complessivi € 4.750,00) a fronte di leasing stipulato con un debito complessivo di € 20.000,00; - la convenutasegnalazione a sofferenza in CR è stata effettuata dopo l’accordo transattivo: ciononostante il nominativo del ricorrente è stato iscritto per un debito residuo di € 26.750,00; - per ammissione della banca, recante l’appostazione a sofferenza è stata effettuata in ritardo soltanto perché il precedente intermediario, non aderente alla CR, non l’aveva effettuata; la firma della stessa ricorrente in tutte le sue partisegnalazione, però, si riferiva alla situazione di insolvenza precedente all’accordo transattivo. L’asserito vizio Alla luce di quanto rilevato, ad avviso del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulateCollegio, la domanda condotta dell’intermediario non è esente da censure. Infatti, secondo quanto è previsto dalla circolare della Banca d’Italia n. 139 dell’11 febbraio 1991 (14° aggiornamento del 29 aprile 2011), «nella categoria di censimento sofferenze va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza, anche non accertato giudizialmente, o in situazioni sostanzialmente equiparabili, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dall’azienda. […] L’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’intermediario della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può che essere interpretata come richiesta scaturire automaticamente da un mero ritardo di “annullamento” quest’ultimo nel pagamento del contratto debito. La contestazione del credito non è di per vizio del consenso, quale presupposto idoneo sé condizione sufficiente per l’appostazione a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versatisofferenza» (sez. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I2, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”1.5. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivoSofferenze). Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. InoltreLaddove, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infattidi specie, non lo qualifica come rappresentante v’è evidenza di alcuna valutazione di tal fatta posta alla base della società segnalazione a sofferenza. Al contrario, l’intesa su un piano di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])rientro, ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente cui consegue l’adempimento delle obbligazioni che ne ha tratto vantaggio (artderivano, sembra muovere in senso diametralmente opposto rispetto allo stato di insolvenza ovvero a situazioni a esso equiparabili. 1439A ciò si aggiunga che il parziale rimborso, 2° commafrattanto intervenuto all’esito del piano di rientro del 2013, c.cavrebbe dovuto comunque comportare la corrispondente riduzione dell’importo segnalato. Ciò posto, rileva tuttavia il Collegio, con specifico riguardo alle domande risarcitorie, che le stesse non sono meritevoli di accoglimento: sia, con riferimento a un supposto danno patrimoniale, per mancanza di prove al riguardo, sia, sotto il profilo del danno non patrimoniale, in considerazione delle accertate irregolarità nei pagamenti periodici le quali inducono a escludere che dalla contestata segnalazione sia derivato un pregiudizio all’immagine di buon pagatore del ricorrente.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega questione sottoposta al Collegio attiene alla presunta vessatorietà (con conseguente nullità) della clausola che individua i costi di essere stata vittima intermediazione nell’ambito di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto finanziamento, quale fonte di un significativo squilibrio, a carico del ricorrente, fra i diritti e i doveri derivanti dal contratto (art. 33 Cod. cons.). In particolare, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 34 Cod. cons. (ove si precisa, come dapprima ricordato, che il carattere vessatorio di una clausola non riguarda l’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, purché tale elemento risulti individuato in modo chiaro e comprensibile), nonché dell’art. 125-novies TUB (“Intermediari del credito”), ai sensi del quale, in caso di intervento di un intermediario del credito, il consumatore deve essere informato dell’eventuale compenso da versare a quest’ultimo per i suoi servizi e detto compenso deve costituire l’oggetto di un preventivo accordo con il consumatore, redatto su supporto cartaceo o noleggio altro supporto durevole prima della conclusione del contratto di macchinaricredito. Ora, liberamente risolvibile senza penalecon riferimento alla disposizione da ultimo citata, va dato atto che tra il consumatore e l’intermediario del credito intervenuto nella fase di collocamento del finanziamento (nella specie, un agente in attività finanziaria e non un mediatore creditizio, come erroneamente affermato dal ricorrente) non risulta intercorso alcun accordo preventivo, in merito ai costi di intermediazione. È pur vero, tuttavia, che la norma in oggetto (art. 125-novies, comma 2, TUB), ancorché genericamente riferita all’intera categoria degli “intermediari del credito” - come tale comprensiva anche degli agenti in attività finanziaria – è destinata a disciplinare i soli casi in cui il cliente si rivolge ad un canone mensile soggetto terzo per ottenere una consulenza nella scelta della più adeguata offerta di 000 xxxxfinanziamento e/o nell’individuazione di un finanziatore, xxossia ad un mediatore creditizio. È solo in questo caso, xx modo ingannevole infatti, che l’intermediario del credito (i.e., mediatore creditizio) ha titolo per richiedere al cliente un compenso per i servizi offerti (essendo l’agente retribuito solo dall’intermediario per conto del quale opera, e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostanon anche dal soggetto finanziato). Tale conclusione è suffragata dalla recente decisione del Collegio di coordinamento n. 9585 dell’1/08/2017, l’avrebbe poi indotta ove, con riferimento ad un caso analogo a sottoscrivere quello in esame, si afferma – superando il precedente orientamento dell’Arbitro richiamato dal ricorrente (Coll. Roma, dec. n. 8014/15) – che “Il rapporto di mandato con l’ente finanziatore, che caratterizza per definizione l’attività dell’agente, porta ad escludere, a pena di un’insanabile incoerenza con il dettato normativo, che tale soggetto, nella fase precontrattuale, possa agire per conto del cliente e quindi che possa richiedere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]compenso al cliente stesso per l’opera prestata prima della conclusione del contratto. La ricorrenteNel sistema operativo corrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzioneeffetti, la ricorrente produce due moduli contrattualiremunerazione è normalmente predeterminata nell’accordo che regola i rapporti fra agente e intermediario ed è da quest’ultimo corrisposta. Pertanto, in base al combinato disposto delle su citate norme del T.U. bancario, il Collegio ritiene che la previsione di cui all’art.125-novies, comma 2, del TUB riguardante la pattuizione diretta del compenso con il cliente, non firmati possa trovare applicazione nei confronti dell’attività di agenzia in attività finanziaria. Tale conclusione è coerente con l’interpretazione espressa nelle disposizioni emanate dalla Banca d’Italia sulla “Trasparenza delle operazioni e privi dell’indicazione del nome del clientedei servizi bancari e finanziari” (Sez. VII, § 4.2.5- Ed. aggiornata al 2011), in cui si descrivono legge: “Nei casi in cui l’intermediario del credito può richiedere al consumatore il pagamento di un compenso per i rapporti tra le partisuoi servizi (mediazione creditizia), ai sensi dell’articolo 125-novies, comma 2, del T.U. il compenso è comunicato al consumatore e costituisce oggetto di accordo su supporto cartaceo o su altro supporto durevole, prima della conclusione del contratto di credito. In particolareNe consegue che il disposto di cui all’art.125-novies, comma 2, del TUB trova piena applicazione nei confronti dei mediatori creditizi, i quali, a differenza degli agenti, operano su incarico del cliente, cui conseguentemente possono chiedere il pagamento di una provvigione, ma non nei confronti degli agenti in attività finanziaria, posto che questi ultimi agiscono esclusivamente su mandato dell’ente finanziatore”. Il Collegio di coordinamento, pertanto, conclude affermando che “la contestata violazione del disposto di cui all’art. 125-novies, comma 2, con riferimento al “compenso”, è infondata, posto che nella fattispecie i costi di intermediazione previsti nel contratto riguardano l’opera prestata da un agente in attività finanziaria”, dovendosi peraltro ritenere significativo che – come nel caso in esame – “il ricorrente non abbia in alcun modo dedotto di aver corrisposto direttamente un compenso a favore di un intermediario del credito, su richiesta di quest’ultimo”. Ritenuta dunque l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 125 novies TUB, resta da verificare se la vessatorietà della clausola relativa alle commissioni di intermediazione – considerate dal ricorrente particolarmente esose ed ingiustificate nell’ammontare - possa dipendere da una mancanza di chiarezza e di comprensibilità delle relative previsioni contrattuali (art. 34 Cod. cons.). Questo Collegio, in uno dei due documenti altri termini, è chiamato a verificare se il consumatore potesse o meno comprendere, sulla base del testo contrattuale, le conseguenze economiche derivanti dalla sottoscrizione della clausola (ossia, in sostanza, se abbia concluso il contratto in modo consapevole e informato), restando invece precluso ogni sindacato circa l’equilibrio economico del contratto (vale a dire una valutazione in merito al “giusto prezzo” delle prestazioni dedotte nel regolamento contrattuale). Ebbene, a tale proposito, si fa riferimento ad può osservare come la documentazione negoziale in atti contenga un’indicazione sufficientemente chiara ed intellegibile circa l’ammontare delle commissioni di intermediazione (specificato sub B del prospetto contrattuale), circa l’intervento di un contratto agente in attività finanziaria (comprovato da timbro e sottoscrizione del medesimo, apposti sul modulo contrattuale) e, infine, circa il tipo di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo attività svolta dall’intermediario del credito. Risulta per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Producevia documentale, inoltre, che il contratto ricorrente abbia ricevuto il modulo relativo alle “Informazioni europee di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullitàBase sul Credito ai Consumatori”, dall’insieme delle allegazioni formulatecontenente il set di informazioni utili che il consumatore ha diritto di ottenere, per poter comprendere e valutare adeguatamente l’offerta di credito. Considerato, dunque, che le disposizioni contrattuali consentivano al ricorrente di individuare in modo inequivoco l’importo destinato all’intermediario del credito, come anche la tipologia di attività remunerate da detto importo, a parere di questo Collegio non sussistono elementi tali da far ravvisare una mancanza di chiarezza e di intellegibilità della clausola negoziale relativa ai costi in esame, idonea a determinarne la vessatorietà (in senso analogo si veda ABF Milano, dec. n. 6364/15; ABF Napoli, dec. n. 5194/13). Per le ragioni sopra esposte, la domanda formulata in ricorso non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.ctrovare accoglimento., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega Il Collegio fa propria la linea del Collegio di essere stata vittima Coordinamento, secondo cui “la cognizione dell’Arbitro risulta esclusa ogni qual volta la disputa investa il tema del mancato adempimento di un raggiro messo in atto da un rappresentante obblighi di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoinformazione che, il quale le avrebbe prospettato un contratto essendo strumentali alle scelte di affitto o noleggio gestione e di macchinaridisposizione del proprio risparmio e dei propri titoli, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing hanno più diretta attinenza con la società prestazione del servizio di leasing [ZZ]investimento”. La ricorrenteviolazione di doveri di informazione, pur avendo onorato assistenza, rappresentanza, consulenza nella gestione di titoli rientranti nella nozione di strumenti finanziari, “nell’attuale assetto normativo tali obblighi discendono da una complessa disciplina che, a partire dalla stessa base negoziale, è fortemente integrata da una combinazione tra regole di settore e regole civilistiche generali. Anche a non voler radicalmente dubitare che il contratto di leasing in questione per circa due annicui all’art. 1838 c.c. “continui ad avere una propria autonomia funzionale (non appare un caso che il contratto di deposito titoli trovi espressa menzione anche nell’art. 1, versando i canoni previsticomma 6, ne rileva ora la “nullitàlett. a, del TUF, ove lo si definisce ‘servizio accessorio’ proprio rispetto ai servizi di investimento di cui al comma 5)”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere pare non potersi prescindere dalla evoluzione del sistema. Lo statuto dei rapporti finanziari appare segnato da un rappresentante evidente fenomeno di decodificazione, con l’elaborazione di un sistema di disciplina settoriale dei “servizi e attività di investimento” e la confluenza dei complessi rapporti di diritto finanziario nel corpo dello strumento normativo del TUF. L’evoluzione normativa appare ormai aver attirato nel sistema speciale del TUF la disciplina dei rapporti di gestione titoli i quali sfuggono così al perimetro della società fornitrice [YY], legittimato dalla società disposizione codicistica tutte le volte che gli obblighi informativi siano destinati alle scelte di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome investimento o disinvestimento del cliente, in cui foss’anche per l’esercizio di facoltà opzionarie. Si tratta di profili relativi alle generali regole di condotta che incombono all’intermediario ai sensi dell’art. 21 TUF, ove si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto prevede che nella prestazione di “affitto/noleggio”, servizi di investimento e accessori” l’intermediario operi in modo che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente sia sempre informato. Ne discende che ogni difetto informativo che tocchi scelte di contrarre un apposito finanziamento con una banca localeinvestimento o disinvestimento sfugge alla competenza ratione materie dei collegi ABF. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.cÈ assorbita ogni altra considerazione.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La Con l'unico mezzo - deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 1140, 1141, 1168, 934 e 1560 c.c., nonché degli artt. 1 e 3 della legge 6-12-1962, n. 1643, in relazione all'art. 360, n. 3 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360, n. 5, c.p.c. - il ricorrente allega censura l'impugnata sentenza per aver ritenuto che l'interruzione dell'energia, in quanto avvenuta su parte dell'impianto compresa nella sfera di disponibilità dell'utente abbia concretizzato spoglio dell'energia medesima. Sostiene, infatti, che nella specie la tutela possessoria non era ammissibile, per essere stata vittima avvenuto il preteso spoglio su beni - l'energia elettrica ed i cavi conduttori - non ricompresi nel possesso dell'utente, bensì rientranti nella esclusiva disponibilità dell'ente somministrante. Osserva il Collegio che l'impugnata sentenza di è espressamente riferita ad un raggiro messo in atto da un rappresentante risalente indirizzo di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoquesta S.C., secondo il quale le avrebbe prospettato sono configurabili la detenzione o il possesso dell'energia elettrica e la loro tutelabilità con l'azione di spoglio da parte dell'utente con inizio della consegna, che avviene con l'immissione dell'energia in quella parte della rete sulla quale l'utente esercita, nel proprio interesse, un contratto potere di affitto o noleggio fatto, mentre, prima di macchinaritale fatto, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing l'energia deve considerarsi come flusso in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre itinere che soggiace al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzionepotere dell'impresa fornitrice, la ricorrente produce due moduli contrattualiquale, come può evitare l'ingresso nell'intera rete, o in un segmento di essa, così può, agendo positivamente sulla rete di allacciamento nella parte non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientedetenuta dall'utente, impedire l'immissione in cui si descrivono i rapporti tra le partiquest'ultima. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà Un attentato al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranopossesso è, pertanto, orientamenti ipotizzabile soltanto quando l'atto, che interrompe l'erogazione dell'energia elettrica, avviene nella parte dell'impianto che, a prescindere dall'ubicazione del contatore, si trova nel luogo o nella cosa posseduti dall'utente o comunque nell'orbita del suo potere dispositivo. Se l'intervento positivo del fornitore dell'energia elettrica non univoci abbia inciso in merito alla possibilità per l’Arbitro questa sfera, all'utente compete unicamente l'azione contrattuale, in dipendenza degli obblighi che il fornitore ha assunto nella convenzione di emanare pronunce con effetto costitutivofornitura (sent. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale n. 2084-68; sent. n. 205-64; sent. n. 4222-57; sent. n. 164-1957; sent. n. 1334-52). L'esattezza dei presupposti del menzionato indirizzo viene contestata in radice dal ricorrente, si osserva sul rilievo che quest’ultima non ha fornito è configurabile una prova sufficiente dei fatti che vi pone situazione di autonomo possesso dell'utente sull'energia elettrica ad esso fornita in base a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggiosomministrazione. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali Siffatta radicale contestazione impone un riesame critico dell'indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato. Le decisioni nelle quali esso si esprime, dopo aver riconosciuto che la ricorrente afferma l'energia elettrica può costituire oggetto di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]possesso, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalitàquanto l'art. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 814 c.c., soprattutto se qualificando le energie come beni mobili, le rende oggetto di diritti reali e quindi anche di tutela possessoria (sent. n. 1334-52), identificano, nell'ambito del rapporto di somministrazione dell'energia intercorrente tra fornitore ed utente, l'instaurazione del possesso autonomo dell'energia in capo all'utente con la consegna del fluido, concretizzata dall'immissione del fluido nell'impianto privato dell'utente. Avvenuta, in tal modo, la consegna, si considera ritiene infatti che la stessa ricorrente ha prodotto vi sia possesso autonomo del fluido che occupa quella parte della rete di distribuzione sulla quale l'utente esercita nel proprio interesse un potere di fatto, in atti quanto il godimento di tale fluido dipende soltanto dalla volontà dell'utente, laddove, prima dell'immissione nella detta parte di rete, il fluido è in itinere e sempre nel potere del fornitore, rispetto al quale l'utente può vantare solo un contratto diritto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue particredito. Ne consegue che, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso alla stregua dell'orientamento in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante è ravvisabile spoglio solo nel caso di intervento diretto sulla parte di impianto, anche se precedente al contatore, che si trova nel luogo o nella cosa posseduti dall'utente, mentre un intervento esterno concretizza soltanto violazione degli obblighi contrattuali (o extracontrattuali se ad agire è un terzo). Il criterio spaziale che, alla stregua dell'indirizzo in esame, costituisce il discrimine della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrenteconcessione, infattio no, della tutela possessoria dell'utente di energia elettrica la cui somministrazione sia interrotta, agendo sui fili conduttori, dall'ente fornitore, non lo qualifica come rappresentante della società appare persuasivo sotto il profilo teorico, e si rivela di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])assai scarsa utilità, ma non di un suo rappresentante. In tal casosotto il profilo pratico, ai fini dell’annullamento del contrattodi una effettiva tutela dell'utente (mentre è proprio nell'esigenza di una tutela forte, occorrerebbe altresì dimostrare perché sollecita ed incisiva, che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (va individuato il motivo ispiratore dell'indirizzo giurisprudenziale favorevole all'esperibilità dell'azione di spoglio ex art. 1439, 2° comma, 1168 c.c.). Tutto ciò premesso Se oggetto del possesso è, come affermato in premessa, l'energia elettrica, non è dato comprendere perché fatti identici (distacco dei condotti) e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema produttivi del medesimo effetto pregiudizievole (interruzione dell'erogazione dell'energia) siano, o no, lesivi di onere tale possesso, a seconda della prova loro localizzazione, e cioè a seconda della loro incidenza su parte della rete di distribuzione ricompresa nella sfera del possesso dell'utente, o su parte esterna a tale sfera. Siffatta differenziazione si giustifica soltanto istituendo una stretta correlazione tra possesso dell'energia e possesso dell'impianto (art. 2697 c.c.nella parte ricompresa nella sfera di possesso dell'utente), ed elevando, in definitiva, quest'ultimo ad oggetto del possesso. Ma l'invocata tutela possessoria non mira a conseguire il Collegio ritiene ripristino dell'integrità materiale dell'impianto privato - ripristino che sarebbe inutile, se non provati i fatti posti accompagnato dalla erogazione dell'energia -, bensì a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannofar riprendere la fornitura interrotta.

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DIRITTO. La ricorrente allega L’intermediario ha sollevato eccezione di improcedibilità del ricorso, non rivestendo più la qualifica di intermediario finanziario. Deve, tuttavia, rilevarsi come l’intermediario sia stato cancellato dall’albo di cui al TUB in data 23/10/2017, quindi successivamente alla presentazione del ricorso avvenuta il 24/05/2017. Il Collegio, nel richiamare sul punto la consolidata giurisprudenza dell’Arbitro, secondo cui la legittimazione passiva si radica al momento della proposizione del ricorso (tra le altre, Collegio di Roma, decisione n. 12988/2017), ritiene che l’eccezione non possa essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoaccolta. Venendo al merito del ricorso, il quale le avrebbe prospettato un contratto Collegio richiama il proprio costante orientamento secondo il quale, in caso di affitto o noleggio di macchinariestinzione anticipata del prestito contro cessione del quinto della retribuzione: (a) sono, liberamente risolvibile senza penalein principio, ad un canone mensile di 000 xxxxrimborsabili, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta parte non maturata, le commissioni bancarie (comunque denominate), così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote; (b) in assenza di una chiara ripartizione, nel contratto, tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione, al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare è stabilito secondo un rappresentante della società fornitrice [YY]criterio proporzionale, legittimato dalla società ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari tenuto al rimborso a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo cliente di provatutte le suddette voci, incluso il premio assicurativo (v. Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014). Produce, inoltreDalla disamina delle domande avanzate e alla stregua della documentazione in atti deve senz’altro affermarsi la natura recurring delle commissioni bancaria come delle commissioni di intermediazione; ciò emerge chiaramente dalla descrizione – sia pure sintetica e non già analiticamente dedicata a ciascuna voce commissionale, il contratto che pure invera una opacità della relativa clausola negoziale – dei costi di leasing stipulato con la convenutacui le stesse sono state poste a copertura (tra cui quelli di “acquisizione provvista”), recante la firma della stessa ricorrente in oltre che delle attività di cui dichiaratamente fungono corrispettivo, tra le quali “tutte le sue parti. L’asserito vizio prestazioni e le attività preliminari, conclusive e successive indispensabili per il perfezionamento e l’esecuzione del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferisconocontratto”. Si registranoCon specifico riguardo, pertantopoi, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di menoalle commissioni bancarie, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti pregio l’eccepito difetto di legittimazione passiva dell’intermediario; ciò, stante il chiaro orientamento interpretativo dell’Arbitro che vi pone a fondamento. ha al riguardo – ed in senso contrario alla sollevata eccezione - richiamato il principio dell’apparenza allorché, come nella specie, “il conteggio estintivo sia stato In particolare ordine, infine, alla eccepita non vi è retrocedibilità degli oneri assicurativi, in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante forza della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma previsione contenuta nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)legge 212/2012, il Collegio ritiene di aderire pienamente all’indirizzo esplicitato, in precedenti in termini, da più Collegi territoriali, secondo cui detta disciplina, “pur estendendosi espressamente ai contratti «commercializzati precedentemente alla data di entrata in vigore della legge di conversione» (art. 22, comma 15-septies, D.L. 179/2012, conv. in L. 221/2012) non provati i fatti posti a fondamento può trovare vigenza per quei contratti che alla data indicata risultavano già estinti: la data di entrata in vigore della nuova norma è il 19 dicembre 2012 (art. 1, comma 3, L. 221/2012) mentre il contratto oggetto di lite è stato estinto il 16 novembre 2011. In linea, dunque, con il richiamato orientamento e tenuto conto delle posizioni condivise dai Collegi territoriali, rilevata altresì la natura recurring degli oneri assicurativi, il Collegio ritiene che le richieste del cliente meritino di essere parzialmente accolte, secondo il prospetto che segue: rate pagate 100 rate residue 20 Importi Metodo pro quota Rimborsi già effettuati Residuo Commissioni bancarie 580,71 96,79 96,79 Commissioni di intermediazione 4.947,90 824,65 33,00 791,65 Rimborso premi assicurativi rischio vita 634,47 105,75 105,75 Rimborso premi assicurativi rischio di impiego 571,15 95,19 95,19 Non accoglibile è, infine, la domanda della ricorrente di restituzione volta ad ottenere il ristoro delle somme versate alla convenuta in adempimento spese legali, stante la serialità del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoricorso.

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DIRITTO. La ricorrente allega Prima di esaminare nel merito la controversia sembra opportuno riportare alcuni aspetti essenziali ai fini della decisione. I due contratti aventi ad oggetto il conto corrente numero 1688 e il conto corrente numero 1690 risultano sottoscritti rispettivamente in data 16.12.2011 (cfr. allegato 2 controdeduzioni) e 19.12.2011 (cfr. allegato 1 controdeduzioni). Da quanto si evince dai documenti di sintesi riferiti a ciascun rapporto di conto corrente il tasso creditorio previsto contrattualmente, corrisponde al seguente (cfr. allegato 1 e 2 controdeduzioni): Contemporaneamente alla sottoscrizione del contratto di conto di corrispondenza, ambedue i rapporti sono stati integrati mediante accordi “di modifica delle condizioni senza effetti novativi” (il contratto n. 208/1690 è stato integrato il 19.12.2011, mentre il contratto n. 208/1688 è stato integrato il 16.12.2011) in cui sono state convenute le seguenti variazioni ai rispettivi rapporti, “a modifica di quelle attualmente in essere” (cfr. allegati 1 e 2 controdeduzioni): - c/c numero 208/1690: tasso creditore 4,00% fino al 19.03.2012 - c/c numero 208/1688: tasso creditore 4,50% fino al 15.06.2012 In entrambi gli accordi veniva specificato tra l’altro quanto segue: Da quanto si evince dalla documentazione in atti non risulta che, a fronte del riconoscimento di tali tassi di interesse particolarmente vantaggiosi, esistesse il vincolo temporale e il divieto di effettuare versamenti sugli stessi diversi dal conferimento originario, così come affermato dalla resistente. Sul punto, al contrario, l’intermediario, ha riconosciuto che non è stata raccolta la sottoscrizione dei clienti su un documento avente ad oggetto una “Integrazione al contratto di conto corrente” in cui il correntista avrebbe dovuto dichiarare di prendere atto che l’operatività del conto corrente sarebbe stata limitata tassativamente al versamento/conferimento della somma destinata a deposito, restando esclusa l’operatività di tutte le norme contrattuali con essa incompatibili. È stato prodotto agli atti un modulo prestampato che la Banca utilizzerebbe per i contratti della specie (allegato 9 controdeduzioni). Secondo le evidenze prodotte dall’intermediario, i ricorrenti in data 19.03.2012 (allo scadere dei tre mesi in cui era previsto un tasso di interesse del 4,00% sul conto corrente n. 208/1690) hanno bonificato l’importo riveniente dall’estinzione del rapporto n. 208/1690 sul conto corrente n. 7890, loro intestato, svincolando in pari data la somme versate tramite emissione di assegno di € 1.155.221,00. Ciò chiarito e venendo all’esame del merito della questione, deve anzitutto rilevarsi che non è controverso tra le parti che siano intercorsi i contratti di conto corrente bancario di corrispondenza di cui si discute. Con gli atti contestuali modificativi delle condizioni economiche rispettivamente apportati si sarebbe determinata per la Banca anche una modifica del contratto posto in essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato renderlo un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta conto corrente detto “a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferisconomonopartita”. Si registranoI clienti, pertantotuttavia, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, contestano questa ricostruzione e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.csostengono l’inadempimento dell’intermediario agli obblighi contrattuali., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega A parere del Collegio giova metter conto all’eccezione di essere stata vittima carenza di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticolegittimazione passiva formulata dall’intermediario convenuto, il quale le avrebbe prospettato ritiene che l’obbligo restitutorio debba gravare sul soggetto cui sarebbe stato ceduto il finanziamento de quo. L’eccezione è infondata e non merita accoglimento: in premessa, risulta per tabulas che parte resistente abbia sottoscritto un contratto quadro con altro intermediario nel mese di affitto o noleggio aprile 2005 ai sensi del quale – contrariamente a quanto sostenuto nelle controdeduzioni – si impegnava a cedere non già i contratti bensì i “crediti” rivenienti dai finanziamenti di macchinaricessione di quote dello stipendio che lo stesso avrebbe, liberamente risolvibile in un certo arco di tempo futuro, collocato. In tale accordo si precisava, peraltro, che la gestione del rapporto e degli incassi delle somme dovute dal cliente ceduto rimanesse a carico del cedente. A fronte di tali risultanza documentali, va altresì sottolineato che parte convenuta non ha neppure fornito la prova relativa alla circostanza che il finanziamento in esame (recte il credito derivante da detto contratto) fosse stato effettivamente oggetto di trasferimento. A fronte di ciò, emerge invece che, ancora alla data del 24 giugno 2009, in occasione del rilascio del conteggio estintivo, l’intermediario abbia chiesto il versamento del debito residuo su un conto a sé intestato, senza penaleprecisare che l’incasso sarebbe avvenuto in nome e per conto di parte terza. In considerazione delle evidenze documentali, ad un canone mensile dunque, non solo risulta che l’operazione di 000 xxxxcessione abbia riguardato i crediti e non già i contratti, xxma anche che l’intermediario convenuto abbia continuato a mantenere – nei confronti del ricorrente – la gestione del rapporto negoziale anche nella sua fase esecutiva. Quanto al primo rilievo, xx modo ingannevole la consolidata giurisprudenza di questo Collegio ha più volte sottolineato l’irrilevanza – sotto il profilo giuridico – delle intervenute cessioni del credito ovvero del contratto, ben potendo il consumatore – in forza della norma di cui all’art. 125-septies t.u.b. – opporre le eccezioni relative al contratto tanto al cedente quanto al cessionario. Tale considerazione, che si attesta sul piano della ricostruzione giuridica dei rapporti emergenti nei confronti del contraente ceduto, appare viepiù avvalorata anche da una considerazione che invece si attesta sul piano fattuale, e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostache si fonda sul principio dell’apparenza: risulta, l’avrebbe poi indotta infatti, documentalmente che l’intermediario resistente abbia continua a sottoscrivere un contratto gestire i rapporti con il ricorrente sino al momento dell’anticipata estinzione, per provvedere alla quale quest’ultimo ha versato le somme necessarie sul conto intestato al primo, in tal guisa mostrandosi di leasing con fatto il dominus del rapporto (posto che non aveva mai comunicato l’intervenuta cessione e, quindi, la società conseguente gestione in nome e per conto del cessionario). Per le riferite ragioni, dunque, deve essere rigettata l’eccezione di leasing [ZZ]carenza di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario resistente. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta domanda del ricorrente è relativa all’accertamento del proprio diritto alla restituzione di quota parte degli oneri economici connessi al finanziamento anticipatamente estinto rispetto al termine convenzionalmente pattuito, in applicazione del principio di equa riduzione del costo dello stesso, sancita all’art. 125-sexies t.u.b. In conformità alla ormai consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto illegittimamente percepitostabilito peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, oltre al risarcimento si è affermato che la concreta applicazione del principio di tutti i danni subiti equa riduzione del costo del finanziamento determina la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (cc.dd. up front). Dall’esame della documentazione contrattuale risulta che gli importi commissionali siano stati corrisposti “per la condotta illegittima posta conversione e convertibilità da variabile in essere da un rappresentante fisso del saggio degli interessi, per la copertura del relativo rischio per tutta la durata dell’operazione, per le operazioni di acquisizione della società fornitrice [YY]provvista, legittimato dalla società per le perdite dovute alla differenza di leasing [ZZ]. A suffragio valuta tra erogazione iniziale e decorrenza dell’ammortamento, per l’eventuale ritardo di adeguamento dei tassi e della propria ricostruzionecommissione nel periodo di preavviso del mutamento delle condizioni di mercato; considerano inoltre tutte le prestazione e le attività preliminari, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati conclusive e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo successive indispensabili per il cliente perfezionamento e l’esecuzione del contratto quali …. il reperimento e l’esame della documentazione, l’istruttoria della pratica, le spese postali e di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolatanotificazione, invecegli oneri della rete di distribuzione del servizio, un’opzione di acquisto l’elaborazione dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Producedati anche ai fini della L. n. 97/1991, inoltree le attività prescritte dalla normativa vigente, il costo dell’advertising e dei mezzi di comunicazione, l’incasso l’elaborazione dei dati ed i controllo dei versamenti periodici delle quote di ammortamento con i relativi adempimenti contabili e amministrativi, gli adempimenti per l’eventuale estinzione anticipata, i corrispettivi dovuti alla rete esterna di distribuzione, comprese le provvigione al mediatore creditizio o all’agente in attività finanziaria cui i Cedente ha ritenuto discrezionalmente di rivolgersi, i corrispettivi per gli adempimenti relativi all’attivazione delle garanzie e la loro successiva gestione, l’assistenza fornita al Cedente dopo la stipulazione del contratto, ogni altro servizio e costo dipendente dalla esecuzione di quanto previsto dal presente contratto di leasing stipulato anche se imprevisto o sopravvenuto” (cfr. art. 14 del contratto). La molteplicità degli adempimenti ivi previsti, senza la necessaria ripartizione delle quote relative alle varie voci commissionali tra quelli preliminari alla conclusione del contratto e quelli soggetti a maturazione nel tempo, determina una complessiva opacità della formulazione della clausola, aggravata dalla sua formulazione unitaria e riferibile alle diverse commissioni previste nel contratto, con la convenutaconseguenza che vada riconosciuto il diritto del ricorrente alla restituzione dell’importo di euro 142,48 con riferimento alle commissioni bancarie e di euro 612,38 con riferimento a quelle di intermediazione. Da ultimo, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio con riferimento alla domanda di restituzione del contratto prospettato dalla ricorrente evoca premio assicurativo, il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda Collegio non può che essere interpretata come richiesta confermare il proprio consolidato orientamento, viepiù avvalorato dalla decisione del Collegio di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta coordinamento di restituzione dei canoni di leasing versatiquesto Arbitro (cfr. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011dec. n. 6167/2014), Sezin ordine alla sussistenza del collegamento negoziale tra contratto di finanziamento e polizza assicurativa, la quale trova nella legge n. 221/2012 il suo riconoscimento normativo; va pertanto disposto il rimborso della quota non maturata del premio, calcolata in misura proporzionale alla vita residua del finanziamento anticipatamente estinto, per euro 449,86. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento Così per il complessivo importo di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente euro 1.204,72 da ridursi alla minor somma di euro 1.204,28 espressamente richiesto dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante ossequio al principio della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (domanda ex art. 1439, 2° comma, c.c.)115 c.p.c. Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.P.Q.M.

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DIRITTO. La ricorrente allega 0.Xx controversia portata alla cognizione del Collegio richiede di essere stata vittima esaminare la questione della disciplina applicabile per l’estinzione anticipata dei contratti bancari e parabancari a tempo determinato. Dall’esame della documentazione contrattuale emerge, infatti, la mancata previsione della facoltà di un raggiro messo in atto da un rappresentante riscatto anticipato del bene e di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]estinzione del rapporto prima della sua naturale scadenza. La stessa indicazione nel documento di sintesi di spese per “riscatto anticipato” nella misura di € 51,65 si riferisce verosimilmente all’ipotesi — questa, invece, contemplata nelle condizioni generali di contratto — di deterioramento del bene imputabile al locatario ovvero di furto o perdita, al cui verificarsi il cliente è tenuto a corrispondere — al netto degli eventuali indennizzi assicurativi — l’importo dei canoni a scadere, attualizzato al tasso ufficiale di sconto (TUR). È appena il caso di notare che questo tasso — fissato, al momento della presentazione della richiesta di riscatto anticipato del bene da parte del ricorrente, pur avendo onorato il contratto nella misura dell’1% e pari al costo della liquidità presso la Banca centrale — è stato applicato dall’intermediario per attualizzare l’ammontare del credito residuo. Ne discende — ad avviso del Collegio — l’operatività nella vicenda negoziale in esame della regola di leasing in questione per circa due annidiritto comune relativa al pagamento del termine fissato a favore sia del creditore sia del debitore. D’altro canto, versando i canoni previsti, ne rileva ora che questa sia la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento regola generale propria di tutti i danni subiti per contratti bancari e parabancari a tempo determinato è dimostrato da diversi ordini di considerazioni. Xxxxxxx, anzitutto, riconoscere la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante peculiarità della società fornitrice [YY], legittimato dalla società presunzione di leasing [ZZ]termine a favore del debitore di cui all’art. A suffragio della propria ricostruzione1184 c.c., la ricorrente produce due moduli contrattualiquale può essere superata dalla considerazione delle circostanze concrete del rapporto, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientesenza necessità di una specifica pattuizione sul punto. È quanto mai significativo, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”inoltre, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento siffatta presunzione sia accantonata dallo stesso legislatore con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolatariferimento all’”ipotesi maestra” del mutuo oneroso, ponendo, invece, un’opzione l’art. 1816 c.c. la presunzione di acquisto dei macchinari termine a favore di entrambi i contraenti. Merita, infine, evidenziare — ed il rilievo è dirimente per quanto qui rileva — la natura imprenditoriale svolta dall’intermediario nell’erogazione del potenziale acquirente allo scadere credito ed il suo “fisiologico” interesse alla remunerazione del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio finanziamento concesso fino alla scadenza del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto termine fissato per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciutarestituzione. InoltreSe così è, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i consegue dai comuni principi generali in tema che il debitore — nelle obbligazioni pecuniarie con termine fissato anche nell’interesse del creditore — può estinguere anticipatamente il debito (e quindi chiudere il rapporto contrattuale) solo versando una somma di onere denaro pari all’intero montante del medesimo, comprensivo sia della prova sorte capitale, sia degli interessi a scadenza. Ogni diversa soluzione richiede, perciò, o un consenso del creditore oppure un intervento del legislatore (art. 2697 c.cv. § 3, infra).), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Il ricorso è meritevole di accoglimento nei limiti e per le ragioni di seguito esposte. Al riguardo, costituisce orientamento consolidato di questo Arbitro quello secondo cui: “La ricorrente allega questione dei rimborsi spettanti in occasione dell’estinzione anticipata di prestiti concessi contro cessione del quinto e delegazione di pagamento è stata più volte portata all’attenzione dei tre Collegi dell’ABF (v. tra le altre, Decisione n. 4020 del 25 luglio 2013). Gli approfondimenti effettuati, da ultimo anche da parte del Collegio di coordinamento (v. dec. cit.), hanno consentito di ritenere che, in caso di estinzione anticipata: a) l’intermediario debba restituire, per la parte non maturata, le commissioni addebitate in sede di stipula; b) in assenza di una “chiara e congrua” ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci debba essere stata vittima considerato soggetto a maturazione nel corso dell’intero svolgimento del rapporto negoziale; c) in riferimento ai costi recurring, l’importo da rimborsare vada equitativamente stabilito secondo un criterio proporzionale ratione temporis (in base al quale l’ammontare complessivo delle spese viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue), giacché trattasi di un raggiro messo corrispettivi allo svolgimento di attività amministrative il cui costo, al netto di fattori esogeni, è costante in atto da un rappresentante pendenza di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un rapporto; d) l’onere economico del contratto di affitto assicurazione, per il collegamento funzionale che lega tale contratto a quello di finanziamento, debba essere annoverato tra i “costi” del credito presi in considerazione dall’art. 125-sexies, comma 1, TUB ai fini della determinazione del diritto di rimborso del cliente; e) non sarebbe illegittimo, né irrazionale quantificare l’equa riduzione degli oneri assicurativi ponderando il rimborso della quota del premio in funzione del capitale residuo assicurato, purché l’applicazione di tale criterio di rimborso sia espressamente enunciata in contratto; f) in assenza di una siffatta previsione, sia ragionevole quantificare il diritto di rimborso del cliente applicando ai premi versati il principio di competenza economica, posto che si tratta di costi che maturano in ragione del tempo, e che di conseguenza sono da rilevare pro rata temporis” (ABF dec. 901 del 2015). Con riferimento, poi, al premio per la polizza assicurativa a copertura del rischio vita, va, parimenti disattesa l’ulteriore eccezione preliminare di carenza di legittimazione passiva formulata dall’intermediario, sia sotto il profilo processuale che di merito. In ordine al primo è sufficiente ricordare che “ la legittimazione ad causam consiste nella titolarità del potere e del dovere – rispettivamente per la legittimazione attiva e per quella passiva – di promuovere o noleggio subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto in causa, secondo la prospettazione offerta dall’attore, indipendentemente dalla effettiva titolarità, dal lato attivo o passivo, del rapporto stesso” e che quando, invece, “ le parti controvertono sulla effettiva titolarità, in capo al convenuto, della situazione dedotta in giudizio, ossia dell’accertamento di macchinariuna situazione di fatto favorevole all’accoglimento o al rigetto della domanda attrice, liberamente risolvibile senza penalela relativa questione non attiene alla legitimatio ad causam ma al merito della controversia, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società conseguenza che il difetto di leasing [ZZ]titolarità deve essere provato da chi lo eccepisce e deve formare oggetto di specifica e tempestiva deduzione in sede di merito” ( ex plurimis, Cass. La ricorrenteciv., pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due annisez. III, versando i canoni previsti26 settembre 2006, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre n.20819). Con riferimento al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzionesecondo profilo, la ricorrente produce due moduli contrattualistessa eccezione deve essere superata alla luce del collegamento negoziale esistente tra i contratti de quibus. Nella ormai consolidata giurisprudenza dell’ABF, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, è infatti ampia casistica in cui si descrivono i rapporti tra le partiè riconosciuta la fondatezza della pretesa del cliente che abbia richiesto all’intermediario collocatore la restituzione di somme già corrisposte ad altro soggetto - anche – per un servizio assicurativo connesso al principale rapporto di finanziamento. Come persuasivamente rilevato “rispetto a queste fattispecie, si impone una considerazione unitaria dell’assetto degli interessi globalmente perseguito dalle parti in termini di validità, efficacia e complessiva utilità delle prestazioni dedotte nei contratti. In particolare, le evoluzione del rapporto principale (finanziamento) non possono non riflettersi su quello accessorio (assicurazione) poiché, venuto meno il primo, la persistenza del rapporto assicurativo si rileverebbe, di fatto, privo di causa. Sul punto, si è già pronunciato più volte questo Collegio, riconoscendo – anche in uno dei due documenti si fa riferimento ad un forza del collegamento negoziale sussistente tra contratto di “affitto/noleggio”finanziamento e contratto di assicurazione – il diritto del cliente al rimborso della quota parte del premio assicurativo per il periodo di copertura non goduta in esito ad estinzione anticipata del relativo rapporto creditizio” ( ex plurimis, da ultimo anche con riferimento al criterio di calcolo, v. Collegio ABF di Napoli, decisioni nn. 2173/14, 873/13, 769/13, 298/13, 140/13, 46/13, 2613/12, 2612/12, 2610/12, 2280/12, 1720/12, 746/12; nello stesso senso Collegio ABF di Roma, decisioni nn. 1138/13, 1979/12, 491/12; Collegio ABF di Milano, decisioni nn. 2106/14, 980/13, 480/13, 432/13, 2730/12, 2055/12, 776/12, 195/12). Deve, altresì, precisarsi che prevede altresì l’entrata in vigore (il passaggio 19 dicembre 2012) dell’art. 22 del d.l. 18 ottobre 2012 n. 179 (convertito con modificazioni dalla l. 17 dicembre 2012 n. 221) è irrilevante ai fini della controversa de qua. Ed infatti può ribadirsi che “ gli obblighi ivi stabiliti in capo all’impresa di proprietà assicurazione non sembrano incidere sul profilo della legittimazione, non sottraendo il finanziatore alla concorrente responsabilità per la restituzione del dovuto a fronte di negozi collegati, rilevando invece ai fini della eventuale azione di regresso” (testualmente, Nel merito, dalla documentazione versata in atti emerge che la formulazione contrattuale della commissione bancaria non descrive analiticamente le attività ivi addebitate al cliente dopo 59 mesi ed è dunque caratterizzata da opacità. Da tale opacità ne deriva, conformemente al più recente orientamento di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltrequesto Collegio, il contratto riconoscimento del diritto al ricorrente alla restituzione della quota parte residua alla durata del finanziamento, pari (in applicazione del criterio proporzionale) a 358,28 euro.. Quanto alla commissione di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltreintermediazione, nel caso in esameesame il ricorrente ne ha chiesto solo in via subordinata la restituzione in base al criterio di calcolo pro rata temporis, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] perché in principalità egli ne ha chiesto il totale rimborso, per violazione del principio di imparzialità ex art. 1754 c.c. e per mancanza di forma scritta del contratto di mediazione. Sostiene, infatti il ricorrente che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi risulta dalla documentazione contrattuale l’intervento di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti mediatore – la cui firma peraltro compare in calce al contratto di leasing finanziamento - né che sia stato sottoscritto un contratto per contro della società il conferimento dell’incarico di leasing [ZZ])mediazione creditizia. Da ciò il ricorrente deduce che non esistendo un documento scritto comprovante l’incarico che esso stesso avrebbe conferito al mediatore, ma non il contratto stesso è nullo per difetto di un suo rappresentanteforma con la conseguenza ultima che nessuna commissione è dovuta. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)Al riguardo, il Collegio ritiene di Coordinamento ha osservato che effettivamente il Provvedimento dell’UIC del 20704/2005, emanato ai sensi dell’art. 5 comma 1 del D.P.R. n. 287/2000, stabilisce che il contratto debba rivestire la forma scritta dato che la mediazione sarebbe avvenuta tramite l’attività di un intermediario finanziario ex art.106 TUB, ma poiché il contratto è stato eseguito e risulta documentalmente che la provvigione mediatizia è stata pagata, la pretesa nullità del contratto è solo il presupposto di una normale azione di ripetizione dell’indebito, la quale non provati i fatti posti che svolgersi nei confronti del mediatore stesso. Non sussiste infatti alcuna fonte idonea a fondamento della domanda della ricorrente configurare l’assunzione di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento una responsabilità dell’intermediario per l’ipotesi di invalidità del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame mediazione; né a tale fine sarebbe idoneo configurare l’ipotesi del collegamento negoziale perché i contratti collegati rimangono contratti distinti ed il collegamento istituisce solo la loro interdipendenza conferendo una regolamentazione unitaria delle vicende relative alla permanenza del vincolo contrattuale, per cui essi simul stabunt, simul cadunt (Cfr. Cass. civ., sez. III, 22-03-2013, n..7255): eventualità che nel caso non sarebbe di alcuna utilità per il ricorrente. Diverso sarebbe il caso se a suo tempo il cliente, sulla base del difetto di forma scritta del contratto di mediazione, avesse chiesto o ingiunto all’intermediario di non procedere al pagamento della provvigione a favore del mediatore stesso. Ma una volta che l’intermediario a ciò delegato abbia provveduto al pagamento suddetto, l’azione di ripetizione dell’indebito, fondata sul difetto di forma scritta ad substantiam del contratto che è relativo solo al cliente ed al mediatore, non può rivolgersi nei confronti del solo intermediario che nella fattispecie ha assunto il ruolo di mandatario del cliente, perché diviene palese il difetto di legittimazione passiva del soggetto convenuto. Perciò la domanda sul risarcimento principale formulata dal ricorrente a questo riguardo non può accogliersi. Per contro, la formulazione contrattuale della commissione di intermediazione comprende anche attività gestorie (incasso delle somme mensilmente ricevute dall’Ente mandatario) tipicamente recurring. Da tale opacità ex ante ne deriva, conformemente agli orientamenti più volte espressi da questo Collegio (v., tra le tante decisioni, nn. 4086/2012; 2178/2013; 2513/2014 e, in termini, la decisione 482/2014) il riconoscimento del dannodiritto al ricorrente alla restituzione della quota parte residua alla durata del finanziamento, pari (in applicazione del criterio proporzionale ed al netto di quanto già rimborsato) a 2.310,52 euro. Anche in ordine alla quantificazione della quota parte del premio assicurativo da retrocedere, troverà applicazione il metodo di cui all’orientamento dei Collegi ABF già richiamato supra che si è stabilizzato – salvo eccezioni connesse a situazioni non ricorrenti – nel senso di riconoscere un rimborso “parametrato alla durata residua del finanziamento”. In applicazione di tali consolidati principi, consegue il diritto del cliente al rimborso della relativa quota di premio di copertura non goduto in esito all’estinzione anticipata del finanziamento, calcolata (sempre in applicazione del criterio proporzionale) in 1.154,65 euro. Così per il complessivo importo di 3.823,45 euro, oltre agli interessi legali dalla data del reclamo. Non viene riconosciuto il ristoro delle spese di assistenza difensiva, atteso il carattere seriale del ricorso in esame.

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DIRITTO. La ricorrente allega di Ad avviso del Collegio il ricorso non può essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoaccolto. Preliminarmente, il quale appare opportuno sintetizzare le avrebbe prospettato un pattuizioni del contratto di affitto o noleggio L’oggetto del contratto è costituito dalla cessione da parte del cliente alla banca, in unica soluzione, secondo quanto previsto dall’art. 3 della L. 52/91, dei crediti sorti e insorgendi nei confronti di macchinariclienti previamente selezionati sull’accordo delle parti; successivamente, liberamente risolvibile senza penaleall’effettivo insorgere dei crediti, ad un canone mensile di 000 xxxxin corrispondenza con le prestazioni via via eseguite dal cedente, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con quest’ultimo ne conferma la società di leasing [ZZ]cessione. La ricorrentebanca, pur avendo onorato acquistato il contratto di leasing in questione credito per circa due anni, versando i canoni previstiun prezzo pari al suo valore nominale, ne rileva ora cura la “nullità”gestione e l’incasso, chiedendo potendo altresì erogare anticipazioni (produttive di interessi) in favore del cedente; incassato il credito la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, banca provvede infine all’accredito della differenza tra l’anticipato (oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta competenze) e l’incassato in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome favore del cliente, in cui . Su questo schema si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto innesta la possibilità – realizzata nel caso di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo specie – per il cliente di contrarre richiedere al factor l’assunzione del rischio del mancato pagamento di un apposito finanziamento determinato debitore; in caso di accettazione, il factor indica al fornitore l’importo del plafond pro soluto accordato (nella presente controversia pari a € 200.000,00); superato il tetto massimo delle anticipazioni i successivi crediti ceduti si intendono con garanzia pro solvendo. Si tratta, peraltro, di un limite munito del carattere di rotatività, atteso che l’incasso dei crediti da parte del cessionario rende, di volta in volta, nuovamente disponibile l’accordato pro soluto. E’ opportuno, a questo punto, segnalare, nel fascio dei reciproci obblighi delineati a carico delle parti, le clausole rilevanti per la decisione della presente controversia: il fornitore è obbligato inderogabilmente a cedere tutti i crediti vantati nei confronti del debitore determinato (art. 12), e la sanzione per l’inadempimento di tale clausola è la revoca retroattiva del plafond pro soluto da intendersi come mai concesso (art. 15); in ogni caso, la cessione pro soluto è assoggettata ad un termine di scadenza e, comunque, alla facoltà di revoca della banca, con la conseguente vigenza della garanzia pro soluto per le fatture emesse in data antecedente alla cessazione, anche se inviate successivamente, entro il termine contrattuale di trenta giorni (art. 14); quanto all’inadempimento del debitore ceduto, solo su richiesta del fornitore il factor è tenuto all’esperimento delle azioni opportune per il recupero del credito. Ciò premesso, la domanda proposta dalla ricorrente, volta ad ottenere l’accertamento dell’obbligo dell’intermediario di provvedere all’anticipazione dei crediti recati dalle fatture trasmesse, presuppone la verifica della illegittimità della revoca della garanzia pro soluto su tutti i crediti ceduti, disposta dalla banca. Va ricordato, preliminarmente, che, con lettera del 28 febbraio 2013, l’intermediario aveva comunicato di revocare il plafond pro soluto, peraltro, in data coincidente con la naturale scadenza dello stesso, in forza del termine stabilito nella nota del medesimo intermediario del 31.7.2012, che concedeva la garanzia pro soluto richiesta dalla società ricorrente. In quella stessa data, la società ricorrente emetteva nei confronti del debitore ceduto la fattura contraddistinta dal n. 84/2013, la quale, pertanto, secondo le condizioni contrattuali – che estendevano la garanzia pro soluto ai crediti portati da fatture solo se emesse antecedentemente alla data di cessazione – sarebbe stata oggetto di una cessione pro solvendo. Il profilo dirimente della controversia, però, si colloca a monte del regime contrattuale cui assoggettare il credito di cui alla fattura in questione, giacché è contestata tra le parti la sua stessa consegna al factor: un aspetto di decisiva rilevanza, giacché è su tale circostanza che l’intermediario ha motivato la non operatività della garanzia pro soluto (nota del 2 agosto 2013). Il punto è che era stata la stessa ricorrente a riconoscere nei confronti della banca localela circostanza del mancato invio: sono state prodotte dall’intermediario due comunicazioni (del 10 e del 17 luglio 2013), con le quali – a mezzo di un legale – l’odierna istante affermava di voler procedere al recupero dei crediti relativamente a due fatture, tra cui la n. 84, che dichiarava di non avere mai trasmesso al factor: da qui l’applicazione da parte di quest’ultimo della decadenza dalla copertura pro soluto. Nel secondo documento vi è regolataSuccessivamente, invecein sede di reclamo, un’opzione così come di acquisto dei macchinari a favore ricorso introduttivo del potenziale acquirente allo scadere del periodo presente procedimento e di provareplica alle controdeduzioni dell’intermediario, la ricorrente ha modificato tale prospettazione ed ha sostenuto di avere provveduto al regolare invio anche della fattura n. 84. Produce, inoltrea fondamento della sua diversa asserzione, la modulistica compilata e sottoscritta dal proprio rappresentante legale per la conferma della cessione dello specifico credito (così come previsto dall’art. 3 del contratto di factoring), e una mail del 15 aprile 2013, con la quale – tuttavia – si accompagna un generico invio di documentazione relativa ad un credito ceduto in alcun modo identificato. Non può, peraltro, attribuirsi rilievo probatorio della circostanza controversa al fatto che il factor aveva inviato la modulistica per la determinazione del credito ceduto in data 12 aprile 2013, né che i precedenti invii di cessioni e relative fatture erano avvenute sempre a mezzo mail dal contenuto generico: sta di fatto che per gli altri crediti ceduti non vi era stata contestazione, mentre, ad avviso del Collegio, in presenza della perdurante eccezione dell’intermediario, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma riconoscimento della stessa ricorrente del mancato invio, in tutte le uno alla genericità della mail del 15 aprile, fa ritenere inevasa la prova contraria, di cui l’istante stessa si era onerata in virtù delle sue partiprecedenti ammissioni. L’asserito vizio Ne deriva la legittimità della condotta tenuta dall’intermediario. Peraltro, va rilevato che quest’ultimo aveva provveduto a corrispondere alla società ricorrente – a titolo di anticipazioni sui crediti ceduti – l’importo di Euro 270.000,00, in forza delle uniche tre richieste inoltrate dal fornitore (che l’anticipazione fosse subordinata alla specifica richiesta era previsto nell’art. 10 del contratto prospettato e la ricorrente non ha prodotto documentazione attestante l’inoltro di ulteriore richieste inevase), ed ha precisato, altresì, che l’importo complessivo dei crediti ceduti alla data della cessazione della garanzia pro soluto era pari ad € 449.857,60, e, quindi, ad un importo di gran lunga superiore al tetto massimo previsto; di tale importo ne sono stati recuperati successivamente € 189.688,83, contabilizzati a credito del fornitore, riducendone l’esposizione debitoria. Tale circostanza – che non è stata contestata dalla ricorrente evoca nelle repliche alle controdeduzioni dell’intermediario (dove impugna altri e diversi profili) – determina, in ogni caso, l’infondatezza della pretesa della ricorrente che invoca il dolo nella conclusione disposto degli artt. 12 e 16 del contratto, a tenore dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo quali il factor si obbligava a fondare la richiesta di restituzione corrispondere l’importo dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate crediti ceduti decorsi duecentodieci giorni dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivoscadenza della fattura. Ciò non di menoin quanto la garanzia pro solvendo, alla luce dell’inadempimento del debitore, comportava il venire meno dei diritti patrimoniali del cedente; ma, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitrovolere considerare, e pertanto valutando nel merito in via di ipotesi, vigente l’obbligo del factor di prestare la domanda dell’attuale ricorrentegaranzia pro soluto, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che parimenti la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice non aveva diritto ad ulteriori anticipazioni oltre quelle già percepite. Quanto al problema dell’insolvenza del debitore ceduto, molte delle affermazioni delle parti non sono sostenute da adeguata dimostrazione, mentre, in ogni caso, la documentazione prodotta non appare sufficientemente significativa per la valutazione della rispondenza al vero dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse reciproci addebiti e della conseguente formulazione di un contratto giudizio di affitto/noleggioresponsabilità. Né rappresenta una prova Per quanto concerne, poi, l’illegittimo addebito delle commissione previste a tal fine sufficiente fronte della concessione della garanzia pro soluto, la produzione dei due moduli contrattuali che banca ha riconosciuto l’errore e ha dichiarato di avere provveduto al relativo riaccredito. Nelle repliche alle controdeduzioni, la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]ha contestato tale circostanza che, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanzarealtà, risulta documentalmente provata dagli estratti conto prodotti dall’intermediario, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.ccontestati dall’odierna istante., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega 5. In via preliminare vanno respinte le eccezioni dell’intermediario secondo cui il ricorso qui esaminato sarebbe inammissibile perché volto ad ottenere dall’ABF solamente un’attività “di essere stata vittima consulenza” (siccome volta a valutare la correttezza dell’operato dell’intermediario) che tale Arbitro evidentemente non potrebbe compiere, e comunque con oggetto del tutto generico (la "gestione del c/c"). Deve al riguardo replicarsi, tuttavia, come la funzione di un raggiro messo in atto risoluzione alternativa delle controversie espletata da un rappresentante di un’impresa questo Arbitro – “alternativa” evidentemente a quella dell’autorità giudiziaria ordinaria – non possa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientecomportare, in cui via di principio, una competenza a conoscere e a pronunciarsi (seppure con effetti diversi) di pari estensione. Di talché, così come il giudice ordinario ben potrebbe essere richiesto di una pronuncia di accertamento (della violazione di obblighi di diligenza e buona fede nell’esecuzione del contratto) pur senza condanna (seppure la prima eventualmente strumentale alla seconda, da richiedersi in un secondo momento), allo stesso modo può esserlo questo Arbitro. D’altra parte, l’oggetto dell’accertamento richiesto a quest’Arbitro (l’accertamento della correttezza della condotta dell’Intermediario “durante tutto il rapporto riguardante la gestione del conto corrente”) seppure espresso in termini impropri e generici, risulta comunque sufficientemente chiarito e perimetrato, nel suo contenuto e nei suoi profili, dalle specifiche circostanze e dalle contestazioni rappresentate nel ricorso: dal quale, in effetti, risulta evidente come si descrivono i rapporti invochi sostanzialmente la nota questione del cd. fido di fatto: e cioè, come noto, quella relativa alla condotta di una banca che, dopo aver concesso per un certo tempo uno sconfino sul conto corrente per un certo ammontare, inopinatamente e ingiustificatamente chieda al cliente l’immediata e integrale restituzione delle somme risultanti a debito (oltre alla chiusura di ogni servizio di cassa accessorio, e così la restituzione del carnet degli assegni, delle carte di credito, etc.), così deludendo l’affidamento di fatto ingenerato, nel tempo, nel cliente stesso. Si tratta, quindi, di una serie eterogenea di fattispecie tutte accomunate dalla concessione di credito alla clientela pur in assenza di un’espressa pattuizione tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva caratterizzate dalla natura occasionale ed eccezionale dell’erogazione che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente viene effettuata dalla banca in assenza dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse requisiti formali propri dell’ordinaria attività di un contratto concessione di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.ccredito., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La controversia sottoposta all’esame del Collegio verte sulla ormai nota questione del mancato rimborso da parte dell’intermediario dell’importo della quota non maturata delle commissioni bancarie e finanziarie nonché degli oneri assicurativi corrisposti in occasione della stipulazione di contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio e con delegazione di pagamento, a seguito dell’estinzione anticipata degli stessi contratti. In via preliminare il Collegio è tenuto ad esaminare l’eccezione relativa al valore liberatorio della quietanza sottoscritta dal ricorrente allega in sede di essere stata vittima estinzione del contratto di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticofinanziamento; sul punto, il quale le avrebbe prospettato un contratto Collegio di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing Coordinamento si è pronunciato nella seduta del 5 aprile 2017 con la società decisione n. 8827/2017, in occasione della quale ha affermato che: “Ad avviso del Collegio, all’atto di leasing [ZZ]quietanza sottoscritto dal ricorrente non può essere ricondotta l’efficacia preclusiva propria dei negozi rinunciativi o transattivi. La ricorrentequietanza liberatoria sottoscritta dal ricorrente relativamente al contratto in esame ha contenuto analogo a quella rispetto alla quale si è pronunciato il Collegio di Coordinamento per cui in ossequio a tale pronuncia, pur avendo onorato questo Collegio ritiene che la quietanza sottoscritta dal ricorrente non abbia valore liberatorio sicché le domande formulate dal ricorrente possono essere esaminate nel merito. Il Collegio richiama il contratto costante orientamento dell’ABF secondo il quale, in caso di leasing in questione per circa due anniestinzione anticipata del prestito contro cessione del quinto della retribuzione/pensione / con delegazione di pagamento: (a) sono rimborsabili, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta parte non maturata, le commissioni bancarie (comunque denominate) così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote; (b) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare viene stabilito secondo un rappresentante della società fornitrice [YY]criterio proporzionale ratione temporis, legittimato dalla società tale per cui l’importo complessivo di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari tenuto al rimborso a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo cliente di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue partisuddette voci, incluso il premio assicurativo (v. Collegio di Coordinamento, decisione n. 6167/2014). L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca Il Collegio richiama, altresì, come il dolo nella conclusione dei contratti Collegio di Coordinamento, successivamente, abbia espresso i seguenti princìpi generali: (arta) l’art. 1439 c.c.125-sexies t.u.b. è una norma imperativa che esplicita un criterio di competenza economica non derogabile; (b) edi conseguenza, benché nel «il ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda all’autonomia negoziale non può spingersi fino ad escludere ex ante – attraverso la negoziazione di un criterio di rimborso alternativo a quello pro rata temporis – il rimborso di costi versati dal cliente e dovuti per attività o prestazioni non erogate per effetto dell’estinzione anticipata del finanziamento»; (c) fermo restando quanto precede, nonché la ribadita esigenza di una chiara distinzione tra costi up front e costi recurring, l’autonomia negoziale delle parti può esplicarsi nella individuazione del criterio di maturazione dei costi definiti come recurring, nel senso che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia tale maturazione può «avere uno sviluppo non strettamente lineare o proporzionale»; (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di menod) quando ciò avviene, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitroil rimborso dovuto al soggetto finanziato in caso di estinzione anticipata può – coerentemente – seguire il criterio adottato per la maturazione dei costi recurring, ossia può risultare «non strettamente lineare o proporzionale (come normalmente avviene)»; (e) in conclusione, dunque, «le parti sono libere di determinare i futuri costi recurring e pertanto valutando la loro distribuzione nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])corso del tempo, ma non la quota di un suo rappresentante. In tal quei costi oggetto di rimborso in caso di estinzione anticipata del finanziamento, la cui determinazione è, in ogni caso, ai fini dell’annullamento del contrattoregolata dal principio di competenza economica, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (da intendersi quale criterio legale di rimborso ex art. 1439, 2° comma, c.c125-sexies TUB» (decisione n. 10035/2016).). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto In via preliminare il Collegio è chiamato a pronunciarsi circa le eccezioni avanzate da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione parte resistente ovvero sull’inammissibilità/improcedibilità del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo ricorso per il cliente mancato rispetto del termine di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato 60 giorni dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie proposizione preventivo reclamo e sull’incompetenza dell’ABF in materia di interpretazione della normativa fiscale applicabile alla fattispecie rappresentata. L’eccezione sull’inammissibilità/improcedibilità del ricorso per il mancato rispetto del termine di 60 giorni dalla proposizione preventivo reclamo è infondata. Come si evince dagli atti di causa il reclamo è stato esperito da parte ricorrente in data 3 dicembre 2021, mentre il ricorso risulta depositato in data 4 febbraio 2022, pertanto il termine dei 60 giorni risulta rispettato essendo decorsi ben 63 giorni. La banca resistente eccepisce inoltre l’inammissibilità del ricorso perché esorbitante rispetto alla competenza per materia dell’Arbitro. A detta della resistente, «il ricorso attiene all'interpretazione della normativa fiscale al fine dell'individuazione del regime fiscale applicabile al caso in esame». Com’è noto, all’Arbitro «possono essere sottoposte dai clienti controversie relative a operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie […] aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono». Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale Parte ricorrente, si osserva che quest’ultima non tuttavia, ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è sottoposto alla cognizione del Collegio la condotta dell’intermediario in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di relazione ad un contratto di affitto/noleggiocessione di crediti di imposta stipulato con la resistente, di cui contesta l’inadempimento sotto i seguenti profili: i) il ritardo con cui l’intermediario ha esaminato la richiesta di liquidazione della cessione dei crediti relativi al secondo SAL; ii) l’interpretazione del contratto fornita dall’intermediario secondo cui le cessioni dei crediti derivanti dalle fatture pagate in esecuzione dei SAL successivi al primo necessiterebbero della stipula di un nuovo contratto; iii) l’illegittima applicazione al caso di specie degli ulteriori Sulla competenza dell’ABF in materia di cessione dei crediti d’imposta si è pronunciato di recente il Collegio di Coordinamento (cfr. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali decisione n. 9642/22 del 22/06/2022) il quale ha sancito che: “La circostanza che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e cessione del credito abbia ad oggetto crediti di imposta, non esclude di per sé la competenza dell’ABF. Resta ferma l’incompetenza ratione materiae dell’Arbitro se la domanda implichi o presupponga l’interpretazione o l’applicazione di norme tributarie, come, ad esempio, ove si disputi in merito a procedure e/o presupposti relativi allo stesso riconoscimento del credito d’imposta”; pertanto nel testo che essa stessa ha firmato in tutte caso di specie anche detta eccezione preliminare risulta infondata. Passando al merito dall’acquisto di crediti per l’importo corrispondente al massimale sembrano potersi ritenere estinte le sue obbligazioni derivanti dal primo contratto, con necessità di stipulare una nuova cessione per i crediti ulteriori. Dall’esame dell’interlocuzione tra le parti, senza l’intermediario risulta avere manifestato la propria disponibilità a stipulare una nuova cessione dei crediti del secondo SAL, nel rispetto tuttavia dei requisiti antifrode introdotti nelle more dell’interlocuzione. Il ricorrente, invece, presupponendo che la sua firma cessione dei crediti del 2° SAL sia stata disconosciutadovuta in esecuzione del contratto del 25/08/2021, assume che la richiesta non sia assoggettata ai requisiti introdotti dal decreto legge n. 157/2021 (visto di conformità e asseverazione delle spese). InoltreSecondo l’istante, nel caso la seconda domanda di cessione dei crediti non sarebbe soggetta alla nuova disciplina in esamequanto ricorrerebbero le condizioni individuate nelle FAQ dall’Agenzia delle Entrate, i raggiri sarebbero stati usati consistenti nell’avere, anteriormente alla data di entrata in vigore del provvedimento: i) ricevuto le fatture; ii) assolto ai pagamenti; iii) esercitato l’opzione della cessione con la stipula dell’accordo tra cedente e cessionario. L’intermediario oppone l’insussistenza del presupposto della stipula di un accordo tra cedente e cessionario, ribadendo che le obbligazioni derivanti dalla prima cessione sono state interamente adempiute. Tale rilievo appare fondato. Ne consegue che in difetto degli adempimenti previsti dal rappresentante decreto legge n. 157/2021 non sarà possibile dare seguito all’erogazione del credito, come rilevato da parte resistente. Conseguentemente, il ricorso non può essere accolto. Per completezza, si deve, altresì, osservare che il danno lamentato dal ricorrente consisterebbe nella perdita del credito fiscale, pari al 30% del netto ricavato dalla cessione della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle partidetrazione all’istituto di credito, in quanto il ricorrente stesso non avrebbe credito IRPEF sufficiente per poter portare le somme in detrazione nell’anno 2021 e per gli anni seguenti. La Al riguardo parte ricorrente, infattituttavia, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato produce in atti documentazione sufficiente a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])riprova del danno subito, ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)conclusione, il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoricorso deve essere respinto.

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DIRITTO. La Sul gravame presentato dal sig. ….. la Commissione, preliminarmente prende atto della dichiarazione del ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole aver avuto accesso parziale alla documentazione richiesta e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” ritenere cessata la materia del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versaticontendere con riferimento alla stessa. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito Procedendo alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse verifica della sussistenza di un contratto interesse del ricorrente all’accesso la Commissione osserva quanto segue. La citata sentenza n. …../13 ha dichiarato la nullità del testamento olografo esistente del sig. ….. con conseguente apertura della successione ab intestato e devoluzione dell’asse ereditario agli eredi legittimi, dichiarando altresì l’indegnità a succedere del sig. ….., anch’egli prozio dell’istante e morto in corso di affitto/noleggiocausa. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione Pertanto, in virtù del grado di parentela che lega il sig. ….. ai defunti della cui successione si tratta, egli rientra, in astratto, nella categoria dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]successibili ex lege e ciò vale ad individuare, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente capo al medesimo, un interesse qualificato ad accedere ai documenti richiesti. Il diritto all’accesso infatti si qualifica come “astratto” e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico “acausale” e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti prescinde da un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltresindacato, nel caso in esamemerito, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante sulla concreta spettanza del bene della società fornitrice [YY] vita cui l’accedente aspira: ciò che rileva è terza rispetto alle partila titolarità di un interesse diretto, concreto ed attuale nonché la strumentalità tra il diritto fatto valere e la documentazione oggetto di richiesta ostensiva. La ricorrenteNon spetta, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società a questa Commissione la verifica concreta dell’effettiva spettanza di leasing [ZZ] una quota di eredità al ricorrente ma tale diritto dovrà essere accertato e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato sancito nelle sedi a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentanteciò deputate. In tal caso, ai fini dell’annullamento Per tutto quanto sopra esposto la Commissione ritiene sussistente il diritto del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (artsig. 1439, 2° comma, c.cad accedere a tutta la documentazione richiesta.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoquestione sottoposta alla cognizione del Collegio riguarda, il quale le avrebbe prospettato relativamente ad un contratto di affitto o noleggio mutuo fondiario indicizzato al Franco svizzero, l’applicazione della clausola che regola la c.d. rivalutazione del capitale in caso di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le partiestinzione anticipata. In particolare, il ricorrente ritiene che la suddetta clausola sia invalida, in uno dei due documenti quanto formulata in modo del tutto opaco per il consumatore, e pertanto, previo accertamento della sua illegittimità, chiede la rideterminazione di quanto dovuto per addivenire all’estinzione anticipata. Per la verità, parte attrice chiede, in via principale, che sia dichiarata la nullità dell’intero contratto e, soltanto in via subordinata, che ne sia dichiarata la nullità parziale. In sede di motivazioni del ricorso, tuttavia, formula le proprie argomentazioni esclusivamente con riguardo alla menzionata clausola. Tanto premesso, si fa riferimento ad sottolinea che il Collegio di coordinamento di questo Arbitro, si è pronunciato già nel 2015 (tra le altre, Collegio di Coordinamento, decisione n. 5866/15), e, richiamando una decisione della Corte di Giustizia Europea in tema di clausole abusive inserite in un contratto di “affitto/noleggio”mutuo indicizzato al franco svizzero, ha ritenuto che prevede altresì la previsione contrattuale – sostanzialmente identica a quella riferita in sede di fatto e il passaggio cui contenuto testuale non è ovviamente oggetto di proprietà al cliente dopo 59 mesi contestazioni tra le parti – che stabilisce un siffatto meccanismo di utilizzo dei macchinari indicizzazione sia nulla, ed ha ordinato all’intermediario di calcolare il capitale residuo da restituire in sede di estinzione anticipata come differenza tra la somma mutuata e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolatal’ammontare complessivo delle quote già restituite senza praticare, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatequindi, la domanda non può che essere interpretata come richiesta duplice conversione di “annullamento” del contratto per vizio del consensocui alla suddetta pattuizione. Sul punto, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettivainfine, si segnala che in una recente ordinanza del Tribunale di Roma, depositata il 3 gennaio 2017, il Giudice, adito a seguito dell’inadempimento di una decisione dell’ABF da parte dell’intermediario, ha fatto proprio l’orientamento dei Collegi. Conseguentemente, questo Arbitro, accertata la nullità della clausola contenuta nell’art. 7 del contratto stipulato tra le Disposizioni sui sistemi parti del presente giudizio e tenuto conto del principio nominalistico di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011)cui all’art. 1277, Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 21° comma, c.c.). Tutto ciò premesso , stabilisce che l’intermediario dovrà effettuare il conteggio dell’anticipata estinzione del finanziamento di cui si tratta nei sensi che seguono: il capitale residuo che il ricorrente dovrà restituire sarà pari alla differenza tra la somma mutuata e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema quella già corrisposta previamente ricalcolata sostituendo il tasso di onere della prova (interesse ultralegale applicato dalla banca con il tasso di interesse ex art. 2697 c.c117 TUB, senza praticare la duplice conversione indicata dall’art. 7 di cui è stata dichiarata la nullità.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Il Collegio rileva, in via pregiudiziale, come sia da accogliere l’eccezione di irricevibilità del ricorso, sollevata da parte resistente, per evidente difformità tra quanto eccepito in sede di reclamo e il contenuto del ricorso all’Arbitro bancario Finanziario. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto necessaria, sostanziale, coincidenza del contenuto dei due momenti necessari alla procedura è chiaramente evidenziata: tanto (i) nella Delibera Cicr 275/2008, la quale statuisce che “Il ricorso è preceduto da un rappresentante reclamo all'intermediario, anche qualora quest'ultimo abbia promosso forme di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale composizione delle controversie basate su accordi con le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]associazioni dei consumatori” (cfr. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.4), quanto (ii) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come nelle nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni della Banca d’Italia sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia finanziari”, ove è dato leggere come (provvedimento del 12.12.2011), cfr. Sez. IVI, § 4, 2° comma, stabiliscono che ): All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi Il cliente rimasto insoddisfatto o il cui reclamo non abbia avuto esito nel termine di 30 giorni dalla sua ricezione da parte dell’intermediario può presentare ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario. Il ricorso ha ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente la stessa contestazione del reclamo ed è sottoscritto dal valore del rapporto al quale si riferisconocliente”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’ArbitroOrbene, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)puntualmente eccepito, il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente ricorso sottoposto all’Arbitro Bancario Finanziario presenta importanti profili di restituzione delle somme versate alla convenuta novità rispetto al reclamo al tempo notificato all’intermediario, odierno resistente (in adempimento via meramente esemplificativa quanto esaustiva: l’asserita conclusione del contratto di leasing finanziamento a distanza, attraverso documentazione trasmessa a mezzo posta elettronica dalla società A alla ricorrente; la lamentata mancanza di trasparenza in sede di trattative e conseguentemente assorbito l’esame successiva stipula del contratto di finanziamento del noleggio; la presunta configurazione di un’operazione di "sale and lease-back"), novità che ne modificano sostanzialmente la natura vuoi sotto il profilo dell’evidenziazione del “fatto” vuoi sotto quello della domanda sul risarcimento del danno“natura giuridica” dell’operazione poi sottoposta a censura e giudizio di questo Collegio.

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DIRITTO. La ricorrente allega Osserva il Collegio che, secondo recente insegnamento di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]Xxxx. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione7 maggio 2014 n. 18778, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le partic.d. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di affitto/noleggiousura soggettiva”, che prevede altresì il passaggio consentirebbe di proprietà reputare indebito anche l’interesse contenuto al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari sotto del tasso soglia, presuppone l’accertamento di tre elementi: a) carenza, anche solo momentanea, di liquidità, rispetto a una condizione patrimoniale di base nel complesso sana ovvero la circostanza che l'insieme delle attività patrimoniali del soggetto passivo sia caratterizzata da una complessiva carenza di risorse e l’obbligo per il cliente di contrarre beni; b) l’accertamento delle predette 'condizioni di difficoltà economica o finanziaria’ in senso oggettivo, ovvero valorizzando parametri desunti dal mercato, e non meramente soggettivo, ossia sulla base delle valutazioni personali della vittima, opinabili e di difficile accertamento ex post; c) la coscienza e volontà di concludere un apposito finanziamento contratto sinallagmatico con una banca localeinteressi, vantaggi o compensi usurari (dunque un dolo generico) e la consapevolezza della condizione di difficoltà economica o finanziaria del soggetto passivo e della sproporzione degli interessi, vantaggi o compensi pattuiti, come tali testimoni di uno specifico dolo del mutuante nell’approfittamento delle precarie condizioni del mutuatario. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatenostro caso, la domanda semplice indicazione di uno stato condizione di difficoltà economica o finanziaria non può implica un dolo specifico della banca nell’applicare un tasso asseritamente oneroso. Per vero, la grave fattispecie dell’usura soggettiva, per le profonde implicazioni sulla libera negoziabilità delle condizioni del credito e sulla certezza giuridica dei rapporti, non si presta quale rimedio di uno stato di bisogno (nell’attuale momento storico- finanziario peraltro ampiamente diffuso); essa postula una rigorosa dimostrazione tanto della oggettivamente apprezzabile situazione di palese disagio economico e finanziario della presunta vittima quanto dell’intendimento illecito dell’’intermediario erogante. Presupposti che essere interpretata come richiesta nel nostro caso non risultano provati. Il ricorso appare allo stato privo di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.cResta assorbita ogni altra domanda o eccezione., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega controversia ha ad oggetto la domanda di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticorisoluzione, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (ex art. 1439 c.c.) e125-quinquies TUB, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing finanziamento sottoscritto con l’intermediario e conseguentemente assorbito l’esame collegato al contratto di acquisto di un’autovettura del 2016. L’art. 125-quinquies TUB, introdotto dal D.Lgs. 141/2010 in recepimento della Direttiva 2008/48/CE, riconosce in capo al consumatore il diritto di domandare la risoluzione del contratto di prestito finalizzato, collegato ad altro contratto di fornitura di beni o servizi, al ricorrere delle seguenti condizioni: − che sia stata inutilmente effettuata la messa in mora del fornitore; − che l’inadempimento del fornitore possa qualificarsi come di non scarsa importanza ai sensi dell’art. 1455 c.c. In presenza di tali presupposti, il finanziatore ha l’obbligo di rimborsare al consumatore le rate già pagate, mentre la risoluzione del contratto non comporta l’obbligo del cliente di rimborsare al finanziatore quanto versato al fornitore, che dovrà essere ripetuto dall’intermediario nei confronti del fornitore stesso. Nel caso di specie, il preteso inadempimento del venditore all’obbligo di eseguire la trascrizione dell’atto di acquisto al Pubblico Registro Automobilistico (PRA) non è stato provato. Invero, tale obbligo non può avere fonte legale, dato che la legge lo accolla all’acquirente. Né una diversa regolamentazione pattizia emerge documentalmente, non potendosi attribuire valore di piena prova agli elementi emergenti dalla corrispondenza intrattenuta dall’acquirente con il titolare dell’agenzia di pratiche auto innanzi al quale il venditore ha stipulato con il compratore l’atto di vendita dell’autovettura. Ne consegue che la domanda sul risarcimento del dannodella parte ricorrente non può essere accolta.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo Il ricorso merita accoglimento per le seguenti considerazioni. Il ricorrente, nell'unico articolato motivo, deduce l'error in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari iudicando (per uso esteticola violazione degli articoli 1218, 1362 ss., 2697, 1559 cod. civ.; e 115 cod. proc. civ., 244, 345 cod. proc. civ.) ed il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinarivizio della motivazione, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole ritenuta illogica e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]contraddittoria su punto decisivo. La ricorrentetesi è che, pur avendo onorato ammessa l'operatività della clausola n. 10 delle condizioni generali del contratto tipo, predisposto dall' ENEL, come clausola di esonero, tra l'altro, da pretese risarcitorie per interruzioni della somministrazione dell'energia elettrica, determinate da una delle giuste cause specificamente indicate nella clausola stessa (forza maggiore, lavori di manutenzione, esigenze di servizio, cause accidentali, scioperi) incombeva all'Ente erogante dare la prova dell'esistenza di tali cause, e che comunque non poteva essere negato al danneggiato il diritto di provare (prova richiesta nella fase del merito) che le molteplici interruzioni non rientravano tra quelle determinate dalle cause di giustificazioni previste nella clausola di esonero. Le interruzioni non giustificate costituivano in vero atti di inadempimento da parte dell'ente somministratore, onde l'onere dell'ente di rispondere di tale inadempimento. La tesi poggia su argomentazioni giuridiche rilevanti, che non sono state considerate dai giudici del merito, onde sussiste il vizio della motivazione errata in diritto e contraddittoria. Ed invero, posto che il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora utenza ha la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione natura di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”somministrazione continuata di energia elettrica (cfr. Cass. 3 settembre 1993 n. 9312), l'Ente è tenuto, seconda buona fede, all'esecuzione del rapporto, e a fronte della mancata erogazione della prestazione contrattuale, ha l'onere di provare che prevede altresì il passaggio l'interruzione della erogazione è dipesa da una delle cause di proprietà al cliente dopo 59 mesi giustificazione previste nella clausola contrattuale di utilizzo dei macchinari e l’obbligo esonero, espressamente sottoscritta dall'utente (Cfr. Cass. 1991 n. 12346; 1994 n. 1500 per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localecasi analoghi). Nel secondo documento vi è regolatacaso di specie, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore i giudici del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanzamerito, non solo i raggiri capaci hanno arbitrariamente invertito l'onus probandi (trasferendolo dall'ente inadempiente a carico dell'utente) ma poi hanno precluso all'utente anche l'unica possibilità di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (artorale e tecnica) per poi, ancor meno spiegabilmente respingere la domanda in quanto appunto sfornita di provare per l'an debeatur. 2697 c.cAll'accoglimento del ricorso, segue cassazione con rinvio alla Corte d'Appello di Roma, che si atterrà ai principi di diritto come sopra indicati, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Il ricorso è fondato. Nel caso di specie si tratta di stabilire se la clausola dettata dall’art. 5 del contratto di fideiussione possa o meno considerarsi una condizione sospensiva meramente potestativa, il cui avveramento sia rimesso, cioè, alla mera volontà dell’obbligato sotto condizione. La ricorrente allega di essere stata vittima risposta in senso affermativo a tale interrogativo comporterebbe, infatti, la nullità della clausola che dovrebbe considerarsi come non apposta. Il carattere meramente potestativo è per vero escluso dall’intermediario – che è il soggetto che assume l’obbligo fideiussorio - sulla base della considerazione che l’avveramento dell’evento condizionante non dipenderebbe dal fatto proprio, bensì dal fatto di un raggiro messo in atto terzo, qual è, rispetto alla fideiussione, il debitore garantito. Tale rilievo, pur se formalmente esatto, non è però, a ben vedere, sufficiente per indirizzare la soluzione della controversia nel senso auspicato dal resistente. Gli è, infatti, che se è indubbio che l’avveramento della condizione di cui all’art. 5 non dipende formalmente solo da un rappresentante comportamento del fideiussore, ossia del soggetto che assume l’obbligo con il contratto costituivo della garanzia, vero è anche che la condotta da cui dipende l’efficacia di un’impresa quest’ultima è rimessa al mero arbitrio di colui che commercializza macchinari non solo (i) è l’obbligato al pagamento sulla base del contratto principale (nel caso l’appalto), che del rilascio della fideiussione rappresenta il presupposto, ma anche e soprattutto (ii) è il soggetto che – una volta che la garanzia dovesse essere escussa – sarebbe obbligato a rimborsare il garante. Insomma, quel che si intende sottolineare è che se è vero, in astratto, che una clausola ipotecaria come quella prevista nell’articolo 5 ha una funzione meritevole di tutela (perché la previsione della controgaranzia ipotecaria per uso esteticotutelare il credito di regresso serve a rafforzare la possibilità che il fideiussore, una volta adempiuto l’obbligo verso il beneficiario della garanzia, possa ottenere dall’obbligato principale quanto effettivamente pagato), vero è, tuttavia, che in concreto, per come è costruita, la clausola finisce per sterilizzare sine die l’efficacia della fideiussione. E ciò appunto perché mentre, da un lato, la costituzione della controgaranzia ipotecaria è rimessa al mero arbitrio dell’obbligato principale, dall’altro lato il fideiussore non ha comunque alcun interesse a stimolare il debitore principale a dare corso alle formalità necessarie a costituire l’ipoteca, in quanto comunque, fino a che le stesse non sono poste in essere, l’impegno fideiussorio è, a sua volta, sospeso. Le considerazioni che precedono inducono, dunque, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla Collegio a ritenere che si trattasse la condizione sospensiva di un contratto di affitto/noleggiocui all’art. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]5, per com’è stata in concreto articolata, debba considerarsi nulla, perché integrante, nella sostanza seppure non nella forma, una condizione meramente potestativa il cui avveramento è provato rimesso alla mera volontà dell’obbligato, con conseguente piena efficacia della fideiussione. D’altra parte, per scrupolo di completezza, preme aggiungere che al medesimo esito della piena efficacia della fideiussione si dovrebbe giungere, ad avviso del Collegio, anche nel caso in quale contesto essi siano stati consegnati cui non si ritenesse di poter condividere la proposta qualificazione della condizione dell’art. 5 come meramente potestativa. Gli è, infatti, che - di là dalla questione se l’avveramento della condizione nel caso di specie sia rimesso o meno, nella sostanza seppure non nella forma, alla cliente e con quale finalitàmera volontà del fideiussore - un punto è certamente fuori discussione: ossia che il fideiussore non si è comunque in alcun modo attivato affinché il debitore principale costituisse la controgaranzia ipotecaria, nulla avendo fatto l’intermediario affinché il terzo si adoperasse per far avverare l’evento condizionante. In sostanzaXxxx, non solo i raggiri capaci a ben vedere, il fideiussore aveva un interesse contrario all’avveramento di integrare il dolo contrattuale devono essere provati tale evento, dal momento che esso avrebbe determinato l’inefficacia della stessa obbligazione fideiussoria. Xxxxxx, se si tiene conto di ciò, ne discende che – se anche si volesse escludere la possibilità di sussumere la presente fattispecie nel paradigma disciplinato dall’art. 1355 c.c. – nel caso in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’artesame si dovrebbe per lo meno ritenere applicabile la norma dettata dall’art. 2729 1359 c.c., soprattutto se ai sensi della quale la condizione sospensiva si considera avverata qualora essa sia mancata per causa imputabile alla parte che aveva interesse contrario al suo avveramento. Il che sembra appunto essere quanto si è verificato nella presente, nulla avendo in concreto fatto l’intermediario per procurarsi la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo controgaranzia ipotecaria, ovvero nulla avendo fatto per far si che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante si avverasse l’evento da cui dipendeva l’efficacia della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cfideiussione.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Osserva il Collegio che, ai fini della decisione della controversia, si rende necessario esaminare le due questioni sollevate dal ricorrente circa lo squilibrio economico delle posizioni delle parti e la scarsa trasparenza nella rappresentazione della clausola limitativa dell’indicizzazione, con particolare riferimento alla mancata quantificazione della soglia nel foglio informativo. Infatti, la principale contestazione mossa dal ricorrente riguarda la clausola di indicizzazione dei finanziamenti, la quale realizzerebbe di fatto un’opzione di tipo floor senza che il cliente sia stato adeguatamente informato dei rischi che assumeva sottoscrivendola. Entrambe le censure non sono condividibili. Per quanto attiene lo squilibrio economico introdotto nel contratto dalla clausola censurata, il Collegio osserva che in virtù di detta clausola lo spread applicato è ridotto da 1,80 (quale emerge dal foglio informativo per il mutuo ipotecario “progetto casa mix”, prodotto sottoscritto dal ricorrente) a 1,10, sicché a fronte della limitazione floor il mutuatario si giova di una agevolazione e ciò consente di non ritenere vessatoria la clausola de qua (cfr. la decisione di questo Collegio n. 350/2012 e n. 4191/15). A ciò si aggiunga, sotto il profilo della trasparenza, che nel documento di sintesi vengono riportate le condizioni economiche del finanziamento ed in particolare è stabilito che il tasso di ammortamento globale è pari al minimo di 2,65%. Ancora in tema di trasparenza, dalla documentazione in atti si desume che dalla corrispondenza intervenuta tra il ricorrente e l’intermediario vi è stato un apposito accordo sugli spread, mentre nulla è riferito circa la previsione della clausola di indicizzazione. Quel che però a questo riguardo risulta assorbente è che nell’atto rogato innanzi al notaio, l’art. 6 espressamente e chiaramente dispone quanto segue: “2. Il tasso di interesse nominale annuo per il periodo di ammortamento è indicizzato al seguente parametro ‘media mensile Euribor tre mesi’, con conteggio giorni 360/360, dato pubblicato sul quotidiano ‘Il Sole 24Ore’ alla fine del mese antecedente il giorno di inizio di ciascuno dei successivi periodi di rata di ammortamento, maggiorata di 1,10 punti (…) 4. La ricorrente allega parte finanziata e [l’intermediario] Banca si danno reciprocamente atto che, per tutta la durata del contratto, il tasso di interesse indicizzato, determinato ai sensi dei precedenti commi uno e due, non potrà in ogni caso essere inferiore alla soglia minima del 2,65% nominale annuo; la parte finanziata approva espressamente tale clausola contrattuale”. La forza probatoria connessa all’atto pubblico assorbe il profilo precontrattuale (della cui inadempienza da parte dell’intermediario, peraltro, non risulta prova liquida), nel senso che il mutuatario, avendo “letto firmato e sottoscritto” l’atto pubblico, ha avuto modo di essere stata vittima edotto della clausola e, se avesse voluto, di contestarla. Per completezza, è utile richiamare una decisione di questo Collegio (n. 2735 del 5 maggio 2014) con la quale, pur in mancanza di un raggiro messo vantaggio per il mutuatario, la clausola de qua non è stata – e correttamente – definita come vessatoria. Nel caso là in atto da esame, attraverso la predetta clausola “l’intermediario risulta essersi assicurato una soglia minima del tasso di interessi, premurandosi, in questa maniera, contro un rappresentante eccessivo ribasso di un’impresa tale tasso, in ragione delle fluttuazioni di mercato”, sicché, “che commercializza macchinari la clausola ‘floor’ (…) abbia prodotto l’effetto di arrecare un vantaggio economico al mutuante, senza peraltro assicurare alcun corrispettivo vantaggio al mutuatario, non è dubitabile. Si tratta ora di valutare se questo ‘squilibrio’ sia ammesso dal nostro ordinamento giuridico o, come opina il ricorrente, abbia resa illegittima la previsione convenzionale. Va preliminarmente chiarito che la clausola in oggetto non può dirsi vessatoria [rectius: ‘onerosa’] ai sensi dell’art. 1341, comma 2 c.c., che - come è noto - contiene un elenco di previsioni svantaggiose per uso esteticol’aderente a condizioni generali di contratto, il quale moduli o formulari predisposti dall’imprenditore, le avrebbe prospettato un contratto quali per essere valide ed efficaci debbono essere specificamente approvate per iscritto. L’elenco contenuto nella disposizione appena richiamata, peraltro, per indirizzo giurisprudenziale consolidato, deve assumersi come tassativo (tra le varie pronunce: Cass. n. 9646/2006), senza alcuna possibilità di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]estensione analogica. La ricorrenteclausola di specie non vi rientra senz’altro. Ben più articolata appare la disciplina sulle clausole vessatorie ispirata dalla disciplina comunitaria, pur avendo onorato originariamente introdotta negli artt. 1469-bis e seguenti del codice civile e ora trasfusa negli artt. 33 ss. del codice del consumo (d.lgs. n. 206/2005). Il comma 1 dell’art. 33 cod. cons. chiarisce che vanno qualificate vessatorie le clausole che, nei contratti conclusi tra professionisti e consumatori, determinano, malgrado la buona fede, un ‘significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto’. Al di là del giudizio generale di vessatorietà appena richiamato, i commi seguenti del medesimo articolo e gli articoli successivi offrono chiari elementi normativi che impediscono di qualificare come vessatoria una clausola riguardante la variazione del tasso di interesse, salvo che non risulti formulata in modo chiaro e comprensibile. Il comma 6 dell’art. 33 chiarisce, infatti, che ‘le lettere n) e o) del comma 2 non si applicano alle clausole di indicizzazione dei prezzi, ove consentite dalla legge, a condizione che le modalità di variazione siano espressamente descritte’. Anche il contratto comma 5 dell’art. 33 statuisce che “le lettere h), m), n) e o) del comma 2 non si applicano ai contratti aventi ad oggetto valori mobiliari, strumenti finanziari ed altri prodotti o servizi il cui prezzo è collegato alle fluttuazioni di leasing un corso e di un indice di borsa o di un tasso di mercato finanziario non controllato dal professionista, nonché la compravendita di valuta estera, di assegni di viaggio o di vaglia postali internazionali emessi in questione per circa due annivaluta estera’. Pure il comma 2 dell’art. 34 cod. cons. chiarisce che la ‘valutazione del carattere vessatorio della clausola non attiene alla determinazione dell’oggetto del contratto, versando i canoni previstiné all’adeguatezza del corrispettivo dei beni e dei servizi, ne rileva ora la “nullità”purché tali elementi siano individuati in modo chiaro e comprensibile’. Alla luce delle previsioni appena richiamate, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepitopuò dirsi chiara, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzionedefinitiva, la ricorrente produce due moduli contrattualivolontà legislativa di non consentire che il giudizio di vessatorietà si estenda anche alle clausole, non firmati è il caso di specie, destinate a remunerare il servizio di finanziamento erogato dal mutuante. Clausole del genere possono essere condizione che risultino formulate in modo oscuro e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le partipoco comprensibile. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataÈ da escludere, invece, un’opzione una prospettiva di acquisto dei macchinari valutazione, quale suggerita dal ricorrente, che involverebbe un sindacato di ‘giustizia’, ove peraltro l’interprete stenterebbe a favore rinvenire indici sicuri di quello che andrebbe considerato come ‘giusto’ corrispettivo del potenziale acquirente allo scadere del periodo servizio. (…) In conclusione, come già rilevato da questo Arbitro in altre occasioni (cfr. decisioni ABF, Collegio di prova. ProduceMilano, inoltren. 688/2011; Collegio di Roma, il contratto n. 2688/2011; Collegio di leasing stipulato con la convenutaNapoli, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) en. 395/2012), benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”una clausola ‘floor’, dall’insieme delle allegazioni formulateove pure non adeguatamente compensata da una clausola ‘cap’, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]dirsi nulla o comunque inefficace, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanzav’è ragione di considerarla viziata da profili di illegittimità” (nello stesso senso, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi nei confronti di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti non consumatore, cfr. la decisione di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento questo Collegio n. 305 del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 21° comma, c.c.febbraio 2012). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.IL PRESIDENTE

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DIRITTO. La questione oggetto di controversia riguarda l’assunto mancato pagamento dei premi di una polizza assicurativa per il quale il ricorrente allega afferma di essere stata vittima avere rilasciato autorizzazione permanente all’addebito in conto corrente all’intermediario convenuto. Attribuendo al mancato ottemperamento degli obblighi contrattuali da parte dell’intermediario la conseguente sospensione della polizza e la mancata attivazione della copertura assicurativa per un sinistro successivamente subìto, il ricorrente chiede il riconoscimento di un raggiro messo importo pari al danno sofferto in atto da un rappresentante di un’impresa occasione del dichiarato sinistro. In proposito, si rileva che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato agli atti non risulta allegato né il contratto di leasing conto corrente, né l’accordo relativo al servizio di pagamento dei premi assicurativi né la polizza assicurativa con le CGA; sono invece stati prodotti gli e/c del conto corrente n. *969, dai quali si ricava che: la rata addebitata in questione conto per circa due annil’importo di € 16,06 era relativa alla polizza indicata genericamente come “Poste Assicura”; la rata risulta addebitata mensilmente il giorno 10, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione sino al mese di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti maggio 2020 compreso; per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY]rata del mese di giugno 2020, legittimato dalla società primo pagamento non eseguito, il conto non presentava sufficiente provvista alla data del 10/06; la copertura era invece presente per i mesi successivi di leasing [ZZ]luglio, agosto e settembre 2020, nei quali non sono stati tuttavia effettuati addebiti per l’importo di € 16,06, corrispondente al premio. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. ProduceSi evince, inoltre, che nel riscontro fornito in data 22.01.2021 dalla Compagnia assicurativa, questa individua la rata insoluta in quella del 9/6/2020 (per l’assenza di provvista, come sopra evidenziato) ed inoltre afferma di aver inviato un SMS di sollecito e una lettera che informava della sospensione della polizza, comunicazioni che il contratto ricorrente sostiene di leasing stipulato con non avere ricevuto. Si sottolinea, altresì, che non sono presenti agli atti evidenze relative alla denuncia di sinistro, che il cliente dichiara di aver effettuato telefonicamente (non viene indicata la convenutadata ma solo il n. di riferimento: “2020.09PCA.244637”), recante né alcuna prova in ordine al lamentato danno conseguente all’assunto sinistro. Stante l’assenza di qualunque evidenza documentale idonea a supportare l’affermazione circa la firma responsabilità dell’intermediario in ordine alla sospensione della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio polizza assicurativa ed al conseguente mancato rimborso del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) edanno derivante dal dichiarato sinistro, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatedanno peraltro a sua volta indimostrato, la domanda non può che deve essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.crespinta., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima controversia verte sulla ormai nota questione del mancato rimborso da parte dell’intermediario dell’importo della quota non maturata «dei costi dovuti per la vita residua del contratto» e già corrisposti in occasione della stipulazione di un raggiro messo contratto di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio/pensione o con delegazione di pagamento, a seguito dell’estinzione anticipata dello stesso ai sensi dell’art. 125-sexies tub. Preliminare è la questione della legittimazione passiva, atteso che nel caso di specie l’originario contratto, stipulato con un mandatario di un intermediario poi incorporato dall’odierno Intermediario B, è stato prima dell’estinzione anticipata ceduto mediante una operazione di cartolarizzazione ad una SPV, la quale ha delegato in atto da un rappresentante qualità di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoservicer l’odierno Intermediario A. Sul punto occorre rilevare che, in seguito alla riforma del Titolo V del Tub (disposta dal d. lgs. n. 141 del 2010), i soggetti cessionari di credito, vale a dire le SVP, non sono più qualificati come intermediari finanziari, pertanto l’eventuale richiesta di ripetizione delle commissioni ed oneri non goduti presentata a questo Arbitro dovrebbe essere dichiarata inammissibile qualora si ritenesse come unico legittimato passivo la SVP in qualità di cessionario. In tal senso si è recentemente pronunciato il Collegio di coordinamento di questo Arbitro, il quale ha affermato che “l’indebito (e la conseguente obbligazione restitutoria) sorge nel momento dell’estinzione del finanziamento, quando il mutuatario corrisponde l’intero importo previsto dal conteggio estintivo. In questo momento, infatti, il soggetto finanziato, in base al disposto dell’art. 125-sexies – secondo cui, in caso di rimborso anticipato, «il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all’importo degli interessi e dei costi dovuti per la vita residua del contratto» –, dovrebbe corrispondere non già le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinarisomme richieste dal finanziatore, liberamente risolvibile senza penalema l’importo calcolato al netto dei costi c.d. recurring. Pagando l’importo più elevato che ricomprende tali costi, ad un canone mensile di 000 xxxxin realtà non dovuti, xxdetermina l’insorgenza dell’indebito e la nascita, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostain quel momento, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]del credito restitutorio. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing Non possono pertanto sussistere dubbi in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta ordine alla circostanza che obbligato alla restituzione sia il soggetto che riceve tale pagamento, il quale sarà, come tale, l’unico legittimato passivo all’esercizio della pretesa restitutoria. Se dunque è la SPV a ricevere il pagamento, legittimata passiva all’azione è esclusivamente quest’ultima. E poiché essa è soggetto non sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, nei suoi confronti non può essere proposto ricorso innanzi all’ABF” (Abf – Coll. Coord. n. 6861 del 27 marzo 2018). Tuttavia, quest’ultima pronuncia ha altresì affermato che qualora il ricorso volto ad ottenere la ripetizione degli oneri non goduti venga proposto nei confronti del servicer, questo – pur rivestendo una posizione differente rispetto a quella dell’SPV – in qualità di soggetto coinvolto nel sistema ABF è tenuto ad effettuare i dovuti rimborsi. Ciò posto, si deve affermare l’inammissibilità del ricorso nei confronti dell’SPV, in quanto illegittimamente percepitosoggetto non sottoposto alla vigilanza della Banca d’Italia, oltre il rigetto nei confronti dell’intermediario B, in quanto soggetto che ha ceduto il credito prima dell’estinzione del finanziamento, mentre con riguardo all’intermediario A, stante la sua legittimazione passiva, il ricorso è meritevole di parziale accoglimento secondo i termini e per le ragioni di seguito precisati. Secondo il consolidato orientamento di questo Arbitro (cfr., ex multis, Abf – Coll. Roma n. 3978 del 15 maggio 2015; e Coll. Coord. n. 6167 del 22 settembre 2014), nel caso di estinzione anticipata del finanziamento, deve essere rimborsata la quota delle commissioni e di costi assicurativi non maturati nel tempo, ritenendo contrarie alla normativa di riferimento le condizioni contrattuali che stabiliscano la non ripetibilità tout court delle commissioni e dei costi applicati al risarcimento contratto nel caso di tutti i danni subiti estinzione anticipata dello stesso (cfr. Accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008; Comunicazione della Banca d’Italia 10 novembre 2009; e art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010; cui sono seguiti l’art. 125-sexies tub, introdotto dal d. lgs. n. 141/2010; e la Comunicazione della Banca d’Italia 7 aprile 2011). Ciò posto, il Collegio richiama il proprio costante e consolidato orientamento secondo il quale, in caso di estinzione anticipata del prestito contro cessione del quinto della retribuzione/pensione o con delegazione di pagamento: (a) sono rimborsabili, per la condotta illegittima posta parte non maturata, le commissioni bancarie (comunque denominate) così come le commissioni di intermediazione e le spese di incasso quote; (b) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da rimborsare; (c) l’importo da rimborsare viene stabilito secondo un rappresentante della società fornitrice [YY]criterio proporzionale ratione temporis, legittimato dalla società tale per cui l’importo complessivo di leasing [ZZ]ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; (d) l’intermediario è tenuto al rimborso a favore del cliente di tutte le suddette voci, incluso il premio assicurativo (v. Abf – Coll. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le partiCoord. n. 6167/2014 cit.). In particolare, per quanto riguarda il rimborso delle quote non godute del premio assicurativo, posta la legittimazione passiva dell’intermediario, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un ragione dell’accessorietà del contratto di “affitto/noleggio”assicurazione rispetto a quello di finanziamento (cfr. Abf – Coll. Coord. n. 6167/2014 cit.), deve affermarsi l’obbligo dell’intermediario resistente di provvedere al rimborso delle quote in parola. In applicazione dei menzionati criteri, la somma che prevede altresì l’intermediario A è obbligato a restituire dev’essere così determinata: rate pagate 50 rate residue 70 Importi Metodo pro quota Metodo contrattuale Rimborsi già effettuati Residuo Commissioni finanziarie 855,00 498,75 582,50 -83,75 Commissioni di intermediazione 2.565,00 1.496,25 1.496,25 Oneri assicurativi 598,16 348,93 348,93 Totale 1.761,43 In virtù del principio di corrispondenza tra il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari chiesto e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti pronunciato (art. 1439 c.c112 c.p.c.) e), benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatetuttavia, la domanda non può essere accolta nei soli limiti del petitum. La domanda di ripetizione di n. 2 quote erroneamente considerate come insolute deve invece essere rigettata, atteso che essere interpretata come richiesta il ricorrente, su cui grava per orientamento consolidato di questo Arbitro il relativo onere della prova, ha omesso di fornire prova del doppio pagamento. Non può invece accogliersi la domanda di condanna al pagamento di spese di assistenza professionale, considerato che: (i) le annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento finanziari” che regolano il presente procedimento non contemplano alcuna espressa previsione al riguardo, considerata la natura alternativa del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento procedimento instaurabile – e di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse norma instaurato – senza il ministero di un contratto difensore; (ii) le spese di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma assistenza professionale non hanno carattere di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]accessorietà rispetto alla domanda principale e, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanzaconseguentemente, non solo i raggiri capaci sono automaticamente rimborsabili nel caso di integrare il dolo contrattuale devono essere provati accoglimento della medesima (cfr. Abf – Coll. Coord. n. 4618 del 19 maggio 2016); (iii) al fine di un loro eventuale riconoscimento, occorre verificare la funzionalità dell’intervento del professionista coinvolto ai fini della decisione; (iv) infine, l’orientamento consolidato di quest’Arbitro in modo specifico subiecta materia e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, agevole conoscibilità non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi paiono rendere indispensabile l’assistenza di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato professionista per la mera richiesta di rimborso di oneri pagati e non goduti in relazione a collocare i contratti di leasing per contro della società cessione del quinto dello stipendio, o rimborsabili mediante delegazione di leasing [ZZ]pagamento (cfr. Abf – Coll. Roma. n. 11244 del 21 dicembre 2016), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega domanda di nullità non può essere stata vittima accolta, giacché riposa sul disconoscimento della sottoscrizione, profilo estraneo alle possibilità istruttorie dell’arbitro bancario. Da accogliere invece la domanda di risoluzione. Giova ricordare come ricorra qui la figura del c.d. “mutuo di scopo”, ossia un mutuo concesso esclusivamente per la finalità dedotta in contratto, ovvero l’acquisto di un raggiro messo determinato bene che viene fornito dal venditore convenzionato con il finanziatore. L’operazione negoziale trilaterale prevede che l’ammontare del finanziamento sia versato direttamente al fornitore, che si impegna a consegnare il bene oggetto della fornitura, mentre il mutuatario-acquirente si obbliga alla restituzione rateale della somma oggetto del finanziamento. È dato ormai pacifico, sia in atto da dottrina sia in giurisprudenza, che sussista un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato collegamento negoziale tra il contratto di leasing finanziamento e il contratto di vendita del bene al mutuatario, con la conseguenza che i due distinti contratti (mutuo e compravendita), pur mantenendo la loro autonomia causale, appaiono coordinati al fine di realizzare un risultato economico unitario. Ora, nel caso di specie, non può dubitarsi che ricorra il collegamento negoziale tra il contratto di fornitura di servizi ed il contratto di finanziamento, essendo pacifico che il secondo è stato proposto dal fornitore di servizi ed accettato dalla ricorrente in questione per circa due annioccasione della stipulazione del contratto di fornitura. Né può avere particolare rilievo che il rapporto tra il fornitore e il finanziatore fosse o meno “esclusivo”, versando i canoni previstiin quanto, ne rileva ora come già si è avuto modo di rilevare in altre occasioni, “il rapporto di esclusiva” tra fornitore e consumatore non può essere considerato un presupposto la cui mancanza determinerebbe una modifica in peius della posizione del consumatore, come la Sentenza della Corte di giustizia CE n. 509 del 2009 ha chiarito. Viene in precipuo rilievo l’art. 125-quinquies (inadempimento del fornitore) del TUB, introdotto dal Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 141 – Attuazione della direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nonché modifiche del titolo VI del testo unico bancario (decreto legislativo n. 385 del 1993) in merito alla disciplina dei soggetti operanti nel settore finanziario, degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi, pubblicato sulla G.U. n. 207 del 4.9.2010 ed in vigore dal 19.9.2010, a tenore del quale “nei contratti di credito collegati, in caso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in mora del fornitore, ha diritto alla risoluzione del contratto di credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all'articolo 1455 del codice civile. La risoluzione del contratto di credito comporta l'obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l'obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l'importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso […]”. Nel nostro caso di specie, l’inidoneità del bene appare discendere dalle dichiarazioni dello stesso xxxxxxxxx, che aveva reso la propria disponibilità alla sostituzione del bene. Deve qui valutarsi la “nullità”non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse” della parte non inadempiente cui fa espresso riferimento l’art. 1455 cod. civ. È noto che l’orientamento prevalente della giurisprudenza insegna che tale valutazione debba essere operata applicando contestualmente sia un parametro soggettivo sia un parametro oggettivo; infatti, chiedendo come ancora piuttosto recentemente è stato sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità: “in tema di risoluzione del contratto per inadempimento, lo scioglimento dell’accordo contrattuale, quando non opera di diritto, consegue ad una pronuncia costitutiva che presuppone da parte del giudicante la condanna dell’odierna convenuta valutazione della non scarsa importanza dell’inadempimento stesso, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte; tale valutazione viene operata alla restituzione stregua di quanto illegittimamente percepitoun duplice criterio: in primo luogo, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti il giudice, applicando un parametro oggettivo, deve verificare che l’inadempimento abbia inciso in misura apprezzabile nell’economia complessiva del rapporto (in astratto, per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientesua entità e, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolareconcreto, in relazione al pregiudizio effettivamente causato all’altro contraente), sì da creare uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì squilibrio sensibile del sinallagma contrattuale; nell’applicare il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolatacriterio soggettivo, invece, un’opzione il giudicante deve considerare il comportamento di acquisto dei macchinari a favore entrambe le parti (un atteggiamento incolpevole o una tempestiva riparazione ad opera dell’una, un reciproco inadempimento o una protratta tolleranza dell’altra) che può, in relazione alla particolarità del potenziale acquirente allo scadere del periodo caso, attenuare il giudizio di prova. Producegravità nonostante la rilevanza della prestazione mancata o ritardata” (così, inoltretestualmente, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.cXxxx., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti18-02-2008, senza che la sua firma sia stata disconosciutan. 3954). InoltreEbbene, nel caso di specie non può revocarsi in esamedubbio che l’inadempimento incida significativamente sul sinallagma. Ciò comporta che l’inadempimento del fornitore, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante integrando gli estremi della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle partinon scarsa importanza contemplati dall’art. La ricorrente1455 cod. civ., infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti determina in capo al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), ricorrente il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate diritto alla convenuta in adempimento risoluzione del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento credito ed il conseguente obbligo del dannofinanziatore alla restituzione delle rate già pagate, nonché di ogni altro onere eventualmente applicato.

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DIRITTO. Va trattato, in via prioritaria, il terzo motivo di ricorso, con il quale si deduce la nullità della sentenza per violazione dell'art. LA GIURISPRUDENZA: le sentenze per esteso 112 c.p.c., per essere viziata da ultrapetizione in quanto la domanda di risoluzione per mutuo consenso non sarebbe mai stata proposta in primo grado. La ricorrente allega società attrice aveva agito per la risoluzione del contratto per inadempimento ed il convenuto aveva resistito alla domanda senza proporre domanda riconvenzionale di risoluzione per mutuo consenso sicché la corte di merito avrebbe errato nel dichiarare d'ufficio la risoluzione per mutuo consenso sulla base del comportamento del convenuto e delle sue difese in giudizio. Il motivo è infondato. La risoluzione consensuale del contratto è un fatto oggettivamente estintivo dei diritti nascenti dal negozio bilaterale e può essere stata vittima desunto, salvo i limiti di forma dei negozio solutorio, dalla volontà manifestata dalle parti anche tacitamente. Laddove le parti abbiano allegato in giudizio di non avere interesse alla permanenza degli effetti del contratto, la risoluzione consensuale può essere oggetto di accertamento d'ufficio da parte del giudice anche in sede di legittimità, ove non vi sia necessità di effettuare indagini di fatto. In armonia con tale principio, la giurisprudenza consolidata di questa Corte ha ritenuto che la risoluzione consensuale del contratto non costituisce oggetto di eccezione in senso proprio ma una mera difesa (Cassazione civile sez. 20/06/2012, n. 10201; Cass. 24 maggio 2007 n. 12075 e Cass. 21 novembre 2006 n. 24802), ragione per la quale non è configurabile il vizio di ultrapetizione sol perché la parte abbia chiesto la risoluzione per inadempimento e sia emerso dal processo che volontariamente esse si fossero sciolte dal vincolo contrattuale. Con il primo motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1350 c.c. e 1351 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la corte di merito ritenuto che il contratto preliminare di permuta del 7.9.2005 fosse stato risolto per mutuo consenso, in assenza di un raggiro messo in atto da un rappresentante avente forma scritta ad substanbam, pur trattandosi di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticocontratto avente ad oggetto diritti reali immobiliari. Con il secondo motivo di ricorso, si deduce, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il quale difetto di motivazione della sentenza in quanto con la proposta di acquisto del terreno oggetto del contratto preliminare di vendita, la promittente acquirente non avrebbe manifesterebbe la volontà di risolvere il contratto precedente e non vi era stata accettazione della proposta da parte del T., con atto avente forma scritta. Poiché all'offerta di acquisto del terreno non era seguita l'accettazione scritta, il contratto solutorio non si sarebbe perfezionato e la proposta unilaterale non avrebbe potuto esplicare alcun effetto estintivo dell'accordo originario. I motivi, che per la loro connessione vanno trattati congiuntamente, sono infondati. Deve, in primo luogo, essere disattesa la questione, sollevata dal controricorrente in ordine alla qualificazione della scrittura privata dei 7.9.2005 come "lettera di intenti" o "preliminare di preliminare". La Corte di merito, cui è demandata la qualificazione del contratto, ha accertato che, con la scrittura privata del 7.9.2005, le avrebbe prospettato parti avessero concluso un contratto preliminare, obbligandosi a concludere il contratto definitivo. Il ricorso omette di affitto o noleggio censurare la violazione delle regole di macchinariinterpretazione del contratto, liberamente risolvibile senza penalelimita a sostenere, ad in modo apodittico, che la scrittura privata del 7.9.2005 integrasse un canone mensile preliminare di 000 xxxxpreliminare da cui scaturiva l'obbligo di contrattare in vista della compravendita e che, xxa fortiori, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostaanche il negozio solutorio potesse avvenire per facta concludentia. Considerato quindi che la scrittura privata del 7.9.2005 vada qualificata come contratto preliminare, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere la quaestio iuris posta all'attenzione del collegio riguarda la forma del contratto solutorio. Per costante giurisprudenza di questa Corte, la risoluzione consensuale di un contratto preliminare riguardante il trasferimento, la costituzione o l'estinzione di leasing diritti reali immobiliari è soggetta al requisito della forma scritta ad substantiam non solo quando il contratto da risolvere sia definitivo e, quindi rientri nella espressa previsione dell'art. 1350 c.c., ma anche quando si tratti di contratto preliminare; la ragione dell'assoggettamento del preliminare alla forma di cui all'art. 1351 c.c. va ravvisata nell'incidenza che il preliminare spiega su diritti reali immobiliari, sia pure in via mediata in quanto con la società esso le parti assumono l'obbligo di leasing [ZZ]concludere il definitivo (Cassazione civile sez. La ricorrenteII, 22/02/2018, n. 4313; Cassazione civile sez. II, 14/04/2011, n. 8504; Cass. 15 maggio 1998 n. 4906). Il contratto preliminare, infatti, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anniefficacia obbligatoria, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta vincola le parti alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio conclusione del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione definitivo ed ha efficacia mediata in relazione al trasferimento di diritti reali immobiliari. La risoluzione del contratto preliminare necessita quindi del rispetto dei contratti (artrequisiti della forma scritta di cui all'art. 1439 1359 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”espressamente richiesta dailiart,1351 c.c., dall’insieme perché impedisce il verificarsi degli effetti immobiliari derivanti dall'adempimento delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del obbligazioni derivanti dal contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia preliminare (provvedimento del 12.12.2011)Cass., Sez. I2, § 4n. 13290 del 26 giugno 2015). Se, 2° commainfatti, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di dirittiin via generale, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità la risoluzione per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse mutuo consenso di un contratto può risultare anche da un comportamento tacito concludente, qualora si tratti di affitto/noleggiocontratti per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam, analoga forme deve essere prevista per il negozio solutorio. Né rappresenta una prova Nel caso di specie, la risoluzione del contratto preliminare di permuta doveva risultare con atto scritto idoneo a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali rendere manifesto che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un le partì avevano sostituito all'originario contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di permuta un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cdiverso contratto solutorio.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. In xxx xxxxxxxxxxx, xx osserva come il thema decidendum riservato alla cognizione del Collegio sia necessariamente limitato soltanto alla domanda relativa al pagamento della somma di € 20.220,65, oltre interessi legali, pari alle spese vive sostenute per procedere direttamente alla riscossione dei crediti che avevano formato oggetto di cessione al factor e da questi retroceduti, risultando invece irricevibili tutte le ulteriori domande di pagamento di somme pure formulate nel ricorso. Le questioni sottese a tali domande non hanno, infatti, formato oggetto del reclamo all’intermediario, sicché rispetto ad esse non è soddisfatta la condizione, di cui al combinato disposto dell’art. 4, comma primo, della delibera CICR 275/2008 e delle disposizioni attuative della Banca d’Italia, che impongono la necessaria coincidenza tra l’oggetto del ricorso e quello del previo reclamo, quest’ultimo costituendo una condizione necessaria per adire l’Arbitro Bancario Finanziario. Così, sempre in via preliminare, deve osservarsi come estranea al perimetro della cognizione del Collegio - e pertanto egualmente irricevibile - risulti altresì la domanda di risarcimento danni e di restituzione delle somme oggetto dell’anticipazione, articolate soltanto nelle repliche alle controdeduzioni. Alla possibilità del loro esame ostano, infatti, sia le considerazioni poc’anzi svolte inerenti alla mancata prospettazione delle due questioni nella fase di reclamo, sia, più radicalmente, tanto la circostanza della loro tardività anche nel contesto del procedimento innanzi all’ABF - non potendo evidentemente darsi ingresso a richieste in una fase in cui è oramai preclusa all’intermediario la possibilità di contraddire – quanto, rispetto alla richiesta di risarcimento, il superamento dei limiti di valore stabiliti dall’art. 2, comma quarto, della delibera CICR 275/2008. Venendo all’esame dell’unica domanda per cui è soddisfatto il richiesto presupposto di ricevibilità, il Collegio ritiene che la stessa non sia fondata e pertanto non meritevole di accoglimento. Dalla documentazione acquisita in atti risulta invero con chiarezza come, all’indomani della scadenza delle due fatture che vengono in questa sede in rilievo, il factor si sia attivato per riscuotere il credito, sollecitandolo più volte stragiudizialmente il debitore ceduto a provvedere al pagamento (si veda lo scambio di corrispondenza intervenuto tra l’intermediario e il debitore). Quanto sopra è, allora, già eloquente della infondatezza della contestazione avversaria circa il difetto di diligenza dell’intermediario. Del resto la doglianza avversaria sottende una ricostruzione della disciplina dell’operazione di factoring pro solvendo - a mente della quale il factor per poter far valere la garanzia nei confronti del cedente (garanzia che, poi si noti, prima ancora che la solvenza del debitore ceduto investe l’esistenza del credito: il che era appunto ciò che veniva nella specie contestato dal debitore, nel momento in cui eccepiva, inter alia, anche la falsità della propria firma sulle lettere a suo tempo inviate al factor) sarebbe prima obbligato ad agire nei confronti del debitore ceduto - che non trova riscontro in alcun dato normativo, e che finirebbe per equivalere ad un riconoscimento a favore del cedente, in operazioni siffatte, di una prerogativa molto simile al beneficium excussionis. Un tipo di beneficio che il nostro ordinamento - salve alcune ipotesi tassativamente definite, che ovviamente non sono quelle di cui alla presente fattispecie - non accorda in via di principio, ma solo in presenza di espressa pattuizione. E tuttavia, anche volendo prescindere da quanto precede, non si può fare a meno di osservare che ad escludere la possibilità di muovere addebiti di scarsa correttezza e diligenza all’operato dell’intermediario concorra anche la considerazione che nella presente vicenda nemmeno si può ragionare di una vera e propria attivazione, da parte del factor, della garanzia pure spettantegli. La ricorrente allega di essere stata vittima retrocessione dei crediti è stata, infatti, non già oggetto dell’esercizio di un raggiro messo in atto da un rappresentante potere unilaterale dell’intermediario, quanto piuttosto - come riconosce lo stesso ricorrente – l’effetto di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti un’operazione concordata tra le parti. In particolare, in uno Il che toglie allora definitivamente pregio alla pretesa della Società di potere ottenere un rimborso dei due documenti si fa riferimento ad un contratto maggiori costi da cui essa è stata gravata per non aver potuto beneficiare del servizio di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio factoring; appunto perché tale mancato beneficio è conseguenza (anche) di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.cpropria libera scelta.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega controversia ha per oggetto la legittimità del charge-back riconosciuto dall’intermediario resistente a favore del titolare di essere stata vittima una carta di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari credito per uso esteticouna prenotazione alberghiera, il quale non aveva più usufruito della prenotazione effettuata, senza però provvedere a cancellarla (cd “no show”). Il titolare della carta aveva aperto la procedura di charge back nei confronti della società ricorrente per ottenere lo storno dell’importo addebitato al momento della prenotazione. Parte ricorrente contesta tale storno, richiamando la propria cancellation policy, ma l’intermediario resistente oppone che il comportamento dell’esercente e la sua cancellationpolicy sono in contrasto con il “Regolamento Servizi distintivi alberghi” (allegato in copiafirmata dalla società ricorrente) che integra le avrebbe prospettato un condizioni generali del contratto di affitto convenzionamento In effetti, il Collegio riscontra la validità delle osservazioni di parte resistente, dal momento che detto Regolamento prescrive una serie di formalità che parte attrice deve eseguire per poter fruire della procedura di “no show”; in particolare, richiede che l’esercente invii una comunicazione scritta al cliente contenente, oltre alla descrizione del soggiorno, dei dati per l’identificazione di quest’ultimo, il corrispettivo del soggiorno e l’eventuale anticipo richiesto, le modalità per la cancellazione e la responsabilità in caso di mancata presentazione; il tutto completato con l’assegnazione di un codice di prenotazione e conferma scritta dell’esercente. Solo se ha rispettato queste prescrizioni, l’esercente - in caso di mancato arrivo del cliente - potrà addebitare l’importo corrispondente a un pernottamento. A queste ragioni che militano a favore dell’intermediario si uniformano le decisioni n. 3299/2012 e n. 5103/2013, con le quali il Collegio di coordinamento ha stabilito il principio per cui la clausola di chargeback è nulla ai sensi dell’art. 1229 c.c. ogniqualvolta una sua estrema genericità “conduca all’esclusione di responsabilità dell’emittente”, anche ove lo stesso dovrebbe rispondere a titolo di dolo o noleggio colpa grave, ma mantiene la propria validità allorché la circostanza che ha reso necessario il chargeback scaturisca dall’inadempimento dell’esercente ai doveri di macchinaridiligenza e prudenza che gli competono. In questo senso del resto si è anche espressa Cass. civ., liberamente risolvibile senza penalesentenza n. 16102/2006, ad un canone mensile secondo cui, “nell’eseguire i doveri di 000 xxxxverifica prescritti dalla convenzione di associazione, xxl’esercente deve usare la diligenza del buon padre di famiglia e sopporta le conseguenze della loro violazione anche se questa sia imputabile a colpa lieve. Trova infatti applicazione la norma dell’art. 1176, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostacomma 1, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing c.c., mentre non si applica né l’art. 1189, comma 1, né l’art. 1992, comma 2, c.c.”. Infine, merita menzione la già segnalata decisione n. 2199/2012, con la società quale il Collegio di leasing [ZZ]. La ricorrentecoordinamento ha affermato che di norma il riaddebito del chargeback “è reso possibile da talune disposizioni contenute nei contratti di convenzionamento i quali, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione norma contemplano un triplice ordine di presidi: per circa due anniun verso, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti l’esercente è tenuto ad osservare talune regole operative e ad assolvere talune formalità volte ad accertare l’identità dell’utilizzatore della carta; per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientealtro verso, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolarecaso di disconoscimento dell’operazione, in uno dei due documenti si fa riferimento ad l’esercente, su richiesta dell’emittente, deve prestare un contratto servizio di “affitto/noleggio”cooperazione informativa, principalmente consistente nel mettere a disposizione dell’emittente la documentazione di vendita (scontrini, fatture, copie della ricevuta sottoscritta da colui che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari abbia utilizzato la carta e l’obbligo così via); per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataaltro verso, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltreinfine, il contratto di leasing stipulato con la convenutaconvenzionamento include una clausola di chiusura, recante la firma della stessa ricorrente tesa ad addossare, in tutte le sue partiogni caso e senza condizione alcuna, all’esercente il rischio relativo al disconoscimento all’utilizzatore”. L’asserito vizio Il mancato rispetto di siffatte condizioni produce l’illiceità del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) echargeback, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda che non può quindi essere lamentato dall’esercente che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima dette condizioni non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.cadempiuto., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega 1. Il Collegio, esaminando l’eccezione dell’intermediario, richiama i principi di essere stata vittima diritto affermati dalla costante giurisprudenza della Corte di Cassazione secondo cui la quietanza ha una volontà dismissiva del diritto allorché risulti dal documento o dal concorso di altre specifiche circostanze desumibili aliunde la consapevolezza dell’interessato della titolarità di determinati diritti e l’intento cosciente di abdicarvi o transigere (cfr. Cass. 8 settembre 2017, n. 20976, Cass. 15 settembre 2015, n. 18094). Nella fattispecie in esame, la dichiarazione sottoscritta dal cliente contiene un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticorichiamo generico e indeterminato alla rinuncia a qualsiasi diritto nascente dal contratto e dalla sua anticipata estinzione, e non il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta riferimento specifico alla rinuncia alla restituzione delle commissioni di quanto illegittimamente percepitocompetenza della banca in ragione dell’anticipata estinzione. Si legge, oltre infatti, “Resta inteso che con il pagamento della somma sopra indicata, si intende rinunciato ogni eventuale diritto e/o pretesa nascente dal contratto in epigrafe e dalla sua anticipata estinzione – anche in questa sede non espressamente menzionato – nei confronti della nostra Società”. Né nella dichiarazione sottoscritta dal cliente vi è il riferimento alla rinuncia al risarcimento ricorso all’ABF. Anzi sul punto si osserva che, nel caso di tutti i danni subiti specie, in calce alla lettera di accompagnamento della quietanza, predisposta dall’intermediario, è scritto in basso e a caratteri più piccoli rispetto al carattere usato nella lettera, che l’intermediario “aderisce all’Istituto dell’Arbitro Bancario Finanziario (ABF) al quale la clientela, qualora non soddisfatta potrà rivolgersi per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011...), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranoPertanto, pertanto, orientamenti tale indicazione può indurre in errore il cliente che riceve tale lettera. Per quest’ultimo può non univoci essere chiaro se possa rivolgersi all’ABF anche nel caso in merito alla possibilità per l’Arbitro cui non si senta soddisfatto dopo la compilazione e la sottoscrizione del modulo predisposto e inviato dall’intermediario ovvero soltanto nel caso in cui scelga di emanare pronunce con effetto costitutivonon compilare e sottoscrivere il modulo allegato. Ciò Ne consegue che il Collegio non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltreaccoglie, nel caso di specie, l’eccezione dell’intermediario. Del pari, non può essere accolta l’eccezione dell’intermediario sull’estinzione del finanziamento mediante intervento della compagnia assicurativa in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante ragione della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La perdita di impiego del ricorrente, infattiin quanto, non lo qualifica come rappresentante della società nel caso di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato specie, l’assicurazione era a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentantecarico del ricorrente. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), Sul punto il Collegio ritiene richiama la decisione del Collegio di Coordinamento n. 13305 del 2018, secondo cui «nel caso di assicurazione vita/danni, con oneri assicurativi sopportati dal cliente finanziato, l’estinzione diretta da parte della compagnia di assicurazione non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente preclude al cliente (e dunque consente comunque e in ogni caso) l’azione di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoripetizione relativa agli oneri non maturati per effetto dell’anticipata estinzione».

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DIRITTO. La ricorrente allega Secondo consolidato orientamento, nel caso di essere stata vittima estinzione anticipata, va restituita la quota delle commissioni e del premio assicurativo non maturata nel tempo. Debbono, infatti, reputarsi contrarie a norma imperativa le condizioni contrattuali che stabiliscono la non ripetibilità tout court dei costi applicati al contratto nel caso di un raggiro messo in atto da un rappresentante estinzione anticipata (cfr., ex multis, Collegio di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoMilano, il quale le avrebbe prospettato un contratto n. 2055/12; Collegio di affitto o noleggio Roma, n. 1121/12; Collegio di macchinariNapoli, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]n. 1858/12). La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]L’art. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4125, 2° comma, stabiliscono D. Lgs. 1° settembre 1993, n. 385, (Disposizioni varie a tutela dei consumatori), prevedeva che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento facoltà di dirittiadempiere in via anticipata o di recedere dal contratto senza penalità spettano unicamente al consumatore senza possibilità di patto contrario. Se il consumatore esercita la facoltà di adempimento anticipato, obblighi e facoltàha diritto a un'equa riduzione del costo complessivo del credito, indipendentemente secondo le modalità stabilite dal valore del rapporto al quale si riferisconoCICR”. Si registranoSu questa linea, pertantol’art. 125-sexies TUB, orientamenti non univoci introdotto dal D.lgs. n. 141/2010, dispone che “il consumatore può rimborsare anticipatamente in merito alla possibilità qualsiasi momento, in tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In tale caso, il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, pari all'importo degli interessi e dei costi dovuti per l’Arbitro di emanare pronunce la vita residua del contratto”. Nello stesso senso, con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrenteComunicazione del Governatore della Banca d’Italia del 10 novembre 2009, si osserva dispone che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse caso di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltreestinzione anticipata del mutuo “l’intermediario dovrà restituire, nel caso in esamecui tutti gli oneri relativi al contratto siano stati pagati anticipatamente dal consumatore, i raggiri sarebbero la relativa quota non maturata”. Tale disciplina attua l’art. 8 della direttiva 87/102/CEE, ai sensi del quale "il consumatore deve avere la facoltà di adempiere in via anticipata agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito" e "in conformità delle disposizioni degli stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle partimembri, egli deve avere diritto a una equa riduzione del costo complessivo del credito". La ricorrenteratio di tale norma a tutela del consumatore è stata ribadita dalla Direttiva 2008/48/CE del 23.4.2008, infattirecentemente recepita dal D.Lgs. n. 141/2010, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare per i contratti di leasing credito al consumo, che sostituisce la norma comunitaria dell’87. Quanto alla restituzione dei premi assicurativi, viene in rilievo l’accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008 (‘Linee guida per contro della società le polizze assicurative connesse a mutui e altri contratti di leasing [ZZ]finanziamento’), ma non in base al quale: “nel caso in cui il contratto di un suo rappresentante. In tal casomutuo o di finanziamento venga estinto anticipatamente rispetto all’iniziale durata contrattuale, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali ed esso sia assistito da una copertura assicurativa collocata dal soggetto mutuante ed il cui premio sia stato pagato anticipatamente in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)soluzione unica ..., il Collegio ritiene non provati soggetto mutuante restituisce al cliente – sia nel caso in cui il pagamento del premio sia stato anticipato dal mutuante sia nel caso in cui sia stato effettuato direttamente dal cliente nei confronti dell’assicuratore – la parte di premio pagato relativo al periodo residuo per il quale il rischio è cessato”. Su questa linea, l’art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010 prevede che; “nei contratti di assicurazione connessi a mutui e ad altri finanziamenti per i fatti posti a fondamento quali sia stato corrisposto un premio unico il cui onere è sostenuto dal debitore/assicurato le imprese, nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, restituiscono al debitore/assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria. Essa è calcolata per il premio puro in funzione degli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della domanda copertura nonché del capitale assicurato residuo; per i caricamenti in proporzione agli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della ricorrente copertura. Le condizioni di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento assicurazione indicano i criteri e le modalità per la definizione del rimborso. Le imprese possono trattenere dall’importo dovuto le spese amministrative effettivamente sostenute per l’emissione del contratto e per il rimborso del premio, a condizione che le stesse siano indicate nella proposta, nella polizza ovvero nel modulo di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoadesione alla copertura assicurativa”.

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DIRITTO. Ricorrendo all’Arbitro Bancario Finanziario, il consumatore chiede disporsi “l’indennizzo assicurativo in misura pari all’ammontare delle rate del finanziamento a far data dall’evento (perdita impiego) fino all’estinzione del finanziamento stesso, oltre interessi legali alla data del reclamo al saldo” sulla base del contratto assicurativo stipulato, collegato funzionalmente e negozialmente al finanziamento concesso dalla resistente. Questa ha, infatti, aderito alla posizione della compagnia, che ha rifiutato di procedere all’indennizzo sostenendo che il rischio di perdita di lavoro non fosse coperto per essere l’assicurato socio di una cooperativa e quindi parificato ad un lavoratore autonomo. E’ di immediata evidenza la pretestuosità di tale posizione alla luce di quanto disposto dalla legge 3 aprile 2001, n. 142 di Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore. Il terzo comma del relativo articolo 1 chiarisce, infatti, che “il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all’instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma. …… Dall’instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione di socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte”. E’ evidente, quindi, che il rapporto del socio lavoratore con la cooperativa può configurarsi come dipendente o autonomo, e soltanto in quest’ultimo caso potranno applicarsi le disposizioni di legge in materia di lavoro autonomo, dovendo nelle altre ipotesi trovare applicazione quelle in materia di lavoro dipendente. Dalla lettera di licenziamento agli atti, si ha ragione di ritenere che il rapporto di lavoro tra il ricorrente e la cooperativa fosse dipendente e non autonomo. Ciò posto deve valutarsi se il Collegio possa conoscere della domanda in esame. La risposta deve essere sicuramente negativa. E’ evidente, infatti, che il ricorrente allega invoca l’esecuzione di essere stata vittima una clausola di un raggiro messo in atto da rapporto assicurativo senza un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing diretto collegamento con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing finanziamento (ma solo indiretto, atteso che il reclamato indennizzo avrebbe dovuto coprire le rate cui il mutuatario non era più in questione per circa due annigrado di far fronte a causa della perdita di lavoro). Non sono, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltreinfatti, il contratto di leasing stipulato con la convenutabancario o vicende ad esso relative a costituire l’oggetto principale della domanda Al riguardo, recante la firma il paragrafo 4 della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme Sezione I delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari finanziari, emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011)d’Italia, Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che statuisce che: All’ABF All’Arbitro Bancario Finanziario possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di dirittirelative a operazioni e servizi bancari e finanziari. ……… Già in precedenza, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche relazione a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone fattispecie molto simile a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso quella in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] si è avuto modo di chiarire che “se è terza rispetto alle parti. La ricorrentepossibile confermare che la competenza dell’ABF si estende anche ai rapporti accessori e strumentali all’operazione finanziaria di sua specifica competenza (v. per tutte Collegio di Roma, infattidecisione n. 2369 del 28 ottobre 2011) per quanto attiene ad eventuali irregolarità o violazioni relative alla fase genetica del rapporto accessorio, non lo qualifica come rappresentante della società esula, tuttavia, dalla competenza di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi questo Collegio ogni questione relativa, invece, alla corretta esecuzione di un suo mero procacciatore d’affari contratti assicurativi (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]Collegio Roma, decisione n. 1969/2012), ma non in linea con quanto previsto dalle “Disposizioni sui temi di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari” (art. 1439, 2° comma, c.c.4). Tutto ciò premesso Posto che le questioni sollevate dal ricorrente attengono unicamente alla corretta interpretazione ed esecuzione della polizza assicurativa dal parte della compagnia di assicurazioni e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema tale contratto, pur connesso a quello di onere della prova mutuo concluso con l’intermediario resistente, è stato regolarmente e validamente sottoscritto dal ricorrente, deve confermarsi l’incompetenza di questo Collegio a decidere sul ricorso presentato dal ricorrente” (artDecisione n. 1223 del 2013). 2697 c.c.)L’Arbitro Bancario Finanziario non è, il Collegio ritiene non provati i fatti posti quindi, competente a fondamento decidere della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoil ricorso deve dichiararsi improcedibile.

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DIRITTO. La domanda proposta dal ricorrente allega è relativa all’accertamento del diritto alla restituzione di essere quota parte delle voci commissionali relative al finanziamento anticipatamente estinto rispetto al termine pattuito, in applicazione del principio di equa riduzione del costo dello stesso di cui all’art. 125 sexies T.U.B. Occorre ricordare che la norma appena citata dà attuazione, nell’ordinamento italiano, all’art. 16 della direttiva n. 2008/48/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori (che ha abrogato la direttiva 87/102/CEE del Consiglio). L’interpretazione di questa disposizione è stata vittima recentemente offerta dalla Corte di Giustizia UE, con la sentenza dell’11 settembre 2019 n. C-383/18 (c.d. sentenza Lexitor), con la quale la CGUE ha affermato che: “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”, per tali intendendosi – alla luce della definizione recata dall’art. 3, lett. g), della stessa direttiva – “tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il creditore è a conoscenza, escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un raggiro messo contratto avente ad oggetto un servizio è obbligatoria per ottenere il credito oppure per ottenerlo alle condizioni contrattuali offerte”. È utile far rilevare che tale principio di diritto – sancito dalla Corte europea previa applicazione di canoni di interpretazione testuali e sistematici, nonché tenuto conto dell’esigenza di scongiurare pratiche elusive del diritto di rimborso anticipato riconosciuto al consumatore – è risultato incompatibile con l’orientamento assunto precedentemente da questo Arbitro, che aveva applicato la norma di equa riduzione del costo del finanziamento quale obbligo di restituzione secondo il criterio proporzionale del pro rata temporis della sola quota delle commissioni e dei costi soggetti a maturazione nel tempo (costi recurring), al fine di evitare, a causa dell’estinzione anticipata del prestito, un’ingiustificata attribuzione patrimoniale in atto favore del finanziatore, con esclusione delle voci di costo relative alle attività preliminari alla concessione del prestito (costi up front). Alla luce della suddetta pronuncia della Corte europea, il Collegio di Coordinamento, investito della questione relativa agli effetti della stessa derivanti, ha statuito che “(…) l’art.125 sexies T.U.B. deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front” (decisione n. 26525/2019). D’altro canto, non sembra condivisibile l’interpretazione data con la sentenza n. 10489/2019 dal Tribunale di Napoli, che, proprio con riguardo alla questione qui in esame, è stato incline a negare efficacia diretta alla sentenza pregiudiziale e, di riflesso, a reputarla irrilevante per il diritto interno, poiché interpretativa della sola norma della direttiva, non anche di quella nazionale, ossia dell’art. 125 - sexies T.U.B. Non può trascurarsi, infatti, la natura dichiarativa che suole attribuirsi alle sentenze emesse in sede di rinvio pregiudiziale, con conseguente applicabilità anche ai rapporti giuridici sorti e costituiti prima della sentenza, come appunto quello oggetto di decisione. Tra l’altro, sempre il Tribunale di Napoli, con la recente sentenza n. 1340/2020, è tornato ad occuparsi di questi temi, giungendo alla conclusione, quanto alla efficacia della sentenza n. C-383/18 della Corte di Giustizia UE, “(…) che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in base al rimborso anticipato del finanziamento include tutti i costi posti a carico del consumatore, senza distinguere tra costi up front e recurring.” Muovendo dalla duplice premessa che le sentenze interpretative della CGUE, per opinione unanime (v., ex multis, Cass. n. 2468/2016; Cass.,n. 5381/2017), hanno natura dichiarativa e di conseguenza hanno valore vincolante e retroattivo per il Giudice nazionale e che si dà prevalenza al diritto europeo rispetto a quello nazionale secondo quanto previsto dall’art. 11 della Costituzione, questo Collegio condivide l’interpretazione data CGUE con la sentenza Lexitor, poi recepita dal Collegio di Coordinamento con la decisione n. 26525 del 17 dicembre 2019, in base alla quale il diritto alla riduzione del costo del credito in caso di anticipata estinzione del finanziamento coinvolge non solo i costi recurring, ma anche quelli up front. Ciò, con la precisazione che - come statuito dallo stesso Collegio di Xxxxxxxxxxxxx nella decisione citata - il criterio per la riduzione dei costi up front, in mancanza di una diversa previsione pattizia comunque fondata su di un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità ex art. 1374 c.c., mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi permane il criterio del pro rata temporis. Premesso quanto sopra, va rilevato che lo schema contrattuale riporta distintamente due componenti di costo, entrambe dovute a titolo di corrispettivo alla società mandataria e, precisamente, la commissione per il perfezionamento del contratto relativa ad attività istruttorie e preparatorie [lett. a) del contratto] e la commissione di gestione relativa a prestazioni ricorrenti nel corso dell’intera durata del rapporto di cui alla lett. b dello stesso. Secondo la regola contrattuale, è dovuta la retrocessione pro quota solo della seconda componente in caso di estinzione anticipata, in quanto la commissione per il perfezionamento ha natura up front, come confermato dai consolidati orientamenti dei Collegi. Anche le provvigioni dell’intermediario devono ritenersi una voce di costo up front, posto che si riferiscono ad attività inerenti alla fase di instaurazione del rapporto contrattuale, come si evince dalle definizioni contrattuali. In considerazione della natura up front delle suddette voci di costo, e che il contratto di finanziamento in esame non prevede uno specifico criterio di rimborso delle stesse, questo Collegio deve necessariamente procedere ad una integrazione secondo equità del contratto ex art. 1374 c.c. “per determinare l’effetto imposto dalla rilettura dell’art. 125 sexies TUB, con riguardo ai costi up front, effetto non contemplato dalle parti né regolamentato dalla legge o dagli usi” (in questi termini, Collegio di coordinamento, n. 26525/2019). Sul punto, aderendo ancora una volta al condivisibile orientamento del Collegio di Coordinamento n. 26525/2019, il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile appare, nella specie, analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata per via negoziale. Ciò significa che l’importo della riduzione dei costi up front può quantificarsi secondo il metodo di riduzione proporzionale pattuito per gli interessi corrispettivi (c.d. curva degli interessi). Per quanto concerne, invece, le imposte e gli oneri erariali, sulla base del più recente orientamento condiviso dai Collegi, si ritiene che non siano rimborsabili, trattandosi di un costo non ristorabile per sua intrinseca natura (considerato anche l’art. 14 della Direttiva sul credito ai consumatori). Voci di costo queste non dirette a remunerare l’intermediario, né oggetto di quantificazione unilaterale da parte di quest’ultimo. Infine, in merito alla richiesta di restituzione degli interessi, si osserva che lo schema contrattuale in esame, con disposizione controversa (cfr. punto 4 di pag. 3 del modulo SECCI), prevede espressamente che “il Cliente avrà diritto al rimborso della quota di interessi e di oneri non ancora maturata; tale quota viene calcolata in proporzione al tempo che rimane tra la richiesta di estinzione e la scadenza naturale del contratto, dividendo ciascun importo massimo per il numero di quote previste dal finanziamento e moltiplicandolo per il numero di rate residue”, alludendo ad una distribuzione lineare degli interessi nel tempo, senza relazione con il capitale che li genera. Tale disposizione contrasta però con altra previsione contenuta nel medesimo SECCI, dove, invece, viene specificato che il rimborso avverrà secondo un rappresentante piano di un’impresa ammortamento alla francese con rate che commercializza macchinari per uso esteticohanno, lungo la durata del rapporto, quote interessi decrescenti e sorte capitale crescente. Tale antinomia contrattuale, configura un “dubbio giuridico” sul senso da assegnare alla disposizione negoziale che appunto regola la retrocessione degli interessi in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il quale le avrebbe prospettato dubbio, derivando da un contratto standard (perché concluso mediante il ricorso a condizioni generali e/o moduli e formulari), è destinato ad essere sciolto in via ermeneutica mediante l’applicazione dell’art. 1370 c.c. recante il canone “interpretatio contra stipulatorem”. Ciò, tenendo anche in considerazione l’orientamento condiviso dai Collegi ABF, che, nel caso di affitto o noleggio di macchinariclausole contrasti, liberamente risolvibile senza penaleritengono necessario da parte dell’intermediario lo storno degli interessi nella misura più favorevole per il cliente, ad un canone mensile di 000 xxxxriconoscendo a quest’ultimo l’integrazione dello storno già operato, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta fino a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione concorrenza di quanto illegittimamente percepitodovuto secondo il criterio pro rata temporis. Sulla base di ciò, oltre al risarcimento si rileva che l’intermediario in sede di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società conteggio estintivo ha correttamente decurtato l’importo di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto € 654,69 a titolo di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo commissioni mandataria per il cliente perfezionamento/gestione e l’importo di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale€ 487,18 a titolo di provvigioni per l’intermediario. Nel Nulla era dovuto a titolo di imposte e tasse. Per quanto concerne invece la richiesta di rimborso degli interessi corrispettivi, l’intermediario avrebbe dovuto decurtare in sede di conteggio estintivo la quota di interessi pari ad € 3.430,75, calcolata secondo documento vi il criterio pro rata temporis, anziché mediante applicare il criterio c.d. della curva degli interessi. Per tale motivo, è regolatadiritto del ricorrente ottenere il pagamento della somma di € 1.396,37 a titolo di restituzione degli interessi corrispettivi, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari al netto dell’importo già decurtato pari ad € 2.033,89 La somma riconosciuta è inferiore rispetto a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa quella richiesta dal ricorrente in quanto l’ulteriore importo di € 534,53 è stato da quest’ultimo determinato erroneamente mediante l’applicazione del criterio pro rata temporis in relazione a tutte le sue partivoci di costo, anche quelle avventi natura up front. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) eNon può trovare accoglimento, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulateinfine, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” rifusione delle spese legali, in considerazione del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala fatto che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011)finanziari”, Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanzaregolano il presente procedimento, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigorosocontemplano alcuna espressa previsione al riguardo, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che considerata la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciutanatura alternativa del procedimento instaurabile. Inoltre, le spese di assistenza professionale non hanno carattere di accessorietà rispetto alla domanda principale, con la conseguenza che non sono automaticamente rimborsabili nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante di accoglimento della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle partimedesima. La ricorrente, infattiInfine, non lo qualifica come rappresentante è stata allegato e men che meno provato il fatto della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, funzionalità dell’intervento del professionista coinvolto ai fini dell’annullamento della decisione del contrattopresente procedimento avente, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439tra l’altro, 2° comma, c.cnatura seriale.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega Il ricorso è fondato e meritevole di essere stata vittima accoglimento nei termini di un raggiro messo in atto da un rappresentante seguito illustrati. Il nodo dell’odierna controversia verte sul contrasto, documentalmente provato, tra quanto riportato nel Foglio informativo accluso al contratto (ove viene il tasso per vincoli a 12 mesi viene indicato nella misura pari a 1,20%) e quanto riportato nel Documento di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, sintesi (ove invece il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penaletasso corrispondente viene indicato nella misura pari a 1,50%). Orbene, ad un canone mensile avviso del Collegio, in caso di 000 xxxxconflitto tra le indicazioni contenute nei due documenti deve prevalere quella riportata nel Documento di sintesi. Depongono in tal senso sia la normativa primaria (ai sensi dell’art. 117 TUB, xx, xx modo ingannevole co. 6 “Sono nulle e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto si considerano non apposte le clausole contrattuali di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti rinvio agli usi per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY]determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonché quelle che prevedono tassi, legittimato dalla società prezzi e condizioni più sfavorevoli per i clienti di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzionequelli pubblicizzati”), la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra sia le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto “Disposizioni di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme trasparenza delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e dei servizi bancari e finanziari emanate dalla - Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” della Banca d’Italia d’Italia. Queste ultime così dispongono (provvedimento Sezione II): “3. Fogli informativi - Gli intermediari mettono a disposizione dei clienti "fogli informativi" contenenti informazioni sull’intermediario, sulle condizioni e sulle principali caratteristiche dell’operazione o del 12.12.2011), Sezservizio offerto. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte È assicurata piena coerenza tra le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi informazioni riportate nei fogli informativi e facoltà, indipendentemente dal valore i contenuti del rapporto al quale si riferiscono”contratto. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro(…) Dal quadro normativo sopra ricostruito, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrentesoprattutto dalle Disposizioni di trasparenza, si osserva che quest’ultima non evince pertanto che, mentre il Foglio informativo ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che finalità di mettere la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari clientela al corrente delle condizioni economiche praticate con riferimento alle varie tipologie di operazioni e servizi, il Documento di sintesi riporta le condizioni economiche personalizzate per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla il singolo cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento costituisce parte integrante del contratto. Pertanto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio in presenza di una difformità tra i due documenti, risultano prevalenti le condizioni riportate nel Documento di sintesi; in tal senso l’Arbitro si è già espresso in alcuni precedenti (artcfr. 1439, 2° comma, c.cdecisioni 5127/2018 e 15365/2018).). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega questione sottoposta all’esame del Collegio concerne la presunta violazione, da parte dell’intermediario convenuto, degli obblighi di essere stata vittima trasparenza delle condizioni contrattuali, previsti dal Tub e dalla normativa regolamentare della Banca d’Italia, nonché di correttezza e buona fede in sede di stipulazione di modificazioni contrattuali ad un accordo di factoring, intercorrente tra la banca e la società ricorrente. Oggetto delle modifiche contestate è la previsione del servizio c.d. Maturity, consistente in ciò, che l’intermediario si impegna ad assicurare al cedente l’incasso dei crediti ad una data certa e prefissata, così permettendogli di ottimizzare la gestione dei flussi finanziari, e ad contempo ad offrire al debitore ceduto la possibilità di ottenere una ulteriore dilazione del credito originario, con onere finanziario a proprio carico previamente concordato con il factor. Trattasi, dunque, di un raggiro messo servizio accessorio al contratto di factoring che assicura al cedente, tra l’altro, l’indubbio vantaggio della certezza e della stabilizzazione dei propri flussi finanziari in atto da un rappresentante entrata. Tanto premesso, dalle risultanze istruttorie non emergono elementi idonei ad attestare una violazione dei doveri di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticocorrettezza e buona fede nella fase precontrattuale e/o nell’esecuzione del contratto. Ed invero, i contenuti, gli effetti e le condizioni del servizio accessorio offerto dall’intermediario sono, nella specie, chiaramente e compiutamente illustrati nel documento sottoscritto dalla ricorrente; d’altra parte, il quale servizio accessorio in questione non prospetta, per il cliente, rischi anomali rispetto ad una normale operazione di factoring, sicché priva di pregio è la doglianza secondo cui l’intermediario non avrebbe, nel caso di specie, rispettato le avrebbe prospettato un contratto norme “volte a prestare assistenza al cliente, la trasparenza e la correttezza nella commercializzazione dei prodotti, e quelle organizzative e di affitto o noleggio controllo interno che assicurino una valutazione dei rischi (...)”. Depone in tal senso anche la previsione del diritto del cedente di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con recedere dall’accordo […]: onde la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato qualora si fosse successivamente avveduta di un ipotetico pregiudizio derivante dalle modifiche contrattuali convenute con l’intermediario e debitamente accettate e sottoscritte, avrebbe potuto comunque esercitare il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando recesso entro i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato termini previsti dal contratto. Il Collegio ritiene altresì pienamente conforme alle previsioni contrattuali sottoscritte dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione il comportamento assunto dall’intermediario convenuto nell’esecuzione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le particontratto. In particolare, la comunicazione inviata al cedente del 18.4.2016 con cui la banca convenuta provvedeva al recesso dall’accordo Maturity, successivamente all’istanza di fallimento promossa dal debitore, avvenuta in uno dei due documenti data 18.3.2016, e la successiva comunicazione del 27.6.2016, con la quale la medesima banca comunicava all’istante il riaddebito, sono pienamente conformi al disposto dell’art. 4 delle condizioni regolanti il servizio Maturity, secondo cui “In caso di eventuale mancato pagamento da parte del Debitore ceduto del credito entro la scadenza prorogata, siete fin d’ora autorizzati a riaddebitarne il relativo importo, con valuta pari alla data di scadenza originaria del credito, sul conto corrente anticipi a noi intestato presso la Vostra Banca, la cui esposizione ci impegniamo fin d’ora a rimborsarVi a Vostra semplice richiesta, ogni eccezione rimossa ferma restando l’eventuale rinuncia alla garanzia di solvenza da parte Vostra”. Del resto, dalle risultanze in atti emerge chiaramente che l’intermediario convenuto si fa riferimento è avvalso della facoltà prevista da tale clausola soltanto in data 18.4.2016, ossia un mese dopo la presentazione dell’istanza di fallimento […] ed alcuni giorni dopo il deposito […] della domanda di concordato del debitore ceduto: eventi che, per definizione, consacravano la sua impossibilità di regolare adempimento delle proprie obbligazioni. Né vale, ad un contratto avviso del Collegio, imputare all’intermediario convenuto la sua presunta conoscenza della situazione economico-finanziaria in cui versava il debitore ceduto e, in particolare, di “affitto/noleggionon aver colto in anticipo i segnali d’allarme: ciò in quanto, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolatadall’esame della documentazione allegata in atti, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non emergono elementi univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c.senso, soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.pagamenti sono

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DIRITTO. La Ad avviso del Collegio il ricorso va rigettato. L’istanza del ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un accertamento dell’avvenuta risoluzione del contratto di leasing con per impossibilità sopravvenuta della prestazione esige, preliminarmente, di tratteggiare i confini della fattispecie che, notoriamente, ricalca la società nozione di leasing [ZZ]impossibilità su quella determinante l’estinzione dell’obbligazione ai sensi del combinato disposto degli artt. La 1218 e 1256 cod. civ.: pur essendo il tema uno dei più delicati della civilistica, si può ritenere sostanzialmente condiviso che l’impossibilità rilevante debba essere assoluta e oggettiva. Quanto al primo profilo, si può, qui, prescindere dalla scelta tra le varie declinazioni dell’esigibilità della prestazione, giacché è preminente nel caso concreto la valutazione del carattere oggettivo della dedotta impossibilità che, nella prospettazione del ricorrente, pur avendo onorato andrebbe ricondotta alla cessazione dell’attività professionale in forma associata, che avrebbe reso inutilizzabile il macchinario oggetto del contratto di leasing leasing. Orbene, va, innanzitutto, rilevato che la circostanza non è stata provata nel procedimento, ma, che, comunque, non avrebbe potuto integrare il presupposto della risoluzione ex artt. 1463 ss. cod. civ. In via generale, il carattere oggettivo è escluso allorquando l’impossibilità è conseguente ad un evento che rientra nella disponibilità del debitore; a ciò va aggiunto che, l’ipotesi di cessazione dell’attività di impresa in questione per circa due anniforma individuale o collettiva, versando i canoni previstiche abbia fondamento in un atto volontario dell’imprenditore, ne rileva ora si traduce di fatto in una decisione unilaterale di sottrarsi all’adempimento del contratto. In dottrina si è sottolineato che nessun pregiudizio colpisce la libertà del soggetto che esercita attività di impresa di scegliere di non proseguire l’attività fino alla cessazione dei contratti pendenti, atteso che egli, diversamente, può valutare la convenienza economica, e adottare le decisioni conseguenti, tra l’esecuzione del contratto posticipando la cessazione dell’attività o esporsi alle conseguenze dell’inadempimento. Il ricorrente ha chiesto, inoltre, di inibire (rectius accertare l’insussistenza del diritto) all’intermediario di azionare eventuali nullitàpretese economiche”, chiedendo senza tenere conto delle proprie contestazioni e del fatto che era stata tempestivamente offerta la condanna dell’odierna convenuta restituzione del bene oggetto del leasing. Pur nella sua genericità, si può ritenere che il riferimento sia all’esercizio del locatore dei diritti contrattuali e risarcitori conseguenti all’inadempimento contestato all’istante, che presuppone, però, la correttezza dell’applicazione della clausola risolutiva espressa giusta lettera del 27 novembre 2013. Tuttavia, nessuna delle due parti ha chiesto all’Arbitro di pronunciarsi sulla legittimità della risoluzione contrattuale invocata, questa volta, da parte resistente, pur essendo pacifico che una tale domanda sarebbe rientrata nella competenza dell’Arbitro, stante la natura dichiarativa della relativa cognizione (decisione ABF-Collegio di Napoli, n. 1923 del 2011). In ogni caso, si può procedere considerando che la circostanza del mancato pagamento dei canoni a partire dal mese di giugno 2013 è pacifica tra le parti; ed è in forza di tanto che l’intermediario si è avvalso dei criteri di liquidazione del danno previsti dall’art. 15 del contratto, che pongono a carico dell’utilizzatore inadempiente il pagamento dei canoni maturati fino alla restituzione data della risoluzione, maggiorati degli interessi di quanto illegittimamente percepitomora, oltre al risarcimento e di ogni ulteriore spesa sopportata dal locatore, nonché i danni da deterioramento del bene oggetto del contratto, e quelli conseguenti all’anticipato scioglimento, quantificati nell’importo complessivo di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta canoni successivi alla risoluzione, attualizzati al tasso Euribor tre mesi. In vero, si potrebbe discutere dell’eccessivo ammontare di tale clausola penale, anche alla luce delle indicazioni recentemente formulate in giurisprudenza, secondo cui il concedente non può ricevere vantaggi maggiori di quelli conseguibili dalla regolare esecuzione del contratto, tenuto conto che, anche alla stregua della Convenzione di Ottawa sul leasing internazionale 28 maggio 1988, recepita con legge 14 luglio 1993, n. 259, il risarcimento del danno spettante al concedente deve essere tale da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, porlo nella stessa situazione in cui si descrivono i rapporti tra le partisarebbe trovato se l'utilizzatore avesse esattamente adempiuto (Xxxx. In particolare17 gennaio 2014, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localen. 888). Nel secondo documento vi è regolatacaso di specie, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulateperò, la domanda non può stessa clausola contrattuale prevede che essere interpretata come richiesta di “annullamento” il locatore riconoscerà al conduttore quanto eventualmente conseguito disponendo del contratto per vizio del consensobene all’esito della restituzione, quale presupposto anche procedendo a compensazione con quanto dovuto dall’inadempiente: tale obbligo risulta idoneo a fondare la richiesta legittimità della clausola penale, ovviamente a condizione che sia eseguito correttamente, il che comporta che, non potendosi configurare un obbligo di restituzione dei canoni risultato a carico del locatore di leasing versaticollocazione del bene, quest’ultimo si sia, però, diligentemente attivato nella ricerca di un acquirente. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi Alla luce di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranotanto, pertanto, orientamenti non univoci il ricorso va rigettato, invitando peraltro l’intermediario a porre in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse tutte le iniziative necessarie al reperimento di un contratto acquirente, o di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]altro conduttore, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento bene oggetto del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannocessato.

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DIRITTO. La ricorrente allega questione che questo Collegio deve affrontare per la soluzione del caso in esame riguarda gli effetti dell’inadempimento dell’obbligo di essere stata vittima di un raggiro messo in atto consegna del bene da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoparte del fornitore, il quale le avrebbe prospettato quando sia stato contestualmente stipulato un contratto di affitto o noleggio finanziamento tra l’intermediario resistente e il ricorrente, in qualità di macchinariconsumatore, liberamente risolvibile senza penalefinalizzato all’acquisto del bene medesimo. In merito alla vicenda all’origine della presente vertenza, ad un canone mensile pare utile, ai fini della decisione, rammentare i seguenti aspetti: • non risulta contestato il fatto che il contratto sia stato stipulato (in data 31.5.2010 e dunque) prima dell’entrata in vigore del d. lgs. n. 141/2010; • le parti non hanno prodotto il contratto, ma l’intermediario ha allegato alle proprie controdeduzioni unicamente talune clausole specificatamente approvate dal cliente, ai sensi degli art. 1341 e 1342 del codice civile; • il cliente ha allegato al ricorso le due lettere di 000 xxxxxxxxxxx, xxai sensi dell’art. 1454 del codice civile, xx modo ingannevole inviate, rispettivamente, al fornitore cessato e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostaal fornitore subentrato e poi fallito. Dette lettere sono datate 16.2.2011 e al ricorso non sono allegate le eventuali lettere di risposta; • come confermato dalla convenuta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con tutte le rate, nel frattempo maturate, risultano pagate; • la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato fornitrice originaria è cessata a fine agosto 2010; • la società fornitrice dei beni (che è subentrata alla società che ha originariamente stipulato il contratto di leasing fornitura dei beni) è stata dichiarata fallita con sentenza del 20.4.2011. Venendo ora all’esame del merito della controversia, giova ricordare, com’è noto, che in questione ipotesi quale quella appena descritta, ci si trova in presenza di un mutuo di scopo, e cioè di un mutuo concesso esclusivamente per circa due annila finalità dedotta in contratto, versando i canoni previstiovvero l’acquisto di un determinato bene che viene fornito dal venditore convenzionato con il finanziatore. L’operazione negoziale trilaterale prevede che l’ammontare del finanziamento sia versato direttamente al fornitore, ne rileva ora la “nullità”che si impegna a consegnare il bene oggetto della fornitura, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta mentre il mutuatario-acquirente si obbliga alla restituzione di quanto illegittimamente percepitorateale della somma oggetto del finanziamento. E’ dato ormai pacifico, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta sia in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, dottrina sia in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”giurisprudenza, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre sussista un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, collegamento negoziale tra il contratto di leasing stipulato finanziamento e il contratto di vendita del bene al mutuatario, con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei conseguenza che i due distinti contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni mutuo e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011compravendita), Sezpur mantenendo la loro autonomia causale, appaiono tra loro coordinati al fine di realizzare un risultato economico unitario. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. InoltreOra, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infattidi specie, non lo qualifica come rappresentante può dubitarsi che ricorra il collegamento negoziale tra il contratto di fornitura di servizi ed il contratto di finanziamento, essendo pacifico che il secondo è stato proposto dal fornitore di servizi ed accettato dal ricorrente in occasione della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento stipulazione del contratto di leasing fornitura. Né può avere particolare rilievo che – come sostenuto dall’intermediario resistente per argomentare la propria istanza di rigetto delle domande formulate dal ricorrente – il rapporto tra il fornitore e conseguentemente assorbito l’esame il finanziatore fosse o meno “esclusivo”, in quanto, come già si è avuto modo di rilevare in altre occasioni, partendo dalla considerazione che la direttiva 102/87/CE e la conseguente normativa interna di attuazione hanno un intento volutamente protettivo nei confronti del consumatore, deve concludersi che “il rapporto di esclusiva” tra fornitore e consumatore non può essere considerato un presupposto la cui mancanza determinerebbe una modifica in peius della domanda sul risarcimento posizione del dannoconsumatore, come la Sentenza della Corte di giustizia CE n. 509 del 2009 ha già chiaramente sancito. Più precisamente, questo Collegio ha già ribadito (cfr. Pronuncia n. 187 del 26.1.2011 e Pronuncia n. 917 del 10.9.2010) che, anche quando art. 125 quinquies TUB non sia applicabile ratione temporis alla fattispecie concreta all’origine della controversia, non può non tenersi conto che la norma citata rappresenta comunque il punto terminale di una evoluzione giuridica di cui non può non tenersi conto.

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DIRITTO. La ricorrente allega Il Collegio deve preliminarmente dar conto dell’eccezione di essere stata vittima carenza di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticolegittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto, il quale le avrebbe prospettato un contratto sostiene che, essendo intervenuto nel rapporto negoziale quale mandatario con rappresentanza di affitto o noleggio altro istituto di macchinaricredito, liberamente risolvibile senza penalela legittimazione passiva dovrebbe essere posta a carico di quest’ultimo. Tale eccezione non può essere accolta. Costituisce infatti consolidato orientamento di questo Collegio (e v., ad un canone mensile di 000 xxxxes., xxABF Napoli, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostan. 3337/2014) “il principio in base al quale, l’avrebbe poi indotta anche a sottoscrivere un contratto di leasing con prescindere dalla ricostruzione dei rapporti negoziali coinvolgenti l’intermediario mandante, la società mandataria ed il cliente (compiuta alla luce delle norme codicistiche) possa invece farsi applicazione di leasing [ZZ]. La ricorrenteun criterio di apparentia juris allorché il ricorrente individui nell’intermediario collocatore, pur avendo onorato e non già nel finanziatore, la propria controparte, in maniera difforme rispetto alla corretta ricostruzione del rapporto negoziale sottostante: sotto il profilo oggettivo, infatti, è proprio il mandatario il soggetto con il quale il cliente ha materialmente stipulato il contratto ed intrattenuto i conseguenti rapporti negoziali, sino all’estinzione. Ne consegue che, in ragione di leasing una considerazione unitaria dell’assetto degli interessi coinvolti ed al fine di garantire effettività della tutela, si è fatto ricorso ad un criterio di natura empirica per il quale può essere riconosciuta la legittimazione passiva in questione per circa due annicapo alla società mandataria, versando i canoni previsticollocatrice del finanziamento ed interlocutrice naturale nella gestione del rapporto (cfr. Collegio di Napoli, ne rileva ora dec. n. 2441/2012)”. Tanto premesso, può esaminarsi la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta domanda del ricorrente di accertamento del proprio diritto alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre quota parte degli oneri commissionali ed assicurativi connessi al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientefinanziamento anticipatamente estinto rispetto al termine convenzionalmente pattuito, in cui si descrivono i rapporti tra le partiapplicazione del principio di equa riduzione del costo dello stesso, sancita all’art. 125- sexies t.u.b. In particolareconformità alla ormai consolidata giurisprudenza dei tre Collegi di questo Arbitro, in uno dei due documenti ed alla stregua degli indirizzi della Banca d’Italia rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, si fa riferimento ad un contratto è stabilito che la concreta applicazione del principio di “affitto/noleggio”equa riduzione del costo del finanziamento determina la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring), che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di provafinanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettivaPer converso, si segnala che le Disposizioni sui sistemi è confermata la non rimborsabilità delle voci di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni costo relative alle attività preliminari e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (provvedimento del 12.12.2011), Sezcc.dd. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.up front). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema Per quanto concerne il criterio di onere della prova (art. 2697 c.c.)calcolo del rimborso spettante al ricorrente, il Collegio ritiene di applicare l’orientamento del Collegio di coordinamento di questo Arbitro (cfr. dec. n. 6167/2014), secondo cui il criterio pro rata temporis è il più logico e, al contempo, il più conforme al diritto ed all’equità sostanziale. Posto quanto precede, in relazione alla commissione in favore dell’intermediario mandante, dalla lettura della relativa clausola contrattuale, emerge che la stessa sia stata corrisposta al fine di remunerare attività eterogenee non provati i fatti posti tutte ascrivibili alla fase prodromica alla concessione del prestito (quali, esemplificativamente, “l’esame della documentazione, la copertura del relativo rischio per tutta la durata dell’operazione, gli oneri per l’acquisizione della provvista, la elaborazione dei dati in funzione della legge 197/91, etc.: cfr. lett. a1). Pertanto, in considerazione dell’estinzione anticipata del finanziamento in corrispondenza della quarantanovesima rata di ammortamento (su centoventi complessive), deve essere riconosciuto il diritto del ricorrente alla restituzione della quota non maturata di detta commissione, pari ad euro 416,98. In ordine alla commissione prevista per l’intermediazione del prestito, va rilevato che l’esplicito riferimento nella relativa clausola contrattuale alla “garanzia non riscosso per riscosso” lascia presumere che le attività remunerate dalla commissione in questione non sono tutte ascrivibili alla fase prodromica alla concessione del prestito; in tal caso, l’opacità della clausola dipende dall’indistinto riferimento sia ad attività recurring, sia ad attività up front. Pertanto, in considerazione dell’estinzione del finanziamento in corrispondenza della quarantanovesima rata di ammortamento, deve essere riconosciuto il diritto del ricorrente alla restituzione della quota non maturata di quest’ultima commissione, pari ad euro 1.187,12. Non sfugge peraltro al Collegio che il ricorrente ha già ottenuto, in sede di conteggio estintivo, la somma di euro 120,70 a fondamento titolo di “abbuono spese per rata”. Del pari, va riconosciuto alla ricorrente il diritto al rimborso della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta quota parte del premio assicurativo versato in adempimento del relazione al contratto di leasing finanziamento anticipatamente estinto, stante il consolidato orientamento di questo Arbitro (da ult., ABF Napoli, 5566/2015 e conseguentemente assorbito l’esame 6047/2014), vieppiù avvalorato dalla decisione del Collegio di coordinamento di questo Arbitro (cfr. dec. n. 6167/2014), in ordine alla sussistenza del collegamento negoziale tra contratto di finanziamento e polizza assicurativa, la quale trova nella legge n. 221/2012 il suo riconoscimento normativo. Pertanto, spetta a tale titolo al ricorrente il rimborso della domanda sul risarcimento somma di euro 370,97. Infine, in merito alla richiesta del dannoricorrente del rimborso delle spese legali, è orientamento di questo Collegio (cfr. ABF Napoli, 3498/2012) che, là dove sia dimostrato che la parte ricorrente si sia avvalsa, nell’intero snodo procedimentale che va dal reclamo al ricorso, dell’ausilio di un difensore sopportandone il relativo costo, quest’ultimo possa e debba prendersi in considerazione, in caso di accoglimento del ricorso che si concluda con l’accertamento di un diritto risarcitorio, non già quale autonoma voce di rimborso non prevista dal Reg. ABF, bensì quale componente del più ampio pregiudizio patito dalla parte ricorrente, da questo Collegio liquidato equitativamente in euro 200,00. In considerazione di quanto precede, il Collegio non reputa congrua la somma che la convenuta si è dichiarata disponibile a riconoscere al ricorrente e riconosce il diritto di quest’ultimo ad ottenere dall’intermediario, al netto di quanto già restituito in sede di conteggio estintivo, l’importo complessivo di euro 1.854,37 a titolo di commissioni e premio assicurativo per il periodo di finanziamento non goduto, oltre interessi legali dal reclamo (che ha valore giuridico di formale messa in mora) al soddisfo.

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DIRITTO. Il tema concerne la (assunta) responsabilità in contraendo a carico dell’intermediario per l’intervenuta variazione delle condizioni economiche del prestito dal momento dell’avvio delle negoziazioni rispetto a quelle stabilite concretamente al momento della stipula del contratto. Aldilà di ogni possibile considerazione relativa alla intervenuta stipula del contratto di mutuo contenente le intese alle quali le parti sono addivenute, ed alla impossibilità per il Collegio di disporre mezzi istruttori adeguati alla verifica di quanto intervenuto in fase di negoziazione del mutuo, certo è che, intanto, nel modulo di domanda del mutuo sottoscritto dai ricorrenti in data 25 luglio 2014 è espressamente stabilita la possibilità di “eventuali modifiche delle condizioni contrattuali intervenute prima della conclusione del contratto”. Inoltre, il prospetto informativo, pure sottoscritto, reca la chiara indicazione dei costi relativi alla stipula del mutuo. Nella precedente mail dell’Agente, viene espressamente dichiarata, proprio nelle prime due righe del messaggio, che la comunicazione riguardava “la fattibilità in linea preventiva dell’opera. La ricorrente allega stessa sarà da confermare in fase di essere stata vittima istruttoria e delibera”: dunque, l’erogazione stessa del mutuo, così come le condizioni indicate, erano ipotesi da confermare, come apertamente e con gli stessi caratteri della restante parte della mail, veniva esplicitato. Con riferimento all’istanza relativa ai premi assicurativi, dalla nota del 24 novembre 2014 emerge chiaramente la comunicazione ai ricorrenti della circostanza di fatto che “l’indicazione di non avvalersi del finanziamento a copertura delle spese e polizze previsto dal contratto di mutuo risulta frutto di un raggiro messo refuso in atto quanto peraltro difforme da un rappresentante quanto riportato dalle risultanze contabili che invece risultano perfettamente corrispondenti a quanto concordato in fase di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullitàprecontrattuale, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolarerelazione, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto infine, alla mancata consegna del buono XXX, dalla documentazione prodotta trova conferma l’affermazione dell’intermediario circa la esplicitazione, nella documentazione pubblicata dall’intermediario, del fatto che per poter fruire di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare promozione la richiesta di restituzione dei canoni xxxxx avrebbe dovuto essere sottoscritta tra il 21 febbraio 2014 ed il 21 luglio 2014, termine ultimo non prorogabile, laddove i ricorrenti hanno effettivamente sottoscritto la proposta di leasing versatimutuo in data 25 luglio 2014. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranoIl ricorso, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa può essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.caccolto., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoCon riferimento alla prima domanda del ricorrente, avente ad oggetto la cancellazione delle segnalazioni a “sofferenza”, il quale le avrebbe prospettato un contratto Collegio osserva innanzitutto che la situazione di affitto o noleggio segnalazione presso la CR della Banca d’Italia è ampiamente giustificata dalla circostanza che la stessa è avvenuta quando il numero di macchinarirate scadute e non pagate era oramai pari addirittura a 21 rate, liberamente risolvibile senza penalecon conseguente ampia plausibilità della valutazione circa la stabile e consolidata incapacità dei debitori di onorare i propri debiti (vedi Coll. Coordinamento, ad un canone mensile decisione n. 611/2014); mentre non v’è prova in atti della segnalazione presso i SIC e in particolare della tipologia di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto iscrizione effettuata presso i sistemi di leasing con la società di leasing [ZZ]natura “privata”. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. ProduceCom’è noto, inoltre, il contratto preavviso ha finalità meramente informative e la sua omissione o tardività non è in grado di leasing stipulato con determinare l’illegittimità della segnalazione qualora sia comprovato il necessario presupposto sostanziale, potendo la convenutaviolazione dell’obbligo informativo rilevare, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue partitutt’al più, sul piano risarcitorio (cfr., ABF – Roma, decisione n. 1452/2013). L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) eAppare, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”inoltre, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala evidente che le Disposizioni sui sistemi ragioni (peraltro non dimostrate) che avrebbero originariamente indotto il ricorrente ad assumere la veste di risoluzione stragiudiziale delle controversie cointestatario del mutuo sono del tutto irrilevanti rispetto alla sua corretta qualificazione come condebitore in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitrosolido, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrenteinevitabilmente destinatario della segnalazione, si osserva al pari dell’altro cointestatario. Quanto al presunto accollo intervenuto il 4 aprile 2014 tra i due condebitori, deve osservarsi che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è l’accordo transattivo in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla risulta inidoneo a ritenere che si trattasse dimostrare l’esistenza di un contratto vero e proprio accordo liberatorio anche solo inter partes, quanto meno per il fatto che lo stesso ricorrente cita l’esistenza di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali un ulteriore accordo tra i condebitori, che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]non viene prodotto, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciutaconseguente grave lacunosità del quadro probatorio allegato dalla ricorrente. Inoltre, nel caso in esamenon è contestato che a far data dal 14 febbraio 2017 la segnalazione è stata interrotta, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi a seguito di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato successivo accordo intervenuto tra la Banca e il contestatario, che ebbe a collocare i contratti trasferire su altra posizione di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentantesua esclusiva pertinenza il debito residuo relativo al mutuo. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)Pertanto, il Collegio ritiene che la Banca abbia rispettato le previsioni di cui alla Circolare della Banca d’Italia, n. 139/1991, Cap. II, Sez. 1, par. 3, secondo cui “La segnalazione in sofferenza di una cointestazione presuppone che tutti i cointestatari versino in stato di insolvenza”, e gli orientamenti dell’AFB (Coll. Coord., n. 611/2014), secondo cui “costituisce orientamento costante di questo Arbitro Bancario e Finanziario quello secondo il quale, ai fini della segnalazione a sofferenza, l’intermediario è tenuto ad operare una valutazione complessiva dell’esposizione debitoria del cliente, finalizzata a verificare se quest’ultima possa considerarsi alla stregua di una stabile e consolidata incapacità di costui di onorare i propri debiti”. In ogni caso, la richiesta cautelare è inammissibile, essendo pacifico (vedi ABF Roma, decisione n. 2127/15) che l’Arbitro sia sprovvisto di tali poteri. Quanto alla richiesta risarcitoria, deve effettivamente darsi conto che la lettera datata 6.9.2011, indipendentemente dalla correttezza o meno dell’indirizzo utilizzato dalla banca, non provati i fatti posti conteneva il preavviso di segnalazione. Purtuttavia, la richiesta risarcitoria va rigettata, indipendentemente dall’eccezione di inammissibilità della banca per novità della questione rispetto al reclamo. Quanto al danno patrimoniale, non risulta infatti provato che gli impedimenti nell’avanzamento in carriera e le difficoltà operative con altri intermediari siano dovute alla contestata segnalazione. Quanto al danno non patrimoniale, risulta determinante l’oggettivo stato di grave inadempimento in cui versava il rapporto, dovendosi applicare sul punto l’orientamento dell’Arbitro (vedi la decisione del Collegio di Coordinamento, n. 3500/2012), secondo cui “non può essere invocata la lesione della reputazione di buon pagatore quando in atti non esistono elementi atti a fondamento della domanda della convincere che il ricorrente sia tale” (conf., ABF Napoli, n. 3884/14). Il ricorrente chiede inoltre informazioni rispetto ad altre operazioni creditizie intrattenute dalla Banca con il cointestatario, ma al riguardo risulta evidente il difetto di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento legittimazione attiva del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoricorrente, che non ha titolo per chiedere dette notizie.

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DIRITTO. La controversia ha ad oggetto il riconoscimento del diritto della ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di parte dei costi del finanziamento, a seguito della avvenuta estinzione anticipata di quest’ultimo rispetto al termine convenzionalmente pattuito, da cui deriva, come previsto dall’articolo 125-sexies del TUB, il diritto del soggetto finanziato a ottenere una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”. Più in particolare, la domanda avanzata dal ricorrente risulta riferita alle spese di istruttoria, alle commissioni del finanziatore, alle commissioni dell’agente e al premio assicurativo. La consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto illegittimamente percepitostabilito, oltre al risarcimento peraltro, dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, ha affermato fino a oggi che la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (c.d. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale. A contrario, il medesimo orientamento ha confermato la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipata (c.d. up front). Si è ugualmente consolidato l’orientamento alla cui stregua il criterio di calcolo della somma corrispondente alla “riduzione” dei costi retrocedibili in caso di estinzione anticipata deve essere individuato nel metodo proporzionale puro, comunemente denominato pro rata temporis. La cornice interpretativa appena descritta si è, di recente, arricchita della decisione dell’11 settembre 2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia Europea, e della successiva decisione dell’11 dicembre 2019 del Collegio di Coordinamento di questo ABF. Con domanda di pronuncia pregiudiziale ex art. 267 TFUE, infatti, il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sui contratti dei consumatori, che ha abrogato la precedente Direttiva 87/102 CEE del Consiglio, e in particolare di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti i danni subiti costi del credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto. La Corte Europea, con la già ricordata sentenza 11 settembre 2019, (c.d. sentenza LEXITOR), ha fornito risposta a tale quesito affermando che l’articolo 16 della Direttiva deve essere interpretato nel senso che “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Dal proprio canto, il Collegio di Coordinamento di questo ABF, investito della questione dal Collegio di Palermo con ordinanza del 16 settembre 2019 in relazione alle conseguenze della citata sentenza della CGUE sulla rimborsabilità dei costi non continuativi (c.d. up front), accogliendo parzialmente il ricorso, con decisione dell’11 dicembre 2019, ha enunciato il principio, per un verso, per cui “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art. 125-sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front”, e, per l’altro, per cui “Il criterio applicabile per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clienteriduzione dei costi istantanei, in cui si descrivono mancanza di una diversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i rapporti tra le particosti recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. In particolareLo stesso Collegio di Coordinamento, in uno ha osservato che “La ripetibilità dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggiocosti up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”, che prevede altresì il passaggio “Non è ammissibile la proposizione di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo un ricorso per il cliente rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di contrarre retrocessione di costi recurring”, e che “Non è ammissibile la proposizione di un apposito finanziamento con una banca localericorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione Quanto al criterio di acquisto riduzione dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltrecosti, il contratto Collegio di leasing stipulato coordinamento ha affermato, in primo luogo, la nullità di ogni clausola che “[…] sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari […]”, in quanto contraria a norma imperativa, conseguendone che tale nullità rilevabile d’ufficio in base al disposto degli articoli 127 TUB e 1418 c.c. comporti la sostituzione automatica del disposto di cui all’art. 1419, comma 2, c.c. con la convenutanorma imperativa che, recante già al momento della conclusione del contratto – come si deve necessariamente concludere, per la firma natura dichiarativa della stessa ricorrente decisione LEXITOR – imponeva la restituzione anche dei costi up front. In secondo luogo, il Collegio di coordinamento, rilevato che, quanto alla riduzione dei costi diversi da quelli recurring, si è in presenza di una lacuna del regolamento contrattuale, osserva che la CGUE non impone al riguardo un criterio di riduzione comune e unico per tutte le sue componenti, ma ha affermato che il metodo di calcolo utilizzabile “consiste nel prendere in considerazione la totalità dei costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione della durata residua del contratto”, intendendo la “totalità” non “[…] come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo […]”. Le parti, quindi, potranno “[…] declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre ad un principio di (relativa) proporzionalità […]”. L’asserito vizio Sempre secondo il Collegio di coordinamento, se tale situazione non dovesse verificarsi spetterà al giudicante il compito di integrare il regolamento contrattuale incompleto, e, non potendosi procedere a tale fine in via interpretativa, in relazione al contenuto del contratto prospettato dalla ricorrente evoca contratto, né in base ad una disposizione normativa suppletiva, il dolo nella conclusione dei contratti Collegio afferma che non possa che procedersi al ricorso per la integrazione “giudiziale” secondo equità (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, 1374 c.c.). Tutto ciò Il Collegio di coordinamento, quindi, premesso che spetterà ai singoli Collegi territoriali la valutazione dei casi concreti, considera il merito del ricorso, in relazione al quale “[…] ritiene peraltro che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.c. curva degli interessi) come desumibile dal piano di ammortamento […]”, concludendo che si tratta della soluzione da ritenere “[…] allo stato la più idonea a contemperare equamente gli interessi delle parti contraenti perché, mentre garantisce il diritto del consumatore a una riduzione proporzionale dei costi istantanei del finanziamento, tiene conto della loro ontologica differenza rispetto ai costi recurring e considerando della diversa natura della controprestazione […]”, e che anche “[…] essa, inoltre, trova un collegamento puntuale nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (richiamo alla portata del diritto all’equa riduzione del costo del credito sancito nell’abrogato art. 2697 c.c.8 della Direttiva 87/102, di cui l’art. 16 della Direttiva 2008/48 costituisce una più precisa consacrazione evolutiva […]”. Il Collegio aggiunge, infine, che “[…] non ricorre invece alcuna ragione per discostarsi dai consolidati orientamenti giurisprudenziali dell’Arbitro bancario per quanto attiene ai costi ricorrenti e agli oneri assicurativi […]”. Questo Collegio, nel dare piena attuazione sia alla decisione del Collegio di Xxxxxxxxxxxxx sia ai principi di diritto esposti nel suo dispositivo, ritiene appropriato, nel merito, in base alla sua autonoma valutazione, il criterio di calcolo adottato nel caso concreto dal Collegio di Coordinamento per la quantificazione dei costi up front da restituire, condividendo pienamente, e qui richiamando integralmente le argomentazioni poste a fondamento di tale scelta che individua nella previsione pattizia del conteggio degli interessi il referente normativo da utilizzare al fine di calcolare l’importo di tale restituzione in applicazione del principio di integrazione giudiziale secondo equità. Il Collegio ritiene, inoltre, sempre quale principio generale di diritto, che analogo criterio debba essere utilizzato anche in relazione ai contratti stipulati antecedentemente alla Direttiva 2008/48/CE relativa al credito ai consumatori e nel vigore della precedente direttiva 87/102 CEE. A tale riguardo, appare innanzitutto significativo l’espresso riferimento a tale Direttiva contenuto nel paragrafo 28 della sentenza LEXITOR, nel quale la Corte afferma che l’art. 16 della nuova Direttiva ha concretizzato il diritto del consumatore a una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di “equa riduzione” quella “più precisa di“ riduzione del costo totale del credito e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare “gli interessi e i costi”, così come rilevato e confermato anche dal Collegio di coordinamento, come supra riportato. Tale conclusione appare, quindi, pienamente in accordo con l’orientamento espresso dal Collegio di coordinamento e dai Collegi ABF in merito ai principi che regolavano la materia anche prima dell’introduzione dell’art. 125-sexies del TUB. Nel caso di specie, la domanda di rimborso, concordi le parti nel ritenere che il prestito è stato estinto il 30 giugno 2018, decorsa la quarantottesima rata sulle centoventi originariamente previste, ha ad oggetto le commissioni bancarie, gli oneri di distribuzione e le spese di istruttoria. Sulla scorta dei condivisi orientamenti dei Collegi ABF, se le spese di istruttoria sono state ritenute up front, le commissioni di attivazione e le commissioni di gestione, sono state ritenute recurring. Più in particolare, nel caso di specie, quest’ultima voce di costo è stata rimborsata al ricorrente secondo un criterio alternativo al pro rata temporis (principi contabili IAS 39), sebbene, tale modalità di rimborso non fosse specificamente prevista nelle condizioni contrattuali, né constasse agli atti documentazione riguardante la pattuizione di tale criterio alternativo per il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento rimborso della domanda della ricorrente voce di restituzione delle somme versate costo in oggetto. Quanto al costo di intermediazione, sulla scorta dei condivisi orientamenti dei Collegi ABF, è stata ritenuta up front, come si evince dalla documentazione allegata dall’intermediario (conferimento di incarico di mediazione), da cui si ricava come l’attività di mediazione sia effettivamente circoscritta all’attività propedeutica alla convenuta in adempimento conclusione del contratto di leasing finanziamento. Alla luce di quanto precede, applicando per le voci di costo ritenute recurring, il criterio pro rata temporis, e, per quelle ritenute up front, il criterio “finanziario” al tasso d’interesse nominale (i.e. curva degli interessi secondo il piano di ammortamento), considerati gli orientamenti espressi dal Collegio e conseguentemente assorbito l’esame della ferme le sue valutazioni sull’applicazione del criterio dell’equità integrativa al caso di specie, la domanda sul risarcimento del dannodeve essere accolta parzialmente, tenuto conto dei rimborsi già effettuati pari a 50,41 euro, che vanno a compensarsi con l’importo corrispondente al residuo delle commissioni e delle provvigioni ancora da rimborsare. Ne risulta un importo dovuto pari a 2.895,50 euro, oltre a interessi legali dal reclamo al saldo, che non coincide con quanto richiesto dal ricorrente (4.114,79 euro) in quanto quest’ultimo ha utilizzato il pro rata temporis per tutte le voci richieste.

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DIRITTO. La ricorrente allega Relativamente alla applicabilità nel caso di essere specie dell’interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1 della Direttiva 2008/48 come formulata dalla Corte di Giustizia Europea nella sentenza 11/09/2019 causa C-383/18, contestata dalla parte resistente, si deve evidenziare che se è indubitabile che la direttiva non possa direttamente applicarsi essendo stata vittima compiutamente trasposta nell’ordinamento interno con l’art. 125 sexies TUB, non può accogliersi il rilievo circa la non operatività nella specie della sentenza “Lexitor”. E’, in via generale, opinione indiscussa che le sentenze interpretative della CGUE hanno natura dichiarativa (v., Cass. n. 5381/2017; Cass. n. 2468/2016) e, di un raggiro messo conseguenza, valore vincolante e retroattivo per tutti i giudici nazionali ed anche per gli arbitri; è pertanto evidente che detta soluzione debba valere anche nel caso di specie, regolato sia dall’art.121, comma 1 lettera e) del TUB, che indica la nozione di costo totale del credito in atto da un rappresentante piena aderenza all’art. 3 della Direttiva, sia dall’art.125 sexies TUB che, dal punto di un’impresa vista letterale, appare a sua volta fedelmente riproduttivo dell’art. 16 par.1 della stessa Xxxxxxxxx, come affermato dal Collegio di Coordinamento nella decisione n. 525/2019, che commercializza macchinari per uso esteticodirettamente si riferisce ai riflessi interni della sopraindicata sentenza della Corte di Giustizia. Nella stessa decisione, il quale le avrebbe prospettato un contratto Collegio precisa, infatti, “che l’art.125 sexies, secondo cui in caso di affitto o noleggio di macchinariestinzione anticipata del finanziamento il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole “pari” all’importo degli interessi e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con “dei costi dovuti per la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullitàvita residua del contratto”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta non sembra affatto diverso rispetto alla restituzione di quanto illegittimamente percepitodisposizione ora citata della Direttiva, oltre al risarcimento di tutti secondo cui il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, che “comprende gli interessi e i danni subiti costi dovuti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY]restante durata del contratto”, legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, giacché non può ragionevolmente attribuirsi alcun significativo rilievo distintivo alla differenza lessicale tra la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati riduzione del costo del credito che è “pari” a tutte le voci che compongono il costo totale del credito e privi dell’indicazione la riduzione del nome costo totale del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra credito che “comprende” esattamente le partimedesime voci”. In particolarealtri termini, prosegue il Collegio, “sia la Direttiva sia la norma nazionale italiana di recepimento […]utilizzano una formula espressiva che, sul piano strettamente letterale, sembrerebbe suggerire il collegamento del diritto alla riduzione dei costi in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari soltanto a quelli dipendenti dalla restante durata del rapporto contrattuale (commissioni e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataoneri recurring) e che, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produceper le stringenti ragioni enunciate dalla CGUE, inoltredeve estendersi ai costi up-front, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio sono indipendenti. Ne discende che l’art.125 sexies TUB, integrando la esatta e completa attuazione dell’art. 6 della Direttiva, come questa va letto e applicato nel senso indicato dalla CGUE, come se dicesse cioè (artanzi, come se avesse detto fin dalla sua origine) che il diritto alla riduzione del costo del credito in caso di anticipata estinzione del finanziamento coinvolge anche i costi up-front, al di là di ogni differenza nominalistica o sostanziale, pur esistente, con gli altri costi. 1439Il che, a ben vedere, costituisce naturale concretizzazione dell’obiettivo perseguito dalla Direttiva di assicurare una elevata protezione del consumatore, giacché non si capirebbe altrimenti, al di là delle esigenze di trasparenza, in cosa consista tale speciale tutela a fronte di regole generali che nei rapporti di durata consentirebbero comunque al recedente di non corrispondere i compensi per prestazioni non scadute (art.1373, comma 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando Ritenendosi, in definitiva, che la sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia debba applicarsi anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema al caso di onere specie, per giungere ad una decisione coerente con tale pronuncia, anche alla luce della prova (art. 2697 c.c.)lettura offerta dal Collegio di Coordinamento nella decisione n. 525/2019, il Collegio ritiene ricorda preliminarmente il proprio pregresso orientamento secondo il quale, in caso di estinzione anticipata di un finanziamento: a) sono rimborsabili, per la parte non provati maturata, le commissioni e gli oneri riferibili a prestazioni da svolgersi nel xxxxx xxxxx xxxxxx xxxxxx xxx xxxxxxxxx (xxxxx recurring), mentre non sono ripetibili le commissioni e gli oneri imputabili a prestazioni concernenti la fase delle trattative e della formazione dell’accordo (costi up- front); b) in assenza di una chiara ripartizione nel contratto tra oneri e costi up-front e recurring, l’intero importo di ciascuna delle suddette voci deve essere preso in considerazione al fine della individuazione della quota parte da restituire; c) la somma da restituire viene stabilita secondo un criterio proporzionale ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci è suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue; d) l’intermediario è tenuto al rimborso di tutti i fatti costi sopraindicati, incluso il premio assicurativo, calcolato anche in applicazione dei criteri previsti nelle condizioni generali di assicurazione purché resi noti ex ante (v. Collegio di Coordinamento, decisione n. 10035/2016, n. 10017/2016, n.10003/2016 e n. 6167/2014). Tale indirizzo, caratterizzato dalla distinzione tra oneri up-front e oneri recurring, va oggi rivisitato alla luce della più volte richiamata sentenza della Corte di Giustizia, 11/09/2019 causa C-383/18, secondo cui l’art. 16 della direttiva 2008/48 “deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato [...] include tutti i costi posti a fondamento carico del consumatore”, senza possibilità di operare differenziazioni; a parere della domanda Corte, l’effettività di tale diritto “risulterebbe [infatti] sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto”, considerato che, da un lato, vi può essere “il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento conclusione del contratto di leasing credito”, riducendo “al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto”; e conseguentemente assorbito l’esame che, dall’altro, è “molto difficile la determinazione, da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto”. In materia è intervenuto, come già detto, il Collegio di Coordinamento che, con la decisione n. 525/2019, ha formulato il seguente principio di diritto: “A seguito della domanda sul risarcimento sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del danno.finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up-front”. “Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Si ricorda, altresì, che la Banca d’Italia, con le “linee orientative” del 4/12/2019 - al fine di “favorire un pronto allineamento al quadro delineatosi e preservare la qualità delle relazioni con la clientela” - ha voluto fornire il seguente “punto di riferimento per gli intermediari che offrono contratti di credito ai consumatori”: “Nel caso in cui il cliente eserciti il diritto al rimborso anticipato di finanziamenti… gli intermediari sono chiamati a determinare la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. Quanto ai costi ... definiti ... up-front”, il criterio di rimborso dovrà essere “proporzionale rispetto alla durata (ad esempio, lineare oppure costo ammortizzato)”. Si evidenzia, inoltre, che secondo il Collegio di Coordinamento il sistema di calcolo pro rata, costantemente utilizzato dall’ABF, può essere preservato per quanto attiene ai costi ricorrenti e agli oneri assicurativi, mentre ritiene preferibile che “per quantificare la quota di costi up-front ripetibile [il criterio] sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la riduzione dei costi up-front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.d. curva degli interessi), come desumibile dal piano di ammortamento. Questa soluzione, pur scontando il limite di introdurre un elemento di diversificazione nel sistema di calcolo interno alle commissioni, che peraltro è già ammesso con riguardo alla retrocessione dei premi assicurativi (anch’essi di natura recurring e obbligatori per legge nei contratti di finanziamento contro cessione del quinto o della pensione) appare allo stato la più idonea a contemperare equamente gli interessi delle parti contraenti perché, mentre garantisce il diritto del consumatore a una riduzione proporzionale dei costi istantanei del finanziamento, tiene conto della loro ontologica differenza rispetto ai costi recurring e della diversa natura della controprestazione resa; essa, inoltre, trova un collegamento puntuale nel richiamo alla portata del diritto all’equa riduzione” del costo del credito, sancito nell’abrogato art.8 della Direttiva 87/102, di cui l’art.16 della Direttiva 2008/48 costituisce una più precisa consacrazione evolutiva”. Nel caso di specie, con riguardo alla classificazione degli oneri, tenuto conto della documentazione in atti, nonché degli orientamenti espressi dai Collegi, si devono ritenere di natura up-front le Spese di istruttoria, il cui rimborso è stato richiesto per entrambi i contratti. A tali costi può applicarsi il criterio equitativo adottato dal Collegio di Coordinamento (nella più volte citata decisione n. 525/19). Tenuto conto delle restituzioni già intervenute in sede di estinzione o in corso di procedimento, si ottiene quanto segue: Contratto n. ***516 Numero di pagamenti all'anno 12 Quota di rimborso pro rata temporis 58,33% Data di inizio del prestito 01/10/2014 Quota di rimborso piano ammortamento - interessi 38,44% rate pagate 50 rate residue 70 Importi Natura onere Percentuale di rimborso Importo dovuto Rimborsi già effettuati Residuo Spese di istruttoria 600,00 Upfront 38,44% 230,66 230,66 230,66

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DIRITTO. La controversia ha ad oggetto il riconoscimento del diritto della parte ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di parte dei costi del finanziamento, a seguito della avvenuta estinzione anticipata di quest’ultimo rispetto al termine convenzionalmente pattuito, dalla quale deriva, come previsto dall’articolo 125-sexies del TUB, il diritto del soggetto finanziato ad ottenere una riduzione del costo totale del credito pari all’importo degli interessi e dei costi “dovuti per la vita residua del contratto”. Preliminarmente occorre tuttavia esaminare l’eccezione preliminare sollevata dall’intermediario resistente in merito all’esistenza di una quietanza liberatoria, preclusiva della proposizione del presente ricorso. Dalla documentazione allegata dalla resistente alle proprie controdeduzioni risulta infatti che il ricorrente ha sottoscritto in data 29 maggio 2020 una “quietanza liberatoria”, nella quale dichiarava espressamente di rinunciare, a fronte delle somme quietanzate, alla corresponsione di ulteriori somme in conseguenza della estinzione anticipata del prestito. Nella decisione n. 8827/2017, il Collegio di Coordinamento si è pronunciato sulla questione concernente il valore liberatorio delle quietanze sottoscritte in occasione dell’estinzione anticipata del finanziamento e, nello statuire che la valutazione deve essere compiuta in concreto - con particolare riferimento al singolo caso - ha concluso nel senso di ritenere necessario che la dichiarazione contenga, da un lato, un preciso riferimento all’oggetto della rinuncia - vale a dire la determinazione quantitativa (ammontare) e causale (titoli delle voci non rimborsate) di ciò cui il cliente rinunciava; dall’altro, che sia espressa in termini non equivoci la volontà del dichiarante di non limitarsi a dare atto del pagamento ricevuto, ma di abdicare, con effetti estintivi, alla pretesa di ricevere le restanti somme da lui corrisposte a titolo di costi e dall’intermediario non restituite. Più recentemente, i Collegi territoriali hanno condiviso che, in generale, le quietanze liberatorie possono essere reputate quali rinunce o transazioni solo se rilasciate contestualmente o in seguito all’estinzione del finanziamento, in quanto illegittimamente percepitosolo in quel momento diviene attuale il diritto alle restituzioni degli oneri non maturati. Tanto premesso, oltre con riferimento al risarcimento caso di specie, evidenzia il Collegio che la sottoscrizione della quietanza da parte della ricorrente è avvenuta il 29 maggio 2020, in anticipo rispetto all’estinzione del finanziamento, attestata dalla liberatoria del 31 maggio 2020. In questi casi, è orientamento condiviso dei Collegi ritenere che la quietanza in oggetto non possa avere rilevanza come rinuncia/transazione in quanto sottoscritta antecedentemente al rilascio del conteggio estintivo e quindi prima che l’estinzione sia perfezionata (cfr., nello stesso senso, le decisioni ABF, Collegio di Bologna n. 22101/2019 e Collegio di Napoli, nn. 10555/2020 e 22819/2020). Venendo al merito del ricorso, la consolidata giurisprudenza dei Collegi di questo Arbitro, coerentemente con quanto stabilito peraltro dalla stessa Banca d’Italia negli indirizzi rivolti agli intermediari nel 2009 e nel 2011, ha affermato fino ad oggi che la concreta applicazione del principio di equa riduzione del costo del finanziamento determinasse la rimborsabilità delle sole voci soggette a maturazione nel tempo (cc.dd. recurring) che – a causa dell’estinzione anticipata del prestito – costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale; di contro, si è confermata la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (cc.dd. up front). Si è ugualmente consolidato l’orientamento per il quale il criterio di calcolo della somma corrispondente alla “riduzione” dei costi retrocedibili in caso di estinzione anticipata deve essere individuato nel metodo proporzionale puro, comunemente denominato pro rata temporis. In questo quadro interpretativo si inserisce la recente decisione 11 settembre 2019 nella causa C-383/18 della Corte di Giustizia Europea, e la successiva decisione 11 dicembre 2019 del Collegio di Coordinamento di questo ABF. Con domanda di pronuncia pregiudiziale in base all’articolo 267 TFUE il Giudice del Tribunale di Lublino ha chiesto alla Corte di Giustizia Europea di fornire l’esatta interpretazione dell’articolo 16, paragrafo 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sui contratti dei consumatori, che ha abrogato la precedente Direttiva 87/102 CEE del Consiglio, ed in particolare di chiarire se tale disposizione, nel prevedere che “il consumatore ha diritto di adempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte agli obblighi che gli derivano dal contratto di credito. In tal caso egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”, includa o meno tutti i danni subiti costi del credito, compresi quelli non dipendenti dalla durata del rapporto. La Corte Europea, con la già ricordata sentenza 11 settembre 2019, (c.d. sentenza LEXITOR), ha fornito risposta a tale quesito affermando che l’articolo 16 della Direttiva deve essere interpretato nel senso che “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. Il Collegio di Coordinamento di questo ABF, investito della questione dal Collegio di Palermo con ordinanza del 16 settembre 2019 in relazione alle conseguenze della citata sentenza della CGUE sulla rimborsabilità dei costi non continuativi (c.d. up front), accogliendo parzialmente il ricorso, con decisione dell’11 dicembre 2019, ha enunciato il seguente principio di diritto: “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front”. “Il criterio applicabile per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clienteriduzione dei costi istantanei, in cui mancanza di una diversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. “La ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Quanto al criterio di riduzione dei costi, il Collegio di coordinamento afferma in primo luogo la nullità di ogni clausola che, “…sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari…”, in quanto contraria a norma imperativa, nullità rilevabile d’ufficio in base al disposto degli articoli 127 TUB e 1418 c.c., clausola da ritenersi sostituita automaticamente per il disposto dell’articolo 1419, comma 2, c.c. con la norma imperativa che, già al momento della conclusione del contratto, come si descrivono i rapporti tra le partideve necessariamente concludere, per la natura dichiarativa della decisione LEXITOR, imponeva la restituzione anche dei costi up front. In particolaresecondo luogo, il Collegio di coordinamento, rilevato che, quanto alla riduzione dei costi diversi da quelli recurring, si è in uno presenza di una lacuna del regolamento contrattuale, osserva che la CGUE non impone al riguardo un criterio di riduzione comune ed unico per tutte le componenti, ma ha affermato che il metodo di calcolo utilizzabile “consiste nel prendere in considerazione la totalità dei due documenti si fa riferimento costi sopportati dal consumatore e nel ridurne poi l’importo in proporzione della durata residua del contratto”, intendendo la “totalità” non “…come sommatoria, ma come complessità delle voci di costo…”. Le parti, quindi, potranno “…declinare in modo differenziato il criterio di rimborso dei costi up front rispetto ai costi recurring, sempre che il criterio prescelto, con ciò senza escludere la facoltà di estendere il metodo pro rata, sia agevolmente comprensibile e quantificabile dal consumatore e risponda sempre ad un contratto principio di “affitto/noleggio(relativa) proporzionalità…. Tuttavia, che prevede altresì se ciò non accada, spetterà al giudicante, sempre secondo il passaggio Collegio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltrecoordinamento, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci compito di integrare il dolo regolamento contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigorosoincompleto, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infattie, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato potendosi procedere a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])tale fine in via interpretativa, ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento in relazione al contenuto del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare né in base ad una disposizione normativa suppletiva, il Collegio afferma che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente “…non resta che ne ha tratto vantaggio il ricorso alla integrazione “giudiziale” secondo equità (art. 1439, 2° comma, art.1374 c.c.). Tutto ciò A questo punto il Collegio di coordinamento, premesso che spetterà ai singoli Collegi territoriali la valutazione dei casi concreti, passa alla decisione del merito del ricorso, in relazione al quale “…ritiene peraltro che il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.c. curva degli interessi) come desumibile dal piano di ammortamento…”, concludendo che si tratta della soluzione da ritenere “…allo stato la più idonea a contemperare equamente gli interessi delle parti contraenti perché, mentre garantisce il diritto del consumatore a una riduzione proporzionale dei costi istantanei del finanziamento, tiene conto della loro ontologica differenza rispetto ai costi recurring e considerando della diversa natura della controprestazione…”, e che anche “…essa, inoltre, trova un collegamento puntuale nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (richiamo alla portata del diritto all’equa riduzione del costo del credito sancito nell’abrogato art. 2697 c.c.)8 della Direttiva 87/102, di cui l’art. 16 della Direttiva 2008/48 costituisce una più precisa consacrazione evolutiva…”. Aggiunge, infine, che “…non ricorre invece alcuna ragione per discostarsi dai consolidati orientamenti giurisprudenziali dell’Arbitro bancario per quanto attiene ai costi ricorrenti e agli oneri assicurativi…”. Questo Collegio, nel dare piena attuazione alla decisione del Collegio di Coordinamento, ed ai principi di diritto esposti nel suo dispositivo, ritiene appropriato, nel merito, in base alla sua autonoma valutazione, il criterio di calcolo adottato nel caso concreto dal Collegio di Coordinamento per la quantificazione dei costi up front da restituire, condividendo pienamente, e qui richiamando integralmente, le argomentazioni poste a fondamento di tale scelta, che individua nella previsione pattizia del conteggio degli interessi il referente normativo da utilizzare al fine di calcolare l’importo di tale restituzione in applicazione del principio di integrazione giudiziale secondo equità. Il Collegio ritiene inoltre, sempre quale principio generale di diritto, che analogo criterio debba essere utilizzato anche in relazione ai contratti stipulati antecedentemente alla Direttiva 2008/48/CE relativa al credito ai consumatori, e nel vigore della precedente direttiva 87/102 CEE. A tale riguardo, appare innanzitutto significativo l’espresso riferimento a tale Direttiva contenuto nel paragrafo 28 della sentenza LEXITOR, nel quale la Corte afferma che l’articolo 16 della nuova Direttiva ha concretizzato il diritto del consumatore ad una riduzione del costo del credito in caso di rimborso anticipato, sostituendo alla nozione generica di “equa riduzione” quella “più precisa di “riduzione del costo totale del credito” e aggiungendo che tale riduzione deve riguardare “gli interessi e i costi”, così come rilevato e confermato anche dal Collegio di coordinamento, come già riportato. A ciò si aggiunga che tale conclusione appare pienamente in accordo con l’orientamento espresso dal Collegio di coordinamento e dai Collegi ABF in merito ai principi che regolavano la materia anche prima dell’introduzione dell’articolo 125-sexies del TUB. Facendo applicazione di tali principi, rileva il Collegio come la commissione a favore dell’intermediario finanziario abbia natura mista, distinguendosi nel contratto le attività ricomprese nella quota non provati i fatti posti a fondamento ripetibile da quelle ricomprese nella quota ripetibile. Tuttavia, le più recenti posizioni condivise dai Collegi ABF hanno ritenuto che tale commissione sia da intendersi interamente recurring in quanto remunera, tra gli altri, gli oneri per le operazioni di acquisizione della domanda provvista e che per il rimborso si debba applicare il criterio pro rata temporis (cfr. le decisioni ABF, Collegio di Bologna nn. 8754/2020 e 29794/2020). E ad analoga deve giungersi quanto alle commissioni di distribuzione dalla cui descrizione emerge lo svolgimento di alcune attività di natura recurring (“pubblicità” e “presidio del territorio”) e ai costi per l’invio delle spese periodiche (già rimborsati in conteggio estintivo). In linea con il richiamato orientamento e tenuto conto dei rimborsi già effettuati in sede di estinzione in conformità alle previsioni contrattuali, deve concludersi per l’accoglimento delle richieste della ricorrente nella misura riportata nella seguente tabella: rate complessive 120 rate scadute 48 Importi Natura Rimborsi dovuti Rimborsi già effettuati Residuo rate residue 72 TAN 4,90% Denominazione % rapportata al TAN 38,48% commissioni a favore dell'intermediario finanziario - ripetibili 425,01 € Recurring 255,01 € 163,53 € 91,48 € commissioni a favore dell'intermediario finanziario - non ripe 991,69 € Recurring 595,01 € 595,01 € commissioni di restituzione distribuzione 466,56 € Recurring 279,94 € 279,94 € costo comunicazioni periodiche 22,00 € Recurring 13,20 € 13,20 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € 0,00 € Il Collegio precisa infine che, trattandosi di ricorso presentato successivamente all’entrata in vigore delle somme versate alla convenuta in adempimento nuove Disposizioni ABF, ai sensi di quanto previsto nella nota (3) di pag. 25 delle predette Disposizioni, l’importo finale contenuto nelle pronunce di accoglimento è arrotondato all’unità di euro (per eccesso se la prima cifra dopo la virgola è uguale o superiore a 5; per difetto, se la prima cifra dopo la virgola è inferiore a 5). All’accoglimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento ricorso nei termini sopra indicati consegue la corresponsione degli interessi legali dalla data del dannoreclamo al saldo.

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DIRITTO. La ricorrente allega questione dianzi riassunta e sottoposta alla decisione di essere stata vittima questo Collegio rientra in ipotesi disciplinata dall’art. 125 quinquies del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia – TUB (d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385) a norma del quale “1. Nei contratti di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientecredito collegati, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolarecaso di inadempimento da parte del fornitore dei beni o dei servizi il consumatore, dopo aver inutilmente effettuato la costituzione in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”mora del fornitore, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di ha diritto alla risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing credito, se con riferimento al contratto di fornitura di beni o servizi ricorrono le condizioni di cui all’articolo 1455 del codice civile. 2. La risoluzione del contratto di credito comporta l’obbligo del finanziatore di rimborsare al consumatore le rate già pagate, nonché ogni altro onere eventualmente applicato. La risoluzione del contratto di credito non comporta l’obbligo del consumatore di rimborsare al finanziatore l’importo che sia stato già versato al fornitore dei beni o dei servizi. Il finanziatore ha il diritto di ripetere detto importo nei confronti del fornitore stesso. …”. Il dettato della norma evoca, affinché possa pronunciarsi la risoluzione del contratto di credito al consumo, la necessaria ricorrenza, oltre che dell’avvenuta messa in mora del fornitore, della condizione di cui all’art. 1455 cod. civ. (ai sensi del quale “Il contratto non si può risolvere se l'inadempimento di una delle parti ha scarsa importanza, avuto riguardo all'interesse dell'altra”) ossia la gravità dell’inadempimento. In proposito, può dirsi che certamente ricorre la prima delle condizioni richieste, poiché il ricorrente ha dato prova di aver inutilmente messo in mora il debitore. Riguardo alla seconda condizione richiesta - ossia l’accertamento circa la gravità dell’inadempimento ed anzi ancor prima l’accertamento circa la stessa ricorrenza di un inadempimento del fornitore - deve ricordarsi che la natura strettamente documentale del procedimento che si svolge innanzi a questo Arbitro implica che sia preclusa l’esperibilità di mezzi istruttori quali, per tutti, la Consulenza Tecnica. Ne consegue che ai fini della pronuncia sulla risoluzione del contratto di finanziamento la gravità dell’inadempimento del fornitore deve essere agevolmente rilevabile dai documenti versati agli atti del procedimento e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento quindi la ricorrenza delle condizioni per la risoluzione del dannocollegato contratto di fornitura. In proposito vi è da osservare che è tutt’altro che chiaramente dimostrato, nell’ambito del presente procedimento, l’inadempimento del fornitore.

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DIRITTO. La In via preliminare, il Collegio, atteso un tenore non del tutto perspicuo delle domande formulate dalla ricorrente, per altro assistita da un procuratore, deve scrutinare le eccezioni formulate dall’intermediario in merito alla stessa ammissibilità del ricorso per indeterminatezza della domanda e per il carattere consulenziale dell’attività richiesta all’Arbitro. Su tali questioni vanno tenuti presenti i pronunciamenti già da tempo resi dal Collegio di Xxxxxxxxxxxxx, nella decisione n. 10929/2016, secondo i quali, premesso che «il ricorrente allega è tenuto a formulare una domanda che sia articolata nel petitum (il provvedimento o il bene della vita richiesto) e nella causa petendi (la situazione giuridica giustificatrice della domanda) e a produrre la documentazione dimostrativa», non di essere stata vittima meno, «l’arbitro ha il potere – dovere di interpretare la domanda, nel senso di enucleare tutte le possibili implicazioni che vi sono contenute. Tale attività si rivela tanto più opportuna in una procedura che non prevede l’assistenza professionale … Ma si tratta di un raggiro messo potere – dovere che non può esorbitare dai limiti dell’interpretazione (cioè della decrittazione della volontà del ricorrente) per estendersi ad una interpretazione “integrativa” o “additiva”, nel senso di esaminare situazioni di fatto non ricavabili dal tenore della domanda». Ciò posto, può osservarsi che, sebbene sia indubitabile che la lagnanza fatta valere dalla ricorrente in atto merito alla corresponsione di un costo non computato nel TAEG, sia stata correlata, in modo evidentemente non del tutto appropriato, ad una contestazione di usurarietà del contratto (ribadita anche in sede di repliche) che certamente, come tale, non sarebbe suscettibile di scrutinio nel merito in quanto meramente affermata dalla ricorrente e comportante, in mancanza di elementi forniti a supporto, lo svolgimento da un rappresentante parte dell’Arbitro di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticouna inammissibile attività di carattere ‘consulenziale’, cionondimeno, ed indipendentemente dalla formulazione della domanda, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinaripetitum e la causa petendi appaiono determinabili, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltreconcernendo, il contratto di leasing stipulato con la convenutaprimo (così come formulato nel ricorso), recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettivaimporti – quelli corrisposti a titolo di commissione anticipo contante che, si segnala che le Disposizioni sui sistemi in quanto non inclusi nel TAEG, risulterebbero giocoforza corrisposti “in aggiunta” alla misura di risoluzione stragiudiziale delle controversie quest’ultimo indicata in materia di operazioni contratto – e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011)trovando, Sez. Ila seconda, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse fondamento nella sopportazione di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché onere non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento raffigurato nello stesso TAEG del contratto di leasing credito revolving e conseguentemente assorbito l’esame nelle conseguenze che per legge ne dovrebbero derivare (pur nei limiti della domanda sul risarcimento siccome proposta dalla ricorrente). A riguardo poi delle “indicazioni” fornite dalla ricorrente con le proprie repliche, rileva il Collegio che la richiesta relativa all’accertamento della vessatorietà della clausola concernente la commissione di anticipo contanti e la domanda di restituzione di «tutti gli interessi, gli oneri e le commissioni eccedenti il tasso nominale minimo dei buoni del dannotesoro annuali», risultano introdotte per la prima volta in sede di repliche, mentre erano assenti nel reclamo prodromico al presente ricorso.

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DIRITTO. La ricorrente allega Prima di essere stata vittima esaminare nel merito la questione all’origine della presente controversia, pare opportuno sintetizzare alcuni aspetti di particolare rilievo ai fini della decisione. Va, anzitutto, rilevato che non risulta prodotta agli atti la documentazione contrattuale, essendo stato offerto in visione un raggiro messo solo documento, sottoscritto unicamente dall’intermediario, denominato “principali clausole contrattuali caratterizzanti la locazione finanziaria dei beni strumentali”. Da tale scritto risulterebbe un «divieto di cessione del contratto», in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il ragione del quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato «l’utilizzatore non potrà cedere il contratto di leasing locazione finanziaria. né locare o cedere in questione per circa due annicomodato o sotto qualsiasi forma, versando anche parzialmente, il bene a terzi, senza il preventivo consenso del concedente, il quale, di contro, è autorizzato a cedere i canoni previstidiritti derivanti dal contratto, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]nonché quelli assicurativi». A suffragio della propria ricostruzioneNella replica del 29 novembre 2011, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clienteha affermato che, in cui data 19 novembre 2009, il funzionario della banca avrebbe anch’esso sottoscritto la “comunicazione di cessione fabbricato” e da tale circostanza desumerebbe «che l’atto di cessione sia perfezionato»; tale affermazione è in netto contrasto con quella contenuta nella “domanda di ammissione al passivo” del fallimento della società cedente (datata 11 maggio 2010), ove la società ricorrente sostiene esattamente il contrario, ovvero che la cessione dei contratti di leasing non si descrivono è mai perfezionata. Infine, va osservato che nel documento di sintesi versato in atti, privo di data, l’odierna ricorrente viene qualificata quale «utilizzatore» del bene locato, come se la cessione si fosse, invero, perfezionata. Le osservazioni che precedono rendono evidente come gli indizi offerti siano tra loro non poco contrastanti, circostanza, quest’ultima, che comporta necessariamente che questo Collegio debba dare prevalenza agli uni piuttosto che agli altri; tutto ciò, ovviamente, tenendo anche nel debito conto quanto affermato dalla Suprema Corte in tema di cessione del contratto, ovvero che «nell’ipotesi di cessione del contratto, rispetto alla quale il consenso del contraente ceduto può derivare anche da un comportamento tacito concludente, si realizza una successione a titolo particolare nel rapporto giuridico contrattuale, mediante la sostituzione del nuovo soggetto cessionario nella posizione giuridica attiva e passiva dell’originario contraente cedente, il che comporta anche il trasferimento del vincolo nascente dalla clausola con la quale le parti originarie abbiano validamente stabilito che le controversie insorgenti dal contratto fossero attribuite alla giurisdizione del giudice straniero» (così, testualmente, Cass., S.U., 20 novembre 2007, n. 24004, nonché Cass., 15 marzo 2004, n. 5244, secondo la quale «la cessione del contratto si configura essere contratto plurilaterale, che si perfeziona quando il proponente (o i rapporti proponenti, nel caso di proposta comune tra le cedente e cessionario) ha notizia dell’accettazione dell’ultimo dei due destinatari, assumendo pertanto imprescindibile rilievo al riguardo (pure) il consenso del contraente ceduto, che, così come quello delle altre parti. In particolare, può essere espresso anche tacitamente (salvo che per il contratto ceduto siano richiesti particolari requisiti di forma, in uno tal caso da osservarsi anche per la cessione del contratto, e, quindi, anche da parte del ceduto medesimo), pure successivamente (ma sempre che non sia venuto meno) all’accordo tra cedente e cessionario»). Ora, ritiene questo Collegio che, tra i diversi indici tra loro contrastanti, debba prevalere l’affermazione – avente carattere confessorio – della società odierna ricorrente, secondo la quale la cessione dei due documenti contratti de quibus non si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”è mai perfezionata. Ne deriva conseguentemente l’infondatezza delle istanze proposte con il ricorso all’origine del presente procedimento, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranovanno, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.crigettate., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Come detto, la società ricorrente si duole essenzialmente del fatto che l’intermediario avrebbe applicato (i) commissioni non dovute e (ii) chiesto indebitamente il rimborso delle spese legali sostenute per il recupero del credito ceduto, spese che sarebbero invece già coperte dal corrispettivo contrattualmente pattuito. La ricorrente allega prima doglianza, relativa al supposto carattere indebito della commissione “plus factoring” si presenta priva di essere stata vittima fondamento. Nel caso di specie è documentalmente attestato come le parti abbiano espressamente pattuito che sulla somma anticipata si sarebbe dovuta conteggiare, oltre quella base del 2,3%, una commissione aggiuntiva dello 0,30% a partire dal centottantesimo giorno successivo alla stipula del negozio di cessione; la commissione risulta dunque legittimamente applicata, ed anche correttamente calcolata. Né d’altra parte sembra potersi andare in contrario avviso per il solo fatto che l’intermediario ne abbia, erroneamente, omesso la rendicontazione, cogliendo nel segno il rilievo del resistente per cui tale errore, pur se si è tradotto in un deficit di trasparenza sull’andamento del rapporto e sul costo finale dell’anticipazione, non può di per sé bastare a far decadere l’intermediario dall’esercizio di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa diritto che commercializza macchinari per uso esteticoha precisa e chiara fonte nel contratto, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con della cui esistenza d’altronde non è immaginabile che la società di leasing [ZZ]non si fosse avveduta. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataFondata appare, invece, un’opzione la seconda doglianza avanzata dalla società, là dove lamenta il carattere indebito della richiesta di acquisto dei macchinari rimborso delle spese legali sostenute dal cessionario per il recupero del credito. Sotto questo profilo osserva il Collegio, per un verso, che essendo la funzione del factoring proprio quella di esternalizzare, affidandole al factor, le fasi della gestione e del recupero del credito è coerente, in via di principio, che il corrispettivo pattuito per il servizio, quando determinato in una misura percentuale pari all’ammontare del credito ceduto, vada a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo remunerare il servizio nel suo insieme, e dunque sia determinato, salva diversa contraria ed espressa pattuizione, già tenendo conto anche delle eventuali spese sostenute per lo svolgimento di provatale attività. Produce, inoltre, il contratto D’altra parte a queste considerazioni di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio ordine generale deve aggiungersi che nel caso di specie l’interpretazione delle clausole del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo depone chiaramente nel senso che le spese per le attività legali di eventuale recupero del credito erano assorbite nella conclusione dei contratti (artcommissione c.d. 1439 c.c.) ebase. Dirimente appare, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatesotto questo profilo, la domanda non può che essere interpretata pattuizione dell’art. 4 della scrittura integrativa se letta (come richiesta del resto impongono i generali principi di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare ermeneutica contrattuale) in connessione con il disposto dell’art. 8 della medesima: la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrentecircostanza, infatti, che le parti abbiano espressamente pattuito - a fronte dell’attribuzione al factor non lo qualifica solo della gestione amministrativa del credito ceduto, ma anche del potere di procedere al suo incasso e di promuovere le azioni giudiziarie necessarie per il recupero - che «la commissione del 2,3% sul valore nominale del credito (..) è da intendersi quale importo spettante al cessionario per la gestione del credito e per tutte le attività connesse», non lascia adito a dubbi sul fatto che in tale ambito fossero, per espressa volontà delle parti, ricomprese anche quelle giudiziarie strumentali all’incasso del medesimo. Quanto precede sembra obiettivamente assorbente. Né a diversa conclusione si può giungere evocando – come rappresentante vorrebbe il resistente – la disposizione dettata dall’art. 1267 c.c. Il richiamo alla norma del codice civile – che prevede che quando il cedente abbia garantito la solvenza, il cedente oltre a rispondere nei limiti di quanto ricevuto deve anche rimborsare al cessionario le spese sostenute per escutere il debitore ceduto – non è, all’evidenza, pertinente nel caso di specie. Gli è che il naturale ambito di operatività della società disposizione è rappresentato dal fatto che il cessionario debba attivare la garanzia in conseguenza dell’insolvenza del debitore ceduto, ossia dal caso in cui quest’ultimo non paghi. Solo in questa evenienza si giustifica, infatti, che il cedente debba tenere indenne il cessionario delle spese sostenute per le attività volte all’escussione, appunto perché in caso di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi insolvenza queste sono inutilmente sopportate; l’applicazione della disposizione non troverebbe, invece, alcuna giustificazione nell’ipotesi in cui il debitore ceduto, sia pure a seguito di un suo mero procacciatore d’affari azione giudiziaria di recupero, paghi, appunto perché in questo caso il cessionario soddisfa attraverso l’incasso del credito un interesse esclusivamente proprio (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])come del resto nota, ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)seppure ad altro fine, il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente resistente, il cessionario è il titolare del credito, sicché le attività per il recupero, in caso di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento incasso del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannocredito, sono svolte nell’interesse proprio).

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DIRITTO. La Il Collegio è chiamato preliminarmente ad esaminare l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dall’intermediario convenuto. Sul punto occorre rilevare, in primo luogo, che il reclamo della parte ricorrente allega è stato indirizzato all’intermediario non convenuto con il quale è stato stipulato il contratto di essere stata vittima pegno oggetto della controversia. Tale reclamo, tuttavia, è stato riscontrato, come emerge dagli atti versati nel procedimento, dall’intermediario convenuto che, peraltro, sul punto nulla ha rilevato. È evidente, pertanto, che tale circostanza abbia ingenerato una situazione di apparenza con conseguente affidamento della parte ricorrente sulla circostanza che il soggetto legittimato passivo del ricorso fosse l’intermediario che, pur non essendo il destinatario del reclamo, aveva dato a questo riscontro. A ciò si aggiunga, per un raggiro messo in atto da un rappresentante verso, l’appartenenza di un’impresa che commercializza macchinari entrambi i soggetti al medesimo gruppo bancario; per uso esteticoaltro verso, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato collegamento funzionale corrente tra il contratto di leasing in questione garantito e quello di concessione del pegno; per circa due annialtro verso ancora, versando i canoni previstila natura del procedimento dinanzi all’ABF. L’eccezione di difetto di legittimazione passiva, ne rileva ora quindi, non merita accoglimento. Venendo al merito della controversia, il Collegio reputa opportuno muovere dal dato testuale del contratto costitutivo di pegno su titoli e, segnatamente, dall’art. 6 che sotto la rubrica nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione Realizzazione del pegno” dispone che “[…] In caso di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice inadempimento delle obbligazioni garantite [YYl’intermediario garantito], legittimato dalla società senza pregiudizi per qualsiasi altro suo diritto od azione, può far vendere, con preavviso, dato in forma scritta, di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione3 giorni – anche ove il costituente sia un soggetto diverso dal debitore – in tutto o in parte ed anche in più riprese, la ricorrente produce due moduli contrattualicon o senza incanto, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientei titoli costituiti in pegno a mezzo intermediari autorizzati o di altra persona autorizzata a tali atti, ovvero, in mancanza, di ufficiale giudiziario. […] sul prezzo netto ricavato [l’intermediario garantito] si rimborsa di ogni suo credito per capitale, interessi, spese, imposte, tasse e ogni altro accessorio, sempre fermo quanto disposto dall’art. 6 […]”. Ebbene, facendo corretto uso dei canoni ermeneutici in materia contrattuale codificati dagli artt. 1362 ss. cod. civ. e valorizzando non solo il testo, ma anche il contesto del dato negoziale non pare corretto attingere alla conclusione che nel caso di specie sia configurabile un patto commissorio e, conseguentemente, se ne debba affermare la sua invalidità. È ormai consolidato l’orientamento della giustizia ordinaria e dell’ABF secondo il quale il divieto di patto commissorio trova principale fondamento nell’esigenza di tutelare il debitore da eccessive pressioni del creditore, come avviene ogni volta in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolareil trasferimento del bene sia rimesso alla discrezionalità di questi, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”particolare per quanto concerne l’entità del corrispettivo, che prevede altresì senza assicurare la necessaria proporzionalità tra il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari valore del bene così costituito in garanzia e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localel’ammontare del credito garantito. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. ProduceLa giurisprudenza è, inoltre, ferma nel ritenere nullo qualsiasi negozio, quale che ne sia la forma, che venga impiegato per conseguire il contratto risultato dell’illecita coercizione del debitore da parte del creditore, come accade ogni volta in cui sia ravvisabile un nesso funzionale diretto tra l’obbligazione garantita e il negozio stesso, mentre, come ugualmente noto, non integra il divieto di leasing stipulato cui all’art. 2744 cod. civ. l’analogo accordo in cui sia però incluso il c.d. “patto marciano”, in forza del quale la vendita del bene, al fine di soddisfare il creditore, deve effettuarsi al valore stimato da un terzo scelto di comune accordo tra le parti e con la convenutaobbligo di versamento dell’eventuale eccedenza al soggetto (già) debitore (cfr., recante la firma della stessa ricorrente in tutte tra le sue partitante, Xxxx. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) 9 maggio 2013 n. 10986 e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”per la giurisprudenza dell’ABF, dall’insieme delle allegazioni formulateCollegio di Roma, la domanda non può che essere interpretata come richiesta decisione n. 3724/2013). Nel caso di “annullamento” del contratto per vizio del consensospecie, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettivain primo luogo, si segnala deve rilevare che le Disposizioni sui sistemi il contenuto di risoluzione stragiudiziale significato del dato negoziale deve essere ricostruito nel senso che in caso di escussione del pegno la vendita dei titoli debba essere eseguita con modalità che precludono di configurare la diretta acquisizione della loro titolarità in capo al creditore garantito e, soprattutto, permettono al debitore di ottenere l’eventuale residuo del ricavato dopo la soddisfazione delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sezragioni creditorie. I, § 4, 2° comma, stabiliscono A ciò si aggiunga che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è alcuna sproporzione tra il valore dei titoli concessi in atti pegno e il credito garantito che, anzi, si presenta, originariamente, di importo inferiore a quello della garanzia. Neppure condivisibile è l’argomento della parte ricorrente che, focalizzando l’attenzione solo sulla frase “può far vendere”, inferisce da ciò la prova conclusione che le modalità di vendita dei raggiri titoli descritte dal contratto siano alternative all’acquisizione diretta degli stessi da parte del creditore e che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere scelta sia rimessa alla discrezionalità di quest’ultimo. Piuttosto, coglie nel segno la ricostruzione semantica dell’intermediario resistente che si trattasse vi individua, semplicemente, la possibilità o meno di escutere la garanzia; come, peraltro, avvenuto nel caso di specie in cui, nonostante l’esistenza della posizione debitoria, l’intermediario garantito non ha provveduto ad avvalersi della garanzia reale, auspicando un contratto di affitto/noleggioripianamento del debito. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]Quanto sopra esposto, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltrerichiamato l’orientamento giurisprudenziale sopra citato, nel caso di specie è configurabile non un patto commissorio, bensì un patto marciano la cui validità non può essere messa in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento discussione con conseguente rigetto del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cricorso.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Con il primo motivo di doglianza la ricorrente lamenta la mancata indicazione del TAEG/ISC nel contratto, e quindi l’indeterminatezza del tasso pattuito, con conseguente sostituzione, ex art. 117, comma 7, del TUB, del tasso convenuto con il tasso minimo dei BOT mensili, emessi nei dodici mesi precedenti la conclusione del contratto e restituzione delle somme indebitamente corrisposte. Ai sensi delle Disposizioni della Banca d’Italia sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari applicabili all’epoca della conclusione del contratto de quo (provvedimento del 29.7.2009) ed in particolare del paragrafo 8 “Indicatore sintetico di costo”, punto 8 “Finanziamenti”, “Il foglio informativo e il documento di sintesi riportano un indicatore sintetico di costo denominato “Tasso Annuo Effettivo Globale” (TAEG) quando riguardano le seguenti categorie di operazioni indicate nell'Allegato alla delibera del CICR del 4 marzo 2003: mutui; anticipazioni bancarie; altri finanziamenti; aperture in conto corrente offerte a clienti al dettaglio. Il TAEG è calcolato secondo quanto previsto dalla disciplina in materia di credito per i consumatori (Sezione VII, paragrafo 4.2.4 e Allegato 5B)”. Dalle succitate disposizioni si desume che le norme di trasparenza estendono il metodo di calcolo del TAEG, previsto per i rapporti di credito con i consumatori, solo ad alcuni rapporti di credito instaurati con soggetti che non abbiano, come nel caso di specie, tale natura. Si tratta pertanto di verificare se le operazioni di leasing finanziario, qual è quella oggetto della presente controversia, siano comprese nell’ambito della predetta disposizione e nello specifico in una delle categorie di operazioni previste ai fini dell’indicazione dell’ISC con le modalità di calcolo previste per il TAEG nei contratti di credito ai consumatori. Escluse le categorie di finanziamenti specificatamente individuate (mutui e anticipazioni bancarie oltreché aperture in conto corrente) che sono chiaramente estranee alla natura delle operazioni di leasing finanziario, si tratta in sostanza di valutare se la categoria “altri finanziamenti” includa, nella sua formulazione di ordine generale, le operazioni in parola. Come affermato dal Collegio di Milano (dec. 4974/2015) “ la riconducibilità … alla categoria residuale degli “altri finanziamenti” è da negarsi in ragione del chiaro enunciato di cui al § 1 della … Sez. II delle Norme di Trasparenza, là dove, nell’individuare l’ambito applicativo della materia, la disposizione elenca i seguenti servizi e operazioni: “depositi; certificati di deposito (secondo quanto previsto dalla sezione I); finanziamenti (mutui; aperture di credito; anticipazioni bancarie; crediti di firma; sconti di portafoglio; leasing finanziario; factoring; altri finanziamenti) che non configurano operazioni di credito ai consumatori ai sensi della sezione VII”. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticodisposizione distingue con estremo nitore, nell’insieme dei finanziamenti, il quale le avrebbe prospettato un contratto leasing finanziario dagli “altri finanziamenti” con ciò precludendo l’ascrivibilità del primo alla categoria residuale in parola. Ne consegue che l’estensione della metodologia di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato calcolo del TAEG all’ISC non investe il contratto di leasing finanziario il cui ISC verrà conteggiato secondo i criteri suoi propri e non già secondo quelli che conducono alla formazione del TAEG in questione ragione della carenza dell’estensione metodologica per circa due annisiffatta tipologia di finanziamento. […]”. In sostanza il costo dell’operazione in parola risulta sufficientemente determinato attraverso l’indicazione del “tasso leasing” iniziale, versando calcolato secondo i canoni previsticriteri di attualizzazione dei flussi previsti dalle pertinenti disposizioni di vigilanza, ne rileva ora e del relativo parametro finanziario di indicizzazione. Quanto alla prima doglianza il ricorso è pertanto infondato. Con il secondo motivo di doglianza la ricorrente, ribadendo quanto già contenuto nel reclamo, lamenta il superamento del nullità”tasso soglia” da parte del tasso di mora e chiede pertanto, chiedendo previa dichiarazione di nullità della relativa clausola, la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepitoogni somma e/o compenso corrisposto a seguito del ritardo nel pagamento delle rate del finanziamento, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY]ai sensi dell'art. 644 c.p. e dell’art. 1815 c.c., legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localesecondo comma. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione caso di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltrespecie, il contratto di leasing stipulato con la convenutafinanziario fissa il tasso corrispettivo (tasso interno di attualizzazione) al 5,44% (indicizzato all’Euribor a 3 mesi) e il tasso di mora in misura pari all’Euribor a 3 mesi maggiorato di 10 punti percentuali. E’ inoltre prevista, recante la firma della stessa ricorrente quale ulteriore voce di costo in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatecaso di ritardo nei pagamenti, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” corresponsione del contratto 15% degli importi insoluti, per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di menoil relativo incasso, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamentotramite intervento di agenzie esterne specializzate. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che Secondo la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]il “tasso soglia” vigente nel primo trimestre del 2010 era pari al 9,84%, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera come data di stipula il 19.1.2010; quello vigente nel secondo trimestre del 2010, l’8,325%, se si considera come data di stipula il 13.5.2010: entrambi i livelli del “tasso soglia” sono inferiori al tasso di mora. Ciò detto occorre peraltro rilevare che la stessa ricorrente il Collegio di coordinamento ha prodotto affrontato in atti un contratto generale il tema dell’usurarietà degli interessi moratori (anche a seguito di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione alcune pronunce della Corte costituzionale e nel testo della Suprema Corte di Cassazione) pervenendo alla conclusione che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciutadeve escludersi l’estensione agli interessi di mora della disciplina riguardante l’usura. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle partiNella decisione n. 1875/2014 (cfr. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] p. 14 e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentantess. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.cui si fa rinvio), il Collegio ritiene ha precisato, in particolare, che: “il punto è comunque risolto dal diritto positivo, posto che l’art. 1224 c.c. indica con chiarezza la specifica funzione degli interessi moratori e la loro radicale differenza rispetto agli interessi corrispettivi. Pertanto alla luce dei dati positivi e della loro ratio la tesi della equivalenza tra interessi moratori ed interessi corrispettivi emerge come insostenibile”. Da ciò il Collegio ha fatto conseguire la non provati configurabilità degli interessi di mora come “usurari”, in quanto “non possono essere assoggettati alla disciplina relativa agli interessi usurari elementi di costo del credito che non siano contemplati nel calcolo dei tassi soglia” (cfr. dec. cit., pp. 16 e 18). Quanto sopra non vuol dire, come anche recentemente affermato da questo stesso Xxxxxxxx (cfr. dec. 8392/2015), che tale conclusione equivalga a sottrarre gli interessi moratori da qualsivoglia vaglio di legittimità, dovendosi avere riguardo, trattandosi nel caso di specie di un contratto stipulato con un soggetto non consumatore, al potere officioso del giudice di ridurre, ai sensi dell’art. 1384 c.c., il tasso convenzionale degli interessi moratori ove manifestamente eccessivo (cfr. sempre Coll. di Coord. Dec. 1875/2014). Nella predetta decisione il Collegio di Xxxxxxxxxxxxx ha affermato che la mancata disponibilità, da parte del Collegio medesimo, di parametri di giudizio sufficienti per pronunciarsi circa l’eccessività degli interessi moratori pattuiti non pregiudica l'esercizio officioso del potere del giudicante, il cui potere di controllo è ad esso attribuito non nell'interesse della parte, ma nell'interesse dell'ordinamento, per evitare che l'autonomia contrattuale travalichi i fatti posti limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti appare meritevole di tutela. Il Collegio di Coordinamento è consapevole che, in caso di ritardato pagamento, la maggiorazione stabilita contrattualmente rispetto agli interessi corrispettivi, secondo quanto rilevato nel 2001 dalla Banca d’Italia, era mediamente pari a fondamento 2,1 punti percentuali. Ritiene peraltro che quanto all’epoca rilevato costituisca un dato non sufficiente ai fini della domanda individuazione di un tasso soglia applicabile anche agli interessi moratori che può, invece, fornire indicazioni concorrenti con altre al fine di formare nel giudicante il razionale convincimento della eccessività della misura degli interessi moratori pattuiti. Afferma inoltre il Collegio che “… sia la valutazione di sproporzione sia la misura della susseguente riduzione non può prescindere dal rapporto quantitativo intercorrente tra i tassi corrispettivi e quelli moratori convenzionalmente predefiniti. Infatti benché i due tipi di tassi siano assai diversi tra loro per natura e funzioni, tuttavia entrambi incorporano la stima del sacrificio che il prestatore accetta di subire per trasferire una somma di denaro dalla propria sfera patrimoniale nella sfera di disponibilità altrui. Ne discende che … la elisione di ogni rapporto di proporzionalità comporta conseguenze inaccettabili perché contraddittorie con la premessa già assunta circa l’applicabilità del disposto dell’art. 1384 c.c. ai tassi moratori e che … la riduzione degli interessi moratori si impone quando la funzione assegnata alla misura pattizia degli interessi moratori sia completamente scollegata dalla stima del sacrificio illecitamente imposto al prestatore di denaro per assumere quella di atterrire il debitore. […]” Alla luce di quanto detto, occorre raffrontare la misura del tasso del leasing, indicizzato all’Euribor a 3 mesi, pari al 5,44% all’atto della stipula del finanziamento, e la misura del tasso di mora (pari al tasso Euribor a 3 mesi maggiorato di 10 punti percentuali, quale risultante dalla relativa previsione contrattuale che non coincide con quella citata dalla ricorrente nel ricorso, secondo cui la maggiorazione sarebbe di restituzione delle somme versate alla convenuta 8 punti percentuali). Non risulta dalla documentazione in adempimento atti quando si siano verificati i ritardi dei pagamenti che hanno cagionato, a carico della ricorrente, l’applicazione degli interessi di mora e di cui si chiede la restituzione. Da una semplice verifica dell’andamento del tasso Euribor a tre mesi dall’epoca di conclusione del contratto di leasing a quella del ricorso può notarsi come nel periodo considerato tale tasso dall’iniziale 0,65 circa abbia raggiunto una punta di circa 1,60% nella seconda metà del 2011 per poi discendere considerevolmente attestandosi dalla seconda metà del 2012 a un livello poco superiore allo zero fino a raggiungere livelli negativi. In base alla comparazione dei livelli del tasso corrispettivo e conseguentemente assorbito l’esame di quello del tasso di mora, cui vanno aggiunte le ulteriori componenti di costo a carico del finanziato in caso di ritardo nei pagamenti e nello specifico il pagamento del 15% degli importi insoluti per il relativo incasso, quanto pattuito in caso di ritardati pagamenti risulta manifestamente eccessivo. Ai sensi dell’art. 1384 c.c. si ritiene equa la riduzione del tasso di mora ad un saggio pari a quello del tasso leasing dell’operazione de quo aumentato di 2,1 punti percentuali, incremento che rappresenta, nella citata rilevazione della domanda Banca d’Italia, la maggiorazione mediamente applicata ai tassi corrispettivi in caso di ritardo nei pagamenti. Da ciò discende l’obbligo di restituzione alla ricorrente di quanto percepito in eccesso, a tale titolo. Con la terza ed ultima doglianza la ricorrente richiede che, accertati la mancata consegna del contratto in originale ed il mancato adempimento delle comunicazioni di trasparenza, siano assunti i provvedimenti ritenuti più opportuni. Si osserva a riguardo che la documentazione contrattuale, sottoscritta a nome della resistente seppur priva di data in calce, risulta allegata al ricorso. L’esatta data di stipula (19.1.2010 ovvero 13.5.2010 come può alternativamente desumersi dal testo del contratto) non è oggetto di contestazione né appare rilevante ai fini della decisione sul risarcimento ricorso. Quanto all’invio delle comunicazioni periodiche previste dalla normativa in tema di trasparenza non risulta alcuna evidenza fornita a riguardo dalla resistente. Tuttavia la richiesta di un accertamento finalizzato all’assunzione dei “provvedimenti ritenuti più opportuni” appare implicare, se del dannocaso, l’espletamento di un’attività finalizzata all’irrogazione di sanzioni che esula dalla competenza dell’Arbitro.

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DIRITTO. La ricorrente allega MOTIVI DELLA DECISIONE Con la prima doglianza, deducendo la violazione e la falsa applicazione dei canoni legali di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoermeneutica e degli artt. 1939, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari1945 e 1952 c.c., liberamente risolvibile senza penalexxxxxx l'omessa, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole insufficiente e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzionecontraddittoria motivazione, la ricorrente produce due moduli contrattualiha censurato la sentenza impugnata per aver la Corte di Appello violato i canoni di ermeneutica che, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientese fossero stati correttamente applicati, in cui si descrivono avrebbero portato a qualificare i rapporti patti di riacquisto intercorsi tra le partiparti come garanzia autonoma. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue partiE ciò, senza considerare che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle partiaveva omesso qualsiasi motivazione sul perchè avesse ritenuto di qualificare il patto di riacquisto come fideiussione anzichè come garanzia autonoma. La ricorrentedoglianza in entrambi i profili merita attenzione. A riguardo, infatticorre l'obbligo di sottolineare preliminarmente che, non lo qualifica come rappresentante della società ha già avuto modo di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di statuire questa Corte con un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])orientamento, ma non di un suo rappresentante. In tal casocui questo Collegio intende aderire, ai fini dell’annullamento "l'interpretazione del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare dal punto di vista strutturale, si collega anche alla sua qualificazione e la relativa complessa operazione ermeneutica si articola in tre distinte fasi: a) la prima consiste nella ricerca della comune volontà dei contraenti; b) la seconda risiede nella individuazione del modello della fattispecie legale; c) l'ultima è riconducibile al giudizio di rilevanza giuridica qualificante gli elementi di fatto concretamente accertati. Le ultime due fasi, che gli asseriti raggiri siano stati noti sono le sole che si risolvono nell'applicazione di norme di diritto, possono essere liberamente censurate in sede di legittimità, mentre la prima - che configura un tipo di accertamento che è riservato al contraente giudice di merito, poichè si traduce in un'indagine di fatto a lui affidata in via esclusiva - è normalmente incensurabile nella suddetta sede, salvo che ne ha tratto vantaggio nelle ipotesi di motivazione inadeguata o di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, così come previsti nell'art. 1362 x.x. x xx. (artXxxx. 1439, 2° comma, c.cx. 00000/00).). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega Il ricorso è fondato e meritevole di essere stata vittima accolto poiché la docente vanta un interesse endoprocedimentale ad accedere alla documentazione richiesta, previsto e tutelato dagli artt. 7 e 10 della Legge 241/’90, con riferimento al procedimento di formazione della graduatoria, nella quale la medesima risulta inserita. Come correttamente eccepito dalla legale della ricorrente il solo fatto della presenza in graduatoria legittima ipso iure la docente a richiedere tutti gli atti relativi alla stessa. Appare ulteriormente illegittimo il rigetto dell’istanza, da parte della amministrazione adita, fondato sulla mera presentazione di opposizione da parte del docente cui i documenti richiesti in ostensione si riferiscono: l’amministrazione adita, pur in presenza di opposizione, deve procedere ad una comparazione dei contrapposti interessi coinvolti, operandone il bilanciamento secondo i criteri posti dalla Legge. Nel caso di specie si osserva, poi, i documenti richiesti in ostensione non attengono alla sfera di riservatezza del terzo – il quale, con riferimento agli stessi ed alla procedura comparativa che coinvolge i docenti, non dovrebbe invero neppure considerarsi controinteressato in senso tecnico – ed il diritto d’accesso deve certamente considerarsi prevalente. Si osserva inoltre che l’opposizione del controinteressato presentata alla Commissione non si fonda sulla deduzione di un raggiro messo interesse da tutelare in atto da un rappresentante via prevalente ed in grado di un’impresa fare recedere lo speculare diritto di accesso della richiedente, limitandosi ad eccepire la non fondatezza della pretesa ostensiva. La docente ha il pieno diritto di verificare la correttezza della formazione della graduatoria e l’effettivo possesso dei requisiti dichiarati in capo al docente che commercializza macchinari la precede nella stessa, avendo peraltro rilevato uno spostamento (ritenuto anomalo) verso l’alto del docente rispetto alla precedente graduatoria. L’amministrazione adita dovrà pertanto consentire accesso a tutta la documentazione richiesta e ciò anche per uso esteticol’eventuale esercizio diritto del diritto di difesa della richiedente. La Commissione ritiene di dover censurare anche l’operato dell’USP ….., il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing adito in prima battuta dalla ricorrente con la società medesima istanza d’accesso. Come emerge dalla documentazione allegata al ricorso, l’USP ha dapprima fatto sostenere alla richiedente il costo della notifica al controinteressato e una volta perfezionata tale procedura – pur in assenza di leasing [ZZ]opposizione - ha emesso un ulteriore provvedimento nel quale eccepiva il difetto di qualsivoglia interesse della docente all’accesso richiesto (!), rendendo quindi vana l’avvenuta notifica con relativa esazione. La ricorrentedocente ha dovuto, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione quindi, iniziare un nuovo procedimento d’accesso presso l’Istituto ….., che illegittimamente lo negava, trovandosi oggi a dover ricorrere alla Commissione per circa due anniottenere, versando i canoni previstifinalmente, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti accesso a documenti - pienamente accessibili dalla stessa - richiesti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché prima volta nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.…..

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DIRITTO. La ricorrente allega Nota il Collegio che, secondo un orientamento ormai consolidato, il ius variandi riconosciuto agli intermediari – ancorché l’art. 118, comma 2, del D.Lgs. n. 385/1993preveda la formula “proposta di essere stata vittima modifica unilaterale del contratto” – configura un diritto potestativo, che attribuisce il potere di modificare la sfera giuridica della controparte, indipendentemente dall’accettazione o del rifiuto di quest’ultima. Gli effetti sono risolutivamente condizionati all’esercizio del recesso, potere riconosciuto in capo al cliente che subisca la modifica, in senso a sé sfavorevole, delle condizioni contrattuali. Va ricordato che il nuovo testo dell’art. 118 del D.Lgs. n. 385/1993 – risolvendo problemi di coordinamento tra la disciplina dei contratti bancari e il Codice del consumo – richiede espressamente l’indicazione di un raggiro messo “giustificato motivo” con la proposta di modifica. Sull’esercizio del ius variandi e sulla nozione di giustificato motivo appare utile la Circolare del Ministero dello Sviluppo Economico del 21/2/2007 la quale – risolto il giustificato motivo in atto da un rappresentante “eventi di un’impresa comprovabile effetto sul rapporto bancario” – ha precisato che commercializza macchinari per uso estetico“tali eventi possono essere sia quelli che afferiscono alla sfera del cliente (ad esempio, il quale le avrebbe prospettato mutamento del grado di affidabilità dello stesso in termini di rischio di credito) sia quelli che consistono in variazioni di condizioni economiche generali che possono riflettersi in un contratto aumento dei costi operativi degli intermediari (ad esempio, tassi di affitto o noleggio di macchinariinteresse, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]inflazione ecc.)”. La ricorrente, pur avendo onorato “Il cliente deve essere informato circa il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta giustificato motivo alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante base della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientemodifica unilaterale, in cui si descrivono i rapporti tra le partimaniera sufficientemente precisa e tale da consentire una valutazione circa la congruità della variazione rispetto alla motivazione che ne è alla base”. In particolare, Dall’esame dei documenti in uno dei due documenti atti emerge che,nella “proposta di modifica delle condizioni contrattuali” si fa genericamente riferimento ad un contratto “andamento sfavorevole della congiuntura economica e della qualità del credito”. Non sono allegati fatti o circostanze concrete tali da poter essere verificate, sicché non appare soddisfatto il requisito essenziale del giusto motivo. Donde l’inefficacia della variazione unilaterale. Il Collegio accoglie parzialmente il ricorso e dispone che l’intermediario provveda a corrispondere al ricorrente quanto incassato in più a titolo di aumento degli addebiti per affitto/noleggioincasso rata. Il Collegio dispone inoltre, ai sensi della vigente normativa, che prevede altresì il passaggio l’intermediario corrisponda alla Banca d’Italia la somma di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso€ 200,00, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitrocontributo alle spese della procedura, e pertanto valutando nel merito al ricorrente la domanda dell’attuale ricorrentesomma di € 20,00, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante quale rimborso della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati somma versata alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.cpresentazione del ricorso., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega il motivo del ricorso principale censura la violazione degli artt. 1455 e 1375 x.x., xxx xxxxx xx xxxxx xxxxxxxxxxxx xxxxxx nell'applicazione delle norme di essere stata vittima riferimento con riguardo alla valutazione del presupposto della gravità dell'inadempimento ai fini della declaratoria di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le risoluzione del contratto; - la corte avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta errato nel ricondurre alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante violazione delle obbligazioni principali ed essenziali della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra vendita immobiliare promessa fra le parti. In particolare, in uno l'asserito inadempimento relativo alla tettoia ed al locale adibito a legnaia; così facendo la corte avrebbe omesso il giudizio di gravità dell'inadempimento riferito sia alle due suddette pertinenze che alla conformità del comportamento dei contraenti al canone di correttezza e buona fede, rispetto all'obbligazione principale avente ad oggetto la vendita di una casa elevata su due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”piani, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolatarespingendo, inveceperaltro, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettivactu che, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate diversamente da quanto sostenuto dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011)corte territoriale, Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi aveva ad oggetto l’accertamento l'accertamento dell'incidenza dei lamentati inadempimenti rispetto all'oggetto principale ed alla destinazione del bene promesso in vendita; ciò in quanto lo stesso P. aveva attribuito alla parziale non sanabilità delle due pertinenze il valore economico di dirittiEuro 15.000,00 rispetto ad un prezzo di vendita di Euro 125.000,00; - la censura è fondata; le sentenze per esteso - è noto che, obblighi e facoltàai fini della risoluzione del contratto nel caso di parziale o inesatto adempimento della prestazione, indipendentemente dal l'indagine circa la gravità della inadempienza deve tener conto del valore complessivo del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranocorrispettivo pattuito in contratto, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro determinabile mediante il criterio di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri proporzionalità che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggioparte dell'obbligazione non adempiuta ha rispetto ad esso (cfr. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalitàCass. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, 24003/2004; id. 3742/2006; id. 15052/2018); LA GIURISPRUDENZA: - nel caso in esamecui, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrentecome quello di specie, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti si deduce a fondamento della domanda di risoluzione per inadempimento la presenza di due manufatti (garages e legnaia), pertinenze dell'immobile oggetto del preliminare, che non risultano conformi alle norme urbanistiche, occorre procedere a valutare se la difformità dei manufatti realizzati rispetto a quello autorizzato possa essere considerata parziale e non preclusiva della ricorrente possibilità di restituzione delle somme versate alla convenuta chiedere la sentenza ex art. 2932 c.c.; - ciò in adempimento del quanto in tema di esecuzione specifica dell'obbligo di concludere un contratto di leasing compravendita, ai sensi della L. n. 47 del 1985, art. 40, può essere pronunciata sentenza di trasferimento coattivo ex art. 2932 c.c., a condizione che il vizio di regolarità urbanistica non oltrepassi la soglia della parziale difformità rispetto alla concessione, dovendosi distinguere, anche quando sia stata presentata istanza di condono edilizio con versamento della somma prevista per l'oblazione e conseguentemente assorbito l’esame la pratica, come nel caso del recesso del P., non sia stata ancora definita, tra ipotesi di abuso primario, relativo a beni immobili edificati o resi abitabili in assenza di concessione, e abuso secondario, caratterizzato dalla circostanza che solo una parte di unità immobiliare già esistente abbia subito modifica o mutamento di destinazione d'uso (cfr. Cass. 8081/2012; id. 11659/2018); - ciò posto, nel caso di specie, tale valutazione risulta del tutto omessa dalla Corte d'appello di Torino e, pertanto, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla medesima corte, in diversa composizione, per il riesame dell'appello alla luce dei principi di diritto sopra enunciati; - passando ad esaminare il ricorso incidentale del promissario acquirente P., il primo motivo denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1385 e 1453 c.c., per avere la corte d'appello statuito che i promettenti venditori non dovessero essere condannati alla restituzione del doppio della caparra ed avere respinto la domanda sul di risarcimento dei danni; - il secondo motivo del dannoricorso incidentale denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per avere la corte territoriale erroneamente statuito sulle spese al di sotto dei minimi previsti dalle tariffe secondo i parametri del 2012 e del 2014; - l'accoglimento del ricorso principale e la conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Torino comporta l'assorbimento del ricorso incidentale dovendo il giudice del rinvio riesaminare la domanda di risoluzione e le domande ed eccezioni formulate dalle parti in logica connessione con essa; - infine, il giudice del rinvio provvederà anche alle spese del giudizio di legittimità. LA GIURISPRUDENZA: le sentenze per esteso Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 3 marzo 2020. Depositato in Cancelleria il 23 novembre 2020

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DIRITTO. La ricorrente allega di Debbono essere stata vittima di un raggiro messo in atto esaminate, innanzitutto, le eccezioni preliminari sollevate da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoresistente, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]quali risultano solo parzialmente fondate. La ricorrenteprima eccezione attiene all’inammissibilità del ricorso per indeterminatezza. Essa va disattesa. Gli è, pur avendo onorato infatti, che se il contratto ricorso è certamente assai sintetico – e ne è in un certo senso riprova la circostanza che il ricorrente abbia avvertito il bisogno, nelle repliche, di leasing tornare nuovamente proprio su alcuni elementi di fatto – esso non può dirsi indeterminato, né per quanto attiene al petitum, esposto con sufficiente chiarezza, né per quanto attiene alle ragioni, appunto di fatto, su cui la domanda si fonda. Parzialmente fondata risulta, invece, l’eccezione di incompetenza ratione materiae, là dove si deduce l’estraneità ai poteri di cognizione dell’Arbitro della domanda inerente la mancata esecuzione dell’ordine di vendita delle azioni, e più in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta generale delle doglianze relative alle condotte poste in essere da un rappresentante in relazione alla gestione di tali titoli. Non appare, infatti, revocabile in dubbio che le controversie, com’è sotto il profilo considerato quella di specie, che attengono all’accertamento della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento diligenza dell’intermediario nell’adempimento degli obblighi inerenti ad un contratto di “affitto/noleggio”deposito titoli in amministrazione, finiscono fatalmente per impingere sull’area delle controversie attinenti alla corretta esecuzione di servizi di investimento, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localesono normativamente sottratte alla cognizione dell’ABF. Nel secondo documento vi è regolataL’eccezione non merita, invece, un’opzione accoglimento là dove si pretenderebbe di acquisto dei macchinari a favore sottrarre alla cognizione del potenziale acquirente allo scadere del periodo di provaCollegio l’esame delle doglianze relativa al mancato accredito in conto delle cedole delle obbligazioni. ProduceSotto questo profilo sembra al Collegio che, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente per com’è stata in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulateconcreto articolata dal ricorrente, la domanda non può attiene fondamentalmente – e ne fa fede anche la stessa difesa del resistente - all’interpretazione del contratto con cui è stato costituito il pegno, e dunque sul se sia legittima la condotta dell’intermediario che ha esteso il pegno anche sugli interessi maturati e rappresentati dalle cedole; il che comporta, allora, che la domanda investe l’interpretazione di un tipico contratto bancario, e come tale rientra nei poteri di cognizione dell’Arbitro adito. Venendo all’esame del merito del ricorso, ad avviso del Collegio deve essere interpretata come preliminarmente dichiarata la cessazione della materia del contendere in relazione alla richiesta di “annullamento” chiusura del conto, atteso che la stessa risulta essere stata oramai soddisfatta dal resistente, il quale ha anche provveduto, in ragione di ciò, al rimborso del contributo di € 20 versato dal ricorrente per accedere alla procedura di soluzione della controversia. D’altra parte non sembra che a esito diverso possa giungersi neppure valorizzando la circostanza – su cui insiste il ricorrente in sede di replica – che l’intermediario avrebbe provveduto tardivamente, sicché resterebbe pur sempre da accertarne e dichiararne la responsabilità per i danni dipendenti dal ritardo nell’evasione della richiesta. In disparte, infatti, la pur assorbente considerazione che la domanda di danni risulta articolata dal ricorrente soltanto nella memoria di replica, sicché essa è tardiva e non suscettibile di essere esaminata, decisiva appare la considerazione che l’intermediario ha comunque di fatto congelato il saldo del conto al mese di gennaio 2013, corrispondente alla data della affermata prima richiesta di chiusura, rinunciando a far valere qualsiasi onere successivo a tale data, di tal ché non è possibile prospettare, neppure in astratto, un interesse del ricorrente a un simile accertamento. Per quel che concerne la domanda riguardante la pretesa responsabilità dell’intermediario per non aver proceduto all’accredito in conto degli interessi maturati sulle obbligazioni detenute dal ricorrente, essa appare infondata. L’art. 3 delle condizioni generali del contratto per vizio del consensodi pegno – sottoscritto espressamente, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versatiai sensi dell’art. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 1342 c.c., soprattutto se dal ricorrente – sancisce con estrema chiarezza il principio per cui la garanzia costituita sulle obbligazioni si considera che estende automaticamente agli «interessi e (…) a quanto possa spettare sui titoli», sicché del tutto conforme al contratto appare la stessa ricorrente condotta dell’intermediario che, allo scadere delle cedole, ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue particonteggiato il relativo importo nell’ambito della garanzia, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti procedere al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cloro pagamento.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa Il Collegio osserva innanzitutto che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie intervenuta in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento cessione del 12.12.2011)quinto, Sez. Icome è noto, § 4la sentenza della Corte di Giustizia 11/09/2019, 2° commacausa C-383/18, stabiliscono che è stata chiamata a rispondere al seguente quesito del giudice del rinvio: All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento se l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 [“Il consumatore ha il diritto di dirittiadempiere in qualsiasi momento, in tutto o in parte, agli obblighi e facoltà, indipendentemente che gli derivano dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentantecredito. In tal caso, egli ha diritto ad una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto”] debba essere interpretato nel senso che il diritto ad una riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include anche i costi che non dipendono dalla durata del contratto”. Pare opportuno richiamare i fondamentali passaggi motivazionali della pronuncia della Corte e l’interpretazione dell’art.125 sexies TUB che, a seguito della suddetta sentenza, è stata offerta dal Collegio di Coordinamento di questo Arbitro con la recente decisione 11/12/2019 n. 26525. La Corte di Giustizia ha premesso che: - sul piano normativo il citato articolo 16 “letto alla luce del considerando 39 [della direttiva] prevede il diritto per il consumatore di procedere al rimborso anticipato del credito e di beneficiare di una riduzione del costo totale del credito, che comprende gli interessi e i costi dovuti per la restante durata del contratto. Per quanto riguarda la nozione di «costo totale del credito», l’articolo 3, lettera g), di detta direttiva la definisce come riguardante tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il soggetto concedente il credito è a conoscenza, escluse le spese notarili. Tale definizione non contiene dunque alcuna limitazione relativa alla durata del contratto di credito in questione”; - “…la direttiva 2008/48...mira a garantire un’elevata protezione del consumatore… Al fine di garantire tale protezione, l’articolo 22, paragrafo 3, della direttiva 2008/48 impone agli Stati membri di provvedere affinché le disposizioni da essi adottate ... non possano essere eluse attraverso particolari formulazioni dei contratti”. La CGUE ha osservato, fra l’altro, che: - “l’effettività del diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito risulterebbe sminuita qualora la riduzione del credito potesse limitarsi alla presa in considerazione dei soli costi presentati dal soggetto concedente il credito come dipendenti dalla durata del contratto”; - occorre infatti evitare “il rischio che il consumatore si veda imporre pagamenti non ricorrenti più elevati al momento della conclusione del contratto di credito”, riducendo “al minimo i costi dipendenti dalla durata del contratto”; - è “molto difficile la determinazione, da parte di un consumatore o di un giudice, dei costi oggettivamente correlati alla durata del contratto”; - “includere nella riduzione del costo totale del credito i costi che non dipendono dalla durata del contratto non è idoneo a penalizzare in maniera sproporzionata il soggetto concedente il credito” poiché “l’articolo 16, paragrafo 2, della direttiva … prevede, a beneficio del mutuante, il diritto ad un indennizzo per gli eventuali costi direttamente collegati al rimborso anticipato del credito” e che “nel caso di un rimborso anticipato...il mutuante recupera in anticipo la somma data a prestito, sicché quest’ultima diventa disponibile per la conclusione…di un nuovo contratto di credito”. La Corte è pervenuta pertanto alle seguenti conclusioni: “occorre rispondere alla questione pregiudiziale dichiarando che l’articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48 deve essere interpretato nel senso che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”. A seguito della suddetta sentenza, la Banca d’Italia, con le “linee orientative” oggetto di comunicazione del 4/12/2019 - al fine di “favorire un pronto allineamento al quadro delineatosi e preservare la qualità delle relazioni con la clientela” - ha fornito il seguente “punto di riferimento per gli intermediari che offrono contratti di credito ai fini dell’annullamento consumatori”: “Nel caso in cui il cliente eserciti il diritto al rimborso anticipato di finanziamenti…gli intermediari sono chiamati a determinare la riduzione del costo totale del credito includendo tutti i costi a carico del consumatore, escluse le imposte. Quanto ai costi...definiti...‘upfront’ il criterio di rimborso dovrà essere “proporzionale rispetto alla durata (ad esempio, lineare oppure costo ammortizzato)”. Nella menzionata decisione n. 26525/19 il Collegio di Coordinamento, con riferimento alla sentenza della CGUE, ha enunciato i seguenti principi di diritto: - “A seguito della sentenza 11 settembre 2019 della Corte di Giustizia Europea, immediatamente applicabile anche ai ricorsi non ancora decisi, l’art.125 sexies TUB deve essere interpretato nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front”. - “Il criterio applicabile per la riduzione dei costi istantanei, in mancanza di una diversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i costi recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF”. Quanto alle modalità di riduzione dei costi istantanei il Collegio di Coordinamento, dopo avere premesso (cfr. motivazione) che “occorre depurare il documento contrattuale dalla inserzione della clausola che, sia pure in modo implicito, abbia escluso la ripetibilità dei costi riferiti ad attività preliminari, in quanto contraria a norma imperativa…e perciò affetta da nullità (di protezione) rilevabile di ufficio ai sensi degli artt. 127 TUB e 1418 c.c.”, ha ritenuto in particolare che “il criterio preferibile per quantificare la quota di costi up front ripetibile sia analogo a quello che le parti hanno previsto per il conteggio degli interessi corrispettivi, costituendo essi la principale voce del costo totale del credito espressamente disciplinata in via negoziale. Ciò significa che la riduzione dei costi up front può nella specie effettuarsi secondo lo stesso metodo di riduzione progressiva (relativamente proporzionale appunto) che è stato utilizzato per gli interessi corrispettivi (c.d. curva degli interessi), come desumibile dal piano di ammortamento”. Circa le conseguenze dell’interpretazione della Corte di Giustizia sui ricorsi ABF, già decisi o ancora pendenti, nella pronuncia n. 26525/19 si è precisato che: - “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso per il rimborso dei costi up front dopo una decisione che abbia statuito sulla richiesta di retrocessione di costi recurring”. - “Non è ammissibile la proposizione di un ricorso finalizzato alla retrocessione dei costi up front in pendenza di un precedente ricorso proposto per il rimborso dei costi recurring”. Tutto ciò premesso, nel caso di specie la cliente risulta aver presentato in pari data un altro ricorso, avente ad oggetto lo stesso contratto e gli stessi oneri commissionali (prot. 111449/20). Tale ricorso è stato poi oggetto di rinuncia, e ciò consente l’esame da parte del Collegio del presente ricorso. La ricorrente ha proposto una domanda principale avente per oggetto la restituzione integrale delle commissioni di intermediazione, sul presupposto che il soggetto che ha sottoscritto il contratto di finanziamento in nome e per conto dell’intermediario fosse in effetti un mediatore creditizio (in violazione degli artt. 2 DPR 287/2000 e 128 sexies TUB. Sul punto si osserva che il contratto risulta sottoscritto in nome e per conto del finanziatore, da parte di un soggetto [A. S.r.l.], formalmente diverso dal soggetto giuridico che è indicato nel contratto come intermediario del credito a cui è stato conferito l’incarico di mediazione [B S.p.A.]. Tale ultimo soggetto ha firmato per identificazione del cliente. Non risulta quindi prodotta in atti documentazione a supporto del fatto che il soggetto che ha sottoscritto il contratto di finanziamento in nome e per conto dell’intermediario fosse in effetti un mediatore creditizio. La cliente ha allegato infatti una visura riferita tuttavia all’intermediario finanziario a cui è stato conferito l’incarico di mediazione [B S.p.A.] e non al soggetto che ha sottoscritto il contratto. L’eventuale legame economico e di partecipazione, oltre a non esser stato provato, non integrerebbe di per sé una violazione del principio di terzietà del mediatore. Nel contratto di intermediazione sottoscritto con la cliente l’intermediario finanziario [B S.p.A.] assume un incarico di “mediazione creditizia”, nel quale figura non solo come “intermediario finanziario”, ma anche come “mediatore creditizio”. Ne consegue che la domanda di nullità della clausola di intermediazione, fondata sulla sottoscrizione del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare da parte di un mediatore, in nome e per conto del finanziatore, non risulta meritevole di accoglimento. Relativamente alla domanda subordinata di restituzione degli oneri pro quota, la cliente ha allegato un conteggio estintivo da quale risulta l’estinzione anticipata del finanziamento al 30/09/2017, con 73 rate scadute su 120, e un rimborso di commissioni di gestione per € 324,87. Ha allegato, altresì, la liberatoria che attesta l’avvenuta estinzione del prestito. I costi secondari del credito per cui vi è contestazione da parte della cliente sono i seguenti: “A) € 300,00 spese di istruttoria dovute per le prestazioni e gli asseriti raggiri siano stati noti oneri preliminari connessi alla concessione del prestito, quali esemplificativamente, l’istruttoria della pratica e l’esame della documentazione presentata”; Nelle condizioni contrattuali, per il caso di estinzione anticipata, è previsto il rimborso della voce commissionale sub lett. C (“commissioni di gestione pratica”), per la quota non maturata, e il rimborso da parte della Compagnia di Assicurazioni dei premi assicurativi secondo quanto previsto dalle condizioni di polizza. In merito alla commissione di intermediazione, come già indicato si osserva che sul contratto di finanziamento si menziona un intermediario finanziario, [B S.p.A.], a cui risulta che la cliente abbia conferito incarico di intermediazione, per il compimento di attività prodromiche alla conclusione del finanziamento. La cliente domanda la restituzione della quota non maturata dei seguenti oneri, calcolata secondo il criterio pro rata: - commissioni di attivazione (B), che secondo il consolidato orientamento dei Collegi hanno natura recurring in virtù della presenza dell’inciso “passaggio ad altri enti pensionistici”. - commissioni di gestione (C), che secondo il consolidato orientamento dei Collegi hanno natura recurring (v. anche contratto, cui non è allegato un piano di rimborso); - costi di intermediazione (G), che - secondo il consolidato orientamento dei Collegi - hanno natura up front, in quanto è agli atti il mandato conferito dal cliente al contraente mediatore creditizio, con riferimento ad attività prodromiche alla conclusione del contratto. Per quanto concerne il premio assicurativo vita, l’intermediario ha prodotto la quantificazione del rimborso del premio pervenuto dalla compagnia, ma non le condizioni generali e il modulo di adesione sottoscritto dalla cliente. Secondo il costante orientamento interpretativo di questo Arbitro, il quale è stato ribadito nella decisione del Collegio di coordinamento n. 6167/2014, in forza del collegamento negoziale sussistente tra contratto di finanziamento e contratto di assicurazione l’intermediario-finanziatore è legittimato alla restituzione dei premi assicurativi già pagati dal cliente, ma non ancora maturati al giorno in cui egli rimborsa anticipatamente il finanziamento. Come precisato, da ultimo, dal Coll. di Xxxxxxxxxxxxx nella menzionata decisione n. 10003/2016, la determinazione dell’importo offerto in restituzione a opera dell’impresa di assicurazioni in applicazione di un criterio diverso da quello proporzionale è legittima, a condizione che ne ha tratto vantaggio il criterio di calcolo sia chiarito ex ante, condizione che non risulta si sia verificata nel caso di specie (art. 1439, 2° comma, c.c.con la conseguenza che anche agli oneri assicurativi si deve applicare il criterio pro rata temporis). Tutto ciò premesso Applicando ai costi recurring il criterio pro rata temporis ed ai costi up front il criterio equitativo applicato dal Collegio di Coordinamento (decisione n. 26525/19) e considerando che tenuto conto di eventuali restituzioni già intervenute in sede di estinzione, si ottiene il seguente risultato (riferito alla domanda subordinata): Numero di pagamenti all'anno 12 Quota di rimborso pro rata temporis 39,17% Data di inizio del prestito 01/07/2011 Quota di rimborso piano ammortamento - interessi 16,94% rate pagate 73 rate residue 47 Importi Natura onere Percentuale di rimborso Importo dovuto Rimborsi già effettuati Residuo Commissione di attivazione (B) 561,77 Recurring 39,17% 220,03 220,03 commissione di gestione (C) 1.024,91 Recurring 39,17% 401,42 324,87 76,55 Commissioni di intermediazione (G) 3.600,00 Upfront 16,94% 609,82 609,82 Premi assicurativi (E) 345,60 Recurring 39,17% 135,36 135,36 TOTALE: 1.041,76 L’importo totale dovuto è inferiore alla richiesta della cliente, in quanto quest’ultima ha richiesto l’applicazione del criterio pro rata temporis anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema per la commissione di onere della prova (artintermediazione. 2697 c.c.)La ricorrente ha domanda anche il pagamento degli interessi legali dal giorno dell’estinzione a quello del rimborso. In linea con il proprio consolidato orientamento, il questo Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle dover riconoscere gli interessi legali sulle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto oggetto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannorimborso dal reclamo al saldo (cfr. Collegio di Coordinamento, decisione n. 5304/13).

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo Giova puntualizzare in atto da un rappresentante di un’impresa fatto che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti è controverso tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché parti l’inadempimento nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione pagamento dei canoni di leasing versatie l’avvenuta segnalazione al Crif. In questa prospettivaIl Ricorrente contesta tale segnalazione e giustifica l’inadempimento in quanto “riconducibile al furto dell’autoveicolo”, aggiunge di essere stato autorizzato a concedere il veicolo a terzi in comodato; fatto quest’ultimo confermato dall’intermediario, Disputato risulta invece l’evento furto. Tuttavia si segnala deve rilevare che le Disposizioni sui sistemi contrariamente a quanto sembra assumere il ricorrente tale evento non esime l’utilizzatore dai suoi obblighi verso il concedente, infatti nei contratti di risoluzione stragiudiziale leasing il rischio della perdita del bene locato grava sull’utilizzatore stesso. Nel caso specifico ciò è espressamente previsto i dagli artt. 21, comma 3, e 23 delle controversie Condizioni generali del contratto di leasing. Giova sottolineare al riguardo che circa il profilo dell’addossamento del rischio della perdita di possesso del bene in capo all’utilizzatore, che la dottrina in materia di operazioni ha già da tempo chiarito che non possono considerarsi vessatorie e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera approvate per iscritto: a) le clausole che attribuiscono all’utilizzatore la stessa ricorrente ha prodotto in atti un custodia del bene essendo la custodia da parte dell’utilizzatore parte integrante del contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo finanziaria; b) le clausole che essa addossano all’utilizzatore ogni rischio di deterioramento o la perdita dei beni oggetto del contratto anche se dovuti a caso fortuito o a forza maggiore, essendo l’affermata validità indipendente dalla specifica sottoscrizione a norma dell’art. 1341, poiché la clausola stessa si limita a regolare la responsabilità per la perdita del bene in conformità alla disciplina ricavabile in via analogica dall’art. 1523 c.c.. Chiarito quindi che il ricorrente era tenuto al pagamento dei canoni ed ad indennizzare il concedente per la perdita del bene ed essendo pacifico che non ha firmato in tutte le sue partiadempiuto né all’uno né all’altro obbligo, senza che diviene impossibile accogliere la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cdomanda.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di Secondo quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le stabilito dalle Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. IIII, § 4), la composizione dell’organo giudicante di questo Arbitro è determinata dalla qualità soggettiva del ricorrente, la quale risulta dubbia nel caso di specie. Il ricorso introduttivo del presente giudizio è stato infatti presentato da una persona fisica, la quale ha rilasciato alla banca resistente una fideiussione per garantire i debiti di una società commerciale; si pone quindi il problema di stabilire se la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore. A tale proposito, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha chiarito quanto segue: «Gli articoli 1, paragrafo 1, e 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, devono essere interpretati nel senso che tale direttiva può essere applicata a un contratto di garanzia immobiliare o di fideiussione stipulato tra una persona fisica e un ente creditizio al fine di garantire le obbligazioni che una società commerciale ha contratto nei confronti di detto ente in base a un contratto di credito, quando tale persona fisica ha agito per scopi che esulano dalla sua attività professionale e non ha alcun collegamento di natura funzionale con la suddetta società» (CGUE, 19 novembre 2015, C-74/15, Dumitru e Xxxxxx Xxxxxx contro Banca Comercială Intesa Sanpaolo România SA e altri, sottolineatura aggiunta). Con riguardo alla fideiussione rilasciata a favore di una banca, il Collegio di coordinamento di questo Arbitro ha ulteriormente precisato quanto segue: «Nel caso di una persona fisica che abbia garantito l’adempimento delle obbligazioni di una società commerciale, spetta al Collegio giudicante determinare se tale persona abbia agito nell’ambito della sua attività professionale o sulla base dei collegamenti funzionali che la legano a tale società, quali l’amministrazione di quest’ultima o una partecipazione non trascurabile al suo capitale sociale, o se abbia agito per scopi di natura privata» (ABF, Collegio di coord., decisione n. 5368 dell’8 giugno 2016). Nel caso di specie, non risulta agli atti del procedimento che la ricorrente abbia agito nell’àmbito di una sua eventuale attività professionale ovvero che sia legata da alcun collegamento funzionale con la società commerciale per la quale ha prestato la fideiussione di cui si tratta. Facendo applicazione dei principî sopra esposti, si deve pertanto ritenere che, ai fini del presente giudizio, la ricorrente abbia agito in qualità di consumatore; a ciò consegue la composizione di questo Collegio. Venendo all’eccezione pregiudiziale sollevata (a p. 1 s. delle controdeduzioni) dalla banca resistente, si deve rilevare che, ai sensi dell’art. 33, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte della legge n. 287 del 1990 (e successive modificazioni), le controversie aventi sezioni specializzate in materia d’impresa sono esclusivamente competenti per «le azioni di nullità e di risarcimento del danno, nonché i ricorsi intesi ad oggetto l’accertamento ottenere provvedimenti di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente urgenza in relazione alla violazione delle disposizioni di cui ai titoli dal valore del rapporto I al quale si riferiscono”IV». Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi Secondo quanto è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.cstato già chiarito da questo Arbitro (ad es., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto nella già citata decisione del Collegio di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come Milano, n. 16588 del 4 luglio 2019), tale nell’intestazione disposizione legislativa è applicabile alle domande di accertamento della nullità di intese anticoncorrenziali e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])condanna al conseguente risarcimento del danno, ma non alle domande di accertamento della nullità dei contratti stipulati “a valle” di tali intese. Poiché nel presente giudizio si tratta non della nullità dell’intesa anticoncorrenziale raggiunta mediante lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI, ma della nullità del contratto di fideiussione stipulato tra una delle banche che hanno partecipato a tale intesa e un suo rappresentantecliente, l’eccezione pregiudiziale sollevata dalla banca resistente è palesemente infondata e deve essere pertanto respinta. In tal casoNel merito, si deve anzitutto premettere che la questione della validità dei contratti stipulati “a valle” di intese anticoncorrenziali non è disciplinata dalla legge n. 287 del 1990. Essa è stata pertanto variamente decisa dalla giurisprudenza e costituisce oggetto di un’accesa e sfaccettata discussione dottrinale, la quale non può essere neanche sommariamente riassunta in questa sede. Ai fini del presente giudizio, si deve preliminarmente rilevare che, secondo quanto accertato dal provvedimento della Banca d’Italia di cui si è già detto, lo schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI ha costituito un’intesa anticoncorrenziale diretta a «fissare direttamente o indirettamente i prezzi di acquisto o di vendita ovvero altre condizioni contrattuali», risultando così contrario all’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Tale disposizione legislativa dev’essere interpretata nel senso che essa vieti altresì di stipulare contratti i quali uniformemente recepiscano i prezzi di acquisto o di vendita o le altre condizioni che un’intesa anticoncorrenziale abbia fissato in precedenza (Cass., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Per le ragioni già chiaramente esposte dalla decisione dell’ABF Milano n. 16558 del 4 luglio 2019, si ritiene provato ai fini del presente giudizio che le clausole contrattuali di cui si tratta siano oggetto di applicazione uniforme e che sostanzialmente riproducano gli artt. 2, 6 e 8 dello schema contrattuale uniforme predisposto dall’ABI: esse sono state pertanto stipulate in violazione della norma imperativa dettata dall’art. 2, 2° comma, lett. a), della legge n. 287 del 1990. Poiché tale norma è finalizzata a proteggere l’interesse generale alla tutela della concorrenza e del mercato, si deve ritenere che, ai fini dell’annullamento sensi dell’art. 1418, 1° comma, x.x., xx xxxxxxxx xxxxxxxxxxxx xx xxxxxxxxx xxxxx xxxxx (Xxxx., sez. I, 12 dicembre 2017, n. 29810). Si tratta dunque di una nullità parziale del contratto “a valle”, la quale è assoggettata alla disciplina generale dettata dall’art. 1419 c.c. (Cass., sez. I, 26 settembre 2019, n. 24044); in particolare, essa «importa la nullità dell’intero contratto, occorrerebbe altresì dimostrare se risulta che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che ne ha tratto vantaggio è colpita dalla nullità» (art. 14391419, 21° comma, c.c.). Tutto Com’è stato più in generale chiarito in dottrina, il riferimento a ciò premesso che le parti avrebbero voluto non è il riferimento a un dato reale ma solo una congettura, che sfugge a ogni obiettivo accertamento, e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (artdalla quale non può quindi dipendere la validità o invalidità del contratto. 2697 Ai sensi dell’art. 12 disp. prel. c.c., l’art. 1419 c.c. deve essere piuttosto interpretato teleologicamente, ossia in considerazione della sua ragione giustificativa, che è quella di conservare il contratto salvo che la modifica del contenuto sia tale da non giustificarne obiettivamente il mantenimento. Ciò che si richiede è quindi una valutazione di compatibilità della modifica del contratto con la causa concreta di esso, dovendosi in definitiva accertare se la modifica abbia o no importanza determinante tenuto conto dell’interesse delle parti. Il criterio coincide, così, con quello previsto dall’art. 1420 c.c. per la nullità parziale in senso soggettivo. In altri termini, si deve ritenere che, qualora la nullità parziale del contratto “a valle” riguardi clausole accessorie, esso resti valido per il resto; qualora invece tale nullità riguardi clausole essenziali, esso sia integralmente nullo, a meno che non siano previsti dalla legge strumenti per integrare la sua lacuna (ad es., secondo quanto prevede l’art. 1474 c.c. a proposito della vendita, ovvero l’art. 117, ult. comma, t.u.b. a proposito dei contratti bancari). A tali fini, le clausole contrattuali sono qualificabili come “accessorie” quando, ove esse non fossero state apposte al contratto, quest’ultimo avrebbe comunque avuto un oggetto determinato (o almeno determinabile), il Collegio ritiene ai sensi degli artt. 1346 ss. c.c.; dev’essere peraltro fatta salva la volontà delle parti contraenti di pattuire (espressamente ovvero tacitamente) che una qualsiasi clausola del loro accordo sia “essenziale”. In base a tale criterio, è indubbio che, ai fini del presente giudizio, le clausole specificamente contestate dalla ricorrente siano da qualificarsi come “accessorie”, cosicché la loro nullità non provati i fatti posti a fondamento si estende al resto del contratto. Discende da quanto fin qui osservato che la domanda principale della domanda ricorrente, volta all’accertamento della nullità integrale del contratto da essa stipulato con la banca resistente, può essere accolta solo in parte, ossia limitatamente alle clausole contrattuali che sono state specificamente contestate nel ricorso. Alla nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, la quale peraltro può essere fatta valere solo dal ricorrente di ed è rilevabile d’ufficio soltanto nel suo interesse, consegue che egli può domandare la restituzione delle prestazioni ivi previste, ove le abbia nel frattempo eseguite. Per quanto obiter dictum in questa sede, si deve rilevare che, ove il ricorrente faccia valere la nullità (parziale ovvero integrale) del contratto, dovrà a sua volta restituire le prestazioni ivi previste, ove l’intermediario resistente le abbia nel frattempo eseguite; resta peraltro fermo che, secondo quanto statuito dall’art. 125 bis, ult. comma, t.u.b., «in caso di nullità del contratto, il consumatore non può essere tenuto a restituire più delle somme versate alla convenuta utilizzate e ha facoltà di pagare quanto dovuto a rate, con la stessa periodicità prevista nel contratto o, in adempimento mancanza, in trentasei rate mensili». Inoltre, la parte che aveva partecipato all’intesa anticoncorrenziale risponderà del danno che abbia cagionato al ricorrente, a titolo di responsabilità extracontrattuale (Cass., sez. un., 20 febbraio 2005, n. 2207). Nel caso di specie, la ricorrente non ha esercitato alcuna pretesa restitutoria ovvero risarcitoria nei confronti della banca resistente. Per quanto riguarda il recesso dal contratto di leasing fideiussione che la ricorrente afferma di aver esercitato a partire dal 7 maggio 2018, la banca resistente non ha contestato specificamente tale fatto, il quale può dunque considerarsi pacifico ai fini del presente giudizio. La banca resistente ha tuttavia obiettato (a p. 8 delle controdeduzioni) che, in virtù di quanto statuito nell’art. 4 del suddetto contratto, la ricorrente deve ritenersi comunque obbligata al pagamento di quanto fino a tale data risulti dovuto dal debitore principale. L’obiezione è fondata e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.deve essere pertanto accolta. Al fine di dare sinteticamente una risposta ai quesiti posti dall’ordinanza di rimessione, questo Collegio enuncia in conclusione i seguenti principî di diritto:

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DIRITTO. La ricorrente allega Quanto all'eccezione di essere stata vittima litispendenza formulata dall'intermediario con riferimento sia al procedimento per decreto ingiuntivo, sia al procedimento di un raggiro messo media-conciliazione, dalla documentazione versata in atto da un rappresentante di un’impresa atti risulta che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti sussista una controversia pendente tra le parti. In particolareNe consegue, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”secondo la disciplina vigente, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localel'improcedibilità del ricorso. Nel secondo documento vi è regolataLa disciplina (Banca d'Italia, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. Sezione I, § 4, 2° comma, stabiliscono Par. IV) prevede infatti che “All’ABF "Non possono essere inoltre proposti ricorsi inerenti a controversie già sottoposte tutte le controversie aventi all’autorità giudiziaria, salvo i ricorsi proposti entro il termine fissato dal giudice ai sensi dell’art. 5, comma 1, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28. Anche in questi casi, resta fermo l’ambito della cognizione dell’ABF definito dalle presenti disposizioni." Secondo l'orientamento dell'ABF (Collegio di Milano, decisione n. 465/2014) “La ratio della disposizione è d’altronde agevolmente intuibile: essendo l’ABF uno strumento e un sistema di risoluzione alternativa delle controversie, ossia, per come sopra chiarito, “subordinato” al giudizio ordinario, ove la parte ricorrente abbia già optato per questa seconda soluzione, il suo diritto ad oggetto l’accertamento di dirittiavvalersi dello strumento alternativo deve ritenersi con ciò esaurito. Nel caso, obblighi e facoltàl’iniziativa è successiva al deposito del ricorso avanti all'ABF. Quando è stata la stessa parte ricorrente a promuovere un’azione ordinaria dopo la proposizione del ricorso ABF, indipendentemente dal valore deve comunque applicazione il principio del rapporto al quale si riferiscono”primato dell’autorità giudiziaria. Si registranoIn altri termini, pertantomentre nel caso in cui, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di menoa ricorso proposto, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrentesia l’intermediario ad agire, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri l’esigenza di evitare che la scelta alternativa della parte ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]sia compromessa, perché non è provato invece nel caso in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che cui sia la stessa ricorrente ha prodotto a far seguire al ricorso un’azione in atti un contratto giudizio "(e a nulla rileva che si tratti di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo un’azione autonoma piuttosto che essa stessa ha firmato in tutte le sue partidi una domanda riconvenzionale) nuovamente deve ritenersi consumato ed esaurito, senza che sia pur a posteriori, il diritto di scelta del cliente: a cui non è concesso indirizzarsi a questo Arbitro dopo aver adito l’autorità giudiziaria ma a cui deve invece ritenersi concesso, una volta adito questo Arbitro, di ripensare la sua firma scelta e trasferire il giudizio all’autorità giudiziaria sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, pur “a pena” di non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cpoter più coltivare il procedimento alternativo".). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Il Collegio, pronunciandosi sulla legittimità della segnalazione in CR e sul risarcimento del danno, osserva che la segnalazione in contestazione riguarda esposizioni debitorie derivanti da un rapporto di c/c acceso presso l’intermediario resistente, nonché da un contratto relativo a una carta di credito, come da evidenze documentali allegate (v. lettera di messa in mora e richiesta di carta di credito). La parte ricorrente allega ha versato in atti la visura CR relativa al mese di ottobre 2019, da cui si desume che l’intermediario convenuto ha segnalato il nominativo del ricorrente nella categoria “a sofferenza” della Centrale Rischi per l’importo di 9.317,00 euro, e, per quanto concerne la permanenza della segnalazione, ha riferito che tale segnalazione «persiste come minimo dall’ottobre del 2016», ove l’intermediario resistente afferma, invece, di aver proceduto alla classificazione a sofferenza della posizione nel settembre 2017. A fronte di quanto sinora descritto, in forza del quale la parte ricorrente contesta la legittimità della segnalazione sia sotto il profilo formale che sostanziale, occorre preliminarmente valutare la questione posta soffermandosi sull’eccezione sollevata dall’intermediario convenuto sulla carenza di legittimazione passiva del resistente. Difatti, in via preliminare, l’intermediario ha eccepito il proprio difetto di legittimazione passiva, argomentando di aver ceduto il credito oggetto di segnalazione ad una società terza nell’ambito di un’operazione di cessione di crediti in blocco perfezionatasi il 1 luglio 2020, come da specifica notizia datane mediante pubblicazione sulla G.U., Parte II, n. 84 del 18 luglio 2020. Sul punto, il Collegio rileva che l’intermediario stesso dichiara di aver disposto la segnalazione “a sofferenza” del nominativo del ricorrente nel mese di settembre 2017, che è perdurata almeno sino al mese di ottobre 2019, come emerge dalla visura CR depositata dalla parte ricorrente. A riguardo è dirimente osservare che, sebbene le Istruzioni per gli intermediari creditizi sulla Centrale Rischi della Banca d’Italia (Circolare n. 139 dell’11 febbraio 1991) specificano che l’ente tenuto alla segnalazione alla Centrale Rischi è l’intermediario titolare del credito, «[…] occorre altresì rammentare che, conformemente alla Circolare della Banca d’Italia n. 139/1991 e ai precedenti ABF, è anche vero che ciascun intermediario può essere chiamato a rispondere per le segnalazioni che ha effettuato, indipendentemente dal fatto che la posizione debitoria del soggetto segnalato sia stata vittima successivamente trasferita ad un altro soggetto. Pertanto, posto che la segnalazione del ricorrente è stata effettuata dall’intermediario resistente prima della cessione, come affermato dallo stesso intermediario e confermato dal prospetto della Centrale dei Rischi allegato al ricorso, deve affermarsi la legittimazione passiva del resistente con riferimento esclusivo alle segnalazioni da questo effettuate (in questi termini, Collegio di Roma, decisione n. 17870/2019)» (cfr. Collegio di Bari, n. 12789 del 2020). Alla stregua di quanto precede, pertanto, l’attuale resistente risulta essere legittimato passivo nel presente ricorso. Passando al merito della questione, e, in particolar modo, alla esistenza del credito, la prima censura mossa da parte ricorrente concerne l’illegittimità dell’iscrizione del proprio nominativo in CR in ragione dell’avvenuta estinzione del debito oggetto di segnalazione. E invero, il ricorrente deduce che tutti i rapporti in essere con l’intermediario, compresi i rapporti di c/c, sono stati oggetto di definizione bonaria con l’atto di quietanza del 10 ottobre 2016 per come allegato in atti. Si evidenzia che tale documento si riferisce esclusivamente ai rapporti di mutuo ***961 e 289 rispetto ai quali prevede che l’odierna resistente, «a seguito della contabilizzazione dell’importo di euro 82,000 […] si intenderà soddisfatta di ogni pretesa vantata nei confronti della parte mutuataria […] non avendo più nulla a pretendere nei confronti della parte mutuataria». La parte ricorrente lamenta, inoltre, la mancata ricezione del preavviso di segnalazione, e, a riguardo, l’intermediario non ha fornito prova né dell’invio né della ricezione da parte della ricorrente di comunicazioni contenenti il predetto preavviso di segnalazione. Ad ogni modo, secondo il consolidato orientamento dell’Arbitro, l’invio del preavviso al cliente non costituisce un requisito di legittimità della segnalazione a sofferenza presso la Centrale Rischi della Banca d’Italia, ma rappresenta tutt’al più un obbligo di trasparenza, la cui violazione può giustificare una eventuale pretesa risarcitoria (cfr., sul tema, ex multis, Collegio di Bologna, decisione n. 33 del 3 gennaio 2020, e, in senso conforme, Collegio di Roma, decisione n. 12179 del 0000, x Xxxxxxxx xx Xxxxxx, decisione n. 1444 del 2020). Quanto al presupposto sostanziale per l’apposizione a sofferenza, il ricorrente ne contesta la legittimità, sebbene costituisca orientamento costante dell’ABF quello secondo il quale, ai fini della segnalazione a sofferenza, l’intermediario è tenuto a operare una valutazione complessiva dell’esposizione debitoria del cliente, finalizzata a verificare se quest’ultima possa considerarsi alla stregua di una stabile e consolidata incapacità di costui di onorare i propri debiti (cfr. Collegio di Coordinamento, decisione n. 611 del 2014). Nel caso di specie, infatti, l’intermediario ha affermato di aver proceduto alla segnalazione “a sofferenza” del nominativo del ricorrente tenuto conto di precedenti tentativi di recupero del credito non andati a buon fine e della grave situazione di insolvenza testimoniata anche dalla procedura di esecuzione immobiliare intrapresa nei confronti del ricorrente. A riprova di ciò, ha allegato la lettera di costituzione in mora del 5 maggio 2015, nonché evidenzia della notifica al ricorrente di un raggiro atto di precetto e di un atto di pignoramento immobiliare. Non risulta invece evidenza dei richiamati tentativi di recupero del credito, il cui effettivo esperimento è messo in atto da discussione dal ricorrente in sede di repliche. Il ricorrente, al fine dimostrare l’insussistenza dei requisiti per l’apposizione a sofferenza, ha evidenziato di beneficiare di un rappresentante ottimo stipendio in ragione dell’importante ruolo che ricopre nell’Arma dei Carabinieri e di un’impresa che commercializza macchinari non aver mai avuto problematiche nei confronti di alcun creditore, e a riprova dell’attività lavorativa svolta ha allegato un attestato di servizio del 10 novembre 2020. Alla stregua di quanto precede parrebbe pacifica, allora, la presenza dei requisiti per uso esteticol’appostazione a sofferenza in CR in quanto il resistente, conformandosi alla decisione del Collegio di Coordinamento n. 611 del 2014 ha operato «una valutazione complessiva dell’esposizione debitoria del cliente, finalizzata a verificare se quest’ultima possa Sebbene, poi, la parte ricorrente chieda il risarcimento dei danni, patrimoniali e non, asseritamente subiti a causa della segnalazione in CR, il quale Collegio, ritenendo infondate le avrebbe prospettato un domande sul merito, non è chiamato a pronunciarsi. In merito, infine, alla richiesta del resistente di consegna di documentazione, in via telematica e senza applicazione di oneri a suo carico, questi si riferisce alla copia del contratto di affitto o noleggio di macchinarimutuo ***961 e ***289, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un alla copia del contratto di leasing servicing stipulato con la società X (ora incorporata nell’odierna resistente) al fine di leasing [ZZ]gestire la procedura di vendita del bene offerto in garanzia, e alla copia della comunicazione di messa in mora e contestuale segnalazione a sofferenza. La ricorrenteA riguardo, pur avendo onorato il l’intermediario, unitamente alla memoria difensiva, ha allegato copia del contratto di leasing mutuo ***961 e ***289 e copia della comunicazione di messa in questione per circa due annimora, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, mentre non firmati e privi dell’indicazione consta alcuna evidenza dell’avvenuta consegna del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localeservicing anch’esso oggetto della richiesta documentale formulata dal ricorrente. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranoSebbene, pertanto, orientamenti non univoci dalla documentazione afferente alla fase di reclamo, emergesse che l’intermediario avrebbe invitato il ricorrente a ritirare la documentazione richiesta presso la filiale di riferimento, il ricorrente ha affermato di aver richiesto alla predetta filiale l’invio dei documenti in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere questione all’indirizzo pec del legale senza che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitrorichiesta fosse oggetto di riscontro. Tuttavia, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse alla luce di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)quanto sopra formulato, il Collegio ritiene che le richieste di ostensione documentale formulate dalla ricorrente non provati i fatti posti a fondamento siano accoglibili. Quanto alla richiesta di indennizzo formulata in sede di repliche, la parte ricorrente ha disconosciuto la sottoscrizione apposta sulla ricevuta di consegna della lettera di messa in mora e ha lamentato la mancata verifica da parte dell’intermediario della corrispondenza di tale sottoscrizione con gli specimen di firma in suo possesso. Si rileva, sul punto, che le Disposizioni ABF escludono la possibilità di ampliare, in sede di repliche, la domanda della ricorrente formulata con il ricorso, prevedendo testualmente che «Entro il termine perentorio di restituzione 25 giorni dalla ricezione delle somme versate alla convenuta controdeduzioni, il cliente può trasmettere una memoria di replica. Resta comunque preclusa la possibilità di ampliare la domanda iniziale» (Sez. VI, § 1), con conseguente inammissibilità delle nuove domande formulate in adempimento sede di repliche (cfr., ex multis, Collegio di Milano, decisione n. 204 del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno2020).

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DIRITTO. Il Collegio reputa di dover esaminare in via preliminare l’eccezione sollevata dall’intermediario in merito alla sottoscrizione da parte del ricorrente di una quietanza, che, secondo la ricostruzione presentata dallo stesso intermediario, comporterebbe la rinuncia del ricorrente ad ogni somma ulteriore a quelle ottenute in sede di conteggio estintivo. Secondo il testo della quietanza in atti predisposta dall’intermediario e destinata ad essere sottoscritta prima del pagamento, il ricorrente dichiara “di aver estinto il proprio debito mediante versamento all’intermediario dell’importo indicato nel conteggio estintivo, al netto delle suddette quote ripetibili, nonché di ritenersi pienamente soddisfatto, riconoscendo e dichiarando espressamente e incondizionatamente di aver già ricevuto tutto quanto dovuto [dall’intermediario] a qualsivoglia titolo, causa e ragione con riferimento al contratto di finanziamento oggetto di estinzione anticipata, non avendo pertanto null’altro a pretendere relativamente al contratto stesso. Per l’effetto, il Cliente rinuncia a qualsivoglia domanda e azione inerente e connessa al contratto di finanziamento oggetto di estinzione anticipata (…) Con riferimento alla chiusura del contratto, si precisa sin d’ora che, una volta ricevuto il bonifico o assegno richiesto mediante conteggio allegato, [l’intermediario] procederà con la registrazione dell’importo ricevuto, perfezionando così l’estinzione anticipata del contratto, la quale si considererà a tutti gli effetto definitiva”. Il Collegio è consapevole che altro Collegio dell’Arbitro, in casi parzialmente analoghi a quello ora in esame, ha talora attribuito a dichiarazioni simili “un significato (…) di rinuncia ad ottenere ulteriori somme riferibili al medesimo finanziamento”, così precludendo la possibilità del cliente di richiedere il rimborso di importi ulteriori a quelli originariamente riconosciuti (Collegio di Napoli, decisione n. 538/2014). In diverso avviso, il Collegio reputa che l’eccezione sollevata dall’intermediario non meriti accoglimento. La dichiarazione ‘liberatoria’ sottoscritta dal ricorrente allega di essere stata vittima si pone, infatti, chiaramente come condizione preventiva e necessaria alla (soltanto) successiva estinzione anticipata del contratto ancora in essere, con la conseguenza che la clausola ha effetto modificativo del contratto, logicamente e giuridicamente anteriore e preliminare alla disposizione abdicativa di un raggiro messo in atto da un rappresentante diritto di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]credito già maturato. La ricorrenteclausola appare incompatibile con due norme imperative Per un verso, pur avendo onorato il contratto l’art. 36, secondo comma, lett. b), d.lgs. 206/2005, secondo cui “sono nulle le clausole che, quantunque oggetto di leasing trattativa, abbiano per oggetto o per effetto di: a) escludere o limitare le azioni del consumatore nei confronti del professionista o di un’altra parte in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullitàcaso di inadempimento totale o parziale o di adempimento inesatto da parte del professionista, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in ; previsione cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta data un’applicazione estensiva sulla linea di una completa ed efficace tutela del consumatore. Per altro verso, l’art. 125-sexies TUB introdotto dal D.lgs. n. 141/2010, secondo cui annullamento” del contratto per vizio del consensoil consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versatiin tutto o in parte, l'importo dovuto al finanziatore. In questa prospettivatale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni pari all'importo degli interessi e servizi bancari e finanziari emanate dalla dei costi dovuti per la vita residua del contratto” (conformemente a quanto, peraltro, già segnalato nella Comunicazione del Governatore della Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011)10 novembre 2009, Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al nella quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse caso di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltreestinzione anticipata del mutuo “l’intermediario dovrà restituire, nel caso in esamecui tutti gli oneri relativi al contratto siano stati pagati anticipatamente dal consumatore, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle partila relativa quota non maturata”). La ricorrenteGiova qui riflettere sulla disciplina generale dell’indebito oggettivo, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società implicato dall’estinzione anticipata del finanziamento. Le parti sono certamente libere di leasing [ZZ] determinare il corrispettivo; e quest’ultima dichiara trattarsi nessun giudice ab externo potrebbe sindacare la misura di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti esso. Esse tuttavia hanno l’onere di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento stabilire ex ante l’oggetto del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare e segnatamente l’esatta corrispondenza tra prestazioni pecuniarie e controprestazioni bancarie. È da considerare che gli asseriti raggiri il nesso tra prestazione pecuniaria e controprestazione bancaria assuma qui rilevanza causale, sicché ogni attribuzione pecuniaria (interessi o costi del finanziamento) trova causa nella corrispondente controprestazione bancaria, ossia nel servizio reso dall’intermediario. Non interessa qui vagliare il grado di dettaglio con cui le singole prestazioni bancarie siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (artdescritte; rileva piuttosto la chiara e netta separazione tra prestazioni oggettivamente preliminari e prestazioni oggettivamente successive, posteriori alla conclusione del rapporto e relative allo svolgimento di esso. 1439La norma imperativa dell’art. 125 sexies, primo comma, secondo periodo, ha riguardo alla estinzione anticipata del rapporto, la quale determina (per logica prima che giuridica necessità) l’estinzione del sinallagma funzionale tra prestazione pecuniaria e corrispondente controprestazione bancaria (recurring). Con l’estinzione del rapporto vengono infatti meno i servizi bancari (gestione informatica, incasso rata, e altre prestazioni recurring); simmetricamente, si estinguono i debiti pecuniari corrispettivi, sicché l’eventuale pagamento di prestazioni non rese implicherebbe ineluttabilmente un indebito oggettivo. Per meglio comprendere il fenomeno, immaginiamo che il contratto di finanziamento preveda, in luogo del pagamento totale anticipato, un pagamento posticipato rispetto alla corrispondente prestazione recurring. Una volta estinto il rapporto anticipatamente, nessun dubbio che la Banca non potrebbe pretendere il pagamento di prestazioni non rese, ossia delle prestazioni successive alla estinzione. Se il cliente pagasse, egli avrebbe per definizione diritto alla ripetizione dell’indebito. L’autonomia delle parti si ferma alla determinazione dell’oggetto del rapporto, e segnatamente del prestazioni recurring e dei relativi corrispettivi. Una volta stabilito tale sinallagma, l’estinzione anticipata implica l’automatico effetto della restituzione degli importi, corrispondenti ai servizi non resi. Su questa linea, la misura dell’indebito discende automaticamente dalla corretta determinazione dell’oggetto, recata in contratto. Diremo di più: se anche non ci fosse l’art. 125 sexies, primo comma, il consumatore avrebbe comunque il diritto alla ripetizione delle somme indebite, secondo la disciplina generale dell’art. 2033 c.c. L’art. 125 sexies non fa che applicare al contratto di finanziamento due principi comuni: a) il principio di causalità delle attribuzioni patrimoniali; b) il principio dell’indebito oggettivo Ne segue che la dichiarazione sottoscritta dal ricorrente di rinuncia “a qualsivoglia domanda e azione inerente e connessa al contratto di finanziamento oggetto di estinzione anticipata” e prodromica all’estinzione anticipata del medesimo contratto deve reputarsi nulla e improduttiva di effetti ai sensi dell’art. 36, secondo comma, lett. b), d.lgs. 206/2005 e per violazione dell’art. 125 sexies TUB, per rinuncia preventiva alle azioni conseguenti all’inadempimento dell’obbligo di restituire le somme, che risultano pagate senza causa a seguito dell’estinzione anticipata del finanziamento. A ciò si aggiunga che la richiesta rinuncia “a qualsivoglia domanda e azione inerente e connessa al contratto di finanziamento oggetto di estinzione anticipata”, quale condizione preliminare per la successiva estinzione anticipata, non appare conforme ai canoni di buona fede e correttezza cui l’intermediario è comunque tenuto nei rapporti con la propria clientela; così come deve escludersi, del resto, una piena consapevolezza da parte del ricorrente della disposizione del proprio diritto all’equo rimborso inderogabilmente previsto dall’art. 125-sexies TUB. Nel merito il Collegio, richiamato il proprio costante indirizzo in materia di rimborsabilità delle commissioni e degli oneri non goduti in sede di estinzione anticipata dei contratti di finanziamento contro cessione del quinto dello stipendio per la quota parte non maturata, ovvero secondo il criterio proporzionale ratione temporis, tale per cui l’importo complessivo di ciascuna delle suddette voci viene suddiviso per il numero complessivo delle rate e poi moltiplicato per il numero delle rate residue (cfr., tra le tante, la decisione, n. 4919 del 29.7.2014); considerato che l’intermediario resistente non ha applicato detto criterio in sede di estinzione anticipata; rilevato, con riferimento alle commissioni bancarie e alle commissioni di intermediazione, che le medesime difettano di sufficiente specificità al fine di desumerne l’integrale natura up-front, in contrasto con le esigenze di tutela e di inequivoca informazione del consumatore e che, pertanto, devono tutte qualificarsi recurring ai sensi dell’art. 1370 c.c.). Tutto ciò premesso e considerando ; posto che, alla stregua di tali criteri, la somma complessivamente da rimborsare risulta pari a € 826,15; considerato che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali vanno riconosciuti gli interessi legali in tema favore di onere della prova (art. 2697 c.c.), parte ricorrente; posto che non ricorrono le condizioni stabilite dal Collegio di coordinamento per il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione rimborso delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.spese legali;

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DIRITTO. La ricorrente allega Per riportare la complessa vicenda in termini gestibili nell’ambito di essere stata vittima una pronuncia arbitrale, appare conveniente, alla luce degli elementi evidenziari forniti dalle parti, stabilire alcuni punti fermi. Il Collegio è incompetente a decidere su fatti precedenti al 1° gennaio 2009. Di tal ché non può trovare accoglimento la domanda di accertamento dell’inesistenza del contratto concluso nel 2006, attenendo all’apprezzamento di vizi coevi alla formazione del rapporto. Per le stesse ragioni d’incompetenza ratione temporis, cui si aggiunge la mancata produzione di sufficienti prove documentali, non possono trovare accoglimento le domande di verifica dell’andamento dei tassi concretamente applicati e di conseguente rideterminazione dei rapporti di dare e avere essendo impossibile, in aderenza al tenore letterale del ricorso, operare un raggiro messo ideale frazionamento delle domande in atto guisa da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoritagliare uno spazio d’intervento su eventi successivi al gennaio 2009. Ciò posto, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato riprendendo il contratto sottoscritto nel 2006, di leasing in questione cui il Collegio può senz’altro acquisire conoscenza al fine di valutare la legittimità di comportamenti esecutivi successivi al 1° gennaio 2009 – giorno a partire dal quale prende avvio il periodo rientrante nella competenza temporale dell’Arbitro bancario finanziario –, si deve riconoscere al pagamento effettuato dall’odierno ricorrente nel maggio 2012 per circa due anni€ 3.815,52 efficacia estintiva del rapporto di credito revolving sorto nel 2006. Tale pagamento, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere confermato come fatto storico da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra entrambe le parti, corrisponde esattamente all’ammontare del debito all’epoca residuo (come risulta anche dalle evidenze contabili versate in atti dall’intermediario), e tale circostanza appare idonea a testimoniare la definitiva estinzione di ogni rapporto fra le parti, atteso che ai sensi dell’art. In particolareIV-7 «il cliente può sempre recedere senza preavviso mediante il contestuale pagamento di ogni suo debito nei confronti [dell’intermediario] e la restituzione della carta». Il richiamo alla lettera del contratto, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo testimoniante la possibilità per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolataestinguere il rapporto anche per comportamenti concludenti, invece, un’opzione smentisce la ricostruzione fornita in sede di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltrecontrodeduzioni dall’intermediario, il contratto quale, pur riconoscendo che a partire dal maggio 2012 per espressa volontà del ricorrente non è stata rilasciata più alcuna carta di leasing stipulato pagamento, immotivatamente pretende ai fini della «chiusura della linea di credito» che si formalizzi una «richiesta del titolare in tal senso». L’intermediario ammette pure di aver ripetutamente inviato all’indirizzo del(l’ex) cliente, successivamente al maggio 2012, alcune carte di credito, mai attivate dal destinatario, ponendo in essere una pratica commerciale evidentemente aggressiva. Poiché – contrariamente a quanto apoditticamente riferito dall’intermediario – dal regolamento contrattuale nulla si evince in merito all’asserita sopravvivenza della linea di credito revolving alla disattivazione (per pagamento dell’intero debito residuo e successiva mancata riattivazione) della carta magnetica, non può revocarsi in dubbio l’intervenuta estinzione del rapporto, con la convenutaconseguente impossibilità di una sua reviviscenza se non per mutuo consenso manifestato in forma scritta. Dopo all’incirca due anni dal pagamento del debito residuo e dalla disattivazione della linea di credito revolving, recante la firma si è sorprendentemente verificata una disposizione di accredito di somme su conto corrente tramite il sito internet di home banking dell’intermediario convenuto a valere sul rapporto revolving, che il ricorrente reputa eseguita a sua insaputa da un terzo, contitolare del conto corrente di appoggio per le operazioni relative al credito revolving (ritenuto estinto). Di tale utilizzo reputato fraudolento il ricorrente, pur sollecitato dall’intermediario, non ha mai sporto denuncia alle Autorità competenti o, perlomeno, se l’ha fatto, ha ritenuto di non fornirne i dettagli per non meglio specificate esigenze di tutela della stessa ricorrente privacy dei terzi coinvolti. Il ricorrente, a questo punto, chiede il rimborso integrale dell’importo oggetto dell’operazione disconosciuta, lamentando di non essere stato sufficientemente protetto dall’intermediario nell’escludere terzi malintenzionati dall’operatività sul conto online. Evidente è il richiamo alle regole introdotte in tutte le sue partiItalia con d.lgs. L’asserito vizio n. 11 del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti 27 gennaio 2010, in vigore dal 1° marzo 2010, di attuazione della direttiva 2007/64/CE, che contemplano una ripartizione del tutto peculiare dell’onere della prova: all’utilizzatore dello strumento di pagamento spetta di «comunicare senza indugio […] l'uso non autorizzato dello strumento non appena ne viene a conoscenza» (art. 1439 c.c.) e7 e 9, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”d.lgs. n. 11 del 27 gennaio 2010); sul prestatore del servizio di pagamento, dall’insieme delle allegazioni formulateche abbia ricevuto la comunicazione di disconoscimento dell’operazione da parte dell’utilizzatore, la domanda non può ricade quindi l’onere di «provare che essere interpretata come richiesta l'operazione di “annullamento” del contratto per vizio del consensopagamento è stata autenticata, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala correttamente registrata e contabilizzata e che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari subito le conseguenze del malfunzionamento delle procedure necessarie per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società esecuzione o di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio altri inconvenienti» (art. 143910, 2° comma, c.cd.lgs. cit.). Tutto ciò premesso Fatti salvi gli obblighi di diligente custodia del dispositivo di pagamento e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere dei codici segreti ricadenti sull’utilizzatore (il cui inadempimento è accertato sulla scorta, per lo meno, della prova (colpa grave: art. 2697 c.c7, comma 2, d.lgs. cit.), l’intermediario deve «assicurare che i dispositivi personalizzati che consentono l'utilizzo di uno strumento di pagamento non siano accessibili a soggetti diversi dall'utilizzatore legittimato ad usare lo strumento medesimo» (dovere di prevenire frodi, specialmente di tipo informatico: art. 8, lett. a). Non si può certo fare una colpa all’utilizzatore per non aver tempestivamente comunicato il presunto utilizzo fraudolento all’intermediario, atteso che appare sufficientemente provato il fatto che egli considerava quella linea di credito ormai definitivamente estinta a far data dal maggio del 2012. Xxxxx, è contraddittorio da parte del ricorrente negare, da un lato, la riconducibilità a sé della titolarità del secondo rapporto di credito revolving e, dall’altro, chiedere l’integrale rimborso delle somme che si assumono essere state indebitamente sottratte, con ciò presupponendo proprio la titolarità del conto. Ciò nondimeno, è dirimente ai fini del decidere evidenziare che l’operazione, di là dall’intrinseca anomalia delle circostanze dedotte, è stata resa possibile da una condotta gravemente colposa dell’odierno ricorrente, che ha dichiaratemene lasciato memorizzate nel browser del proprio elaboratore le credenziali d’accesso all’area protetta del sito internet dell’intermediario (ricorrendo al notorio, il Collegio ritiene che l’affermazione del ricorrente secondo cui «dopo un primo accesso con user e password, basta cliccare per gli accessi futuri semplicemente il pulsante “entra”» sia verosimilmente collegata a un’operazione di memorizzazione delle credenziali d’accesso, non provati si sa se per comodità o per disattenzione, sul proprio dispositivo elettronico, esponendole alla mercé di chiunque bene o male intenzionato). In estrema sintesi, le nuove regole di derivazione comunitaria non valgono a obliterare i fatti posti a fondamento basilari canoni di accertamento del nesso di causalità efficiente tra le diverse condotte coinvolte nella produzione dell’evento lesivo e l’asserito danno. A nulla vale indagare in astratto le eventuali carenze dei presidi di sicurezza messi in atto dal prestatore dei servizi di pagamento se, in concreto, un comportamento diverso dall’incuria da parte dell’utilizzatore avrebbe certamente evitato il prodursi del danno. Deve essere pertanto rigettata la domanda di rimborso integrale di 4.000,00 euro. Meritevole di accoglimento è, invece, l’argomento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento nullità del contratto di leasing cui il prelievo asseritamente fraudolento ha funto da attività esecutiva. A tal riguardo, passa in secondo piano il fatto che l’operazione sia stata dal ricorrente disconosciuta. Infatti, quand’anche l’anticipo contanti fosse stato richiesto direttamente dall’odierno ricorrente, egli avrebbe conservato in ogni caso il diritto ad agire in giudizio per far accertare la nullità del contratto per carenza del fondamentale requisito della forma scritta. Acclarata, come più sopra si è osservato, l’estinzione nel 2012 della linea di credito revolving, non c’è modo di ricollegare al precedente rapporto un’operazione compiuta nel 2014. La mancanza di forma scritta comporta la nullità della fonte del rapporto nel corso del quale ha avuto luogo il prelievo asseritamente fraudolento. Da ciò discende l’attivazione dei canonici meccanismi restitutori di tutti i pagamenti e conseguentemente assorbito l’esame di tutte le imputazioni a debito posti in essere in esecuzione del contratto. Strettamente connesso a questo è il tema dei risarcimenti del danno per comunicazione non autorizzata di dati personali del ricorrente a società di recupero crediti e per segnalazione illegittima in CAI e in SIC. Se, per un verso, non appare sufficientemente provata la comunicazione di dati personali a terzi (l’ostensione dello screenshot di un messaggio dal mittente non riconducibile all’odierno resistente non appare di per se stessa idonea a consustanziare la tesi del trattamento illecito), per altro verso, tutt’altro che lineare è la condotta dell’intermediario in relazione alla segnalazione del nominativo del ricorrente nelle banche dati private d’informazione creditizia, nonché in Centrale d’allarme interbancaria – segmento “carter”. Le segnalazioni appaiono al Collegio illegittime. Sebbene la segnalazione nel segmento “carter” del registro CAI persegua una funzione diversa rispetto all’iscrizione, sempre in CAI, per mancato pagamento, in tutto o in parte, di un assegno per difetto di provvista ex art. 9-bis, l. n. 386 del 1990 (v. Collegio ABF di Roma, decisioni n. 961 del 2012, e n. 487 del 2016), essa si dimostra comunque illegittimamente eseguita, perché nel segmento “carter” possono segnalarsi soltanto i nominativi dei soggetti ai quali sia stata revocata l’autorizzazione all’utilizzo di una carta di credito; circostanza che assolutamente non ricorre nel caso di specie, avendo il ricorrente regolarmente estinto il rapporto con il su menzionato pagamento risalente al maggio 2012. L’altra segnalazione presso centrali rischi private – di cui pure si ha prova agli atti – è certamente illegittima per violazione dell’art. 4, comma 7, del Codice di deontologia e di buona condotta per i sistemi informativi gestiti da soggetti privati in tema di crediti al consumo, affidabilità e puntualità dei pagamenti (mancanza di formale preavviso di segnalazione). Alla luce di tali evidenze, l’intermediario è chiamato a procurare la cancellazione delle segnalazioni negative in CAI e in tutte le banche dati private. Poiché è provato che le illegittime segnalazioni eseguite dalla banca convenuta hanno determinato l’immediato blocco di tutte le carte di pagamento attivate dal ricorrente presso un diverso intermediario, considerato che al giorno d’oggi l’impossibilità di operare con carte di debito o di credito comporta un’oggettiva alterazione peggiorativa della domanda sul qualità della vita nelle più elementari operazioni collegate alla quotidianità dei rapporti, il Collegio ritiene che la condotta dell’intermediario segnalante sia fonte di ingiusti disagi per il ricorrente, oggettivamente apprezzabili ex art. 115, comma 2, c.p.c., che possono pertanto formare oggetto di risarcimento del dannoequitativo, nella misura indicata in dispositivo. Infine, deve rimanere inevasa la richiesta di «spiegazioni sulla illecita richiesta di addebito SEPA» stante il suo carattere essenzialmente consulenziale, come tale non rientrante nelle competenze dell’ABF.

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DIRITTO. Oggetto della controversia in esame è l’accertamento di un’eventuale responsabilità precontrattuale dell’intermediario convenuto consistente nella ritardata comunicazione del rifiuto di erogazione di un mutuo ipotecario motivata con l’assenza di adeguato merito creditizio dell’istante: il quale, tuttavia, non pare contestare il principio generale (invocato dalla resistente sulla base del costante orientamento di quest’Arbitro ed ancor prima della Suprema Corte di Cassazione) secondo cui l’intermediario ha una piena autonomia decisionale nella valutazione del merito creditizio del proprio cliente e nella conseguente determinazione circa l’erogazione o il diniego di credito: il che, come è noto, rappresenta non soltanto un diritto del finanziatore, ma un suo preciso dovere allorché il rifiuto di una richiesta di erogazione di credito sia giustificato dal generale obbligo di sana e prudente gestione al quale l’intermediario è astretto dall’art. 5 Tub. La contestazione del ricorrente allega verte qui, piuttosto, sulla conformità della condotta tenuta della banca circa il tempo intercorso fra la richiesta del ricorrente e la risposta (negativa) fornita dalla banca stessa al quadro normativo in tema di verifica del merito creditizio dell’intermediario. Dalla documentazione in atti si evincono, in particolare, le seguenti circostanze, incontestate tra le parti: a) la richiesta di finanziamento è stata formalizzata il 6.6.2019 (nel relativo modulo di richiesta del mutuo ipotecario il cliente dichiarava di essere consumatore; tuttavia, nello stesso modulo si legge “finanziamento non rientrante nel credito immobiliare ai consumatori”); b) il ricorrente stesso ammette che, alla fine del mese di luglio 2019, veniva informalmente messo al corrente, tramite comunicazione telefonica, dalla Direzione dell’Agenzia, dell’esito negativo della pratica di mutuo, anche se poi la richiesta è stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing formalmente respinta dalla banca soltanto con la società comunicazione del 6.9.2019; c) tale comunicazione di leasing [ZZ]xxxxxxx sarebbe stata trasmessa al cliente in data 4.10.2019 (cfr. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing ricorso e controdeduzioni) ed in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora quest’occasione la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre banca ha illustrato al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione cliente le motivazioni del nome diniego; d) a seguito delle contestazioni del cliente, l’intermediario ha rimborsato alla controparte le spese di xxxxxxx, con assegno del 13.12.2019. Viene dunque in considerazione il disposto dell’art. 120-undecies, Tub (“Verifica del merito creditizio”) che, in materia di credito immobiliare ai consumatori, prescrive (al comma 1°) che “prima della conclusione del contratto di credito, il finanziatore svolge una valutazione approfondita del merito creditizio del consumatore (…)”, per poi imporre all’intermediario che, “quando la domanda di credito è respinta, il finanziatore informa il consumatore senza indugio del rifiuto e, se del caso, del fatto che la decisione è basata sul trattamento automatico di dati”. Ebbene, se – come a questo Collegio pare corretto – si interpreta la norma appena trascritta nel senso che il momento iniziale rispetto al quale valutare l’assenza di “indugio” sia quello in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolarela banca, all’esito di una verifica del merito creditizio del cliente condotta in tempi ragionevoli, abbia maturato la sua eventuale decisione di rigettare la richiesta; nel caso di specie non pare effettivamente sussistere una responsabilità precontrattuale della convenuta, in uno dei due documenti si fa riferimento quanto è lo stesso ricorrente ad un contratto ammettere che quest’ultima, sia pure informalmente, gli abbia comunicato a fine luglio la determinazione di “affitto/noleggio”rifiuto di erogazione del credito assunta il 17.7.2019 all’esito dell’acquisizione documentale necessaria ai fini della verifica della solvenza del cliente che, che prevede altresì nel caso di specie, è piuttosto articolata trattandosi di credito immobiliare garantito da beni in comproprietà. Pare d’altro canto credibile la prospettazione della convenuta secondo cui il passaggio ritardo nella comunicazione formale sia imputabile a richieste di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il nuove verifiche rese necessarie dai tentativi del cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localerimodulazione dell’istanza di finanziamento, al fine di renderla effettivamente sostenibile. Nel secondo documento vi è regolataDel resto, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con pur volendo assumere come illegittima la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulatecondotta dell’intermediario, la domanda del risarcimento del danno (patrimoniale e non può che essere interpretata come richiesta patrimoniale) per responsabilità precontrattuale formulata dall’istante non sarebbe comunque accoglibile, in quanto difettano, nella specie, gli ulteriori coelementi costitutivi della fattispecie risarcitoria invocata: la sussistenza del danno lamentato e la sua diretta dipendenza causale dalla condotta imputata all’asserito danneggiante. Più esattamente, il risarcimento del danno conseguente al comportamento scorretto dell’intermediario presuppone la prova del pregiudizio patito dal cliente a seguito, ad esempio, di “annullamento” atti impegnativi del contratto per vizio proprio patrimonio compiuti nel ragionevole affidamento dell’ottenimento del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivocredito. Ciò non di menoè tanto vero che, anche nei precedenti esaminati dall’Arbitro, il danno è stato liquidato nei soli casi in cui il ricorrente è riuscito a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone provarlo documentalmente ed a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.cricondurlo causalmente all’affidamento deluso (cfr., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione ad es., ABF Napoli, n. 1529/2013; ABF Roma, nn. 1836/2012 e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]3160/2013), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La controversia sottoposta all’esame del Collegio concerne l’accertamento del diritto del ricorrente allega alla restituzione di essere stata vittima quota parte degli oneri commissionali connessi a due contratti di un raggiro messo finanziamento, anticipatamente estinti rispetto al termine convenzionalmente pattuito, ex art. 125 sexies tub; in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticorelazione ad essi, il quale ricorrente chiede il rimborso delle quote non maturate, per il complessivo importo di euro 3.689,12, oltre gli interessi legali e le avrebbe prospettato un spese di assistenza difensiva. Il diritto di cui si discute trae fondamento normativo nelle disposizioni di cui all’art.121, co. 1, lett. e), tub, che indica la nozione di costo totale del credito, ed all’art. 125 sexies tub, che impone una riduzione del costo totale del credito, “pari” all’importo degli interessi e “dei costi dovuti per la vita residua del contratto”. L’orientamento consolidato dell’ABF, in materia, sino alla nota sentenza “Lexitor”, è stato quello di circoscrivere i costi rimborsabili - in ragione del riferimento normativo alla “vita residua del contratto”- a quelli che dipendono oggettivamente dalla durata del contratto (c.d. costi recurring) e che, a causa dell’estinzione anticipata del prestito, costituirebbero un’attribuzione patrimoniale in favore del finanziatore ormai priva della necessaria giustificazione causale. Si è invece ritenuto la non rimborsabilità delle voci di costo relative alle attività preliminari e prodromiche alla concessione del prestito, integralmente esaurite prima della eventuale estinzione anticipate (cc.dd. up front). Il criterio di calcolo del rimborso spettante per i relativi oneri recurring è stato individuato in quello del pro rata temporis, poichè il più logico e più conforme al diritto ed all’equità sostanziale, in applicazione dei principi previsti dalla decisione del Collegio di Coordinamento n. 6167/2014. Con la sopravvenuta pronuncia dell’11.9.2019, la cd. sentenza “Lexitor”, la Corte di Giustizia Europea, chiamata a pronunciarsi in relazione alla domanda formulata dal Giudice del Tribunale di Lublino, ai sensi dell’art. 267 TFUE, ha fornito la corretta interpretazione dell’art. 16, par. 1, della Direttiva 2008/48/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2008, relativa ai contratti di credito ai consumatori, rilevando, in particolare, che “il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito in caso di rimborso anticipato del credito include tutti i costi posti a carico del consumatore”, per tali intendendosi – alla luce della definizione recata dall’art. 3, lett. g, della stessa direttiva – “tutti i costi, compresi gli interessi, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di affitto o noleggio credito e di macchinaricui il creditore H̦ a conoscenza, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta escluse le spese notarili; sono inclusi anche i costi relativi a sottoscrivere un contratto di leasing servizi accessori connessi con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing credito, in particolare i premi assicurativi, se, in aggiunta, la conclusione di un contratto avente ad oggetto un servizio H̦ obbligatoria per ottenere il Il Collegio di coordinamento, investito della questione relativa agli effetti della menzionata sentenza, con la decisione n. 26525/2019, ha affermato: i) l’immediata applicabilità anche ai ricorsi non ancora decisi dell’art.125 sexies TUB, nel senso che, in caso di estinzione anticipata del finanziamento, il consumatore ha diritto alla riduzione di tutte le componenti del costo totale del credito, compresi i costi up front; ii) che Il criterio applicabile per circa due annila riduzione dei costi istantanei, versando in mancanza di una diversa previsione pattizia che sia comunque basata su un principio di proporzionalità, deve essere determinato in via integrativa dal Collegio decidente secondo equità, mentre per i canoni previsticosti recurring e gli oneri assicurativi continuano ad applicarsi gli orientamenti consolidati dell’ABF; iii) che la ripetibilità dei costi up front opera rispetto ai nuovi ricorsi e ai ricorsi pendenti, ne rileva ora purché preceduti da conforme reclamo, con il limite della domanda”. La logica della CGUE si è orientata in tal senso sulla base di considerazioni che attengono al criterio storico e teleologico, quest’ultimo nello scopo di garantire una protezione elevata del consumatore e l’equilibrio tra le parti sociali. Successivamente, a seguito dell’intervento legislativo avvenuto con il decreto c.d. “Sostegni bis” (“Misure urgenti connesse all'emergenza da COVID-19, per le imprese, il lavoro, i giovani, la “nullitàsalute e i servizi territoriali), chiedendo introdotto dalla legge di conversione n. 106 del 23.7.2021, il legislatore ha apportato modifiche all’art. 125 sexies tub, prevedendo, al 2° comma dell’art. 11-octies, che la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di nuova formulazione dell’art. 125-sexies si applica a tutti i danni subiti contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. Relativamente, invece, alle estinzioni anticipate dei contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione “continuano ad applicarsi le disposizioni dell’articolo 125-sexies del testo unico di cui al decreto legislativo A tal riguardo, per effetto dell’entrata in vigore dell’art. 11–octies del d.l. 25 maggio 2021, n. 73 come convertito dalla l. n. 106 del 23 luglio 2021, il Collegio di Roma ha rimesso al Collegio di Coordinamento la condotta illegittima posta questione “se la norma intertemporale dettata dal … comma 2 dell’art. 11-octies del decreto Sostegni-bis imponga di modificare l’orientamento fin qui seguito da questo Arbitro… a proposito del rimborso degli oneri non maturati in essere caso di anticipata estinzione del finanziamento da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione parte del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le particonsumatore contraente. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto …se tale disposizione legislativa imponga di “affitto/noleggio”, che prevede altresì disapplicare il passaggio principio di proprietà diritto enunciato nella…. sentenza Lexitor al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione rimborso anticipato dei contratti stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto Sostegni-bis (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.201125.7.2021), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferisconoapplicandolo solo a quelli stipulati posteriormente a tale data”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri Giova ricordare che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse richiamata norma di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.legge prevede testualmente quanto appresso:

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DIRITTO. La Il Collegio rileva preliminarmente come la presente controversia verta unicamente sul quantum del rimborso dovuto alla ricorrente allega a seguito dell’estinzione anticipata di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinarifinanziamento contro cessione del quinto dello stipendio (sottoscritto il 2 settembre 2009), liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre non anche sull’an del diritto della ricorrente al risarcimento di tutti i danni subiti rimborso degli oneri e dei costi anticipati per la condotta illegittima posta in essere quota parte non maturata; nonché sulla legittimità delle commissioni per “Mediatore Creditizio”. Risulta anzitutto infondata l’eccezione sollevata dall’intermediario circa il difetto di “legittimazione passiva”. Pur non essendo ravvisabile un richiamo espresso (anche) ad una generale rappresentanza processuale del terzo intermediario rappresentato, da un rappresentante lato, questo Collegio ha già chiarito come in tal caso occorra tenere in considerazione che “oggetto di contestazione da parte della società fornitrice [YY]ricorrente risulta essere proprio l’attività affidata ed effettivamente svolta dal convenuto e consistente nella predisposizione del conteggio per l’estinzione anticipata del finanziamento” (Collegio di Milano, legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione decisione n. 2394 del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre13 luglio 2012); dall’altro lato, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato finanziamento sottoscritto dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti prevede espressamente che “competente per la definizione di eventuali reclami è l’Ufficio Reclami” dell’intermediario resistente (art. 1439 c.c.) e10). Ciò premesso, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come il Collegio ritiene opportuno richiamare la disciplina di riferimento. Al riguardo, l’art. 125-sexies TUB introdotto dal D.lgs. n. 141/2010, al comma 1 (sostanzialmente ricognitivo della disciplina già vigente), prevede che nullità”Il consumatore può rimborsare anticipatamente in qualsiasi momento, dall’insieme delle allegazioni formulatein tutto o in parte, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versatil'importo dovuto al finanziatore. In questa prospettivatale caso il consumatore ha diritto a una riduzione del costo totale del credito, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni pari all'importo degli interessi e servizi bancari e finanziari emanate dalla dei costi dovuti per la vita residua del contratto” (conformemente a quanto, peraltro, già segnalato nella Comunicazione del Governatore della Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011)10 novembre 2009, Seznella quale, anteriormente alla nuova formulazione dell’art. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente125-sexies TUB, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse caso di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltreestinzione anticipata del mutuo “l’intermediario dovrà restituire, nel caso in esamecui tutti gli oneri relativi al contratto siano stati pagati anticipatamente dal consumatore, la relativa quota non maturata”). In riferimento, invece, al rimborso dei premi assicurativi, viene in rilievo – oltre l’accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008 (in cui si dispongono le ‘Linee guida per le polizze assicurative connesse a mutui e altri contratti di finanziamento’), in base al quale “Nel caso in cui il contratto di mutuo o di finanziamento venga estinto anticipatamente rispetto all’iniziale durata contrattuale, ed esso sia assistito da una copertura assicurativa collocata dal soggetto mutuante ed il cui premio sia stato pagato anticipatamente in soluzione unica ..., il soggetto mutuante restituisce al cliente – sia nel caso in cui il pagamento del premio sia stato anticipato dal mutuante sia nel caso in cui sia stato effettuato direttamente dal cliente nei confronti dell’assicuratore – la parte di premio pagato relativo al periodo residuo per il quale il rischio è cessato” – l’art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010, secondo cui “Nei contratti di assicurazione connessi a mutui e ad altri finanziamenti per i quali sia stato corrisposto un premio unico il cui onere è sostenuto dal debitore/assicurato le imprese, nel caso di estinzione anticipata o di trasferimento del mutuo o del finanziamento, restituiscono al debitore/assicurato la parte di premio pagato relativo al periodo residuo rispetto alla scadenza originaria. Essa è calcolata per il premio puro in funzione degli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura nonché del capitale assicurato residuo; per i caricamenti in proporzione agli anni e frazione di anno mancanti alla scadenza della copertura. Le condizioni di assicurazione indicano i criteri e le modalità per la definizione del rimborso. Le imprese possono trattenere dall’importo dovuto le spese amministrative effettivamente sostenute per l’emissione del contratto e per il rimborso del In linea generale, si segnalano, infine, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante ripetuti richiami della società fornitrice [YY] Banca d’Italia ad un maggior rispetto della normativa sulla trasparenza: “Onde evitare la mancata conoscenza da parte del cliente del diritto alla restituzione delle somme dovute in caso di estinzione anticipata e la concreta applicazione di tale principio, si richiama l’attenzione a uno scrupoloso rispetto della normativa di trasparenza. In tale ambito, è necessario che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] nei fogli informativi e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i nei contratti di leasing finanziamento sia riportata una chiara indicazione delle diverse componenti di costo per contro la clientela, enucleando in particolare quelle soggette a maturazione nel corso del tempo (a titolo di esempio, gli interessi dovuti all’ente finanziatore, le spese di gestione e incasso, le commissioni che rappresentano il ricavo per la prestazione della società di leasing [ZZ])garanzia “non riscosso per riscosso” in favore dei soggetti “plafonanti”, ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cecc.). Tutto ciò premesso L’obbligo di indicare le diverse componenti di costo trova applicazione anche ai compensi spettanti alle diverse componenti della rete distributiva (soggetti di cui agli articoli 106 e considerando 107 TUB, mediatori, agenti). Conseguentemente, le banche e gli intermediari finanziari devono: - assicurare che la documentazione di trasparenza sia conforme alla normativa, tenuto anche conto di quanto sopra indicato; - ricostruire le quote di commissioni soggette a maturazione nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali corso del tempo, anche al fine di ristorare, quanto meno con riferimento ai contratti in tema essere, la clientela che abbia proceduto ad estinzione” (Comunicazione del Governatore della Banca d’Italia del 10 novembre 2009; analogamente, più di onere recente, la Comunicazione della prova (art. 2697 c.cBanca d’Italia del 7 aprile 2011).), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega Le applicazioni più frequenti degli approdi giurispruden- ziali in materia di essere stata vittima obbligo di un raggiro messo segretezza sono state, peral- Nelle gare pubbliche, l’obbligo di predisporre adeguate cautele a tutela dell’integrità delle buste contenenti le offerte delle imprese concorrenti “discende necessaria- mente dalla ratio che sorregge e giustifica il ricorso alla gara pubblica per l’individuazione del contraente, in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale quanto l’integrità dei plichi contenenti le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole offerte dei partecipanti è uno degli elementi sintomatici della se- gretezza delle offerte e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento della par condicio di tutti i danni subiti con- correnti, assicurando il rispetto dei principi di buon an- damento ed imparzialità, consacrati dall’articolo 97 del- la Costituzione, ai quali deve uniformarsi l’azione am- ministrativa” (Cons. St., Sez. V, 28 marzo 2012, n. 1862). L’art. 46, comma 1-bis del codice dei contratti pubblici, nella sua nuova formulazione, prevede esplicitamente il principio di segretezza delle offerte, e adotta l’indirizzo giurisprudenziale più rigoroso secondo cui la sussistenza di indici anche solo formali (cd. irregolarità) della vio- lazione di tale principio causa l’esclusione dalla proce- dura della concorrente che ha dato luogo all’irregolari- tà. tro, quelle relative al diverso caso di commistione tra offerta tecnica ed offerta economica, con il corollario della necessaria assenza di conoscenza da parte dei com- missari degli elementi della seconda al momento della valutazione della prima. Nel caso di specie, afferente ad una gara di appalto da aggiudicare con il criterio del maggior ribasso, la stazio- ne appaltante ha tratto la convinzione della violazione dell’obbligo di segretezza da una serie di elementi for- mali che, unitamente a quanto riscontrato nella proce- dura di appalto n. 37, hanno indotto la commissione giudicatrice a ritenere ragionevole l’assunto secondo cui le offerte delle due concorrenti fossero state elaborate di comune accordo. Fermo restando che gli elementi di natura formale sono tutti riconducibili alla collazione e invio delle offerte da parte della stessa società di servizi, non pare a questo Collegio che la modalità di predisposizione delle offerte utilizzata dalla società ricorrente sia di per sé violativa del principio in discussione. Xxxxxx, l’obbligo generale di segretezza dell’offerta economica ha lo scopo, come visto, di preservare la commissione giudicatrice da con- dizionamenti nella sua decisione, al fine di garantire la par condicio tra concorrenti e il buon andamento del- l’azione amministrativa. Il fatto che entrambi i raggrup- pamenti abbiano utilizzato la stessa società di servizi (soggetto ad essi estraneo) per la condotta illegittima posta collazione e l’invio dei plichi non attesta di per sé né il pericolo di propalazio- ne delle notizie non divulgabili né un accordo elusivo della trasparenza della procedura da parte delle due con- correnti, in essere assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le circostanze concrete, che sia stato violato il principio di segretezza delle offerte”. Tali irregolarità nella procedura di appalto per cui è causa non vi sono state (le buste economiche erano correttamente sigillate e non sono state peraltro aperte) e ciò esclude la viola- zione sia formale che sostanziale del principio di segre- tezza, nei termini ipotizzati dalla stazione appaltante. Ne consegue che la società ricorrente è stata illegittima- mente esclusa dalla gara di appalto n. 36, i cui profili valutativi avrebbero dovuto, in ogni caso, restare auto- nomi rispetto alle violazioni constatate in altre proce- dure. Quanto alla violazione del patto d’integrità, esclusa la lesione dei principi di lealtà, trasparenza e correttezza, che afferiscono direttamente a quello di segretezza delle offerte, l’unica disposizione da ritenersi concretamente applicabile al caso di specie è quella relativa alla dichia- rata assenza “di situazioni di controllo o di collegamen- to (formale e/o sostanziale) con altri concorrenti” e alla sussistenza o meno di “accordo” con altri partecipanti alla gara. Il Collegio osserva che deve escludersi il ricorrere nel caso di specie di un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società collegamento formale o sostanziale tra le due concorrenti. Non vi è collegamento formale poiché gli assetti societari e di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce amministrazione delle so- cietà mandanti e mandatarie dei due moduli contrattualiraggruppamenti in esame erano del tutto diversi, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientevi è collegamento so- stanziale poiché ne mancano alcuni tra gli indici più si- gnificativi (tra cui, in cui si descrivono i rapporti tra via esemplificativa, lo stesso luo- go di ubicazione delle sedi sociali, l’intreccio di parente- le partireciproche o l’aver ricevuto l’attestazione SOA dal medesimo organismo). In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. ProduceDecisiva, inoltre, è la circostanza che non siano state aperte le buste economiche; ne consegue che all’amministrazione era ex lege inibito di esprimere valutazioni in ordine ad un eventuale collega- mento sostanziale. Occorre a questo punto verificare se vi siano elementi di fatto tali da far desumere l’esistenza di un previo ac- cordo tra i due raggruppamenti nel coordinare tra di lo- ro le operazioni di gara, e, prima ancora, quale sia il contratto concetto di leasing stipulato con “accordo” valorizzato dal patto d’integrità. Ritiene il Collegio che per “accordo” tra partecipanti ad una stessa gara possano essere individuate due diver- se fattispecie, una afferente ad un’intesa volta alla co- mune, materiale predisposizione dei plichi, l’altra con- nessa più direttamente ad una modalità fraudolenta vol- ta ad assicurare ad una delle due partecipanti il conse- guimento dell’appalto. In entrambi i casi, la convenutastazione appaltante è onerata di fornire la prova, recante tramite rilievi formali e deduzioni logi- che gravi e concordanti, dell’avvenuto accordo. Nel caso di specie, come si è già ampiamente detto, la firma comune predisposizione dei plichi non è desumibile né dall’utilizzo da parte di entrambi i raggruppamenti della stessa ricorrente agenzia di servizi per la collazione e l’invio dei plichi, né da elementi tratti da diversa e autonoma pro- cedura di appalto, in tutte assenza di irregolarità tali “da far ritenere, secondo le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca circostanze concrete, che sia stato violato il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme principio di segretezza delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamentooffertedel contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante nell’ambi- to della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso procedura in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che e in presenza di una busta economica integra e correttamente sigillata. Analogamente, non è terza rispetto alle partipossibile dedurre dagli elementi valorizzati dalla stazione appaltante un accordo fraudo- lento volto ad assicurare ad una delle due partecipanti il conseguimento dell’appalto. La ricorrenteEscluso, infatti, non lo qualifica come rappresentante che nella specie fosse emersa un’irrego- larità nella chiusura dei plichi, la verifica della stazione appaltante circa l’accordo fraudolento avrebbe dovuto riguardare il contenuto dell’offerta economica contenu- ta nei plichi medesimi. In altre parole, l’amministrazione, in contraddittorio con le società concorrenti, una volta proceduto all’e- sclusione, avrebbe dovuto verificare, tramite l’esperi- mento di leasing [ZZ] una gara virtuale, e quest’ultima dichiara trattarsi la conseguente apertura delle offerte economiche anche delle due concorrenti escluse, la sussistenza di ulteriori elementi di fatto, tali da suffragare l’ipotesi una combine tra due o più con- correnti. Nel caso di specie si sarebbe, ad esempio, potuta riscon- trare una distribuzione dei ribassi caratterizzata dalla presenza nella gara di valori concentrati soltanto in de- terminati intervalli, con assenza, cioè, di ribassi in am- pie fasce di valori, o la sussistenza di valori troppo vicini o troppo distanti per essere credibili sul piano tecnico- finanziario in rapporto alle commesse da affidare, il tut- to in armonia con il tentativo di porre in essere una c.d. cordata, sintomatica di una concorrenza soltanto fittizia. La stazione appaltante ha tuttavia ritenuto di dovere procedere all’escussione della cauzione senza chiedere chiarimenti alle imprese coinvolte od operare ulteriori approfondimenti sull’accertamento in concreto della sussistenza di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato accordo fraudolento, nonostante lo stesso patto d’integrità postulasse come soltanto “possi- bile” l’inflizione di sanzioni a collocare i contratti fronte di leasing condotte lesive del corretto andamento della procedura. È chiaro al riguardo che la discrezionalità consentita al- l’amministrazione dal patto d’integrità non possa essere intesa come arbitrio nell’applicare le sanzioni ma come garanzia procedimentale per contro le concorrenti di adeguato coinvolgimento in contraddittorio nell’individuazione della società sussistenza degli elementi di leasing [ZZ])fatto da porre a soste- gno della contestazione. La richiesta di escussione della fideiussione risulta dun- que illegittima per un duplice ordine di motivi tra di lo- ro inscindibili, da un lato afferenti alla mancata corretta individuazione della condotta lesiva del patto d’integri- tà, dall’altro discendenti dalla totale assenza di contrad- dittorio e di istruttoria che ha caratterizzato il sub-pro- cedimento di applicazione della sanzione. In altre parole, la procedimentalizzazione dell’iter san- zionatorio sarebbe stata nel caso di specie non una inu- tile formalità garantistica ma una modalità di azione re- sa necessaria dal fatto che non erano stati acquisiti nel corso della gara elementi tali da poter sostenere né un’irregolarità formale nella chiusura dei plichi né un collegamento sostanziale, anche nei termini sopra enun- ciati di un suo rappresentanteaccordo, tra le due concorrenti. Resta d’altra parte non comprensibile la ragione della mancata applicazione anche analogica alla fattispecie in esame della disciplina di cui all’art. 38, comma 2 del D.lgs. 163/2006, che prescrive che “la stazione appal- tante esclude i concorrenti per i quali accerta che le re- lative offerte sono imputabili ad un unico centro deci- sionale, sulla base di univoci elementi. La verifica e l’e- ventuale esclusione sono disposte dopo l’apertura delle buste contenenti l’offerta economica”. Ciò, anche in considerazione della circostanza per cui il “comune accordo” va accertato in concreto, e non sem- plicemente presunto, così come statuito dalla giurispru- denza della Corte di Giustizia dell’Unione europea nel caso, da ritenersi speculare a quello esaminato, della sussistenza di un rapporto di controllo o collegamento tra imprese concorrenti (cfr. Sez. IV, 19 maggio 2009, in C-538/07). In tal casodefinitiva, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)dunque, il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento ricorso va integralmente accol- to, salva l’inammissibilità della domanda volta ad otte- nere l’annullamento della ricorrente comunicazione del provvedi- mento di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoesclusione all’ANAC.

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DIRITTO. La ricorrente allega controversia sottoposta all’esame del Collegio scaturisce dall’errata indicazione del TAEG nella lettera con la quale l’intermediario convenuto ha comunicato l’accettazione della richiesta di essere stata vittima finanziamento. Il Collegio ritiene anzitutto di un raggiro messo rigettare l’eccezione dell’intermediario in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari ordine alla sussistenza dei presupposti per uso esteticol’applicazione dell’art. 125 bis, comma 7°, lett. a, Tub: per quanto, infatti, il quale le avrebbe prospettato ricorrente non abbia effettivamente dimostrato il proprio status di consumatore al momento della conclusione del contratto oggetto di controversia, dalla documentazione agli atti si rinviene però il dato significativo che l’istante non ha speso un contratto di affitto o noleggio di macchinarinome commerciale, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le partiné ha osteso l’identificativo fiscale dell’impresa. In particolaretale contesto fattuale ed a fronte dell’eccezione meramente formale dell’intermediario che si limita a contestare, in uno senza fornire allegazioni a supporto di una diversa rappresentazione dei due documenti si fa riferimento ad un contratto fatti, al Collegio non sembra dunque possibile negare al ricorrente la qualifica di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca localeconsumatore. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltreTanto acquisito, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala Collegio deve rilevare che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie ampie considerazioni svolte dal ricorrente in materia di calcolo dell’indicatore di costo, allo scopo di giustificare l’inclusione delle spese di incasso, non colgano nel segno poiché i riferimenti normativi cui lo stesso si richiama sono obsoleti: il TAEG è oggi disciplinato, come rilevato dalla resistente, dalle “Disposizioni in materia di trasparenza delle operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia finanziari” (provvedimento del 12.12.2011non più dal decreto ministeriale), Sezle quali - in linea con la normativa comunitaria – estendono il novero degli elementi di costo rilevanti, includendovi senz’altro le spese di incasso delle rate. IConsapevole di ciò, § 4l’intermediario non contesta la rilevanza dei costi ai fini della determinazione del tasso effettivo; sostiene però l’inconsistenza dell’errore nei dati riportati nella lettera di accettazione, 2° commaa fronte dell’informazione completa e corretta resa al cliente nella fase precontrattuale, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte innanzitutto con il modulo di richiesta del finanziamento recante un quadro chiaro delle condizioni applicate e l’indicazione del TAEG nella misura del 6,45%. Sennonché, le controversie aventi ad oggetto l’accertamento verifiche effettuate da questo Arbitro rivelano che, anche integrando i dati del finanziamento con le informazioni desumibili dal modulo di dirittirichiesta, obblighi e facoltà, indipendentemente dal il valore del rapporto TAEG al quale 6,45% non risulta congruente, attestandosi al 6,53% che diventa 6,37%, ove non si riferiscono”considerino i costi di incasso. Si registranoPertanto, pertantoin applicazione delle regole sull’arrotondamento, orientamenti non univoci pure correttamente richiamate dall’intermediario nelle controdeduzioni, il valore da indicare in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivocontratto – pure ritenendo corretti i calcoli effettuati dall’intermediario - avrebbe dovuto essere pari al 6,5%. Ciò non di menoTanto premesso, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. InoltreCollegio rileva tuttavia che, nel caso in esamedi specie, i raggiri sarebbero stati usati il vero vulnus nella rappresentazione del costo dell’operazione nel contratto sia conseguenza non tanto di questi marginali scostamenti, quanto dei costi assicurativi, che emergono da un esame completo della documentazione prodotta agli atti dal rappresentante della società fornitrice [YY] che resistente. Invero, benché non richiamate nel singolo contratto di finanziamento oggetto di contestazione, il ricorrente ha sottoscritto e accettato, congiuntamente all’acquisto del veicolo, due coperture assicurative, il pagamento delle quali è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentantestato sua volta sovvenzionato dalla banca resistente. In tal casoparticolare, ai fini dell’annullamento l’operazione complessiva è stata così articolata: 1) acquisto dell’autoveicolo del contrattovalore di euro 63.600,00, occorrerebbe altresì dimostrare finanziato con il prestito finalizzato oggetto di specifica contestazione; 2) acquisto di una polizza a copertura del rischio di incendio e furto dell’autoveicolo del valore di euro 3.026,00, integralmente finanziata con altro prestito per pari importo e regolato da un TAN del 13,45%; 3) acquisto di altra polizza a copertura del rischio di credito per il caso che gli asseriti raggiri siano stati noti eventi quali morte e invalidità permanente del debitore impediscano il regolare pagamento delle rate di tutti i finanziamenti, del valore di euro 2.999,08 integralmente finanziato con ulteriore prestito regolato da un TAN del 13,49%. In particolare, quest’ultima polizza – anche a non voler considerare la copertura del rischio incendio e furto del veicolo – appare senz’altro collegata al contraente che ne ha tratto vantaggio finanziamento anche perché assistita da un appendice di vincolo a favore del finanziatore. Ebbene, pure in assenza di informazioni complete, la ricostruzione unitaria dell’operazione (art. 1439finanziamento + polizza assicurativa + ulteriore finanziamento) restituisce un costo effettivo di 8,66% annuo, 2° comma, c.ceffettivamente diverso e ben più elevato di quello rappresentato dall’intermediario convenuto.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La Il diritto del cliente ad ottenere copia della documentazione relativa alla documentazione bancaria è regolato da norme di legge e dalle disposizioni di trasparenza emanate dalla Banca d’Italia. L’art. 119, 4° comma, del Testo unico bancario (D.lgs. n. 385/1993) dispone al riguardo che: «Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Al cliente possono essere addebitati solo i costi di produzione di tale documentazione». A loro volta, le Disposizioni di trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e Finanziari del 29.7.2009, emanate dalla Banca d’Italia, stabiliscono (Sez. IV, par. 4 – Richiesta di documentazione su singole operazioni) che: «Il cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell'amministrazione dei suoi beni hanno diritto di ottenere, a proprie spese, entro un congruo termine e comunque non oltre novanta giorni dalla richiesta, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni. Gli intermediari indicano al cliente, al momento della richiesta, il presumibile importo delle relative spese». Dal dato testuale delle norme richiamate risulta chiaramente che la legittimazione a chiedere copia della documentazione relativa ai rapporti bancari spetta al « cliente, colui che gli succede a qualunque titolo e colui che subentra nell’amministrazione dei suoi beni». In alcuni precedenti l’ABF ha attribuito la legittimazione attiva alla proposizione dell’istanza ex art. 119, co. 4 T.U.B. al socio di società di persone (Collegio Roma, decisione n. 3793/12, richiamata dal ricorrente) nonché al garante (Collegio Roma, decisione 2306/14; nonché, ma con orientamento più restrittivo, Collegio Napoli, decisione 1447/2010), ritenendo tali soggetti potenziali destinatari di effetti sostanziali conseguenti al rapporto bancario intestato alla società di persone ovvero al debitore principale. Il ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo argomenta che tali orientamenti dovrebbero valere anche a suo favore in atto considerazione, da un rappresentante lato, dell’affinità esistente tra le società a responsabilità limitata e le società di un’impresa persone, e dall’altro lato dell’accordo di postergazione volontaria del 24.3.2009. Entrambi i motivi sono evidentemente infondati. L’art. 2331 c.c., richiamato in materia dall’art. 2463 c.c., stabilisce che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con l’iscrizione nel registro delle imprese la società di leasing [ZZ]a responsabilità limitata acquista la personalità giuridica. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre Il socio è quindi terzo rispetto al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla rapporto bancario intercorrente fra banca e società. A differenza delle società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Producepersone, inoltre, il contratto socio di leasing stipulato s.r.l. non risponde illimitatamente per i debiti sociali e non è soggetto al divieto concorrenza con la convenutasocietà stabilito dall’art. 2301. Va ulteriormente osservato che l’accordo di postergazione del 24.3.2009 non può in alcun modo essere assimilato ad una forma di garanzia a favore della banca perché non genera alcuna obbligazione in capo ai soci di adempiere i debiti della società, recante bensì si limita ad incidere sull’ordine con cui i creditori possono soddisfarsi sul patrimonio sociale. Orbene, il diritto del garante ad ottenere informazioni dalla banca sui rapporti bancari del debitore garantito (diritto peraltro non illimitato, come riconosciuto da questo Collegio, decisione n. 1447/2010) si fonda sul collegamento giuridico esistente fra l’obbligazione di garanzia ed il debito principale. E in particolare dipende dalla circostanza che l’andamento dell’obbligazione principale va a determinare in concreto il debito del garante; di conseguenza, nel momento in cui il garante chiede alla banca informazioni sull’esposizione debitoria del garantito, egli in realtà non fa che informarsi sull’ammontare del proprio debito in qualità di coobbligato. Le stesse considerazioni possono giustificare l’estensione del diritto di informazione ai soci illimitatamente responsabili di società di persone, in quanto gli stessi sono costituiti garanti ex lege delle obbligazioni sociali; e ciò vale indipendentemente dalla soluzione che si voglia dare al controverso problema se le società di persone siano soggetti distinti dai soci. Ma a maggior ragione va esclusa nel caso di specie la firma della stessa legittimazione del ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca ad esercitare il dolo nella conclusione dei contratti (diritto di documentazione ex art. 1439 c.c.) e119, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono T.u.b. in relazione ai rapporti bancari facenti capo alla società, dato che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento come anticipato né l’accordo di dirittipostergazione sottoscritto, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”né la posizione di socio di s.r.l. Si registrano, pertanto, orientamenti determina in capo all’istante la posizione di coobbligato per i debiti sociali. Quanto poi ai poteri di controllo dei soci non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivoamministratori riconosciuti dall’art. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 14392476, 2° comma, c.c. è indiscutibile che gli stessi configurino diritti sociali esercitabili solo nei confronti della società. In nessun modo pertanto può ricavarsi da questa norma la pretesa di ottenere informazioni da terzi.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. Il Collegio preliminarmente deve esaminare l’eccezione formulata dall’intermediario circa la natura della quietanza liberatoria sottoscritta dal ricorrente. Sul tema il Collegio di Coordinamento di questo Arbitro ha evidenziato che: “…non sono prospettabili conclusioni generali ed astratte, valide per tutti i casi in cui la clientela sottoscrive atti di quietanza liberatoria. La ricorrente allega valutazione deve essere invece compiuta in concreto, con particolare riferimento al singolo caso, interpretando le dichiarazioni contenute negli atti di quietanza sottoscritti dai clienti in sede di estinzione anticipata” (dec. n. 8827/17). La quietanza liberatoria rilasciata a saldo di ogni pretesa deve essere intesa, di regola, come semplice manifestazione del convincimento soggettivo dell’interessato di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento soddisfatto di tutti i danni subiti suoi diritti, e pertanto alla stregua di una dichiarazione di scienza priva di efficacia negoziale, salvo che nella stessa non siano ravvisabili gli estremi di un negozio di rinuncia o transazione in senso stretto, ove, per il concorso di particolari elementi di interpretazione contenuti nella stessa dichiarazione, o desumibili aliunde, risulti che la parte l’abbia resa con la chiara e piena consapevolezza di abdicare o transigere su propri diritti (Cass., 21 febbraio 2017, n. 4420). Sul punto, inoltre, occorre precisare che è necessario che la dichiarazione debba contenere, in termini non equivoci la volontà del dichiarante di non limitarsi a dare atto del pagamento ricevuto, ma di abdicare, con effetti estintivi, alla pretesa di ricevere le restanti somme da lui corrisposte. Vi è di più. I Collegi territoriali hanno condiviso che, in generale, le quietanze liberatorie possono essere reputate quali rinunce o transazioni solo se rilasciate contestualmente o in seguito all’estinzione del finanziamento, in quanto solo in quel momento diviene attuale il diritto alle restituzioni degli oneri non maturati. Passando alla disamina della quietanza emerge che la stessa è stata sottoscritta in data 18 luglio 2019, mentre l’estinzione è avvenuta in data 31 luglio 2019. La quietanza è stata sottoscritta prima dell’estinzione del finanziamento. Nel caso di specie si ritiene che il ricorrente non ha assunto una condotta abdicativa, con effetti estintivi rispetto alla pretesa di ricevere le restanti somme corrisposte. Ne consegue che la predetta eccezione va disattesa. Il Collegio, pertanto, deve esaminare il merito della domanda. Secondo il consolidato orientamento dell’ABF (Coll. Roma, decisione n. 3978/2015; e Coll. Coord. n. 6167/2014), nel caso di estinzione anticipata del finanziamento, deve essere rimborsata la quota delle commissioni e di costi assicurativi non maturati nel tempo, ritenendo contrarie alla normativa di riferimento le condizioni contrattuali che stabiliscano la non ripetitività tout court delle commissioni e dei costi applicati al contratto nel caso di estinzione anticipata dello stesso (cfr. Accordo ABI-Ania del 22 ottobre 2008; Comunicazione della Banca d’Italia 10 novembre 2009; e art. 49 del Regolamento ISVAP n. 35/2010; cui sono seguiti l’art. 125-sexies TUB, introdotto dal d. lgs. n. 141/2010; e la Comunicazione della Banca d’Italia 7 aprile 2011). Il Collegio ritiene in linea di principio che: (1) siano rimborsabili, per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattualiparte non maturata, non firmati solo le commissioni bancarie e privi dell’indicazione finanziarie, ma anche le commissioni di intermediazione e i costi assicurativi; (2) al loro rimborso sia tenuto l’intermediario mutuante, atteso che la sua legittimazione passiva oltre che la competenza dell’ABF trovano fondamento nel rapporto di accessorietà dei contratti assicurativi e di mediazione creditizia rispetto al rapporto di finanziamento; (3) l’importo da rimborsare deve essere equitativamente stabilito secondo un criterio proporzionale, tale per cui l’importo di ciascuna delle suddette voci viene moltiplicato per la percentuale del nome “finanziamento estinto anticipatamente”, risultante (se le rate sono di eguale importo) dal rapporto fra il numero complessivo delle rate e il numero delle rate residue. L’estinzione anticipata del clientefinanziamento è avvenuta alla 48ma rata, previa emissione in cui si descrivono i rapporti data 08/07/2019 del conteggio estintivo. Le commissioni in favore dell’intermediario finanziario, sebbene contrattualmente ripartite in una quota non ripetibile e una quota ripetibile (con indicazione del relativo criterio di rimborso), devono considerarsi interamente recurring in quanto tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto attività della componente up front figurano “gli oneri per le operazioni di “affitto/noleggioacquisizione della provvista”, che prevede altresì il passaggio costituiscono un’attività recurring secondo quanto previsto dal Collegio di proprietà al cliente dopo 59 mesi coordinamento (decisione n. 5031/2017); di utilizzo dei macchinari e l’obbligo conseguenza per il cliente rimborso si applica il criterio proporzionale pro rata temporis. In relazione alla “commissioni di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullitàdistribuzione”, dall’insieme delle allegazioni formulatela stessa ha natura recurring, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consensoconseguentemente, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva rimborsate secondo l’artil criterio pro rata temporis. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa Il ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti diritto al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione rimborso delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.seguenti voci:

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DIRITTO. La Il ricorrente allega chiede di essere stata vittima potersi sottrarre all’obbligo di garanzia fideiussoria in virtù dell’intervenuta cessione della propria partecipazione nella società che riveste il ruolo di debitore principale. Come già chiarito da questo Collegio a fronte di analoghe vicende (cfr. Collegio ABF di Napoli, decisioni n. 3320/2015, n. 5712/2013), la cessione delle partecipazioni sociali non è un raggiro messo in atto da un rappresentante accadimento che vale a estinguere l’obbligazione fideiussoria. Una volta prestata, l’obbligazione fideiussoria, quale garanzia accessoria rispetto all’obbligazione principale, segue la sorte del debito principale e permane sino a quando quest’ultimo non venga meno. Il ricorrente si duole, altresì, del comportamento tenuto dall’intermediario nella fase di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un esecuzione del contratto di affitto o noleggio fideiussione: più esattamente, l’intermediario avrebbe tenuto una condotta improntata a scarsa diligenza, avendo continuato, in assenza di macchinari, liberamente risolvibile senza penalesua specifica autorizzazione, ad un canone mensile erogare credito al debitore principale anche in presenza di 000 xxxxradicali mutamenti della compagine societaria tali da incidere sulla capacità di restituzione del finanziamento. Anche sotto questo profilo, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un la richiesta del ricorrente non può essere accolta. Nel contratto di leasing fideiussione sottoscritto in data 11 maggio 1990, è contenuta infatti, oltre a una clausola “omnibus”, con la società quale la ricorrente si impegna a garantire “tutto quanto dovuto dal debitore, per capitale, interessi anche se moratori e ogni altro accessorio, nonché per ogni spesa anche se di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullitàcarattere giudiziario ed ogni onere tributario”, chiedendo una espressa deroga al dovere del creditore di “chiedere la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione speciale autorizzazione prevista dall’art. 1956 cod. civ. per far credito al debitore”. In presenza di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattualitale clausola, non firmati e privi dell’indicazione può censurarsi il comportamento dell’intermediario che ha continuato a fare credito al debitore principale senza specifica autorizzazione del nome del clientegarante, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, 1956 c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)D’altro canto, il ricorrente non ha fornito alcuna prova che l’intermediario fosse a conoscenza di un peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore garantito, in presenza delle quali avesse comunque continuato a fare credito a quest’ultimo (cfr., al riguardo, Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente ABF di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoMilano, decisione n. 239/2010).

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DIRITTO. La ricorrente allega Preliminarmente, si prospettano due profili di essere stata vittima irricevibilità del ricorso. Il primo attiene alla mancata formulazione del preventivo reclamo sulle istanze relative all’illegittimo addebito di interessi di mora, spese e commissioni, nonché a quelle racchiuse nella domanda proposta in via subordinata; e, per quanto nella disamina della corrispondenza tra l’oggetto del reclamo e il perimetro delle domande e delle ragioni presentate all’Arbitro bancario finanziario non si applichi un raggiro messo criterio eccessivamente formalistico, non si può revocare in atto da un rappresentante dubbio l’assoluta novità della questione, di un’impresa xxxxx che commercializza macchinari sul punto il ricorso è inammissibile. Il secondo profilo di irricevibilità – rilevato in via di eccezione anche dall’intermediario – riguarda l’incompetenza temporale dell’Arbitro bancario finanziario per uso esteticole contestazioni che concernono la legittimità delle clausole contrattuali, atteso che il quale le avrebbe prospettato un rapporto di cui si discute si è costituito con contratto del 20 giugno 2008, sicchè il Collegio non può esaminare la validità delle pattuizioni relative al tasso di affitto o noleggio interesse che era stato fissato nel contratto. Un discorso più complesso riguarda la questione della polizza assicurativa, oggetto di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile due ordini di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La contestazioni del ricorrente, pur avendo onorato il contratto l’una relativa all’aumento del premio, disposta unilateralmente dall’intermediario in violazione degli obblighi di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitrocomunicazione, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrentel’altra riferita alla rilevanza di tale premio nella base di calcolo della misura del tasso di interesse con l’esito del superamento del tasso soglia antiusura. Xxxxxx, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti quanto al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)primo aspetto, il Collegio ritiene che la disamina del motivo è preclusa dall’incompetenza temporale dell’Arbitro: infatti, anche ove si volesse tenere conto del criterio distintivo fondato sul contenuto del petitum e che conduce a negare o ammettere la competenza temporale a seconda se la domanda evochi, rispettivamente, vizi genetici del rapporto oppure effetti del contratto prodottisi successivamente al limite temporale, nel caso di specie non provati si perviene a risultati univoci: infatti, per un verso, il ricorrente afferma di avere appreso della modifica solo con il documento di sintesi del 13 luglio 2009, tuttavia dal rendiconto allegato alla comunicazione periodica del 6 luglio 2010 sembra evincersi che la rata, maggiorata del premio contestato, abbia trovato applicazione fin dalla scadenza del 29 settembre 2008; pertanto, si deve ritenere che il ricorrente – il quale è onerato della prova della competenza temporale dell’Arbitro, soprattutto laddove il rapporto contrattuale è anteriore al 1 gennaio 2009 deponendo in via generale per l’incompetenza – non abbia adeguatamente dimostrato la riferibilità della contestazione e del petitum al periodo di competenza. Da diverso angolo visuale, però, proprio la cristallizzazione degli oneri contrattuali addebitati al ricorrente consente di ritenere fondata la domanda relativa alla sopravvenuta natura usuraria del tasso di interesse. E’ noto, in primo luogo, che le Istruzioni per la rilevazione trimestrale del TEGM per le banche e gli intermediari ex art. 107 annoverano – sin dalla loro entrata in vigore dal 1 gennaio 2010, giusta il regime transitorio indicato sub D1 delle dette Istruzioni – gli oneri assicurativi derivanti da polizza obbligatoria per legge o per contratto e, comunque, intese ad assicurare il rimborso totale o parziale del credito. Entrambe queste condizioni risultano sussistenti nel caso di specie, sicché, applicando il criterio di calcolo indicato dalle Istruzioni, si rileva un sistematico sforamento del tasso soglia, che, alla luce delle indicazioni fornite dal Collegio di Coordinamento in materia di usura sopravvenuta (sia pure con qualche perplessità segnalata nei commenti della dottrina sulla idoneità di un giudizio secondo buona fede a fondare una sostanziale riscrittura del contratto), determina l’obbligo dell’intermediario a riportare i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente xxxxx concordati sotto la soglia di restituzione usurarietà, procedendo al ricalcolo delle somme versate dovute dal ricorrente e provvedendo alla convenuta in adempimento restituzione di quelle eccedenti eventualmente già corrisposte. Non merita accoglimento la domanda di risarcimento dei danni non patrimoniali, del contratto tutto priva di leasing allegazione e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannodi prova.

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DIRITTO. La I fatti ed i comportamenti tenuti dalle parti nel corso del rapporto di cui è causa non sono in contestazione. Deve pertanto ritenersi provato, ai fini del decidere, che: - la società ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato ha stipulato con la banca resistente un contratto di affitto factoring avente ad oggetto la cessione di pacchetti (o noleggio plafond) di macchinaricrediti non ancora venuti a scadenza; - le modalità di cessione e di garanzia sui crediti ceduti alla banca sono regolate dagli articoli 12 e 13 del contratto; - ai sensi di tali previsioni negoziali era la banca ad indicare le condizioni alle quali era disposta a concedere la garanzia pro soluto sui crediti ceduti; - tra le condizioni indicate dalla banca vi era la scadenza dei crediti, liberamente risolvibile senza penaleche non doveva superare i 120 giorni; - i crediti sui quali la ricorrente invoca la garanzia della banca scadevano invece a 180 giorni; - la banca ha applicato su tali crediti le commissioni previste per la cessione di crediti pro soluto; - la banca ha provveduto a rimborsare la ricorrente delle maggiori commissioni applicate sulla cessione di crediti pro soluto, per un importo pari ad un canone mensile euro 5.095,16, solo dopo la presentazione del ricorso. Questi essendo i fatti ed i comportamenti come dedotti dalle parti, si tratta allora di 000 xxxxstabilire se la cessione del plafond di crediti da parte della società sia avvenuta pro soluto, xxcome sostiene la ricorrente, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostaovvero pro solvendo, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto come eccepisce la banca per sottrarsi alla richiesta della cliente. Stando alle disposizioni contrattuali che regolano il rapporto, l’assunzione della garanzia sui crediti ceduti da parte della banca (i.e. cessione pro soluto) risulta subordinata al rispetto da parte del cedente delle condizioni indicate dal factor, tra le quali figurano i termini di leasing pagamento delle fatture incluse nel plafond. Pertanto, laddove tali requisiti non siano rispettati, i crediti inclusi nel plafond non saranno assistiti dalla garanzia della banca. Orbene, nel caso che occupa, è pacifico che la scadenza dei crediti inseriti nel plafond fosse difforme da quella indicata dalla banca, essendo di 180 giorni anziché di 120; con la società di leasing [ZZ]conseguenza che per essi la banca non risponde pro soluto. La ricorrentecircostanza, pur avendo onorato il contratto anch’essa pacifica, che l’intermediario abbia sempre applicato alla cessione di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti tali crediti le (più elevate) commissioni previste per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY]cessione dei crediti pro soluto, legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, ha indotto la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con a configurare una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” modifica del contratto per vizio del consensofatti concludenti. Tuttavia, quale presupposto idoneo a fondare come puntualmente eccepito dalla banca, ai sensi dell’art. 117 t.u.b. i contratti aventi ad oggetto la richiesta prestazione di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011)devono essere redatti per iscritto a pena di nullità. Pertanto, Sez. Ialla luce di tale precetto, § 4, 2° comma, stabiliscono sembra da escludere che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse il contenuto di un contratto come quello di affitto/noleggiocui si discute possa essere modificato dalle parti attraverso comportamenti concludenti che stabiliscano un regime diverso da quello indicato nel testo da esse originariamente approvato e sottoscritto. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente Alla luce delle considerazioni che precedono il ricorso non può essere accolto, in quanto i crediti inclusi dalla società nel plafond non rispondevano ai requisiti indicati dalla banca per poter fruire della garanzia pro soluto. Ciò posto, appare comunque censurabile il comportamento della banca la produzione dei due moduli contrattuali che quale, per tutta la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]durata del rapporto, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati ha applicato alla cliente le commissioni previste dal contratto per la cessione dei crediti pro soluto e solo dopo la presentazione del ricorso ha provveduto a restituire l’eccedenza. Sussistono dunque i presupposti per rivolgere all’intermediario la raccomandazione di rispettare nei rapporti con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati la clientela le condizioni economiche indicate in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.ccontratto., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega Il Collegio, preliminarmente, accoglie parzialmente l’eccezione di essere stata vittima incompetenza temporale dell’Arbitro sollevata dall’intermediario, con riguardo alle domande di un raggiro messo accertamento relative sia alla originaria usurarietà del contratto, sia alla corretta indicazione del Taeg in atto da un rappresentante sede di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]stipula nel 2007. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clienteSi ricorda che, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme base alla versione aggiornata delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla della Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sezsez. I, § 4), 2° comma, stabiliscono che “All’ABF «non possono essere sottoposte tutte le sottoposti all’ABF controversie aventi ad oggetto l’accertamento di dirittirelative a operazioni o comportamenti anteriori al 1° gennaio 2009». Questa regola è applicabile al presente giudizio, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere momento che si trattasse discute della validità delle clausole contrattuali per violazione della normativa antiusura e sulla trasparenza contrattuale di un contratto di affitto/noleggiostipulato con la banca resistente anteriormente al 1 gennaio 2009. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la Il ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento allega pertanto vizi genetici del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti per quanto il rapporto possa essere stato eseguito posteriormente a tale data, poiché le domande sono volte a contestare la legittimità delle clausole di per sé considerate e non la concreta applicazione di esse in un dato momento temporale. Questo orientamento interpretativo, ormai consolidato, è stato anche confermato dal Collegio di Coordinamento mediante la decisione n. 72/2014. Resta dunque da esaminare la fondatezza della domanda relativa all’accertamento della presunta violazione dell’obbligo di indicazione del TAEG in sede di rinegoziazione del contratto. La normativa di riferimento - vigente al contraente che ne momento della rinegoziazione - prevede che, in relazione ai contratti di mutuo, il foglio informativo e il documento di sintesi riportino l’indicazione del TAEG. Nel caso di specie, l’intermediario ha tratto vantaggio allegato il foglio informativo vigente nel 2013, nel quale è indicato il Taeg di riferimento per classi di operazioni ma ha affermato che, per quanto concerne il documento di sintesi (artnel quale si sarebbe dovuto indicare il Taeg riferito a quello specifico finanziamento, “individualizzando” le condizioni pubblicizzate nel foglio informativo), non sussiste un obbligo di consegna dello stesso in caso di rinegoziazione. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)Sul punto, il Collegio ritiene che, per quanto la norma sopra riportata non provati faccia riferimento esplicito all’ipotesi di rinegoziazione, la modifica pattizia delle condizioni contrattuali implichi comunque la necessità di fornire un nuovo documento di sintesi da cui risulti il nuovo indicatore del costo complessivo del finanziamento, ricalcolato alla luce del nuovo regolamento contrattuale. Ciò, a maggior ragione in un caso, come quello di specie, in cui la rinegoziazione ha avuto ad oggetto la modifica del tasso di interesse, per cui l’indicazione del nuovo Taeg avrebbe potuto assumere rilievo per il cliente ai fini della comparazione delle condizioni offerte dalla banca con quelle ottenibili sul mercato attraverso un’operazione di surroga. Ne consegue dunque che il comportamento adottato dall’intermediario in sede di rinegoziazione non è conforme al canone di correttezza. Accertata l’illegittimità del comportamento tenuto dall’intermediario, il Collegio non ritiene tuttavia che la domanda del ricorrente sia correttamente formulata quanto alla pretesa: in particolare, la richiesta del ricorrente si fonda sull’applicabilità al caso di specie dell’art. 125 comma 7 del TUB che implica la riduzione del tasso di interesse entro i fatti posti a fondamento della limiti dei parametri indicati dalla stessa norma. Questa norma non si applica al caso di specie in cui si è in presenza di un mutuo ipotecario perché è contenuta nella disciplina del credito al consumo. L’illegittimo comportamento imputabile all’intermediario avrebbe tutt’al più potuto comportare l’accoglimento di una specifica domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannodanno per violazione delle regole di correttezza, che manca nel caso concreto. Deve essere poi respinta la richiesta risarcitoria avanzata con riguardo alle spese di assistenza professionale, poiché le stesse non sono richieste in sede di reclamo (sul punto si veda Collegio di Coordinamento n. 6174/16).

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DIRITTO. La ricorrente allega Il ricorso ha ad oggetto la domanda di essere stata vittima parte ricorrente, la quale lamenta l’applicazione al prestito ottenuto di un raggiro messo TAEG superiore a quanto testualmente indicato nel contratto di finanziamento stipulato con la resistente in atto data 02/09/2016, e dal quale sarebbe stato erroneamente escluso il costo sostenuto per la sottoscrizione della polizza assicurativa denominata Creditor Protector. Il contratto oggetto dell’odierna controversia è stato sottoscritto successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. 141/2010, attuativo della Direttiva CE 2008/48 e da ciò discende che la disciplina applicabile ratione temporis è quella data dal combinato disposto dell’art. 121 (“Nel costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con il contratto di credito, compresi i premi assicurativi, se la conclusione di un rappresentante contratto avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, o per ottenerlo alle condizioni offerte”) e – quanto al rimedio – dall’art. 125 bis TUB (“Sono nulle le clausole del contratto relative a costi a carico del consumatore che, contrariamente a quanto previsto ai sensi dell'articolo 121, comma 1, lettera e), non sono Il tema è stato profondamente affrontato nel 2017 dalle chiarificatrici pronunce del Collegio di un’impresa Coordinamento (Decisioni nn. 10617/17, 10620/17, 10621/17, 11870/17, 11871/17, 13316/17 e 11869/17) che commercializza macchinari hanno consentito di individuare i punti cruciali e indispensabili per uso esteticogarantire l’uniformità dell’interpretazione normativa da applicare in ambito territoriale, il quale in tema di riparto dell’onere probatorio e di prova liberatoria. Quanto al primo fondamentale aspetto le avrebbe prospettato pronunce di tutti i Collegi territoriali, infatti, sono ormai consolidate nel senso di ritenere che “in presenza di un contratto di affitto finanziamento nel quale le parti hanno indicato come facoltativa la polizza assicurativa abbinata spetta al mutuatario dimostrare che essa rivesta invece carattere obbligatorio, quantomeno nel senso che la conclusione del contratto di assicurazione abbia costituito un requisito necessario per ottenere il credito alle condizioni concretamente offerte, è consentito al ricorrente assolvere l’onere della prova attraverso presunzioni gravi precise e concordanti desumibili dal concorso delle seguenti circostanze: - che la polizza abbia funzione di copertura del credito; - che vi sia connessione genetica e funzionale tra finanziamento e assicurazione, nel senso che i due contratti siano stati stipulati contestualmente e abbiano pari durata; - che l’indennizzo sia stato parametrato al debito residuo”. Anche con riferimento al contenuto della prova liberatoria che il mutuante è tenuto a fornire, i Collegi territoriali sono concordi nel ritenere che “per contrastare il valore probatorio di tali presunzioni, ancor più rilevanti quando contraente e beneficiario sia stato lo stesso intermediario e a questo sia stata attribuita una significativa remunerazione per il collocamento della polizza, la resistente è tenuta a fornire elementi di prova di segno contrario attinenti alla fase di formazione del contratto, in particolare documentando, in via alternativa: - di aver proposto al ricorrente una comparazione dei costi (e del TAEG) da cui risulti l’offerta delle stesse condizioni di finanziamento con o noleggio senza polizza;- ovvero di macchinariavere offerto condizioni simili, liberamente risolvibile senza penalela stipula della polizza, ad un canone mensile altri soggetti con il La pronuncia dell’anno successivo del Collegio di 000 xxxxCoordinamento (decisione n. 16291/2018) ha consentito ai Collegi territoriali di raggiungere una sostanziale omogeneità interpretativa della casistica specifica, xxconsentendo di individuare i parametri comparativi in presenza dei quali possa dirsi integrata la prova liberatoria posta a carico dell’intermediario, xx modo ingannevole precisando che “per quanto attiene alla prova “di aver offerto condizioni simili, senza la stipula della polizza, ad altri soggetti con il medesimo merito creditizio: - è sufficiente la mera dichiarazione dell’intermediario circa l’uguaglianza del merito creditizio degli altri soggetti; - è necessario che l’intermediario produca almeno due contratti; - i soli cinque parametri e creando artatamente confusione i rispettivi scostamenti dal benchmark da riscontrare al fine di ritenere raggiunta detta prova sono: 1. TAN: scostamento marginale ±50bp; 2. durata: ±25%; 3. Nel caso di specie, il ricorrente, in particolare, ha sottolineato alcuni significativi indici in grado di dimostrare la natura obbligatoria della polizza, evidenziando: 1) la contestualità della sottoscrizione della polizza rispetto al prestito; 2) la funzione della garanzia, prestata per la riduzione del rischio derivante da circostanze in grado di incidere sulla tipologia contrattuale propostacapacità di rimborso del mutuatario; 3) la durata e la prestazione della polizza, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un legate – rispettivamente – alla durata e al debito residuo del prestito; 4) la previsione di una commissione (pari al 30% del premio al netto delle imposte) in favore dell’intermediario per la collocazione della stessa. A fronte di ciò, l’intermediario ha prodotto copia di due contratti comparativi, sovrapponibili – per presupposti e condizioni applicate – al contratto oggetto della presente controversia e dai quali si può desumere la natura facoltativa della polizza assicurativa. In ragione di leasing ciò, dovrebbe ritenersi soddisfatto l’onere dell’intermediario, così come individuato dal Collegio di Coordinamento con la società di leasing [ZZ]decisione n. 16291/2018, avendo questi fornito prova della natura non obbligatoria della polizza e della legittima esclusione del premio dal calcolo del TAEG. La ricorrenteTuttavia, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anninella casistica sviluppatasi successivamente rispetto all’evoluzione giurisprudenziale sinteticamente riportata, versando sono emerse nuove divisioni interpretative tra i canoni previstiCollegi territoriali, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta specie con riferimento alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti sorte delle provvigioni percepite dal mutuante per la condotta illegittima posta collocazione della polizza assicurativa e alla legittimità o illegittimità della loro esclusione dal calcolo del TAEG; l’adesione all’uno o all’altro orientamento emerso sul punto è in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società grado di leasing [ZZ]incidere profondamente sulla valutazione del caso concreto. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattualiInfatti, non firmati e privi dell’indicazione vi è dubbio che – una volta accertata la natura obbligatoria della polizza sottoscritta contestualmente al prestito – l’intero costo del nome premio versato debba essere incluso nel calcolo del clienteTAEG, coerentemente a quanto previsto dall’art. 121 T.U.B. Va, tuttavia, chiarito in questa sede se l’applicazione del principio in senso opposto (ovvero l’integrale esclusione del costo della polizza dal calcolo del TAEG nel caso in cui si descrivono i rapporti tra ne fosse accertata la natura facoltativa) sia o meno coerente con la funzione informativa sintetica stessa dell’indice e con le partiraccomandazioni fornite dalla Banca d’Italia in tema di modalità di calcolo del TEG. In particolare, le Disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011 alla Sez. VII Art. 4.2.4, includono nel calcolo del TAEG “gli interessi e tutti i costi, inclusi gli eventuali intermediari del credito, le commissioni, le imposte e tutte le altre spese che il consumatore deve pagare in uno dei due documenti si fa riferimento ad un relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza, escluse le spese notarili” e limitano l’inclusione ai affitto/noleggio”costi, che prevede altresì di cui il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento finanziatore è a conoscenza, relativi a servizi accessori connessi con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenutacredito e obbligatori per ottenere il credito o per ottenerlo alle condizioni offerte”. L’esclusione del premio assicurativo dal TAEG, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio pertanto, appare giustificato proprio dalla natura non obbligatoria del contratto prospettato assicurativo stipulato contestualmente al prestito. Non vi è dubbio della legittimità di tale esclusione per il premio puro versato dal cliente; è però necessario in questa sede chiarire se la medesima esclusione possa o meno estendersi anche a quella parte di costo che rappresenti la provvigione percepita dal mutuante collocatore della polizza, tenendo a questo proposito in considerazione che – seppure in materia di TEG – le FAQ della Banca d’Italia prevedono al punto C4 (Trattamento degli oneri e delle spese ) “che, laddove sia consentito escludere dal TEG una polizza assicurativa stipulata contestualmente al finanziamento, l’esclusione deve essere limitata all’importo effettivamente versato alla compagnia di assicurazione. Di conseguenza, se l’intermediario erogante trattiene parte delle somme ricevute dal cliente a titolo di polizza assicurati, gli importi trattenuti vanno inclusi nel TEG”. Ciò chiarito, risulta indispensabile acclarare – in conseguenza della rimessione a questo Collegio – se il diverso trattamento riservato alle provvigioni incassate dal mutuante per la collocazione della polizza non obbligatoria si giustifichi sulla base delle diverse finalità perseguite da TAEG e TEG. La giurisprudenza dei Collegi territoriali si è espressa in maniera non univoca sul punto. Alcuni precedenti del Collegio di Napoli, in particolare, hanno evidenziato l’incoerenza che emerge dalle diverse modalità di rilevamento del TAEG e del TEG. Con la decisione n. 11397/2017 del 20.09.2017, il Collegio di Napoli – premettendo che “allorquando l’intermediario erogante trattenga parte delle somme ricevute dal cliente a titolo di premio assicurativo, dette somme devono essere incluse nel computo del TEG (cfr. FAQ, Banca d’Italia, in materia di rilevazione dei TEG ai sensi della legge sull’usura, novembre 2010, cit.), trattandosi di costi collegati all’erogazione del credito” – ha precisato che “sebbene la regola citata sia dettata per la rilevazione dei tassi effettivi a fini antiusura appare parimenti applicabile per la determinazione del TAEG posto che le componenti del primo indicatore (TEG), necessariamente collegate all’erogazione del credito, sono tutte ricomprese nel secondo e più ampio indicatore (TAEG), per definizione normativa “rappresentativo del costo totale del credito” che annovera anche oneri ulteriori, significativi ai più estesi fini di trasparenza […]”. Il Collegio di Napoli ha quindi concluso che nell’ipotesi in cui il TAEG non abbia incluso il costo delle provvigioni incassate dall’intermediario “il TAEG non risulta correttamente computato”. Lo stesso principio è stato ribadito successivamente dal Collegio di Napoli (decisione n. 23878/2018 e n. 21410/2019) che ha così statuito: “allorquando l’intermediario erogante trattenga parte delle somme ricevute dal cliente a titolo di premio assicurativo, dette somme devono essere incluse nel computo del TEG (cfr. FAQ, Banca d’Italia, in materia di Alla luce di quanto appena illustrato è quindi necessario che questo Collegio si esprima sul punto, al fine di stabilire se l’indicazione fornita dalla Banca d’Italia in materia di TEG e contenuta nelle FAQ al punto C4 circa l’inclusione delle provvigioni incassate dall’intermediario del credito per la collocazione della polizza facoltativa debba o meno estendersi anche alle modalità di determinazione del TAEG. Ciò premesso, questo Xxxxxxxx ritiene di dover concludere per l’esclusione dal computo del TAEG della parte di premio assicurativo che sia stato retrocesso all’intermediario finanziatore per le ragioni che verranno qui di seguito illustrate. Non può anzitutto sottacersi che lo stesso Collegio di Napoli in pronunce ben più recenti pare avere adottato una posizione diversa rispetto a quella più risalente (richiamata nell’ordinanza di rimessione), affermando che la domanda subordinata di inclusione nel TAEG delle provvigioni relative alla polizza deve ritenersi assorbita nella domanda principale con cui si chieda l’inclusione nel TAEG dell’intero premio, essendo le provvigioni una parte del premio e non una voce di costo distinta da esso (cfr. Collegio di Napoli, decisione n. 9463 del 08.04.2021 , secondo cui “(…) la domanda dell’istante di computo nel TAEG delle commissioni percepite dall’Intermediario per l’intermediazione della polizza assicurativa (…) resta comunque assorbita da quella principale (mancato computo delle polizze nel TAEG contrattuale), in quanto tale compenso non costituisce una voce di costo separata dall’assicurazione sul credito, risultando piuttosto compresa nel premio assicurativo complessivamente corrisposto dal ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (artcosì anche ABF Milano, n. 14338/2020; ABF Napoli, n. 1052/2021). 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme In considerazione delle allegazioni formulateragioni che precedono, la domanda di accertamento della nullità della clausola del TAEG non può trovare accoglimento”; conf. Collegio di Napoli, decisione n. 1052 del 14.01.2021,nella quale si legge: “sulla questione – comune ai due contratti in esame – relativa alla rilevanza, nel Sempre nel senso che essere interpretata come richiesta di “annullamento” la provvigione percepita dall’intermediario non costituisca un costo ulteriore, ma una mera componente del contratto per vizio premio assicurativo, del consenso, quale presupposto idoneo a fondare subisce dunque la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettivamedesima sorte ai fini del computo nel TAEG, si segnala sono espressi anche il Collegio di Palermo e quello di Milano (cfr. Collegio di Palermo decisione n. 25754 del 21.12.2021, secondo cui “La domanda proposta in via subordinata dal ricorrente e relativa alla mancata inclusione nel calcolo del TAEG della provvigione trattenuta dall’intermediario sul premio non può trovare accoglimento. Il Collegio rileva sul punto che le Disposizioni sui sistemi a differenza di risoluzione stragiudiziale quanto previsto in tema di calcolo del TEG, l’importo della provvigione relativa al collocamento del prodotto assicurativo non va inserito nel TAEG. La provvigione percepita dall’intermediario non rappresenta un costo ulteriore rispetto a quello delle controversie polizze assicurative (di cui è una componente.)”; Collegio di Milano, decisione n. 14338 del 14.08.2020, ove si legge: “Il Collegio rileva che, in materia relazione alla suddetta domanda di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia computo nel TAEG delle commissioni percepite dall’Intermediario per l’intermediazione della polizza assicurativa, essa resta comunque assorbita da quella principale (provvedimento del 12.12.2011mancato computo delle polizze nel TAEG contrattuale), Sezin quanto tale compenso non costituisce una voce di costo separata dall’assicurazione sul credito, bensì risulta compresa nel premio assicurativo complessivamente corrisposto dal ricorrente”). IVi è di più. Lo stesso Collegio rimettente, § 4in una non risalente decisione, 2° commaha espresso lo stesso principio (cfr. Collegio di Roma, stabiliscono decisione n. 9060 del 5.04.2021, secondo cui “Risulta infine infondata la doglianza della parte ricorrente che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento lamenta la mancata inclusione nel calcolo del TAEG del costo delle provvigioni di diritticollocamento a favore dell’intermediario. Premesso che, obblighi e facoltàvista la non obbligatorietà della copertura assicurativa CPI, indipendentemente dal valore si tratterebbe comunque di un costo non rilevante, nel caso di specie, ai fini del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrentecalcolo del TAEG, si osserva che quest’ultima le Disposizioni di trasparenza della Banca d’Italia si riferiscono, ai fini dell’inclusione nel calcolo, ai “costi relativi a servizi accessori connessi al contratto di credito”, dovendosi pertanto intendere per tali i costi specifici del servizio assicurativo, e quindi il premio e non ha fornito una prova sufficiente dei fatti le provvigioni correlate al collocamento del prodotto. Vale comunque aggiungere che vi pone a fondamentola modalità di calcolo del TAEG e quelle del TEG non sono coincidenti, vista la diversa funzione e natura di tali tassi. In particolare Il ricorso non merita pertanto di essere accolto”). Come già accennato, questo Xxxxxxxx ritiene di dover aderire alla tesi da ultimo illustrata. Non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché chi non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrenteveda, infatti, che TEG e TAEG hanno funzioni diverse, sono calcolati in maniera non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])così dissimile, ma assolutamente non sovrapponibile (non prendendo in considerazione le medesime voci di un suo rappresentantecosto) e le norme loro dedicate sono formulate con significative differenze. In tal casoCominciando dalle profonde differenze che riguardano la funzione dei due indici, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare va ricordato che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche secondo quanto di legge nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere “Glossario della prova (art. 2697 c.c.Banca d'Italia” disponibile online), il Collegio ritiene “TAEG rappresenta lo strumento principale di trasparenza nei contratti di credito al consumo. E’ un indice armonizzato a livello comunitario che nelle operazioni di credito al consumo rappresenta il costo totale del credito a carico del consumatore, comprensivo degli interessi e di tutti gli altri oneri da sostenere per l’utilizzazione del credito stesso. […]”. Il TAEG è, dunque, uno strumento di trasparenza nei contratti di credito al consumo esprimendo, in termini percentuali rispetto al capitale erogato, il costo totale effettivo del credito a carico del consumatore. Anche la sua collocazione normativa non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento va sottovalutata, trovandosi, infatti, regolato nel Titolo VI, Capo II del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoTUB, intitolato “Credito al consumo”.

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DIRITTO. La ricorrente allega Commissione in via preliminare prende atto della dichiarazione della amministrazione resistente relativa alla inesistenza di documentazione ulteriore rispetto alla Delibera con la quale si è concluso il procedimento di secondo grado - conseguente all’appello presentato dalla dottoressa ….. – precisando pertanto che la presente pronuncia afferisce solamente al menzionato provvedimento conclusivo dell’appello. Con riferimento a tale Xxxxxxxx la Commissione ritiene il ricorso fondato e quindi meritevole di essere stata vittima accolto vantando il ricorrente un interesse qualificato all’accesso richiesto, con ciò confermando l’orientamento già espresso nella pronuncia relativa al primo ricorso presentato dal sig. Secondo l’indirizzo costante di questa Commissione in linea con la nota giurisprudenza amministrativa – menzionata anche dalla amministrazione in sede di memoria - “la qualità di autore di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”esposto, che prevede altresì il passaggio abbia dato luogo a procedimento disciplinare, è circostanza idonea unitamente ad altri elementi, a radicare nell’autore la titolarità di proprietà una situazione giuridicamente rilevante, così da costituire titolo idoneo ad accedere agli atti del procedimento” (per tutte CdS Sez, VI 316/2013). Nel caso di specie sarebbero sussistenti anche gli ulteriori elementi legittimanti quali la notifica al cliente dopo 59 mesi richiedente dell’avvenuta chiusura del procedimento d’appello nonchè la circostanza che i fatti sottesi ai procedimenti disciplinari tenutisi attenevano a vicende relative alla famiglia del sig. ….. Deve, poi, considerarsi priva di utilizzo dei macchinari e l’obbligo pregio la deduzione della amministrazione della impossibilità per il cliente sig. ….. di contrarre un apposito finanziamento impugnare la Delibera richiesta posto che il fondamento del diritto di accesso ex lege 241/’90 non risiede nella sola finalità di impugnativa dei provvedimenti oggetto di istanza. L’amministrazione dovrà pertanto consentire accesso alla Delibera conclusiva del procedimento di secondo grado tenutosi innanzi al ….. La Commissione per l’accesso ai documenti amministrativi esaminato il ricorso lo accoglie con una banca locale. Nel riferimento alla Delibera conclusiva del procedimento di secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione grado tenutosi innanzi al ….. e per l’effetto invita l’amministrazione resistente a riesaminare l’istanza di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo accesso nei sensi di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente cui in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.cmotivazione.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La Commissione, 30/09/2016 contiene anche un’istanza di accesso agli atti ai sensi della legge 241/90, ritiene di poter decidere nel merito il ricorso. Sotto un primo profilo la Commissione evidenzia che l’Ispettorato Territoriale ha dichiarato che, in relazione all’istanza di accesso del 30/09/2016 non è in possesso di nessun documento, di xxxxxx, nei confronti del citato Ufficio il ricorso risulta inammissibile a causa della dichiarata inesistenza dei documenti richiesti, rilevando, sul punto che non spetta alla Commissione nessuna valutazione in ordine alla veridicità degli elementi addotti dall’Amministrazione, per il cui sindacato il ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo deve rivolgersi all’Autorità giudiziaria competente in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoragione dei diritti o interessi asseritamente lesi. Resta inteso che, anche in relazione al predetto Ufficio, il quale le avrebbe prospettato un contratto ricorso è meritevole di affitto accoglimento in relazione a tutti quegli atti che l’Amministrazione dichiara di aver già osteso all’istante, in quanto, sotto tale profilo, in presenza di un’ulteriore istanza di accesso, la precedente consegna non appare ostativa alla reiterazione della domanda, anche laddove, in ipotesi, i documenti fossero stati smarriti. Ciò posto, in mancanza di chiarimenti da parte dell’Ispettorato della in merito all’esistenza o noleggio meno della documentazione richiesta questa Commissione rileva che, in via di macchinariprincipio, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile sussiste il diritto di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante accesso della società fornitrice [YY], legittimato dalla società istante che ha lamentato una situazione di leasing [ZZ]. A suffragio interferenza della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto frequenza radio con quella di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma titolarità della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti RAI (art. 1439 c.c.fx ….. Mhz) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registranoed ha, pertanto, orientamenti sufficientemente delineato una situazione di interesse differenziato rispetto all’ostensione della documentazione richiesta, come descritta nella parte in fatto della presente decisione. Si precisa a riguardo che, in relazione a tali atti, il diritto di accesso si esercita con riferimento ai documenti amministrativi materialmente esistenti al momento della richiesta e detenuti dalla pubblica amministrazione, che, ai sensi dell’art.2, comma 2 del D.P.R. 184/2006 non univoci è, comunque, tenuta ad elaborare dati in merito alla possibilità per l’Arbitro suo possesso al fine di emanare pronunce con effetto costitutivosoddisfare le richieste di accesso. Ciò non Parimenti il ricorso appare inammissibile nella parte in cui l’istanza di menoaccesso risulta finalizzata ad una generica richiesta di informazioni, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione inammissibile ai sensi dell’art. 22, comma 4 della legge 241/90 e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue partidall’art. 2, senza che la sua firma sia stata disconosciutacomma 2 del D.P.R. 184/2006. InoltreFatte tali precisazioni il ricorso merita accoglimento e, nel caso in esamepertanto, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che l’Amministrazione è terza rispetto alle parti. La invitata a riesaminare l’istanza di accesso presentata dalla ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa Il Collegio rileva che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione l’intermediario eccepisce l’inammissibilità del nome del clientericorso, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolarequanto, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto l’indagine sulla domanda del ricorrente richiederebbe lo svolgimento di “affitto/noleggio”una consulenza tecnica, che prevede altresì il passaggio attività estranea al perimetro di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolatacognizione dell’ABF che, invece, un’opzione può conoscere esclusivamente di acquisto dei macchinari controversie aventi ad oggetto “una contestazione relativa a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla finanziari”. Il generico accertamento della correttezza di conteggi e criteri di calcolo degli interessi sarebbe escluso da tale nozione. Parte ricorrente chiede all’Arbitro “di ordinare all’intermediario la rideterminazione dell’intero piano di ammortamento (120 rate) a tasso fisso nella misura nella misura del tasso medio dei BOT emessi nei 12 mesi precedenti la conclusione del contratto (ai sensi dell’art. 125- bis, comma 7, TUB), ovvero in alternativa al tasso legale vigente all’epoca della stipula del contratto, con restituzione di tutto quanto maggiormente corrisposto nel frattempo”. Asserisce, infatti, che nel contratto non si menziona né il metodo di calcolo degli interessi, né la base mensile e, inoltre, non si disciplina il regime finanziario applicato che risulta essere quello composto. A sostegno della propria domanda allega copia del contratto, del piano di ammortamento, una tabella costruita secondo i valori attuali di rata nel regime finanziario composto, la dimostrazione matematica dell’interesse composto. Nel corpo del ricorso e delle repliche illustra il contenuto degli allegati anche mediante formule matematiche. Il Collegio ritiene che l’eccezione preliminare di consulenzialità della domanda debba essere respinta: infatti, parte ricorrente ha specificato in modo sufficientemente analitico le proprie domande, le ha corredate di una perizia di parte che esprime i metodi seguiti e i risultati raggiunti in relazione ad ogni singola voce oggetto di contestazione e ha prodotto a supporto della domanda copia degli estratti conto. L’Arbitro è, dunque, in condizione di accertare la correttezza dei calcoli effettuati dal consulente tecnico di parte senza che tale attività risulti sostitutiva dell’onere di specifica allegazione e prova gravante sull’interessato. Il contratto sottoscritto dal ricorrente riporta chiaramente le condizioni economiche applicate: l’art. 2 disciplina le modalità di calcolo degli interessi precisando che il piano di ammortamento è “alla francese”. Il contratto è stato sottoscritto dal ricorrente e il suddetto art. 2 approvato specificatamente; il ricorrente, inoltre, ha dichiarato di aver ricevuto l’informativa precontrattuale, in particolare nel PIES, allegato dal ricorrente, è espressamente previsto che “il piano di ammortamento… viene consegnato in allegato al presente documento e ne costituisce parte integrante”. Parte ricorrente ritiene che il piano di ammortamento alla francese applicato al contratto comporti la capitalizzazione composta degli interessi. In particolare, dopo aver calcolato gli interessi sulla prima rata [che nel caso di specie sono pari a € 183,33], nella seconda rata si pagherà oltre alla quota interessi di euro 182,18 anche un'altra quota di euro 1,15 che però viene aggiunta alla quota capitale precedente per formare la nuova quota capitale [ della seconda rata] e così via fino all'ultima rata. In merito al rispetto degli oneri di trasparenza con particolare riferimento al piano di ammortamento, il Collegio evidenzia che, l’art. 117, comma 4, TUB, dispone: “I contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora» e il Provvedimento della Banca d’Italia del 9 febbraio 2011 - Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, precisa che “[i] contratti indicano il tasso d'interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali oneri di mora. Sono indicate, oltre alle commissioni spettanti all’intermediario, le voci di spesa a carico del cliente, ivi comprese le spese relative alle comunicazioni di cui alla sezione IV del presente provvedimento (provvedimento del 12.12.2011Comunicazioni alla clientela). Il contratto riporta tutte le condizioni applicate, Sezincluse le condizioni generali di contratto” (sez. IIII, § 3). Pertanto, la riportata clausola è coerente con il disposto normativo in materia, che non pretende come elemento di trasparenza, l’allegazione del piano di ammortamento. Non consente di pervenire a soluzioni diverse la decisione della CGUE, menzionata dal ricorrente, C-125/18 del 3.3.2020, la quale si riferiva alla diversa ipotesi di un tasso variabile e alla necessitò che il parametro sia ben definito e compreso dal mutuatario: “la direttiva 93/13, e segnatamente il suo art. 4, par. 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando il suo art. 5, deve essere interpretata nel merito la domanda dell’attuale ricorrentesenso che, si osserva al fine di rispettare l’obbligo di trasparenza di una clausola contrattuale che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse fissa un tasso d’interesse variabile nell’ambito di un contratto di affitto/noleggiomutuo ipotecario, tale clausola deve non solo essere intelligibile sui piani formale e grammaticale, ma consentire altresì che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia posto in grado di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo di tale tasso e di valutare in tal modo, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie. Né rappresenta una prova Costituiscono elementi particolarmente pertinenti ai fini della valutazione che il giudice nazionale deve effettuare al riguardo, da un lato, la circostanza che gli elementi principali relativi al calcolo di tale tasso siano facilmente accessibili a tal fine sufficiente chiunque intenda stipulare un mutuo ipotecario, grazie alla pubblicazione del metodo di calcolo di detto xxxxx, nonché, dall’altro, la produzione comunicazione di informazioni sull’andamento, nel passato, dell’indice sulla base del quale è calcolato questo stesso tasso”. Necessità informative e di trasparenza del mutuatario che però non si riscontrano nel caso de quo, in cui l’apparato negoziale predisposto è sufficiente, ex lege, a rendere edotto il finanziato del tasso applicato. Per quanto concerne l’ammortamento alla francese, è orientamento consolidato dei due moduli contrattuali collegi ABF escludere che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]rata comprenda il regime dell’interesse composto, perché essendo stato affermato che “ciascuna rata ingloba interessi, semplici (non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalitàcomposti), sempre calcolati, al tasso nominale, sul residuo capitale da restituire (com’è corretto: gli interessi essendo il corrispettivo del godimento del denaro da altri concesso; cfr. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c.821, soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° commacomma 3, c.c.)” (cfr. Tutto ciò premesso ex multis Coll. Milano, n. 9732/2017, Coll. Roma, n. 3228/2016, Coll. Napoli, nn. 7015/2017 e considerando 1127/2014) e che “l’anatocismo, rilevante agli effetti dell'art. 1283 c.c., si determina soltanto se gli interessi maturati sul debito in un dato periodo si aggiungono al capitale, costituendo in tal modo la base di calcolo produttiva di interessi. Per contro, la previsione di un piano di rimborso con rata fissa costante, vale a dire l’ammortamento “alla francese”, non comporta violazione dell’art. 1283 c.c., giacché gli interessi di periodo vengono calcolati esclusivamente sul capitale residuo e alla scadenza della rata gli interessi maturati non vengono capitalizzati, ma sono pagati come quota interessi della rata di rimborso” (così Trib. Roma, sez. IX, 13/04/2017, n. 7495; per la medesima conclusione Trib. Catania, sez. IV, 11/07/2018, n. 2948; Trib. Bologna, sez. IV, 24/06/2017, n. 1292; Trib. Padova, 29/05/2016). Secondo i precedenti dell’Arbitro, non vi è incompatibilità tra piano di ammortamento alla francese e tasso variabile. Cfr. Coll. Palermo, n. 26641/19: “Con riguardo alla contestazione sull’indeterminatezza delle pattuizioni relative al tasso d’interesse, si rileva come dalla lettura del contratto emerga la vigenza di un piano di ammortamento alla francese, in quanto l’importo della rata rimane costante, mentre varia la sua composizione tra quota capitali ed interessi calcolati nella misura di cui all’art. 1 del contratto. Ciò, in aderenza al costante orientamento dell’Arbitro, risulta legittimo in quanto non sussiste incompatibilità tra il piano di ammortamento alla francese ed il tasso d’interesse variabile ( cfr. ABF Palermo n. 22492/19)”. Il Collegio rileva, inoltre, che, la giurisprudenza di merito (v. infra Tribunale Xxxxxxx, 00/00/0000, (xx. 16/04/2019, dep. 17/04/2020), n.772) ha osservato che “L'opzione per l'ammortamento alla francese, oltre a non comportare una violazione del divieto di anatocismo o l'applicazione di un tasso superiore a quello dichiarato in contratto, non pone neppure problemi di determinatezza delle pattuizioni contrattuali, perché una volta raggiunto l'accordo sulla somma mutuata, sul tasso, sulla durata del prestito e sul rimborso mediante un numero predefinito dì rate costanti, la misura della rata discende matematicamente dagli indicati elementi contrattuali: il rimborso di un mutuo acceso per una certa somma, ad un certo xxxxx e con un prefissato numero di rate costanti, può avvenire solo mediante il pagamento di rate costanti di quel determinato importo.”. Tali considerazioni si fondano sull’orientamento della Cass. Civ. Sez. III 27.11.2014 n. 25205 secondo cui "il requisito della determinabilità dell'oggetto del contratto richiede semplicemente che siano identificati i criteri oggettivi in base ai quali fissare, anche nel procedimento davanti all’ABF valgono facendo ricorso a calcoli di tipo matematico, l'esatto contenuto delle obbligazioni dedotte, senza alcun margine di incertezza o di discrezionalità, mentre non rileva la difficoltà del calcolo necessario per pervenire al risultato finale né la perizia richiesta per la sua esecuzione". Questo Collegio ritiene, dunque, di dovere confermare il costante l’orientamento dell’ABF che considera prive di ogni fondamento le doglianze di anatocismo relative al calcolo delle quote di capitale e di interessi da corrispondere con le singole rate secondo il metodo cosiddetto “alla francese”, in quanto tale operazione è pienamente legittima (cfr. Collegio di Napoli, decisioni n. 2956/15, n. 422/13 e n. 3797/12). Da ultimo, il Collegio rileva che nei mutui viene indicato il tasso in misura annuale, ma le operazioni vengono effettuate su scala temporale mensile; rispetto a detto riferimento temporale il ricorrente eccepisce che il contratto non precisa il divisore di 360 giorni che viene arbitrariamente applicato. La convenzione commerciale secondo cui l’anno viene considerato di 360 giorni ed ogni mese costituito da 30 giorni comporterebbe un risultato più conveniente per l’intermediario. Sebbene il contratto non indichi espressamente il divisore di 360 giorni si evidenzia che il contratto indicava in modo esplicito tutti i principi generali costi, il TAN e il TAEG. Inoltre, dalla documentazione versata in tema atti il Collegio reputa che il piano di onere della prova ammortamento sia stato consegnato al ricorrente unitamente al Pies e, quindi, ha permesso al cliente di conoscere le singole scadenze delle rate. Il ricorrente, pertanto, ha potuto conoscere il riferimento temporale di ogni singola rata. Per quanto concerne l’ammortamento alla francese, è orientamento consolidato dell’ABF escludere che la rata comprenda il regime dell’interesse composto, essendo stato affermato che “ciascuna rata ingloba interessi, semplici (artnon composti), sempre calcolati, al tasso nominale, sul residuo capitale da restituire (com’è corretto: gli interessi essendo il corrispettivo del godimento del denaro da altri concesso; cfr. 2697 l’art. 821, comma 3, c.c.)” (cfr. ex multis Coll. Milano, n. 9732/2017, Coll. Roma, n. 3228/2016, Coll. Napoli, nn. 7015/2017 e 1127/2014) e che “l’anatocismo, rilevante agli effetti dell'art. 1283 c.c., si determina soltanto se gli interessi maturati sul debito in un dato periodo si aggiungono al capitale, costituendo in tal modo la base di calcolo produttiva di interessi. Per contro, la previsione di un piano di rimborso con rata fissa costante, vale a dire l’ammortamento “alla francese”, non comporta violazione dell’art. 1283 c.c., giacché gli interessi di periodo vengono calcolati esclusivamente sul capitale residuo e alla scadenza della rata gli interessi maturati non vengono capitalizzati, ma sono pagati come quota interessi della rata di rimborso” (così Trib. Roma, sez. IX, 13/04/2017, n. 7495; per la medesima conclusione Trib. Catania, sez. IV, 11/07/2018, n. 2948; Trib. Bologna, sez. IV, 24/06/2017, n. 1292; Trib. Padova, 29/05/2016). Il Collegio osserva, infine, che la ricorrente lamenta anche la mancanza di chiarezza nell’esplicitare in contratto il criterio di calcolo: il Collegio, tuttavia, ritiene che il contratto consenta, comunque, di comprendere il criterio proprio attraverso il piano di ammortamento, fermo restando che il Collegio, diversamente, dovrebbe disporre una CTU, il Collegio ritiene che esula dal procedimento ABF. Ne consegue che il ricorso non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannopuò trovare accoglimento.

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DIRITTO. La ricorrente allega Il ricorso è imperniato sulla dedotta illegittimità della compensazione effettuata dalla banca sul conto corrente personale del ricorrente, mediante addebito dell’importo di essere stata vittima € 1.313,45, a fronte del “pagamento di un raggiro messo alcune rate arretrate del finanziamento chirografario intestato all’omonima ditta individuale”. Tale addebito (sul quale vi è contestazione) sarebbe stato effettuato – secondo quanto affermato dall’intermediario in atto da un rappresentante sede di un’impresa che commercializza macchinari controdeduzioni – a seguito di accordi “informali” intervenuti con il cliente e dallo stesso accettati per uso estetico“fatti concludenti”. I menzionati rilievi pongono la questione dell’ammissibilità, il nel caso di specie, della compensazione tra crediti e debiti relativi “a conti o rapporti diversi” - i cui effetti si sarebbero prodotti in data 26 marzo 2015 - nella misura in cui uno dei rapporti si configura quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing conto personale cointestato con la società di leasing [ZZ]. La moglie del ricorrente, pur avendo onorato e le posizioni a credito e a debito estinte si riferiscono, rispettivamente, al predetto conto personale e al mutuo intestato alla ditta. Per il contratto di leasing corretto inquadramento della fattispecie, giova premettere che, salvo patto contrario, quando tra la banca e il correntista esistono più rapporti o più conti, ancorché in questione per circa due annimonete differenti, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati saldi attivi e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui passivi si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti compensano reciprocamente (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, 1853 c.c.). Tutto ciò premesso e considerando In applicazione della regola citata, in linea di principio, la banca può legittimamente estinguere il debito del cliente riveniente da un conto corrente bancario, compensandolo con il credito risultante su altro conto intestato al medesimo correntista. Il carattere legale della compensazione consente inoltre all’intermediario di non dover chiedere l’autorizzazione al cliente prima di procedere all’estinzione del debito, “fermo restando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali dell’intervenuta compensazione – contro la cui attuazione non potrà in tema nessun caso eccepirsi la convenzione di onere della prova assegno – la banca darà pronta comunicazione scritta al cliente” (art. 2697 11, Circolare ABI, LG/000906 del 25/2/2005, recante “Condizioni generali relative al rapporto banca-cliente”). La giurisprudenza non è tuttavia univoca nel ritenere se il meccanismo estintivo ottenuto con la compensazione legale prevista dall'art. 1853 c.c.. possa operare anche quando i rapporti sono entrambi in corso, come si è talora affermato (cfr. Cass. n. 3447 del 1986 e n. 6558 del 1997), il Collegio ritiene non provati ovvero sul presupposto che i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoconti siano preventivamente chiusi (Cass. Civ., sez. I, 3 maggio 2007, n. 10208).

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DIRITTO. La ricorrente allega Prima di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoesaminare nel merito la controversia, il quale le avrebbe prospettato un sembra opportuno riportare alcuni aspetti essenziali ai fini della decisione. Parte attrice formula due domande relativamente al contratto di affitto o noleggio di macchinarigaranzia stipulato con la resistente, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un sulle quali la Banca controdeduce esplicitamente: Il contratto di leasing con garanzia – a termine - sottoscritto tra le parti è accluso agli atti. Le clausole contrattuali non prevedono la società possibilità di leasing [ZZ]recesso anticipato di una delle parti. I ricorrenti affermano che il conduttore non sarebbe mai venuto meno alle proprie obbligazioni rendendosi inadempiente e gli stessi avrebbero avuto conoscenza delle “mutate condizioni” del debitore dalla comunicazione di recesso inviata dalla Banca in data 15/9/14. Pertanto, chiedono il pagamento di € 15.000, in quanto la garanzia sarebbe stata prestata, anche, “in sostituzione del previsto deposito cauzionale”. Non è prodotta in atti copia del contratto di locazione sottoscritto tra i beneficiari della garanzia e il conduttore dell’immobile. La ricorrenteBanca eccepisce l’intervenuta “dismissione di ogni attività da parte della [società debitrice principale] in favore di altre società [omissis]: sì che attualmente la partita iva della predetta ditta risulta inattiva e così risulta ceduta ogni attività aziendale, pur avendo onorato ivi compreso, dunque (deve legittimamente presumersi) il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo locazione per il cliente quale [la Banca] ha rilasciato la garanzia di contrarre un apposito finanziamento con una banca localecui è causa. Nel secondo documento vi è regolataCiò, invecesenza che i predetti beneficiari della fideiussione abbiano mai dato comunicazione alcuna al[la] Banc[a]: ciò che potrebbe pure Il ricorrente nulla dice su tale circostanza. Ciò chiarito e venendo all’esame del merito della presente vertenza, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, va anzitutto rilevato che il contratto di leasing stipulato con la convenutafideiussione in essere tra le parti non prevede alcun diritto di recesso in favore del garante, recante la firma il quale, fin dal sorgere dell’obbligazione, era a conoscenza dell’entità del credito garantito e della stessa ricorrente in tutte le sue partidurata del rapporto di garanzia. L’asserito vizio del contratto prospettato Ne deriva che il recesso comunicato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda resistente non può che essere interpretata qualificarsi come richiesta privo di “annullamento” del contratto per vizio del consensoqualsiasi effetto e il relativo obbligo fideiussorio tuttora in essere. Quanto appena rilevato, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanzatuttavia, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’artlegittima parte ricorrente a pretendere l’immediato ed integrale pagamento dell’intero importo garantito per le seguenti ragioni. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrenteÈ noto, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società la prassi delle controgaranzie risulti diffusa per le garanzie autonome o a prima richiesta, ovvero quelle suscettibili di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi escussione senza che il garante possa opporre eccezioni di un suo mero procacciatore d’affari sorta (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]salvo l’exceptio doli). Nel caso all’origine del presente procedimento ci si trova innanzi ad una fattispecie siffatta, ma le modalità con le quali la garanzia può essere escussa – seppure senza necessità di escussione né di messa in mora del debitore principale, ma a semplice “prima richiesta” – prevedono tuttavia che il soggetto garantito dichiari l’inadempimento del debitore principale, circostanza che, nella vicenda all’origine della presente vertenza, non di un suo rappresentantepare essersi mai realizzata. In tal casoNe deriva che – pur perdurando l’obbligo fideiussorio – il diritto a vedersi corrisposto l’importo oggetto della garanzia non può, ai fini dell’annullamento del contrattoallo stato, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.cdirsi attuale.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La Il Collegio è chiamato a pronunciarsi sulla legittimità della segnalazione nella Centrale Rischi presso la Banca d’Italia, nonostante il cliente sia addivenuto ad una transazione con l’intermediario e abbia provveduto a eseguirla regolarmente. Infatti, la contestazione della legittimità della segnalazione investe – oltre il profilo formale del mancato preavviso sul quale si tornerà infra – la sussistenza dei presupposti di merito per la segnalazione “a sofferenza” che, dal tenore complessivo del ricorso sembra riferirsi alla fase successiva alla conclusione di una transazione con l’intermediario, atteso che il ricorrente allega ha dedotto che il rapporto si era “regolarizzato già in data 27 febbraio 2014” e che “pertanto non ricorrevano le condizioni per la segnalazione in quanto il sig. [ricorrente] non era insolvibile”. Così delimitato il perimetro della decisione, dalla documentazione versata in atti risulta che l’esposizione debitoria a carico del ricorrente era stata oggetto dell’accordo transattivo “a saldo e stralcio”, sottoscritto dalle parti il 27 febbraio 2014, nel quale era convenuto il versamento di essere dieci rate mensili dal 28 febbraio 2014 al 28 novembre 2014, con la precisazione che l’intermediario avrebbe considerato definita ogni obbligazione assunta in relazione alla posizione “a disponibilità maturata”; è pacifico tra le parti che la transazione abbia avuto regolare esecuzione e che l’ultima rata sia stata vittima versata il 27 novembre 2014. Corrispondentemente a tali circostanze risulta anche dal c.d. flusso di ritorno personalizzato esibito dalla resistente – si tratta di un raggiro messo in atto da un rappresentante elaborato che la Centrale dei rischi della Banca d’Italia invia ad ogni intermediario partecipante nel quale è descritta la posizione globale di un’impresa rischio riferibile a ciascuno dei clienti segnalati dall’intermediario medesimo, unitamente alla posizione globale di rischio riferibile ai soggetti “collegati” alla clientela segnalata e ad altre informazioni di corredo - che commercializza macchinari la segnalazione a sofferenza del ricorrente risalente ad agosto 2011 è cessata a novembre 2014 con l’ultimo pagamento e che la medesima è stata progressivamente aggiornata nell’importo coerentemente con l’esecuzione del piano concordato. Ciò premesso, questo Xxxxxxxx ritiene che le modalità e i contenuti della segnalazione siano corrette alla luce della disciplina applicabile. Infatti, la Circolare n. 139 dell'11 febbraio 1991 - Centrale dei rischi. Istruzioni per uso esteticogli intermediari creditizi (14° aggiornamento del 29 aprile 2011) – nella Sez, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]II Cap.II § 1.5. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la rubricato nullitàSofferenze”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione dispone, tra l’altro, che “La segnalazione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento una posizione di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti rischio tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì sofferenze non è più dovuta quando (…) il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente credito viene rimborsato dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di menodebitore o da terzi, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitroseguito di accordo transattivo liberatorio, e pertanto valutando nel merito di concordato preventivo o di concordato fallimentare remissorio; rimborsi parziali del credito comportano una corrispondente riduzione dell'importo segnalato”. Ed ancora che: “Il pagamento del debito e/o la domanda dell’attuale ricorrentecessazione dello stato di insolvenza o della situazione ad esso equiparabile non comportano la cancellazione delle segnalazioni a sofferenza relative alle rilevazioni pregresse”. A completamento di tali prescrizioni, nella Sez. II, Cap. II, § 5.5, rubricata “Crediti passati a perdita”, si osserva dispone che quest’ultima “confluiscono nella categoria anche le frazioni non ha fornito una prova sufficiente recuperate dei fatti crediti che vi pone a fondamentohanno formato oggetto di accordi transattivi con la clientela, di concordato preventivo o di concordato fallimentare remissorio, i crediti prescritti e quelli oggetto di esdebitazione”. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere A corredo del chiaro dettato dell’Autorità di vigilanza si richiama il consolidato orientamento dell’Arbitro bancario finanziario che si trattasse è più volte pronunciato nel senso che “l’intermediario, anche quando addiviene ad una definizione transattiva in relazione a crediti classificati a sofferenza, sia sempre tenuto, anche a pagamento eseguito, a procedere alla segnalazione, sebbene limitatamente alla quota parte dell’importo non recuperato, in quanto non coperto dalla transazione” (ABF Napoli decisioni nn. 6484/2015 e 2519/2012). Dal punto di un contratto vista del procedimento seguito dall’intermediario per la segnalazione, va innanzitutto ribadito che il preavviso per la segnalazione a sofferenza in Centrale dei Rischi è dovuto, ai sensi della disciplina di affitto/noleggiosettore, solo per le segnalazioni a carico dei clienti consumatori, sulla premessa che solo questi possano essere effettivamente meno consapevoli delle conseguenze derivanti, in termini di pubblicità nel sistema di informazione creditizia gestito dalla Banca d’Italia, dal protrarsi dell’inadempimento e dalla qualificazione della posizione come “sofferenza” (in termini ABF Napoli decisione n. 2066/2015). Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma Un obbligo di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ])informativa, ma non di preavviso, nei confronti dei clienti è previsto dalla circolare della Banca d’Italia n. 139: a giudizio dell’Arbitro, tuttavia, l’omessa informativa al cliente non consumatore non incide sulla validità della segnalazione, ma può assumere rilevanza quale indice di un suo rappresentantecomportamento non conforme ai principi di buona fede e correttezza, con possibili effetti sul piano risarcitorio. In tal casoNel caso di specie, però, l’intermediario ha depositato la nota del 2 agosto 2011, con la quale informava il cliente della segnalazione “a sofferenza” presso la Centrale dei Rischi, rispetto alla quale nessuna ulteriore comunicazione era dovuta, giacché le segnalazioni relative alla transazione e ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (artpagamenti progressivamente effettuati rappresentano un aggiornamento della prima iscrizione. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)Pertanto, il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del dannoricorso va ritenuto infondato.

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DIRITTO. La 1. In xxx xxxxxxxxxxx, il Collegio evidenzia come la domanda si inserisca nell'ambito del ben noto filone della retrocessione proporzionale degli oneri applicati a prestiti verso cessioni del quinto della retribuzione, nel momento in cui questi finanziamenti vengono estinti anticipatamente rispetto al normale decorso del piano di ammortamento. Tuttavia, il ricorrente, ed è ciò che caratterizza detto ricorso, spezza le domande in due segmenti: l'uno, principale, tende a richiedere, accanto alla retrocessione proporzionale delle altre commissioni e oneri, anche la declaratoria di invalidità (con conseguente obbligo di retrocessione dell'intero importo versato al momento della contrazione del prestito) della commissione per l'intermediario del credito, frappostosi nel perfezionamento del finanziamento (e si vedrà tra un istante come occorra distinguere, all'interno di tali operatori, tra agenti finanziari, mediatori creditizi, enti iscritti negli appositi albi di cui all'art. 106 TUB o semplici mandatari del finanziatore). Più in particolare, parte ricorrente assume che detta clausola sarebbe contrastante con norme inderogabili di legge, costituite dall'art. 125 novies T.U.B. (di cui viene postulata l'applicabilità ratione temporis) e con la normativa in tema di tutela del consumatore e segnatamente con le norme di cui agli artt. 33 e 34, commi 2 e 4. Il ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia la vessatorietà della previsione contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta relativa alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clientecommissione qui ricordata, in cui si descrivono i rapporti relazione al significativo squilibrio tra le prestazioni, con particolare riferimento all’importo dovuto, alla carenza di informazione ed alla mancanza di trattativa tra le parti. In particolareLa domanda subordinata ulteriore, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore sottoposta all'attenzione del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. InoltreCollegio, nel caso in esamecui venisse rigettata detta interpretazione del dettato normativo in merito alla commissione dell'intermediario, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrenteuna ben nota domanda di retrocessione degli oneri e delle commissioni applicate al finanziamento, infattiinclusa quella in favore dell'intermediario del credito, non lo qualifica sulla base del principio proporzionale, come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.critenuto elaborato dalla giurisprudenza ABF.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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DIRITTO. La ricorrente allega Occorre preliminarmente esaminare l’eccezione di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso esteticoincompetenza dell’ABF formulata dall’intermediario convenuto, il quale le sostiene che la richiesta di annullamento “avrebbe prospettato un dovuto essere proposta avanti all’Autorità Giudiziaria”, stante il collegamento contrattuale tra il finanziamento e il contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]arredamento, nonché l’asserita necessità di estendere il contraddittorio nei confronti di quest’ultima, alla quale viene imputato dalla ricorrente il comportamento doloso contestato. La ricorrenteXxxxxx, pur avendo onorato al riguardo, il fatto che la ricorrente si è limitata a chiedere l’annullamento per dolo del contratto di finanziamento, mentre non ha formulato alcuna domanda avente ad oggetto il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenutasocietà di arredamento, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio né ha ricollegato l’annullamento del contratto prospettato di finanziamento ad una richiesta di annullamento del contratto con tale società. Gli addebiti mossi dalla ricorrente evoca all’intermediario convenuto – e le ragioni poste a fondamento della richiesta di annullamento – prescindono da ogni valutazione sul contratto stipulato con la società di arredamento, riguardando “le evidenti violazioni delle disposizioni in materia di trasparenza bancaria e di offerta fuori sede” in relazione alle modalità di promozione e negoziazione del contratto di finanziamento da parte degli agenti della società di arredamento, a ciò autorizzati dalla banca. Alla luce di tali considerazioni, il dolo nella conclusione dei contratti (artCollegio non accoglie l’eccezione di incompetenza formulata dall’intermediario convenuto. 1439 c.c.) Quanto al merito della controversia in oggetto, il Collegio ritiene che la documentazione prodotta in giudizio attesti con ogni evidenza che le modalità di presentazione e offerta dell’operazione di finanziamento da parte degli agenti della società di arredamento sono in effetti state tali da aver potuto seriamente pregiudicare la capacità di giudizio della ricorrente inducendola in errore e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”comunque, dall’insieme sono state tali da integrare una palese e grave violazione delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta disposizioni vigenti in tema di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versatitrasparenza bancaria e offerta fuori sede. In questa prospettiva, rileva in particolare la circostanza che la documentazione preliminare fatta sottoscrivere alla ricorrente e, in primis, l’ordine emesso per l’acquisto di merce dalla società di arredamento, per un valore pari a € 2.880,00 stabiliva modalità di pagamento dilazionato, e nello specifico n. 60 rate di pari importo, senza alcuna indicazione relativa a eventuali interessi dovuti. Più precisamente, va sottolineato come, pur essendo previsto nel suddetto modulo d’ordine uno spazio specificatamente dedicato all’indicazione di T.A.N. e T.A.E.G. applicabili all’operazione, tale spazio veniva nel caso di specie lasciato in bianco. Ad avviso del Collegio, si segnala che le Disposizioni sui sistemi tratta di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di menocircostanze tali da ingenerare, anche secondo la percezione del buon padre di famiglia, un serio affidamento che l’operazione di finanziamento venisse offerta a voler ritenere interessi zero. Analogamente, rileva il fatto che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che il testo del contratto di finanziamento apparentemente stipulato con l’intermediario – di cui la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse dichiara di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver non avere ricevuto dal rappresentante copia al momento della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue partisottoscrizione, senza che l’intermediario abbia dimostrato il contrario – riporta un T.A.N. e un T.A.E.G. non leggibili. Detto testo contrattuale, inoltre, è privo dell’indicazione del luogo e della data di stipulazione e, seppur debitamente sottoscritto in ogni sua parte dalla ricorrente, è stato predisposto con un carattere così piccolo che risulta di fatto illeggibile a questo Collegio. Sul punto, la sua firma sia difesa dell’intermediario si incentra sulla corrispondenza con cui, in data 23.6.2010, la banca comunicava alla ricorrente la propria accettazione del finanziamento, con indicazione delle principali condizioni economiche di tale operazione. È vero che detta comunicazione conteneva l’esatta e chiara indicazione di XXX e XXXX; tuttavia, il Collegio ritiene che, a tale data, la ricorrente era già stata disconosciutaindotta in errore a causa del comportamento dei soggetti autorizzati dalla banca alla presentazione, promozione e negoziazione del relativo strumento di finanziamento ed aveva già prestato il proprio consenso, che doveva dunque dirsi viziato. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] Ciò che è terza rispetto alle parti. La ricorrenterileva, infatti, non lo qualifica come rappresentante sono le comunicazioni della società banca successive alla stipulazione, bensì quelle ad essa precedenti; e, al riguardo, risulta che prima della stipulazione non sono state fornite alla ricorrente le informazioni previste dalla normativa in materia di leasing [ZZ] trasparenza per assicurare una scelta consapevole da parte della cliente e quest’ultima dichiara trattarsi che, di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti contro, la ricorrente abbia invece ricevuto informazioni o comunque abbia sottoscritto documentazione in grado di leasing per contro ingenerare in lei falsi affidamenti. Alla luce delle difese svolte e della società di leasing [ZZ])documentazione prodotta, ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)dunque, il Collegio ritiene non provati che, nel caso di specie, sussistano i fatti posti a fondamento della presupposti per accogliere la domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del e conseguentemente annullare il contratto di leasing finanziamento per dolo determinate ai sensi dell’art. 1439 cod. civ.: sussistono infatti (i) sia l’animus decipiendi, che si estrinseca nelle modalità di offerta e conseguentemente assorbito l’esame presentazione dell’operazione di finanziamento, intenzionalmente poco chiare e fuorvianti, oltre che aggressive, (ii) sia la caduta del deceptus in errore, (iii) sia un nesso di causalità tra i due citati elementi. Quanto al primo requisito è peraltro opportuno osservare che, ai sensi del secondo comma dell’art. 1439 cod. civ., il contratto di finanziamento oggetto del ricorso deve ritenersi invalido a prescindere dal fatto che “i raggiri sono stati usati da un terzo”, essendo evidente che l’intermediario non poteva non conoscere le modalità di offerta e presentazione dell’operazione da parte degli agenti della domanda sul risarcimento società di arredamento, essendo anzi tenuto per legge a vigilare sull’attività svolta da tutti i soggetti che operano quali intermediari dei propri servizi, e che esso ne ha al contempo certamente tratto vantaggio. Si ricorda, in tale ultima prospettiva, il Provvedimento del dannoGovernatore della Banca d’Italia del 10 novembre 2009, che ribadisce la piena responsabilità del soggetto erogante sulla complessiva attività di collocamento posta in essere dalla catena distributiva e la necessità di presidiare i rischi operativi e reputazionali insiti in comportamenti anomali o irregolari posti in essere. Si richiama, inoltre, il Provvedimento della Banca d’Italia del 29 luglio 2009 sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, la cui Sezione II (Pubblicità e informazione precontrattuale) stabilisce che “Nel caso di offerta fuori sede, anche se realizzata attraverso soggetti terzi, i fogli informativi riportano, oltre alle informazioni sull’intermediario committente, i dati e la qualifica del soggetto che entra in rapporto con il cliente (ad esempio, dipendente, promotore finanziario, agente in attività finanziaria) ed eventuali costi ed oneri aggiuntivi derivanti da tali modalità di offerta. Il soggetto che procede all'offerta deve consegnare al cliente, in tempo utile prima che il contratto sia concluso o che il cliente sia vincolato da un’offerta, il documento generale denominato "Principali diritti del cliente" e il foglio informativo; se per il servizio offerto è prevista una Guida ai sensi del paragrafo 2, questa deve essere consegnata in luogo del documento generale denominato "Principali diritti del cliente". In caso di contratto di finanziamento, viene consegnato al cliente anche un documento contenente i Xxxxx Effettivi Globali Medi (TEGM) previsti dalla legge n. 108/1996 (c.d. “legge antiusura”). L’intermediario committente acquisisce un'attestazione del cliente circa l'avvenuta consegna e la conserva agli atti. (…) L’intermediario committente verifica che il soggetto incaricato dell'offerta rispetti gli obblighi di trasparenza previsti dalla presente sezione. In particolare, se il foglio informativo e i documenti previsti dal paragrafo 2 sono predisposti dal soggetto incaricato dell'offerta, l’intermediario committente ne accerta la conformità alle disposizioni vigenti e l’idoneità a conseguire pienamente le finalità della disciplina in materia di trasparenza”. Per concludere, a conferma delle considerazioni cui è giunto il Collegio, non si può evitare di rammentare che l’attività di promozione e negoziazione svolta dalla società di arredamento Jolly S.p.A. è già stata oggetto del provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, nell’adunanza del 5.8.2010, ha disposto nei confronti di tale società la sospensione “di ogni attività diretta a promuovere, mediante telemarketing e successive visite al domicilio dei consumatori, una tessera sconti gratuita che celerebbe la vendita di articoli per la casa del professionista, nonché nel sottoporre ai consumatori moduli che non riportano adeguate informazioni circa la loro natura di contratti d’acquisto”. L’Autorità ha valutato che “la suddetta pratica potrebbe, per un verso, considerarsi ingannevole in quanto al consumatore sarebbero fornite informazioni inesatte, incomplete o non veritiere con specifico riferimento alle caratteristiche generali dell’offerta promossa, nonché al prezzo e agli oneri da sostenere per aderire alla stessa; per altro verso, la pratica potrebbe risultare aggressiva in quanto, per le modalità con cui vengono fatti

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DIRITTO. La on il primo motivo del ricorso si denuncia viola- zione e falsa applicazione degli articoli 1326, 1328 e 1335 Codice civile in relazione agli arti- coli 112, 113, 115 e 116 Codice di procedura civile e 2697 Codice civile, nonché omessa, insufficiente o con- traddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Deduce il ricorrente allega che la corte di appel- lo non ha esaminato il diverso contenuto ed i diversi ef- fetti delle due lettere di revoca e di accettazione e non ha considerato che, a fronte della coincidenza delle date (19 settembre 1987) della spedizione della prima e della ricezione della seconda, non vi era alcuna prova che l’ac- cettazione fosse pervenuta prima dell’invio della revoca. L’onere della prova incombeva a chi aveva invocato la conclusione del contratto, ossia alla Ferretticasa, la qua- le avrebbe dovuto provare che esso Xxxxxxx, prima del- l’invio della revoca, fosse stato a conoscenza dell’accet- tazione. Comunque, tenuto conto della detta coinciden- za di date, doveva essere stata vittima di un raggiro messo svolta un’indagine per stabilire quale delle due posizioni fosse più tutelata e prevalente. Pertanto è omissiva, insufficiente o contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata in atto da un rappresentante di un’impresa relazione al punto secondo cui l’accettazione sarebbe pervenuta pri- ma della revoca. Il motivo non è fondato. Deve in via preliminare rilevarsi che commercializza macchinari per uso estetico, è passato in giudi- cato il capo dell’impugnata sentenza con il quale è stata risolta la questione, dibattuta tra le parti nei giudizi di merito, relativa alla qualifica da attribuire alla proposta contenuta nell’atto sottoscritto dal Nespoli in data 13 maggio 1987, ossia se trattasi di proposta revocabile o ir- revocabile. Il giudice di secondo grado, contrariamente a quanto sostenuto dalla Ferretticasa nel giudizio di appel- lo, ha ritenuto revocabile la detta proposta svolgendo in proposito specifiche argomentazioni avverso le quali la citata società, pur se risultata vittoriosa per altre ragioni, non ha sollevato censure a mezzo di apposito ricorso in- cidentale che avrebbe prospettato un contratto dovuto proporre, anche se in via condizionata, per ottenere sul punto una riforma della decisione della corte territoriale. La Ferretticasa si è in- vece limitata a chiedere la rettifica della motivazione della detta decisione «laddove contiene inesatte consi- derazioni giuridiche in tema di affitto o noleggio irrevocabilità della pro- posta». Al riguardo è appena il caso di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, osservare che il potere correttivo previsto dall’articolo 384 Codice di procedura civile non è esercitabile nella specie dovendo applicarsi ad un canone mensile capo della sentenza coperto da giudica- to e di 000 xxxxcui si tratterebbe non di modificare e correggere la motivazione (in quanto errata) posta a base di una de- cisione (comunque esatta) ma di riformare la stessa solu- zione data ad una questione dibattuta tra le parti e non oggetto di specifica impugnativa. La questione relativa alla tempestività della revoca della proposta contrattuale al fine di impedire la conclusione del contratto - questione che consiste essenzialmente nell’accertare se il detto effetto impeditivo si produca al- lorché la revoca della proposta sia stata emessa e tra- smessa prima che il proponente abbia avuto conoscenza dell’accettazione, xxovvero se sia necessario all’indicato scopo che essa giunga a conoscenza della controparte prima di tale momento - è stata numerose volte affron- tata in giurisprudenza (anche se non di recente) e risolta prevalentemente nel senso che la proposta può essere re- vocata finché il proponente non abbia conoscenza del- l’accettazione dell’altra parte e, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale propostaquindi, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un prima che l’ac- cettazione pervenga al suo recapito o al suo indirizzo: di conseguenza il proponente può impedire la conclusione del contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]sola spedizione della revoca a pre- scindere dal momento in cui questa sia ricevuta dall’o- blato (tra le tante, sentenze 9 luglio 1981; 9 aprile 1981; 5 aprile 1976 n. 1198; 3 febbraio 1972 n. 282). La ricorrente, pur avendo onorato detta soluzione si basa essenzialmente su quanto di- sposto dall’articolo 1328 Codice civile che mentre con- sente la revoca della proposta «finché il contratto di leasing in questione per circa due anninon sia concluso» - e, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolare, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltrenorma dell’articolo 1326 Codice ci- vile, il contratto di leasing stipulato con è concluso al momento in cui chi ha fatto la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non proposta ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri conoscenza dell’accettazione dell’al- tra parte - prevede espressamente che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari revoca dell’ac- cettazione deve giungere «a conoscenza del proponente prima dell’accettazione». Pertanto, secondo quanto af- fermato nelle citate sentenze pronunciate in sede di le- gittimità, per indurla a ritenere la revoca della proposta vale la regola del- la «spedizione» e non quella della «ricezione» anche se la dichiarazione di revoca giunga all’oblato dopo il rice- vimento, da parte del proponente, dell’accettazione. Autorevole parte della dottrina ha però criticato il riferi- to orientamento giurisprudenziale rilevando che si trattasse l’argo- mento letterale di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali cui al citato articolo 1328 Codice ci- vile - con riferimento alla specifica menzione sia della possibilità che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante proposta venga revocata fino al mo- mento della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento conclusione del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare sia della neces- sità che gli asseriti raggiri siano stati noti la revoca dell’accettazione pervenga al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso propo- nente prima dell’accettazione - non può essere ritenuto decisivo in quanto la detta previsione normativa deve essere valutata non isolatamente ma nel contesto com- plessivo della disciplina dettata dagli articoli 1334 e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali 1335 Codice civile in tema di onere atti recettizi e, in partico- lare, di proposta, accettazione e loro revoca. In proposi- to il primo dei citati articoli dispone che gli atti unilate- rali recettizi producono effetto dal momento in cui per- vengono a conoscenza del destinatario, mentre il secon- do precisa che la proposta, l’accettazione e la loro revoca si reputano conosciute al momento in cui giungono al- l’indirizzo del destinatario. Alle dette obiezioni è stato replicato, da altra parte della prova (art. 2697 c.c.)dottrina e dalla prevalente giurisprudenza di legittimità, il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta sostenendo in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.particolare:

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DIRITTO. Preliminarmente, il Collegio è chiamato a valutare la validità e l’efficacia del contratto oggetto della controversia. Infatti, il Confidi resistente, attualmente iscritto nella sezione riservata ai confidi ex art. 155, comma 4, del TUB per l’attività di concessione di garanzie “collettive” a favore di banche e altri intermediari autorizzati, non è abilitato al rilascio di garanzie nei confronti del pubblico (quali le fideiussioni a favore di enti e amministrazioni pubbliche o a imprese terze e privati in genere, anche se prestate nell’interesse di imprese socie del confidi (così si evince dal comunicato della Banca d’Italia del relativo elenco, aggiornato al 29 dicembre 2015). La ricorrente allega questione non è nuova per l’Arbitro bancario finanziario: appare, quindi, utile riportare le argomentazioni svolte in un rilevante precedente proprio di essere stata vittima questo Collegio secondo cui “chiarito, dunque, che l’intermediario non era autorizzato al rilascio di fideiussioni in favore del pubblico, e che la sua condotta si presenta suscettibile di integrare gli estremi anche della fattispecie delittuosa di abusivo esercizio di attività finanziaria ai sensi dell’art. 132 TUB vecchio testo, la questione che però a questo punto si tratta di affrontare – ed è quella realmente decisiva – è se la violazione delle norme pubblicistiche che stabiliscono i presupposti per il legittimo esercizio dell’attività finanziaria sia destinata anche ad avere incidenza ex se sui contratti in cui tale attività si scandisce e a determinarne l’invalidità. Si tratta, per vero, di un raggiro messo problema che involge questioni di vertice della teoria non solo del contratto ma anche dell’impresa, e che si riassume nell’interrogativo se alla qualificazione dell’impresa come “illecita” debba conseguire anche una qualificazione in atto chiave di nullità dei contratti che essa pone in essere. Il problema è delicato, e lo è in misura ancora più accentuata nel caso che ci occupa, dove ci si confronta con un contratto che si riconduce al paradigma di un contratto tipico, quale appunto la fideiussione, e dove allora è sicuramente più difficile seguire la traiettoria interpretativa consueta, che vorrebbe, in casi del genere, concludere nel senso della nullità virtuale del contratto ai sensi dell’art. 1418, primo comma, cod. civ. Se, infatti, si accede a quell’indirizzo ermeneutico che sottolinea come la nullità virtuale non discenda da ogni violazione di norma imperativa che abbia una qualche connessione con l’attività contrattuale dei privati, ma solo allorché si stabilisca una incompatibilità tra i valori protetti dalla norma e la regola negoziale, si può anche ragionevolmente dubitare che in casi come quello di specie una simile incompatibilità davvero sussista, così come si potrebbe anche dubitare che la qualificazione in chiave di nullità del contratto sia la soluzione più appropriata per la tutela degli interessi individuali coinvolti (e basti pensare, in un rappresentante contesto come quello che ci occupa, al fatto che affermare la nullità del contratto se, per un verso, significa – ed è quanto rileva nel caso in esame – permettere al debitore garantito di un’impresa che commercializza macchinari ottenere la restituzione del corrispettivo pagato per uso esteticoil rilascio della fideiussione, per altro verso significa anche accordare un beneficio allo stesso intermediario, il quale potrà evidentemente sottrarsi, evocando la nullità, all’adempimento dei suoi obblighi nei confronti di quanti, tra i beneficiari di garanzie abusivamente rilasciate, al verificarsi dei relativi presupposti, intendessero procedere egualmente alla loro escussione). E tuttavia, pur non potendosi disconoscere che la conclusione della nullità del contratto presenta alcuni profili di criticità, sembra al Collegio che essa sia quella in casi del genere da privilegiare, ancorché sulla base di una considerazione diversa da quella consueta, che invoca genericamente il contrasto con le avrebbe prospettato un norme imperative disciplinanti l’esercizio dell’attività bancaria e finanziaria e, dunque, predica la nullità virtuale del contratto ex art. 1418 c.c. Ritiene, infatti, il Collegio che se, in casi del genere, di affitto o noleggio nullità dell’atto di macchinariautonomia negoziale si può (e si deve) parlare, liberamente risolvibile senza penaleciò avviene perché il contratto attraverso cui si scandice l’attività di impresa è caratterizzato – com’è stato detto con espressiva formula in quello che è ancora oggi il fondamentale studio in argomento – da una “inerenza teleologica e strutturale” alla stessa, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società conseguenza che in tali casi è la sua funzione che finisce per risultare illecita, giacché se al contratto non si comunicasse il disvalore espresso dalla illiceità dell’attività esso fungerebbe da strumento per conseguire proprio le utilità complessive di leasing [ZZ]un’attività che risulta essere vietata. La ricorrenteInsomma, pur avendo onorato quel che si intende sottolineare è che l’inerenza dell’atto all’attività fa sì che sia la concreta causa negoziale del contratto a risultare illecita, il che è allora quanto consente – in un caso come quello che ci occupa con cui ci si confronta con uno schema contrattuale tipico, quale appunto la fideiussione – di concludere per la nullità” (ABF Napoli decisione n. 6343 del 2014). Successivamente, il tema si è arricchito per la recente decisione del Collegio di Coordinamento, che ha confermato la nullità per violazione di norma imperativa del contratto stipulato dall’intermediario privo delle necessarie autorizzazioni o, comunque, dell’iscrizione di leasing uno dei contraenti in albi o registri tenuti dalla legge (decisione n. 4619/2016). Va sottolineato, peraltro, che il Collegio di Coordinamento ha precisato che la nullità in questione per circa due annipresenta consonanza con la categoria della nullità relativa, versando i canoni previstipoiché non vi è estranea l’esigenza di non pregiudicare il contraente che con il suo comportamento non ha dato causa alla nullità; in particolare, ne rileva ora si è ritenuto di individuare una ratio comune all’art. 167 del Codice delle assicurazioni private (d.lgs. 209/2005), a tenore del quale la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione nullità può essere fatta valere solo dal contraente dell’impresa di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]assicurazione non autorizzata. A suffragio della propria ricostruzione, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del clienteE, in cui si descrivono i rapporti tra le parti. In particolareeffetti, in uno dei due documenti si fa riferimento ad un contratto di “affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo è evidente l’effetto negativo per il cliente che, nel caso di contrarre un apposito finanziamento con una banca localenullità del contratto di fideiussione stipulato dal confidi non autorizzato come in quello del contratto di assicurazione di cui al citato art. Nel secondo documento vi 167, si troverebbe privato della copertura della garanzia nella quale aveva confidato. In tale cornice, va iscritta la fattispecie concreta all’esame del Collegio, nella quale la peculiarità è regolatache l’eccezione di nullità non è stata sollevata dal ricorrente che ha chiesto, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore la restituzione del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY], perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento premio pagato invocando l’esecuzione del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (artnella parte in cui era sospensivamente condizionato all’accettazione del beneficiario della garanzia. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.)Tuttavia, il Collegio ritiene di poter addivenire parimenti alla declaratoria della nullità del contratto: innanzitutto, occorre oggi tenere conto dell’orientamento sancito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione in materia di rilevabilità di ufficio e, più in generale, delle cause di invalidità e di inefficacia del contratto (Cass. Sez. Unite, 12 dicembre 2014, n. 26242), nella quale ha trovato sede anche una ricostruzione del valore della categoria dell’invalidità a carattere relativo quale strumento di tutela di interessi generali, che ha condotto all’affermazione della sua rilevabilità di ufficio (sia pure non provati i necessariamente seguita dalla sua dichiarazione, se la parte chiede che la causa sia comunque decisa nel merito o il giudice privilegi una ragione più liquida ai fini della decisione, come ha sottolineato autorevole dottrina). In questo contesto, in assenza di un’articolazione del procedimento che consenta di interpellare le parti, il Collegio è chiamato a svolgere una interpretazione complessiva, alla luce del principio, pacifico in giurisprudenza, a tenore del quale, in tema d’interpretazione della domanda, il giudice di merito è tenuto a valutare il contenuto sostanziale della pretesa, alla luce dei fatti posti dedotti in giudizio e a fondamento prescindere dalle formule adottate; conseguendone “che è necessario, a questo fine, tener conto anche delle domande che risultino implicitamente proposte o necessariamente presupposte, in modo da ricostruire il contenuto e l’ampiezza della domanda giudiziale secondo criteri logicamente corretti e tali da evidenziare la volontà della parte in relazione alle finalità concretamente perseguite dalla stessa” (Xxxx. 26 settembre 2011, n. 19630, e, più recentemente, Xxxx. 18 marzo 2014, n. 6226). Nel caso di specie, appare evidente che il ricorrente non ha alcun interesse alla conservazione del contratto, del quale anzi vuole liberarsi essendo venuta meno la sua funzione concreta, e chiedendo di ottenere la restituzione del premio versato: pertanto, il petitum sostanziale è lo stesso al quale la ricorrente avrebbe diritto con la dichiarazione di nullità del contratto, ovvero la restituzione delle prestazioni già eseguite, in ragione della normativa in materia di indebito oggettivo. Il Collegio, pertanto, ritiene che la domanda sia fondata quanto al diritto della società ricorrente di ottenere la restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento pari a € 9.250,00, oltre interessi dalla data del contratto reclamo e nonché il ristoro delle spese per assistenza difensiva nella misura equitativamente determinata di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno€ 200,00.

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DIRITTO. La ricorrente allega di essere stata vittima di un raggiro messo Risulta per tabulas che il contratto per cui è processo è stato unilateralmente predisposto dalla banca, firmato dal correntista, siglato in atto calce da un rappresentante funzionario sotto la dicitura ‘per autentica’. Ciò detto, parte attrice argomenta che la firma del funzionario non è idonea ad integrare la richiesta forma scritta ad substantiam per la stipula contrattuale, atteso che essa deve intendersi, sulla base del suo significato letterale, come mera autentica della firma del correntista e non già come manifestazione di un’impresa volontà dell’Istituto, ciò che commercializza macchinari per uso esteticorende il contratto nullo con le conseguenze restitutorie sopra indicate. Tanto premesso, il quale le avrebbe prospettato un contratto ritiene questo Giudice che la prospettazione attorea non possa essere accolta. Infatti, non si ignora che parte della giurisprudenza di affitto o noleggio merito ha convalidato la - indubbiamente lucida e lineare - tesi propugnata dalla difesa attorea, e che a tali conclusioni sono giunte anche alcune pronunce di macchinari, liberamente risolvibile senza penalequesto Tribunale. Tuttavia, ad un canone mensile avviso di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria questo Giudice è preferibile un’altra ricostruzione, peraltro già proposta da altra giurisprudenza di merito, di questo e di molti altri Tribunali, nell’ambito del vivace dibattito che ha negli ultimi tempi caratterizzato la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le partitrattazione della materia qui oggetto di decisione. In particolare, due sono le argomentazioni che portano, ciascuna autonomamente, a ritenere valido il contratto per cuoi è causa. Da una prima angolazione, infatti, si osserva che la firma del funzionario di banca, non potendo in uno dei due documenti alcun modo avere potere certificativo della firma del cliente, per l’assorbente rilievo che detto potere non spetta a tale funzionario, deve invece più ragionevolmente essere intesa come inequivoca esternazione della volontà negoziale del funzionario, in nome e per conto dell’istituto, ex art. 2210 c.c., tanto più che il regolamento contrattuale era già stato predisposto dalla banca stessa; che nel corpo del testo si fa ripetutamente riferimento ad un al ‘contratto’ così stipulato; che l’efficacia di tale contratto non risulta subordinata all’approvazione di “affitto/noleggio”, altro organo della banca; e che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto è poi stato effettivamente eseguito da tutte le parti (così, tra le tante, cfr. App. Brescia sent. n. 600/2012 est. Orlandini, Trib. Mantova sent. n. 1089/2011 est. Xxxxxxxx, Trib. Mantova sent. n. 626/2011 est. Xx Xxxxxx, Trib. Mantova sent. n. 553/2011 est. Aliprandi). Né può opinarsi che il funzionario bancario possa avere agito quale falsus procurator, atteso che, pur se così fosse, si tratterebbe di leasing stipulato con inefficacia relativa non rilevabile d’ufficio, ma solo su eccezione della parte pseudorappresentata, id est la convenutabanca (per la pacifica giurisprudenza, recante cfr. ex pluribus Cass. n. 24643/2014, Cass. n. 14618/2010, Cass. n. 2860/2008, Cass. n. 3872/2004). Da una seconda angolazione ed in modo ancora più radicale, altra parte della più recente giurisprudenza, muovendo dalla ratio della norma evidentemente finalizzata alla protezione del correntista contraente debole ed alla valorizzazione di esigenze di chiarezza e trasparenza informativa, non ritiene nemmeno necessaria la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio banca, laddove, come nel caso che qui occupa, risulti la predisposizione del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulateda parte della banca stessa, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” firma del correntista e la consegna del contratto al cliente (principio per vizio la prima volta enunciato dalla nota pronuncia di App. Torino n. 595/2012 est. Xxxxx; conformi, ex aliis, le successive Trib. Novara n. 569/2012 pres. Quatraro est. Tosi, Trib. Milano 21/2/2012 est. Guidi, Trib. Monza 13/5/2012 est. Giani, Trib. Milano n. 14268/2013 est. Cosentini, Trib. Mantova 16/2/2015 est. Xxxxxxxx). L’approvazione scritta da parte della banca, infatti, rende non necessaria l’ulteriore approvazione del consensoproponente, quale presupposto idoneo “dal momento che la volontà negoziale è già espressa nel documento da lui predisposto” e che “la mera carenza formale di firma non potrebbe in ogni caso legittimare la banca né ad impugnare il contratto” né a fondare sottrarsi “alle regole in esso sancite” (espressamente Trib. Milano sent. 14268/2013): infatti, la richiesta forma scritta può essere integrata dalla semplice sottoscrizione di restituzione dei canoni un contraente per accettazioni delle dichiarazioni provenienti dall’altro (Cass. n. 23966/2004), e comunque la dichiarazione di leasing versativolontà di avvalersi della scrittura privata da parte del contraente che non l’abbia sottoscritta, realizza un equivalente della sottoscrizione anche quando non avvenga in sede giudiziale (Cass. n. 22223/2006, Cass. n. 23966/2004 e Cass. n. 8983/2003). Ciò è quanto accaduto nel caso che qui occupa, poiché, anche a volere in ipotesi ritenere non ritualmente firmato il contratto da parte della banca, l’intento di quest’ultima di avvalersi del contratto stesso, così realizzando un equivalente della sottoscrizione, è pacificamente integrato dalla incontroversa esecuzione del rapporto e dalla comunicazione degli estratti conto per sei anni. Discende, in conclusione, che anche a volere ritenere non ritualmente firmato il contratto da parte della banca, deve comunque ritenersi integrato il requisito della forma scritta, ciò che consente di ritenere assorbita l’ulteriore argomentazione difensiva della convenuta in ordine al fatto che, diversamente opinando, si offrirebbe tutela al contraente che, maliziosamente abusando di una posizione di vantaggio conferita dalla legge e della buona fede contrattuale, censura come nullo un contratto bancario eseguito per anni senza contestazioni da entrambe le parti (sul punto, cfr. Trib. Torino sent. n. 2150672011 est. Zappasodi). Le conclusioni di cui sopra in ordine alla validità del contratto stipulato tra banca e correntista, già raggiunte da una cospicua parte della più recente giurisprudenza di merito solo in parte sopra citata, sono ora convalidate anche da una pronuncia della Suprema Corte. In questa prospettivaun caso esattamente speculare a quello per cui è processo, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono la Cassazione ha infatti spiegato che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche quindi a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitronon risulti una copia firmata del contratto da parte della banca, e pertanto valutando l’intento di questa di avvalersi del contratto risulterebbe comunque, oltre che dal deposito del documento in giudizio, dalle manifestazioni di volontà da questa esternate ai ricorrenti nel merito corso del rapporto di conto corrente da cui si evidenziava la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse volontà di un avvalersi del contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova (bastano a tal fine sufficiente le comunicazioni degli estratti conto) con conseguenze perfezionamento dello stesso” (Xxxx. Sez. I n. 4564/2012). A tali conclusioni, in ragione della loro ragionevole persuasività e dell’autorevole avallo della sopra citata giurisprudenza di legittimità, questo Giudice intende conformarsi, dando continuità a quanto già sostenuto con la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma precedente sentenza di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]Xxxx. Reggio Xxxxxx n. 841/2013. Pertanto, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci rigettata l’eccezione di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento nullità del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare viene travolta l’intera domanda attorea, che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (trae linfa da tale dedotta nullità per ritenere non dovuti i pagamenti effettuati sulla base delle prescrizioni contrattuali ed infondata la domanda di pagamento azionata in sede monitoria. Inammissibili in quanto del tutto tardive poiché sollevate ben oltre lo spirare delle preclusioni assertive, sono infatti le ulteriori doglianze di merito proposte per la prima volta in sede di comparsa conclusionale e di replica, relative alla pretesa usurarietà dei tassi applicati, all’anatocismo ed alla illegittimità di specifici addebiti. L’oggettivo contrasto tra il principio di diritto qui enunciato ed alcune pregresse pronunce dell’intestato Tribunale, integrano i motivi che, ex art. 143992 comma 2 c.p.c. ratione temporis vigente, 2° comma, c.cgiustificano l’integrale compensazione delle spese di lite.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.

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Samples: Contratto Bancario Valido Se Siglato Dal Funzionario Di Banca

DIRITTO. La ricorrente allega Con riferimento ai contratti di essere stata vittima di un raggiro messo in atto da un rappresentante di un’impresa che commercializza macchinari per uso estetico, il quale le avrebbe prospettato un contratto di affitto o noleggio di macchinari, liberamente risolvibile senza penale, ad un canone mensile di 000 xxxx, xx, xx modo ingannevole finanziamento nn. ****449 e creando artatamente confusione sulla tipologia contrattuale proposta, l’avrebbe poi indotta a sottoscrivere un contratto di leasing con la società di leasing [ZZ]. La ricorrente, pur avendo onorato il contratto di leasing in questione per circa due anni, versando i canoni previsti, ne rileva ora la “nullità”, chiedendo la condanna dell’odierna convenuta alla restituzione di quanto illegittimamente percepito, oltre al risarcimento di tutti i danni subiti per la condotta illegittima posta in essere da un rappresentante della società fornitrice [YY], legittimato dalla società di leasing [ZZ]. A suffragio della propria ricostruzione****050, la ricorrente produce due moduli contrattuali, non firmati e privi dell’indicazione cliente contesta l'indeterminatezza del nome del cliente, in cui si descrivono i rapporti tra le partiTAEG. In particolare, la discrepanza tra TAN e XXXX non sarebbe giustificata, stante l’assenza di ulteriori oneri oltre agli interessi debitori. In xxx xxxxxxxxxxx, xxxxx evidenziare come il contratto n. ****449 sia stato stipulato in uno dei due documenti data 20/10/2008 ed estinto nel giugno 2009. La contestazione relativa a tale contratto pare, quindi, esulare dal limite di competenza dell’ABF, trattandosi di un vizio genetico. Quanto al contratto n. *****050, l’intermediario riferisce che la difformità tra TAN e TAEG sia da ricondurre all’inclusione nel calcolo del TAEG dell’imposta di bollo su contratto per € 14,62, delle spese per comunicazioni periodiche per € 0,56 e della relativa imposta di bollo per € 1,81. Dall’analisi del contratto emerge che non erano previste spese per comunicazioni periodiche. Xxxxx, al contrario, a carico della cliente gli oneri fiscali. Questo Xxxxxxxx ha provveduto al ricalcolo del TAEG, escludendo gli oneri fiscali dal momento che non ne era prevista l’inclusione ai sensi della normativa pro tempore vigente. Ne risulta un TAEG del 11,56%, come contrattualmente indicato. Sul punto si fa riferimento ad altresì presente che la cliente non allega la mancata inclusione di un costo nel TAEG. Xxxx, riferisce che il TAEG sarebbe dovuto essere uguale al TAN, più basso, stante l’assenza di ulteriori oneri nel finanziamento. Dunque, sembra possa affermarsi che la cliente non allega una lesione del proprio diritto d’informativa precontrattuale a mezzo del TAEG, tale da giustificare l’applicazione della sanzione di cui all’art. 124, co. 5 TUB. In relazione ai contratti di finanziamento nn *****420, *****583 e *****338 parte ricorrente lamenta la mancata inclusione dei costi assicurativi nel TAEG. La questione in oggetto concerne quindi la qualificazione delle assicurazioni accessorie ai finanziamenti ai consumatori: se esse siano facoltative, e quindi i relativi costi debbano essere esclusi dal calcolo del TAEG del finanziamento; ovvero se siano obbligatorie, con la conseguenza che i relativi costi debbano essere ricompresi nel calcolo del TAEG e, se non lo fossero, la clausola di determinazione del TAEG e la misura dello stesso siano nulle. L’accertamento di tale qualificazione sembra imporsi sulla base delle indicazioni normative e regolamentari che riguardano la materia. Il vigente art. 121 TUB, prevede: al comma 1, lettera e): “costo totale del credito” indica gli interessi e tutti gli altri costi, incluse le commissioni, le imposte e le altre spese, a eccezione di quelle notarili, che il consumatore deve pagare in relazione al contratto di credito e di cui il finanziatore è a conoscenza”; al comma 2: affitto/noleggio”, che prevede altresì il passaggio di proprietà al cliente dopo 59 mesi di utilizzo dei macchinari e l’obbligo per il cliente di contrarre un apposito finanziamento Nel costo totale del credito sono inclusi anche i costi relativi a servizi accessori connessi con una banca locale. Nel secondo documento vi è regolata, invece, un’opzione di acquisto dei macchinari a favore del potenziale acquirente allo scadere del periodo di prova. Produce, inoltre, il contratto di leasing stipulato con credito, compresi i premi assicurativi, se la convenuta, recante la firma della stessa ricorrente in tutte le sue parti. L’asserito vizio del contratto prospettato dalla ricorrente evoca il dolo nella conclusione dei contratti (art. 1439 c.c.) e, benché nel ricorso tale vizio sia qualificato come “nullità”, dall’insieme delle allegazioni formulate, la domanda non può che essere interpretata come richiesta di “annullamento” del contratto per vizio del consenso, quale presupposto idoneo a fondare la richiesta di restituzione dei canoni di leasing versati. In questa prospettiva, si segnala che le Disposizioni sui sistemi di risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia di operazioni e servizi bancari e finanziari emanate dalla Banca d’Italia (provvedimento del 12.12.2011), Sez. I, § 4, 2° comma, stabiliscono che “All’ABF possono essere sottoposte tutte le controversie aventi ad oggetto l’accertamento di diritti, obblighi e facoltà, indipendentemente dal valore del rapporto al quale si riferiscono”. Si registrano, pertanto, orientamenti non univoci in merito alla possibilità per l’Arbitro di emanare pronunce con effetto costitutivo. Ciò non di meno, anche a voler ritenere che tale competenza possa essere riconosciuta all’Arbitro, e pertanto valutando nel merito la domanda dell’attuale ricorrente, si osserva che quest’ultima non ha fornito una prova sufficiente dei fatti che vi pone a fondamento. In particolare non vi è in atti la prova dei raggiri che la ricorrente assume essere stati usati dal rappresentante dell’impresa fornitrice dei macchinari per indurla a ritenere che si trattasse di un contratto di affitto/noleggio. Né rappresenta una prova a tal fine sufficiente la produzione dei due moduli contrattuali che la ricorrente afferma di aver ricevuto dal rappresentante della società fornitrice [YY]avente ad oggetto tali servizi è un requisito per ottenere il credito, perché non è provato in quale contesto essi siano stati consegnati alla cliente e con quale finalità. In sostanza, non solo i raggiri capaci di integrare il dolo contrattuale devono essere provati in modo specifico e rigoroso, ma nella specie mancherebbe anche un’idonea prova presuntiva secondo l’art. 2729 c.c., soprattutto se si considera che la stessa ricorrente ha prodotto in atti un contratto di locazione finanziaria inequivocabilmente qualificato come tale nell’intestazione e nel testo che essa stessa ha firmato in tutte le sue parti, senza che la sua firma sia stata disconosciuta. Inoltre, nel caso in esame, i raggiri sarebbero stati usati dal rappresentante della società fornitrice [YY] che è terza rispetto alle parti. La ricorrente, infatti, non lo qualifica come rappresentante della società di leasing [ZZ] e quest’ultima dichiara trattarsi di un suo mero procacciatore d’affari (legittimato a collocare i contratti di leasing o per contro della società di leasing [ZZ]), ma non di un suo rappresentante. In tal caso, ai fini dell’annullamento del contratto, occorrerebbe altresì dimostrare che gli asseriti raggiri siano stati noti al contraente che ne ha tratto vantaggio (art. 1439, 2° comma, c.c.). Tutto ciò premesso e considerando che anche nel procedimento davanti all’ABF valgono i principi generali in tema di onere della prova (art. 2697 c.c.), il Collegio ritiene non provati i fatti posti a fondamento della domanda della ricorrente di restituzione delle somme versate alla convenuta in adempimento del contratto di leasing e conseguentemente assorbito l’esame della domanda sul risarcimento del danno.ottenerlo

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